CARRARA, Pietro Paolo
- Nacque nel 1684 a Fano da famiglia nobile. Il padre Giuseppe provvide per lui ad una educazione adeguata al rango sociale. Seguì presso il seminario romano lezioni di diritto frequentando i corsi di Francesco Maria Gasparri (dai titoli delle sue opere l'autore appare "dottore in ambo le leggi"). Nel 1692 prese l'abito di paggio del gran maestro della religione di S. Stefano, il granduca di Toscana, ad opera del cardinale Dal Verme, vescovo di Fano. Sempre dalle intitolazioni delle opere apprendiamo che il C. si fregiava dei titoli di gentiluomo di camera del granduca di Toscana e di cameriere d'onore del pontefice Clemente XI. Fu inoltre il C. arcade col nome di Clarimbo Palladico e vicecustode della colonia arcadica di Fano. Fu poi aggregato all'Accademia dei Sublimi di Bologna e a quella degli Assorditi di Urbino; nel 1755 fu anche ascritto all'Accademia degli Erranti di Fermo.
Per quel che riguarda la carriera politica, il C. raggiunse nella città natale il titolo di gonfaloniere, esercitandovi una azione diplomatica di qualche rilievo. Quando, nel 1707, l'Austria progettò di invadere il Regno di Napoli, le milizie, movendo dalla Lombardia, giungevano nello Stato della Chiesa il 12 maggio e il 17 dello stesso mese arrivavano a Pesaro. In questa circostanza si mossero da Fano il C. e Andrea Galantara per ingraziarsi il comandante della spedizione austriaca assicurandogli il favore della città nonché il richiesto vettovagliamento per l'esercito. Il 28 maggio l'esercito austriaco si mosse alla volta di Fano dove i due delegati della città accolsero e complimentarono il comandante del contingente militare che proseguì indisturbato il viaggio attraverso lo Stato pontificio.
Il nome del C. è anche in qualche modo legato alla sorte di Giacomo Edoardo Stuart (il vecchio pretendente), esule in Italia nella vana aspettativa di una congiuntura internazionale favorevole che gli consentisse la riconquista del regno, dopo la sfortunata spedizione verso le coste britanniche dell'anno 1719. Giacomo III aveva conosciuto a Fano il C. nel 1718; nel 1727 il C. ospitò nel proprio palazzo la moglie dello Stuart, Maria Clementina Sobieska, che era già nota per i tempestosi trascorsi con papa Clemente XI (nel corso del medesimo anno Benedetto XIII incaricava il cardinale Alberoni di riconciliare Giacomo Stuart con la moglie, e forse l'Alberoni si rivolse per questa impresa anche all'aiuto del C.); due anni più tardi ancora il nobile fanese ebbe ad ospitare la Sobieska di passaggio mentre da Bologna si recava a Roma con il secondogenito duca di York (che nel 1747 diventerà cardinale di York acclamato per l'occasione da un magniloquente omaggio poetico del Carrara). Il quale non fu avaro di lodi neanche per i pretendenti al trono d'Inghilterra, in occasione della nascita del reale primogenito, e naturalmente per la Sobieska, menzionata più volte nella lirica del fanese e infine compianta in un sonetto composto per la sua morte (1735).
Forse tramite lo Stuart il C. entrò in rapporti di cordiale amicizia con Giulio Alberoni, che ospitò a Fano durante il periodo di disgrazia del cardinale, quando ancora pesava sulla sua reputazione in Curia il processo politico, e col quale egli si mantenne poi in costanti relazioni dopo la riabilitazione, allorché l'Alberoni venne designato da Clemente XII al governo delle Romagne, e successivamente, quando amministrò (dal 1740 al '43) la provincia di Bologna. Il Pariset, nel suo articolo sul letterato fanese, ha pubblicato una serie di lettere indirizzate dall'Alberoni al C. che vanno dal 1721 al 1742. Fu questa probabilmente l'amicizia più influente del C. e quella che in qualche modo caratterizza la sua fisionomia nell'ambito della cultura e della politica del primo Settecento.
In data imprecisabile il C. sposò la nobile piacentina Antonia Maria Anguissola, dalla quale ebbe dei figli che sorprendiamo recitare, nel 1754, la tragedia paterna intitolata Cesare.Morì a Fano il 28 sett. 1759, dopo aver dato alle stampe, oltre alla menzionata tragedia pubblicata a Fano nel '54 con dedica allo Stuart, un volume di liriche (Poesie in vario metro ed in tomi divise, offerte alla Sacra Maestà di Giacomo III, re della Gran Bretagna, Fano 1754). Altre poesie dei C. si leggono in sillogi collettive; alcune liriche d'occasione furono stampate in opuscoli separati (Presagio di pace sotto i gloriosi auspici della Santità di Nostro Signore Clemente XI, Fano 1707). Va infine ricordato che nel 1893 R. Mariotti pubblicò i frammenti di un diario (1728-1759) Composto dal C. in continuazione di certe memorie paterne (Frammenti di un diario del cav. Pietro Paolo Carrara da Fano. Curiosità storiche, Fano 1893).
In vita la notorietà del C. fu notevolissima, favorita dalle relazioni personali che l'autore riuscì a stabilire con i maggiori letterati dell'epoca (il Manfredi, il Frugoni, G. P. Zanotti, il Crescimbeni, il Salvini, lo Zeno, il Sergardi) in quel tipico clima di repubblica delle lettere in cui si articolò la cultura arcadica. Basta scorrere, sulla traccia delle testimonianze arrecate dal Pariset, l'elenco di coloro che si dolsero per la morte della Anguissola per collocare l'opera del C. al centro di una fitta trama di relazioni pubbliche e private. All'elogio funebre che fu solennemente letto da F. A. Gervasi (Nelle esequie di D.A.M. Anguissola Carrara, orazione…, Fano 1731) si unirono le condoglianze del Conti, del cardinale Filippo Aldrovandi, del gesuita Francesco Retz, e naturalmente dell'Alberoni, il quale scriveva al C. da Roma, il 2 ag. 1730: "è ben giusto il dolore di V. S. Ill.ma per la perdita fatta della Sig.ra sua consorte, donna dotata di tutte le virtù, per le quali si deve sperare che ora ne goda in Cielo il meritato premio; questo riflesso deve dare un gran sollievo alla sua afflizione, e perciò si vada consolando uniformandosi al divino potere…".
Oggi l'attività letteraria del C. appare in gran parte irrecuperabile. La tragedia che il letterato fanese esemplò sul modello di Racine ("E s'io sieguo lontan l'orme che il Franco / per la tragica via stampò Racine, / non io sarò de' tuo' dispregi degno"), e che pure accolse i favori del Muratori e del Conti, appare collocabile, ad una lettura meno benevola della loro, nella prospettiva della più farraginosa tradizione barocca, quanto a turgidezza retorica, inverosimiglianza di situazioni, vuoto senso del decoro.
Il libro di poesie è diviso in varie sezioni. La parte più cospicua della raccolta ospita rime di ispirazione sacra (elogi funebri, versi per monacazioni) o di argomento politico (con liriche dedicate a Luigi XIV, al cardinale Albani e al principe di Soriano, nipoti di Clemente XI, a Carlo VI, all'Italia per la pace del 1744, a Genova che ha strenuamente difeso la propria libertà, a Parma e Piacenza). Seguono liriche di ispirazione amorosa e vengono quindi i sonetti anacreontici, che sono per lo più dedicati allo scherzo, alla galanteria e alla annotazione di costume. Chiudono infine il volume una larga serie di canzoni ancora ispirate ad argomento politico o ad argomento religioso.
Per quel che riguarda le fonti, il C. imita Orazio e i satirici del Cinquecento per le poesie di argomento morale, mentre il ricorso a Petrarca per quelle di ispirazione amorosa è sempre mediato dall'Arcadia petrarchesca cui il C. si conformava seguendo soprattutto l'esempio di G. B. Zappi. Per i componimenti politici è abbastanza rilevante l'influsso di scrittori come il Filicaia e il Guidi: ed è abbastanza significativa tale convergenza fra scrittori che, partiti da un'esperienza di tipo barocco, approdano, tramite l'esigenza di un dettato orientato in senso discorsivo, più largamente convincente, alla presunta semplicità dell'Arcadia. Per quanto riguarda, infine, le aperture ironiche, o autoironiche, gli apprezzamenti tra moralistici e scherzosi sul costume contemporaneo, è evidente la presenza della tradizione bernesca, che la prassi letteraria dell'Arcadia stava accomunando, sul piano di una pura esercitazione retorica, alla lezione petrarchistica.
Proprio sotto questo ultimo aspetto, la poesia del C. presenta gli elementi più ragguardevoli. Emerge non di rado, tra i componimenti di ispirazione "realistica", qualche gustosa riflessione sulla moda del tempo, qualche spunto descrittivo improntato ad accettabile bonarietà.
Bibl.: L. Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, col. 181; E. Bertana, La tragedia, Milano 1900, pp. 230 ss.; C. Pariset, Ilcard. G. Alberoni, Bologna 1925, ad Indicem;Id. Un'amicizia ignota del card. G. Alberoni, in Riv. d'Italia, X(1907), 5, pp. 774-801; G. Natali, Il Settecento, Milano 1936, pp. 955, 1022 n. 8.