PONZIO, Pietro
PONZIO, Pietro. – Nacque a Parma il 25 marzo 1535, figlio di Orlando e Caterina de Bosiis.
Fu battezzato il giorno successivo come Joannes Petrus (Pelicelli, 1916, doc. 1; è la prima e unica attestazione del primo nome Giovanni). La formazione musicale avvenne presumibilmente a Parma; divenne sacerdote, ma è ignota la data dell’ordinazione.
I primi documenti relativi a Ponzio musicista e al suo stato religioso sono del 1565. Il 17 gennaio venne eletto maestro di cappella in S. Maria Maggiore a Bergamo, con un contratto di nove anni e un salario di 400 lire. Tra i suoi molti compiti vi era l’insegnamento del canto figurato e del contrappunto a dieci «clerici», e quello della teoria musicale agli «scolari». La basilica bergamasca era un posto assai ambito e prestigioso, Ponzio era ancora inesperto nella gestione di un compito così complesso, e riuscì a ottenere l’incarico soprattutto in virtù di una raccomandazione di Cipriano de Rore (Murray, 1989, doc. 3). Mancano prove che Ponzio fosse stato allievo di Rore, che fu a Parma presso i Farnese dalla fine del 1560 al 1563 e poi dal 1564 al 1565, quando morì; ma è plausibile credere che avesse beneficiato del suo insegnamento, magari soltanto occasionalmente.
L’inesperienza professionale, il clima sfavorevole e talvolta ostile che si creò intorno al parmense, eletto a maggioranza e non all’unanimità nonostante la raccomandazione, il delicato momento che viveva la cappella musicale, in fase di riordino, fecero sì che i nove anni previsti venissero drasticamente interrotti: Ponzio cominciò a essere accusato di negligenza, di scarsa cura nell’insegnamento, di incompetenza (non si accorgeva dei gravi errori di contrappunto degli studenti), di favoritismo nei confronti degli allievi privati, ma anche di comportamenti moralmente riprovevoli, come il gioco d’azzardo e la frequentazione di prostitute. Gli venne così intentato un processo, iniziato il 26 luglio 1566 e concluso il 13 gennaio 1567 senza una vera e propria sentenza definitiva, quando venne sostituito da Francesco Crivelli (ibid., docc. 10-15).
Nel frattempo Ponzio doveva aver preso contatti nella città natale, e nel giorno stesso della fine del processo s’insediò come maestro di cappella in S. Maria della Steccata a Parma, incarico ratificato il 17 gennaio. Il compenso era di sole 168 lire annue, alle quali se ne sommavano però altre 150 come sacerdote residente. Il compito, questa volta, non era particolarmente gravoso: la cappella, formata da nove-dieci cantori adulti, un organista e un trombonista, viveva un momento di relativa stabilità, né vi era la responsabilità dell’insegnamento ai clerici. Sotto il magistero di Ponzio vennero assunti ulteriori cantori, aumentando l’organico vocale fino a quindici. Tra essi vi era il bergamasco Arcangelo Crivelli, ventunenne, probabilmente già suo allievo nella scuola annessa a S. Maria Maggiore; due sue composizioni vennero successivamente accolte da Ponzio nei primi due libri di mottetti a cinque voci.
Per ragioni non note, nei primi mesi del 1569 Ponzio lasciò il servizio per tornare a Bergamo come cappellano e maestro di cappella in S. Alessandro in Colonna, la chiesa principale della città bassa. Venne nominato il 19 marzo, con la paga di 60 scudi, due some di grano, una misura di vino, la casa, la possibilità di partecipare ai benefici dei sacerdoti residenti; aveva anche la responsabilità di insegnare a dodici studenti contrappunto e canto figurato, e a due priori l’organo. Stavolta i deputati furono appieno soddisfatti, soprattutto per il modo in cui la cappella venne riorganizzata; eppure, tra fine 1573 e inizio 1574 vi furono motivi d’insoddisfazione forse reciproca, che di lì a pochi mesi indussero Ponzio a lasciare anche questo incarico, al più tardi a settembre, nonostante alcuni tentativi fatti dai reggenti per trovare un accordo.
A Bergamo cominciò anche l’attività di compositore, con un primo libro di messe a quattro voci, noto solo in una riedizione del 1584 (Venezia, erede Scotto; sul frontespizio rimane la qualifica «D. Alexandri Bergomi Magistri»), menzionato anche dal parmigiano Angelo Mario Edoari da Erba nel suo Compendio manoscritto del 1572: «fatto poco innanzi dal clero maestro di capella del duomo di Bergamo, qual ha composto canti legiadrissimi e soavi sopra le messe a quattro voci, dei cui si servono nei tempii sacri molti sacerdoti» (Murray, 1989, I, pp. 23 s.). Due di queste messe sono elaborazioni di altrettanti celebri madrigali di Jacques Arcadelt, Il bianco e dolce cigno e Ancidetemi pur, grievi martiri.
Mancano notizie certe sul periodo immediatamente successivo alla partenza da Bergamo. In base alla dedica del primo libro di mottetti a cinque voci (Venezia, erede Scotto, 1582) è stato ipotizzato un suo soggiorno presso il nobile parmense Girolamo Cornazzano (Pelicelli, 1916, p. 25); se davvero fu al suo servizio, dovette essere nella residenza di Pavia piuttosto che in quella di Parma. Forse grazie ai buoni uffici del nobile il musicista fu nominato maestro di cappella nel duomo di Milano nel marzo 1577 per interessamento diretto di Carlo Borromeo, senza contatti preliminari né concorso, pur non avendo egli maturato un’esperienza professionale e un prestigio personale tali da giustificarne la chiamata (il salario pattuito era di 125 scudi annui, equivalenti a 737 lire e 10 soldi).
Ponzio si preoccupò di aumentare l’organico del coro e di aggiornare il repertorio, contribuendovi egli stesso con il secondo libro di messe a cinque voci (Venezia, erede Scotto, 1581; una messa è sul madrigale del Palestrina Se fra quest’erbe e fiori), il citato primo libro di mottetti, forse un volume di Magnificat a quattro voci dedicato all’abate Angelo Arcimboldi (Venezia, erede Scotto, 1584; uscì dopo che Ponzio ebbe lasciato Milano) e una raccolta di salmi vespertini a quattro voci, di cui è pervenuta solo una riedizione del 1589 (Venezia, erede Scotto). A questo periodo dovette appartenere anche il primo libro di messe a cinque voci, perduto.
Dopo pochi anni si manifestarono di nuovo motivi d’insoddisfazione circa l’operato e la condotta morale di Ponzio; dal 1579 Carlo Borromeo scrisse diverse volte a Costanzo Porta per avere consigli su un nuovo maestro di cappella: «io lo vedrei muttar volontieri […] per non esser molto sufficiente, per esser poco esemplare et meno spirituale et di vitta assai larga et licenziosa» (Murray, 1989, doc. 37). Ponzio non fu mai licenziato né messo pubblicamente sotto accusa, ma venne evidentemente indotto ad andarsene; il 28 ottobre 1582 scrisse a Borromeo un’accorata lettera chiedendo licenza di lasciare l’incarico (ibid., doc. 48), e il 6 novembre l’arcivescovo acconsentì, chiamando contestualmente Giulio Cesare Gabussi a sostituirlo (ibid., docc. 50-51).
Ponzio ritornò a Parma, dove dal 1° dicembre 1582 riprese l’incarico della cappella della Steccata. Fu il periodo più tranquillo e sereno nella sua travagliata carriera; con nuovo vigore si dedicò a ristrutturare la cappella e il suo repertorio: ereditato un gruppo di otto cantori e un cornetto, lo ampliò progressivamente fino a quattordici cantori, un cornetto e due tromboni (Luisi, 2013, p. 139). Poté dedicarsi anche alla cura dei propri affari privati, e assunse un ruolo di prestigio nella società parmense.
Fu un periodo prolifico: il terzo libro di messe a cinque voci (Venezia, erede Scotto, 1585), contenente anche una messa a imitazione del madrigale palestriniano Vestiva i colli e le campagne intorno, il secondo libro dei mottetti a cinque voci (Venezia, erede Scotto, 1588), il terzo libro di messe a quattro voci (Venezia, Amadino, 1592; tutte basate su melodie gregoriane e non su modelli polifonici) e i perduti primo libro delle messe a sei voci (menzionato da Ponzio nei suoi scritti teorici), il terzo libro di mottetti a cinque e le lamentazioni per la Settimana Santa, entrambi presenti nel catalogo Scotto del 1596 (Mischiati, 1984, p. 105). Nel 1588 pubblicò anche il Ragionamento di musica, un trattato in forma di dialogo ambientato a Verona nel ridotto del conte Mario Bevilacqua (cui è dedicato): rivolto quasi esclusivamente alla polifonia, esso mira alla formazione pratica del musicista di chiesa, senza indugiare più di tanto sugli aspetti teorici, e offrendo squarci sulla prassi compositiva coeva, seppur in termini talvolta un po’ generici.
La difficile congiuntura economica che colpì Parma verso il 1590 spinse Ponzio, a fine 1589, a far domanda per il posto di maestro di cappella nella cattedrale di Verona. Gli venne preferito Giovanni Matteo Asola; ebbe comunque modo di farsi apprezzare come compositore, tanto da essere invitato, nel 1592, a partecipare alla collettiva Vespertina omnium solemnitatum psalmodia, il volume raccolto, curato e dedicato dallo stesso Asola a Giovanni Pierluigi da Palestrina.
Fallito il progetto di andare a Verona, Ponzio trascorse a Parma gli ultimi anni. Nel 1592 lasciò l’incarico di maestro di cappella alla Steccata, quando ottenne un beneficio in cattedrale dal Consorzio dei Vivi e dei Morti grazie all’interessamento del cardinale Odoardo Farnese (Murray, 1989, doc. 56).
Al Consorzio dedicò l’ultimo suo libro, una raccolta di inni a quattro voci (Venezia, Amadino, 1596), per certi versi una summa della sua opera musicale, pressoché tutta dedicata alla musica da chiesa, nell’elaborazione delle melodie gregoriane e nell’adozione di un linguaggio che riprendeva orgogliosamente la grande tradizione cinquecentesca. A questi ultimi anni, in cui non ebbe alcun incarico, appartiene il Dialogo di musica, uscito a Parma nel 1595, che continua idealmente, seppur a livello più speculativo, il percorso iniziato con il Ragionamento, compreso il riferimento all’ambiente veronese (la dedica è, questa volta, agli Accademici filarmonici, e uno degli interlocutori è il conte Alessandro Bevilacqua, nipote di Mario). Nel 1596 uscì anche l’unico madrigale di cui abbiamo traccia, Vincitrice guerriera, contenuto nella collettanea Vittoria amorosa (Venezia, Vincenti), composizione forse risalente al periodo milanese (la dedica a Teodoro Trivulzio, firmata da Geronimo Vaiano, è datata Milano 1° novembre 1596).
Morì il 27 dicembre 1596 e venne sepolto nella cattedrale di Parma, a poca distanza dal suo celeberrimo primo mentore, il ‘divino’ Cipriano de Rore.
Fonti e Bibl.: Per un elenco dettagliato delle opere pervenute e perdute, cfr. Murray, 1989, II, pp. 1-16.
N. Pelicelli, La cappella corale della Steccata nel sec. XVI, Parma 1916, ad ind.; Id., Musicisti in Parma nei secoli XV-XVI, in Note d’archivio per la Storia musicale, VIII (1931), p. 208; J. Armstrong, How to compose a psalm: Ponzio and Cerone compared, in Studi musicali, VII (1978), pp. 103-140; O. Mischiati, Indici, cataloghi e avvisi degli editori e librai musicali italiani dal 1591 al 1798, Firenze 1984, ad ind.; R.E. Murray jr, The voice of the composer: theory and practice in the works of P. P., I-II, diss., University of North Texas, Denton, TX, 1989; K.-J. Sachs, Musikalische “Struktur” im Spiegel der Kompositionslehre von P. P.s ‘Ragionamento di musica’ (1588), in Zeichen und Struktur in der Musik der Renaissance, a cura di K. Hortschansky, Kassel 1989, pp. 141-157; Id., “Theorica e prattica di musica” in P. P.s ‘Dialogo’ (Parma, 1595), in Musiktheorie, IV (1989), pp. 127-141; The new Grove dictionary of music and musicians, XX, london 2001, pp. 97 s.; R.E. Murray jr, The theorist as critical listener: P.P.’s nine ‘Cause di varietà’, in Theoria, X (2003), pp. 19-57; Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XIII, Kassel 2005, coll. 768 s.; Music theory from Boethius to Zarlino. A bibliography and guide, a cura di D.R. Williams - C.M. Balensuela, Hillsdale 2007, pp. 154 s.; R. Tibaldi, Polifonia artistica, musica civica e teorizzazione tra Ars Nova e Rinascimento, in Storia di Parma, X, Musica e teatro, a cura di L. Allegri - F. Luisi, Parma 2013, pp. 50-55; F. Luisi, La musica al tempo dei Farnese da Pier Luigi a Ranuccio I, ibid., pp. 135-137, 139.