PEREGROSSO, Pietro
PEREGROSSO, Pietro (Petrus de Mediolano magister). – Non è certa la data di nascita, ma si può con una qualche sicurezza affermare che sia nato attorno al 1225, probabilmente a Milano, presso la chiesa di S. Martino in Computo e la domus degli umiliati di Porta Orientale, edificio religioso entro il quale era sepolto suo padre.
Il nucleo familiare dei Peregrosso proveniva da Pozzuolo Martesana: molti consanguinei, beneficiati dal cardinale nel testamento del 1295, abitavano in quel centro lombardo ed erano di modeste condizioni, come il prelato affermava: «pauperibus consanguineis meis de Pozzolo». Nel medesimo testamento, Peregrosso si intitolava solo «Petrus de Mediolano tituli Sancti Marci presbiter cardinalis»; e uguale intitolazione usava quando nel 1284, non ancora cardinale, si sottoscriveva da vicecancelliere con la firma: «magister Petrus de Mediolano, Sancte Romane Ecclesie vicecancellarii», in documenti ufficiali di Martino IV. Occorre inoltre dire che per tradizione, iniziata già con Bonvesin de la Rippa nel De magnalibus Mediolani e con il Manipulus florum di Galvano Fiamma, che registrò la sua nomina a cardinale nel 1287, Petrus fu indicato come Grossus. Successivamente, unendo i due nomi, si ottenne Petrigrossi e infine Peregrosso, forma che sarà bene ritenere, vista la sua diffusione bibliografica in età contemporanea.
Si conosce la professione del padre, cittadino milanese, proprietario di una casa con bottega da fornaio nella medesima Porta Orientale. Come già accennato egli ebbe, come molti altri popolani milanesi, uno stretto rapporto con il terzo ordine degli umiliati, alla cui domus di Porta Orientale il cardinale donò la casa paterna e la bottega da fornaio, con la clausola che essi dovessero celebrare un decens anniversario per la sua anima e per l’anima del padre e che donassero elemosine, compiendo altre opere di pietà cristiana.
Il già menzionato testamento rivela ancora che Pietro ebbe tre sorelle. Una di esse, Citra, era monaca nella domus di S. Agnese in Arcagnano, a Porta Vercellina; a lei Pietro donò duecento fiorini d’oro. Le altre due gli erano premorte: si sa comunque che avevano sposato dei valvassori milanesi, poiché la nipote Belvisa, rimunerata con 100 lire di tornesi nel caso si fosse maritata, era figlia di un da Perego, il casato a cui appartenne l’arcivescovo di Milano, Leone (v. la voce in questo Dizionario). L’altra sorella aveva sposato un da Busnate e il loro figlio, Obizzone, era diventato, forse con l’appoggio dello zio, arcidiacono della cattedrale milanese.
Pietro ebbe modo di studiare – sotto la direzione di Odofredo Denari – a Bologna, ove ottenne un dottorato in utroque iure prima del 1265. Risulta probabile che nel 1267 egli abbia conosciuto, sempre a Bologna, Pierre de Tarantaise, giunto in città per la celebrazione del capitolo generale dell’Ordine dei frati predicatori. Al suo seguito Pietro si spostò in Francia, ove insegnò a Orléans e ottenne poi un canonicato a Parigi. Sempre a fianco di Tarantaise, divenuto arcivescovo di Lione e cardinale, presenziò al II Concilio lionese (1274), e quando costui divenne papa, con il nome di Innocenzo V, fu chiamato a Roma a dirigere la Cancelleria papale con il titolo di vicecancelliere (1276), carica che mantenne per dodici anni sotto sette papi.
Morto Innocenzo V, Pietro seppe a Viterbo nel settembre 1276 risolvere una difficile vertenza relativa alle procedure per il conclave, da cui risultò eletto Giovanni XXI.
Tra i provvedimenti nei quali ebbe parte negli anni successivi, durante il pontificato di Niccolò III, vanno ricordati la riorganizzazione della Cancelleria pontificia (1278), alcuni precetti per gli Umiliati milanesi (costruzione della chiesa di S. Maria di Brera: 1279), e la celebre bolla Exiit qui seminat, che chiarì alcuni punti controversi della regola francescana (agosto 1279).
Alla morte di Niccolò III (1280), nel Collegio cardinalizio si ebbero gravi scontri tra i cardinali della famiglia Orsini e quelli filofrancesi, manovrati da Carlo I d’Angiò, che impose ai cittadini di Viterbo di arrestare i due esponenti orsiniani. Fu così eletto nel febbraio 1281 Martino IV. Pietro, legato a Niccolò III, si trovò probabilmente in difficoltà e preferì allontanarsi da Roma, recandosi a Laon, ove gli era stato attribuito un canonicato con l’incarico di tesoriere della cattedrale. Ma egli godette anche di un beneficio a Cambrai, per amministrare la chiesa locale. Risiedette a Laon, in una casa di sua proprietà, tra la tarda primavera del 1281 e i primi mesi del 1284: lo prova la sua assenza in quel periodo dagli atti della Cancelleria papale. La ripresa della funzione di vicecancelliere coincise con l’inasprirsi dei contrasti tra l’Aragona e la Francia dopo la cacciata degli Angiò dalla Sicilia.
In risposta a tale offesa Martino IV aveva tolto a Pietro d’Aragona il Regno e lo aveva offerto, tramite la mediazione del cardinale Giovanni di S. Cecilia, al re di Francia Filippo, che durante una solenne adunanza lo aveva accettato per il suo secondogenito, Carlo. La relativa bolla fu promulgata da Pietro vicecancelliere il 5 maggio 1284 a Orvieto, ove risiedeva da tempo la Curia.
Il 1285 vide la morte di due protagonisti della vita della Chiesa, il papa Martino IV e il re di Napoli, Carlo I d’Angiò. Il partito filofrancese entro la Curia subì una battuta di arresto e con il nuovo pontefice, il romano Giacomo Savelli, che assunse il nome di Onorio IV, Pietro continuò la sua attività di capo della Cancelleria papale scrivendo in prima persona le lettere di conferma delle disposizioni di Martino IV, che non erano ancora state bollate. Pertanto i suoi scritti furono datati da Perugia nei primi giorni dell’aprile 1285, ante coronationem del papa. Morto anche Onorio IV nell’aprile 1287, dopo il lungo periodo di sede vacante (dieci mesi), fu eletto, nel febbraio 1288, Niccolò IV (Gerolamo da Ascoli), con il quale Pietro aveva steso a suo tempo la Exiit qui seminat. Per questi legami e per l’opportunità di avere nel Collegio cardinalizio un lombardo non inviso a Ottone Visconti, Peregrosso ottenne la porpora nel concistoro del 16 maggio 1288, con il titolo di S. Giorgio al Velabro.
Quasi subito (Rieti, 15 giugno 1288) Niccolò IV conferì a Pietro l’incarico di protettore dell’Ordine degli umiliati, con il compito di correggere e riformare l’istituzione e le singole persone, nonché di confermare l’elezione del maestro generale. Sempre da Rieti il 5 luglio 1288 Pietro scriveva al canonico di Bergamo Giovanni di Scanzo, per affidargli l’incarico di intervenire contro alcuni frati umiliati delle due domus di Brera a Milano e di Como, che si erano ribellati agli ordini del maestro generale Lodarengo, chiedendo anche di spostarli in altri insediamenti della Lombardia. Era infatti da tempo in corso, nell’ordine, una controversia tra chi era incline a pagare la decima richiesta dall’arcivescovo Visconti e chi invece, come Lodarengo, desiderava essere esente e dipendere solo da Roma. Fu questa l’opzione di Pietro, che nel settembre 1288 ottenne da Niccolò IV un precetto solenne, inviato al maestro generale, con cui il papa sottraeva per sempre gli umiliati alla giurisdizione ecclesiastica degli ordinari diocesani e li poneva alle dirette dipendenze del papato, come aveva fatto qualche settimana prima per i domenicani. Il 31 gennaio 1291 lo stesso pontefice confermò a Pietro l’incarico di protettore del medesimo Ordine, che egli mantenne sino alla morte.
Nel febbraio 1289 era stato ordinato sacerdote e in quella circostanza ottenne il titolo di cardinale prete di S. Marco, e forse anche il diritto di godere degli introiti del titolo di S. Clemente. Per festeggiare l’evento fece fondere per la sua chiesa presbiterale una campana di bronzo con la dedica a s. Marco Evangelista e l’indicazione dell’anno.
Nello stesso mese Peregrosso, con i colleghi Latino Malabranca e Benedetto Caetani, fu incaricato di risolvere la vicenda dei rapporti tra il re del Portogallo, Dionigi, e i presuli del Regno da tempo sottoposti a pesanti tassazioni e a costanti vessazioni. Egli predispose il decreto Ad certitudinem presentium et memoriam futurorum contenente quaranta articoli che avrebbero regolato i rapporti tra i due poteri in Portogallo, in modo da raggiungere una compositio pacis sul territorio.
Nel successivo conclave dell’aprile 1292 Pietro appoggiò i due cardinali Colonna, insieme con Pietro Savelli detto Boccamazza, e con loro tentò di riunire nell’estate 1293 un conclave a Roma. Il tentativo fallì per ragioni di natura procedurale e giuridica, ma facilitò la convocazione di un nuovo conclave per il 18 ottobre 1293 a Perugia. I dissidi non cessarono e si giunse così, con l’intervento di Carlo II, incapace di imporre una sua candidatura, al conclave del 5 luglio 1294, a cui non parteciparono Napoleone Orsini e Peregrosso, malato di gotta. I presenti, ottenuta l’adesione anche dei due assenti, affidarono al cardinale Malabranca il compito di eleggere come pontefice l’eremita Pietro del Morrone. Malabranca volle che tutti i confratelli sottoscrivessero un decreto di approvazione munito di tutti i sigilli personali. Anche Peregrosso fece dichiarare dal collega Boccamazza la sua adesione e fece appendere alla pergamena il suo sigillo, che presenta in alto la Madonna con Bambino, al centro il leone di S. Marco e sotto la figura inginocchiata del cardinale milanese. La malattia gli impedì di seguire a Napoli il nuovo papa, ma quando questi rinunciò alla tiara, Pietro si recò nella città partenopea per partecipare al conclave che si aprì il 23 dicembre 1294 e si concluse il giorno successivo con l’elezione di Benedetto Caetani, che assunse il nome di Bonifacio VIII.
Agli inizi del 1295 rientrò a Roma e in questo periodo operò un rilevante prestito di denaro a un ecclesiastico, Cristoforo Tolomei, appartenente al casato dei banchieri senesi, che nei decenni precedenti era stato collettore delle decime papali in Italia settentrionale. La concessione creditizia fu garantita con 74 codici, che furono depositati nella casa del cardinale e il cui valore assommava a 1773 fiorini d’oro di Firenze.
Saputo che a Milano l’arcivescovo Ottone Visconti aveva seri problemi di salute, il cardinale di S. Marco raggiunse la città lombarda, ove suo nipote, Obizzone da Busnate, ricopriva la carica di arcidiacono della cattedrale. L’intento era quello di operare perché costui fosse a suo tempo eletto arcivescovo. Ma la missione dovette fallire e il cardinale rientrò a Roma e raggiunse la corte papale ad Anagni, ove il 14 luglio 1295 dettò il suo testamento, a cui fece seguire due codicilli, l’ultimo dei quali fu scritto il giorno successivo.
Lasciava ai parenti e alle persone della sua familia cardinalizia consistenti donazioni in monete d’oro, ma imponeva ai suoi esecutori testamentari di costruire una chiesa e un convento francescano a Pozzuolo Martesana, il centro da cui era venuta a Milano la sua famiglia.
Non conosciamo il giorno della morte, che avvenne qualche tempo dopo. Portato a Roma, fu sepolto nella chiesa francescana di S. Maria in Araceli.
Una croce in filigrana d’oro, da lui commissionata forse per la chiesa di Pozzuolo, è ora conservata al Metropolitan Museum di New York.
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