Boscoli, Pietro Paolo
Nacque a Firenze da Giachinotto e monna Cosa il 30 giugno 1481, discendente di una famiglia tra le più antiche della città. Il padre aveva partecipato nel 1475 alla giostra di Giuliano, ma Pietro Paolo crebbe nella Firenze di Girolamo Savonarola e del gonfaloniere Piero Soderini.
Nel 1506 fu ammesso con i fratelli Francesco e Giambattista nella matricola dell’Arte del cambio, dove era già iscritto il padre. Si sposò ed ebbe almeno un figlio, Alessandro. Ci resta una sua lettera, autografa, con la quale raccomanda a M. l’amico Giovannino della Bella come cavalleggero, il 13 agosto 1512 (BNCF, Carte Machiavelli v 101; cfr. Tommasini 1911, pp. 1366-67).
Proprio fra l’agosto e il settembre 1512 sopravvenne la restaurazione medicea: il 14 settembre il cardinale Giovanni de’ Medici entrò in città e il 16 i medicei presero il palazzo. Ebbe così inizio lo smantellamento della Repubblica. Scrive Francesco Vettori: «In Firenze questo nuovo modo di governo era a molti insopportabile. E congiurarono Agostino Capponi e Pietropaulo Boscoli di ammazzare Giuliano de’ Medici» (F. Vettori, Sommario della istoria d’Italia, in Id., Scritti storici e politici, p. 147). Poco dopo, infatti, il 18 febbraio 1513, una dozzina di cittadini, tra cui M., venne arrestata con l’accusa di aver voluto uccidere Giuliano, Lorenzo e il cardinale Giulio.
Le cose sembrano essere andate in tal modo. Nella casa dei Lenzi, in borgo Ognissanti, si trovavano spesso amici della famiglia e dei Soderini, loro parenti. In una di queste riunioni pare che B. e Capponi
feciono una scritta, dove scrissono i nomi di quelli che credevono, seguita la occisione, si avessino a scoprire in loro favore, ancora che prima non la volessimo loro conferire. E ebbono sì poca avvertenza, che se la lasciarono cadere (F. Vettori, Sommario della istoria d’Italia, cit., p. 147).
La lista sarebbe stata trovata da Bernardino Cocci, oratore senese, il quale l’avrebbe portata agli Otto. B. fu arrestato con numerosi altri congiurati:
tutti furono esaminati; ma solo furono trovati in colpa notabile Agostino e Pietropaulo, i quali dalli Otto furono condannati a morte. Delli altri, qualcuno ne fu confinato, perché per le loro essamine si conobbe malissimo animo verso i Medici, alcuni furono absoluti, benché tutti quelli che per questo caso furono condannati e confinati, alla creazione del cardinale de’ Medici in Papa, che seguì poi intra non molti giorni [la notizia giunse a Firenze l’11 marzo], furono liberi e absoluti (F. Vettori, Sommario della istoria d’Italia, cit., p. 147).
M. dal carcere indirizza due sonetti a Giuliano de’ Medici, per implorare la propria liberazione, e a suo favore si muovono due medicei di provata fede come Francesco Vettori e suo fratello Paolo, quest’ultimo braccio armato di Giuliano. Infatti M., nello scambio epistolare con Francesco Vettori del marzo 1513, proclama di dovere la propria liberazione proprio a Giuliano e ai fratelli Vettori: «Come da Pagolo vostro harete inteso, io sono uscito di prigione con la letizia universale di questa città […] non obstante che per l’opera di Pagolo et vostra io sperassi il medesimo; di che vi ringrazio» (M. a Vettori, 13 marzo) e ancora «tutto quello che mi avanza di vita [posso] riconoscerlo dal magnifico Giuliano et da Pagolo vostro» (M. a Vettori, 18 marzo); mentre Vettori con espressioni di sincero rammarico rispondeva a M. il 15 marzo:
Duolmi non vi havere potuto aiutare, come meritava la fede havevi in me, et mi decte dispiacere assai quando Totto vostro [fratello minore di Niccolò] mi mandò la staffetta et io non vi pote’ giovare in cosa alchuna. Fecilo come fu creato il papa, et non li dimandai altra gratia che la liberatione vostra, la quale ho molto caro fussi seguita prima.
Capponi e B. furono decapitati il 23 febbraio 1513. Riportando le sentenze il cronista veneziano Marin Sanudo soggiungeva: «e tutto questo giudizio è fatto con pratica e parere unito di buon numero di cittadini dei primi e ben qualificati» (M. Sanudo, I Diari, 1886). Le ultime ore dei due condannati sono descritte in una Recitazione – tramandataci da molti manoscritti – di Luca Della Robbia. Questi faceva parte della compagnia dei neri e assistette l’amico B. nelle sue ultime ore. Intento dello scritto è la giustificazione di B. sul piano dell’ortodossia religiosa:
trionfo di Cristo, non solo, ma della Chiesa, nel confronto finale, su Bruto e i filosofi («Deh, Luca, cavatemi dalla testa Bruto, acciò ch’io faccia questo passo interamente da cristiano!»: Recitazione del caso di Pietro Pagolo Boscoli..., in Testi cinquecenteschi, 2005, p. 33); liceità, anzi carattere meritorio, di congiure contro il tiranno che regna a dispetto del popolo. Si attribuiscono a B. tratti non conformi alla comune religiosità: rifiuto prima di un confessore, Iacopo Mannelli, per ottenerne invece uno di S. Marco; rifiuto della immagine del Redentore sulla tavoluccia; rifiuto del canto dei salmi penitenziali che usava cantare la compagnia dei neri; resistenza – vinta al fine – a dichiarare di credere ciò che comanda la Chiesa.
Sebbene non si possa escludere affatto, nel Della Robbia, un certo intento annessionistico, per quanto in buona fede e a maggior gloria di Dio, dettato dalla sua religione e dal suo affetto per l’amico, sembrerebbe tuttavia credibile l’appartenenza di B. a un ambiente nel quale la cultura classica non avrebbe intaccato che in superficie una educazione religiosa di tipo piagnone.
Diverso l’approccio di M., che nel sonetto “Io ho, Giuliano” dispiega fin dal carcere le sue qualità di scrittore burlesco e autoironico. Nelle due terzine addizionali (vv. 15-20), che costituiscono la ‘coda’ del sonetto, M. mostra di lamentarsi perché le grida e le preghiere dei due condannati a morte «presso alla aurora» hanno risvegliato lui che, innocente, dormiva.
Bibliografia: Fonti: F. Baldovinetti, Memoriale, BNF, Fondo Baldovinetti, ms. 244, cc. 159v-160r; B. Cerretani, BNF, ms. II, I, 106, cc. 160-61; P. Parenti, BNF, ms. II, IV, 171, c. 84r; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, Firenze 1840, 2° vol., pp. 23-26; I. Pitti, Istorie fiorentine, «Archivio storico italiano», 1842, 1, p. 109; B. Varchi, Storie fiorentine, Firenze 1843, 1° vol., p. 61; I. Pitti, Apologia de’ Cappucci, «Archivio storico italiano», 1853, 4, 2, p. 321; L. Landucci, Diario fiorentino, Firenze 1883, p. 355; M. Sanudo, I Diari, 15° vol., Venezia 1886, coll. 572-74; A. Lapini, Diario fiorentino, Firenze 1900, p. 86; B. Masi, Ricordanze, Firenze 1906, pp. 117 e segg.; F. Vettori, Sommario della istoria d’Italia, in Id., Scritti storici e politici, a cura di E. Niccolini, Bari 1972; L. Della Robbia, Recitazione del caso di Pietro Pagolo Boscoli e di Agostino Capponi, in Testi cinquecenteschi sulla ribellione politica, a cura di G.P. Marchi, Verona 2005, pp. 25-38.
Per gli studi critici si vedano: O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli, 2° vol., Roma 1911, p. 70; A. Lazzaretti, Capponi Agostino, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 14° vol., Roma 1976, ad vocem; J.-L. Fournel, J.-C. Zancarini, Ôtez-moi Brutus de la tête!, in Le droit de résistence. XII-XX siècle, textes réunis par J.-C. Zancarini, Paris 1999, pp. 47-69; L. Lazzerini, Nessuno è innocente. Le tre morti di Pietro Pagolo Boscoli, Firenze 2002; E. Scarpa, Un “poeta” in “geti”. I sonetti dal carcere di Machiavelli a Giuliano de’ Medici, in Testi cinquecenteschi sulla ribellione politica, a cura di G.P. Marchi, Verona 2005, pp. 139-60; F. Bausi, A. Corsaro, Un capitolo della fortuna ottocentesca di Machiavelli: i sonetti dal carcere a Giuliano de’ Medici. Testo e commento, «Interpres», 2010, 29, pp. 96-150.