PRIULI, Pietro
PRIULI, Pietro. – Nacque a Venezia il 29 novembre 1568, secondogenito di Federico Priuli, figlio di Gianfrancesco, e di Sofia Gradenigo, figlia di Bartolomeo. Il padre, che apparteneva a un importante casato del patriziato veneziano, morì l’anno seguente, lasciando la guida della famiglia al fratello Francesco (1537-1592), le cui condizioni economiche dovevano essere molto floride: proprietario di una sontuosa villa a Treville nel Trevigiano, poté farsi eleggere procuratore di S. Marco ‘per denari’ nella guerra di Cipro (mediante l’offerta della forte somma di 20.000 ducati). In campo politico Francesco Priuli aderiva agli orientamenti oligarchici e filocuriali del patriziato ‘vecchio’: ciò gli consentì di combinare nel 1589 per il nipote Pietro un sontuoso matrimonio con Paolina Foscarini, figlia del procuratore di S. Marco Giacomo Foscarini, massimo esponente del patriziato più conservatore, che garantì al genero una dote sicuramente superiore ai 20.000 ducati. Dal matrimonio di Pietro sarebbero nati i figli Federico e Sofia (che si fece monaca nel monastero veneziano di S. Martino).
I genealogisti tacciono sul modo in cui Pietro trascorse i quindici anni della sua vita tra la conclusione del matrimonio e l’ambasceria di Francia del 1605. Fondamentale perciò la lettera con cui l’ambasciatore francese a Venezia, Philippe Canaye de Fresnes, lo presentò a Nicolas de Neufville, signore di Villeroy, segretario di Stato di Enrico IV. Priuli aveva un numeroso e potente parentado ed era un gentiluomo ricco e splendido. Dopo la morte dello zio Francesco, poté contare sull’affettuosa protezione di quell’Antonio Priuli, già ambasciatore in Francia e procuratore di S. Marco, che era solo un lontano parente e che tuttavia «l’ayme comme son propre fils». Lo stesso Canaye e i carteggi diplomatici mantovani informano altresì degli stretti legami di Pietro con il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga e con i suoi rappresentanti a Venezia, che si concretizzarono fra l’altro in significativi scambi di doni.
A Pietro Priuli si potevano tuttavia imputare – secondo Canaye – alcuni vizi: spendeva molto nel gioco e, dopo la giovanile esperienza come savio agli Ordini, si era totalmente dedicato ai piaceri, trascurando le cariche pubbliche. Solo da poco tempo aveva preso la risoluzione «de se remettre au bon chemin», quando accettò, nel novembre del 1604, l’elezione alla podesteria di Chioggia. Ricopriva tale carica quando fu eletto ambasciatore presso il re di Francia Enrico IV, nel marzo del 1605. Ricevette le commissioni il 9 settembre e raggiunse Parigi il 26 ottobre 1605.
Non è noto se e quando Priuli avesse frequentato gli ambienti del patriziato veneziano di orientamento anticuriale. Ma quando cominciarono ad arrivargli da Venezia, a partire dal gennaio 1606, le prime ancor scarse informazioni sulla controversia fra la Repubblica e Paolo V, che culminò tra l’aprile e il maggio del 1606 nella scomunica del doge e del Senato e nell’interdetto lanciato contro tutto il dominio veneto, Priuli si mosse con grande determinazione per comprendere quale ruolo il re Enrico IV intendesse svolgere nella vertenza e per tenere alto il prestigio della Repubblica alla corte di Francia, evitando accuratamente – dopo la proclamazione dell’interdetto – di essere allontanato dalle pubbliche cerimonie religiose.
Sul piano diplomatico dovette presto convincersi che il re avrebbe osservato una rigida neutralità, senza pronunciarsi pubblicamente a favore di Venezia; e giudicò quindi severamente la condotta dell’ambasciatore a Venezia Canaye de Fresnes, che promise al Senato, a nome del suo re, un sostegno più ampio di quello che Enrico IV e i suoi ministri erano realmente disposti a concedere. Priuli fu inoltre uno dei principali organizzatori della ‘guerra delle scritture’. Entro la fine del 1606 promosse la traduzione e la pubblicazione in francese dell’Aviso di Antonio Querini, della Risposta di Giovanni Marsilio al cardinale Roberto Bellarmino e degli scritti sarpiani Considerazioni sopra le censure e Trattato dell’interdetto. Invece, quanto agli scrittori francesi, non fu agevole indurre giuristi e professori della Sorbona a intervenire in difesa della Repubblica, se non anonimamente, perché un loro pubblico intervento non avrebbe avuto il favore del re. Ciò nonostante, nel 1606-07 l’elenco dei letterati e degli uomini di legge contattati da Priuli comprese sicuramente il giureconsulto Louis Servin, gli insigni giuristi gallicani Jacques Leschassier ed Edmond Richer, il grecista di origine scozzese George Crichton (o Critton) e l’erudito calvinista Isaac Casaubon.
A questo riguardo, l’orientamento di Priuli fu sempre vigorosamente anticuriale e ispirato al gallicanesimo francese, ma non fu mai filoprotestante. È vero che egli poté incontrare senza scandalo dotti protestanti, come Casaubon; ed ebbe anche un segretario privato, l’avventuroso dalmata Giovanni Francesco Biondi, che si servì delle immunità diplomatiche dell’ambasciatore per contrabbandare a Venezia bauli di libri proibiti, suscitando le vibrate proteste del nunzio pontificio. Ma Priuli arretrò sempre davanti all’ipotesi di un’alleanza antiasburgica allargata a Paesi protestanti, come la Repubblica delle Province Unite, anche quando questa prospettiva gli fu esplicitamente prospettata da Enrico IV nei loro colloqui del gennaio 1608.
Entro questi limiti, la posizione di Priuli fu comunque di aperto sostegno alle tesi sostenute durante la vertenza dell’interdetto dal patriziato filosarpiano. E ne fa fede la relazione finale dell’ambasceria, letta al Senato nel settembre del 1608, una cui importante sezione è dedicata alla descrizione delle libertà della Chiesa gallicana di Francia, nella speranza che il suo esempio potesse essere seguito dalla Serenissima nelle sue relazioni con Roma. Al centro della trattazione è la materia beneficiaria, nella convinzione che «il negozio del conferir li beneficii nella corte romana è […] il maggiore e più dannoso inconveniente per li prìncipi di ogn’altro» (Relazioni degli Stati europei, 1869, p. 248): una tesi sicuramente condivisa da Paolo Sarpi.
Priuli, però, era essenzialmente un politico, nettamente schierato a favore dell’alleanza tra Venezia e la Francia: non a caso egli fu scelto dal Senato, il 19 dicembre 1609, per la prestigiosa ambasceria in Spagna, in un momento in cui erano largamente diffuse in Europa, e anche a Venezia, le aspettative per un’imminente iniziativa antiasburgica di Enrico IV. Priuli ricevette le sue commissioni il 20 marzo 1610 e partì per la Spagna in aprile: arrivò alla corte spagnola nell’ultima decade di giugno. Intanto, però, il 14 maggio 1610 il re di Francia era stato assassinato. Perciò l’azione di Priuli dovette tenere conto di un quadro diplomatico radicalmente mutato.
Da Madrid fu attento testimone della temporanea pacificazione ispano-sabauda nel 1610, della nuova crisi del 1612 per il Monferrato e del grave peggioramento dei rapporti veneto-arciducali nell’Adriatico per la questione degli Uscocchi, che rischiava di coinvolgere anche la Spagna. Ma, soprattutto, Priuli ebbe un ruolo decisivo nello scompaginare la fitta rete spionistica messa in campo dall’ambasciatore spagnolo a Venezia, Alfonso de la Cueva y Benavides marchese di Bedmar. Tra l’ottobre del 1610 e il 1611 Priuli raccolse le confidenze di Giuseppe Santandres, impiegato nel Supremo Consiglio d’Italia e riuscì persino a violare la segretezza della corrispondenza dell’ambasciatore: furono così avviate le indagini degli inquisitori di Stato che portarono nel 1612 alla scoperta del tradimento del patrizio filocuriale Angelo Badoer e alla sua precipitosa fuga.
L’ultimo dispaccio di Priuli è datato 1° ottobre 1613. Morì il 21 ottobre nel convento dei cappuccini di Madrid, dove aveva trovato ricovero. Fu sepolto a Venezia, accanto al doge Antonio Priuli, nella chiesa di S. Lorenzo.
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