GUALTIERI, Pietro Paolo
Nacque ad Arezzo nel 1501; non si hanno notizie sulla famiglia di origine né sui suoi primi anni di vita e sugli studi, condotti in Toscana.
Dopo aver preso gli ordini minori, si recò giovanissimo a Roma (1517), dove mosse i primi passi della carriera curiale con il favore dei pontefici medicei. All'inizio degli anni Trenta era intimo del segretario papale Biagio Pallai (Blosius Palladius), il quale, chiamato al vescovato di Foligno nel 1534, rinunciò in favore del G. al canonicato di S. Maria in via Lata, che a quel tempo era titolo del cardinale diacono Alessandro Cesarini, anch'egli antico sostenitore dei Medici. Certo è che, durante il pontificato di Clemente VII e di Paolo III, il G. era saldamente introdotto in Curia, come testimonia lo snello Diarium (Roma, Biblioteca nazionale, Mss. Vitt. Em., 269) in cui annotò dal 27 giugno 1532 al 25 giugno 1544 gli eventi salienti di quel periodo.
È uno sguardo oggettivo e sintetico sia sulle vicende interne dello Stato pontificio - minacciato dalle resistenze della famiglia Colonna o di Firenze, ora scosso dalla morte ("veneno a suo familiari propinato", c. 233r, 10 ag. 1535) di Ippolito de' Medici, ora dall'omicidio di Alessandro de' Medici (c. 235r, 6 genn. 1537) -, sia sulla diplomazia internazionale, che in più di un caso il G. ebbe modo di osservare all'opera.
Egli fu infatti al seguito di Paolo III quando il pontefice si recò a Nizza fra il marzo e il luglio 1538, tentando la pacificazione fra Francesco I e Carlo V in funzione antiottomana (cc. 237v-240v), e di nuovo lo seguì a Bologna nella lunga trasferta che impegnò la corte dal febbraio all'inizio dell'agosto 1543. I buoni uffici svolti presso il pontefice gli procurarono il 28 ott. 1538 la nomina a scriptor della Cancelleria apostolica; ma gli impegni pubblici non gli impedirono di coltivare i suoi interessi letterari: negli stessi anni Trenta, infatti, fu in contatto con C. Tolomei, che ospitava nella sua abitazione le riunioni dell'Accademia della Virtù, nata con il patrocinio di Ippolito de' Medici.
Per gli accademici, uniti dal progetto di ridare lustro alla poesia volgare adottando la metrica latina, il G. compose un'impresa raffigurante una donna con intorno "Cupidini, che l'assalissino col fuoco, et col ferro, et che 'l fuoco, et il ferro si rivolgesse contra a i feritori, et lei lasciassino libera, et senza pur un taglio, o un segno di carbone" con un cartiglio petrarchesco: "che né fuoco né ferro a Virtù noce" e il motto "Virtus quaerentibus offert" (Delle lettere facete et piacevoli…, p. 208).
Sollecitato dal raffinato ambiente intellettuale patrocinato da Tolomei e dall'Accademia (che alla morte di Ippolito de' Medici assunse il nome di Accademia della Poesia nuova), il G. scrisse anche diciotto componimenti poetici di impianto oraziano inclusi da Tolomei nei suoi Versi et regole de la nuova poesia toscana (Roma, A. Blado, 1539, cc. EIIIr-IVv, OIIr, TIVv-VIr).
La serietà con cui il G. si dedicò all'esercizio poetico è forse da leggere sullo sfondo di una certa ambizione intellettuale, testimoniata da una lettera a Erasmo da Rotterdam del 1° giugno 1535: su suggerimento di L. Baer e di A. von Gumppenberg, il G. si rivolse - invano - all'umanista olandese, dichiarandogli la sua stima e offrendogli amicizia. La responsiva però non sarebbe arrivata, nonostante il sollecito di Gumppenberg, il quale il 21 ag. 1535 scrisse a Erasmo: "Est preterea secretarius S.D.N. Blosius eiusque substitutus Petrus Paulus Gualterius, personae doctae magnaeque reputationis et tui deditissimi; nihil gratus contingere posset quam ut illos litteris tuis salutares. Quod si feceris, triumphabunt gaudio, proderit quam plurimum et tibi" (Opus… Erasmi, XI, p. 114).
Nominato segretario dei brevi il 3 maggio 1546, il G. ebbe l'occasione di apprendere l'etiopico sotto la guida di Tasfâ Sion (noto come Pietro Indiano o Pietro Etiopico), in un momento in cui la rilettura dei testi sacri promossa dal concilio di Trento e il sopraggiungere in Italia di molti studiosi orientali per il concilio stimolavano questo tipo di studi. Tra il giugno 1547 e il febbraio 1548 il G. fu punto di riferimento dello scambio epistolare fra i cardinali M. Cervini (il futuro Marcello II) e G. Sirleto (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 6177), entrambi interessati al recupero di una tradizione dei testi sacri attendibile e definitiva. Tasfâ Sion aveva infatti riportato da Gerusalemme una serie di codici, fra cui i Canoni del concilio di Nicea e il Nuovo Testamento in etiopico, di notevole interesse secondo i due prelati. Cervini, tramite Sirleto, sollecitò il G. a tradurre i manoscritti; il G., si comprende dall'epistolario, si schermì: gli impegni in Curia gli impedivano di dedicarsi allo studio; infine però acconsentì a tradurre i Canoni relativi al rito caldeo, di rilevante importanza per le coeve dispute tridentine. Il lavoro lo impegnò a lungo e solo il 30 luglio 1548 completò la traduzione del canone della messa, cui fece seguito quella del Nuovo Testamento. Il 22 ottobre Sirleto scrisse a Cervini che il G. aveva trovato nella biblioteca del cardinale Rodolfo Pio da Carpi le Collationes quinque super epistolam ad Romanos beati Pauli apostoli di F. Titelmans (Anversa 1529). Sostenuto dai due porporati, l'intenso lavoro di ricerca, collazione e traduzione sarebbe approdato alle stampe l'anno successivo con l'edizione del Testamentum Novum cum epistola Pauli ad Hebreos [sic] tantum in etiopico (Roma 1548), nella cui lettera di dedica Pietro Etiopico riconosce al G., "il quale ama l'Etiopia più di tutti gli occidentali e i Romani", una lodevole competenza linguistica. Secondo Polidori, il G. tradusse per Cervini anche Teodoreto, Palladio e Metafrasto, configurandosi dunque come una presenza importante nella schiera di eruditi che collaborarono con il futuro pontefice.
Come familiare di Cervini, il G. partecipò al conclave che elesse Giulio III, di cui lasciò notizia nelle perdute Lucubrationes, dalle quali fu tratta una copia parziale (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 12181). Dopo l'elezione di Cervini al pontificato (1555), il G. fu assegnato alla scrittura delle lettere latine, cui seguì nel 1559 la nomina a chierico del Collegio cardinalizio. Nel 1564 ricevette infine l'arcidiaconato della diocesi aretina, cui, per ragioni di salute, dovette rinunciare quattro anni più tardi.
Il G. morì a Roma nel 1572. Nella chiesa di S. Maria in via Lata fu posta una lapide commemorativa.
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca nazionale, Mss. Vittorio Emanuele, 269, cc. 270-296 (una copia in Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 12310); Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 6177, cc. 104r-106v, 121v, 313, 321r, 323r, 325v, 346r; 6178, cc. 117r, 346r; 12181, cc. 303-317v; Delle lettere facete, et piacevoli, di diversi grandi huomini, et chiari ingegni, scritte sopra diverse materie, raccolte per m. Francesco Turchi, II, Venetia 1575, pp. 203-209; Concilii Tridentini diariorum…, II, Friburgi 1911, pp. XXXV-XLV; Opus epistolarum D. Erasmi Roterodami, XI, a cura di H.M. Allen - H.W. Garrod, Oxonii 1947, pp. 141, 214; P. Polidori, De vita, gestis et moribus Marcelli II pontificis maximi commentarius, Romae 1744, pp. 72 s.; F. Buonamici, De claris pontificiarum epistolarum scriptoribus, Romae 1770, pp. 89, 246; I. Guidi, La prima stampa del Nuovo Testamento etiopico fatta in Roma nel 1548-1549, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, IX (1886), pp. 273-278; L. Gavazzi, La diaconia di S. Maria in via Lata e il monastero di S. Ciriaco. Memorie storiche, Roma 1908, pp. 425 s.; G. Curcio, Q. Orazio Flacco studiato in Italia dal secolo XIII al XVIII, Catania 1918, pp. 158 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1924, ad ind.; VI, ibid. 1927, pp. 4, 31, 328; G. Messina, Notizia su un diatessaron persiano del secolo XIII tradotto dal siriaco, in Biblica, XXIV (1943), pp. 86 s.; Contemporaries of Erasmus. A biographical register of the Renaissance and Reformation, a cura di P.G. Bietenholz, II, Toronto-Buffalo-London 1986, p. 147.