QUARONI, Pietro.
– Nacque a Roma il 3 ottobre 1898 da Giuseppe, ingegnere, e Sofia Pia Seitz, appartenente a una famiglia di pittori di origine bavarese trapiantatasi a Roma; i suoi fratelli minori, Giorgio e Ludovico, sarebbero diventati artisti di fama (il primo come pittore e il secondo come architetto).
Conclusi in anticipo gli studi liceali, Pietro si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza della sua città, dedicandosi nello stesso tempo allo studio del russo.
Partecipò come ufficiale all’ultima fase della Prima guerra mondiale (autunno 1917-autunno 1918). Dal dicembre 1918 fu dislocato – grazie al fatto che parlava diverse lingue – a Tblisi, in Georgia, presso il quartier generale del corpo di spedizione britannico che in Transcaucasia faceva parte di una missione militare internazionale inviata in soccorso delle truppe russe 'bianche'.
Dopo aver conseguito la laurea nel dicembre 1919, in seguito a esame di concorso fu nominato addetto di legazione nel luglio 1920. La sua prima destinazione fu Costantinopoli, dove ebbe modo di assistere alla dissoluzione dell’Impero ottomano e al sorgere della nuova Turchia kemalista. Nel settembre 1923, con il titolo di secondo segretario di legazione, fu destinato a Buenos Aires, dove, a soli 25 anni, a causa della carenza di personale si trovò a svolgere il ruolo di reggente di una legazione piccola ma non secondaria.
Nel luglio 1925 fu trasferito a Mosca, dove nel giugno 1926 venne promosso primo segretario di legazione. In quella città lavorò a contatto con due diplomatici di esperienza come Gaetano Manzoni e Vittorio Cerruti (ambasciatori italiani a Mosca, rispettivamente negli anni 1924-1927 e 1927-1930). Cerruti, nelle note di qualifica del 1928, lo descrisse come «uno dei migliori elementi giovani della carriera diplomatica» (Ministero degli Affari esteri, Archivio storico diplomatico, Personale cessato 1970, elenco 2, b. 667, Quaroni Pietro). Analoghi, ottimi giudizi si trovano nelle relazioni di Ugo Sola e Antonio Meli Lupi di Soragna, ambasciatori a Tirana (rispettivamente negli anni 1927-1930 e 1930-1932), città dove Quaroni fu tresferito nell'ottobre 1928.
Le ragioni della sua partenza da Mosca furono di 'forza maggiore', dato il suo legame con Larissa Čegodaeva, di nobile famiglia (era figlia del principe Aleksandr Čegodaev e di Liubovina Dubrovina). Era stata accusata ingiustamente dalla polizia politica di spionaggio a favore dell'ambasciata d'Italia, e fu liberata per intervento di Quaroni, che la aiutò anche a riottenere il passaporto, ciò che le permise di seguirlo in Italia. Ricevuto il consenso da parte del ministero, i due si sposarono il 18 novembre 1928; dal matrimonio sarebbero nati due figli, Giorgio e Alessandro.
A Tirana fu Meli Lupi di Soragna a proporre la sua promozione a consigliere di legazione (ruolo a cui fu promosso con atto del 21 aprile 1932), mentre il ministro degli Affari esteri Dino Grandi, sin dagli esordi del suo mandato (settembre 1929), lo avrebbe voluto con sé a Roma come capo ufficio stampa (ibidem, Grandi all'ambasciatore Sola a Tirana il 6 dic. 1929).
Destinato al ministero con atto del 21 aprile 1931, dal gennaio successivo svolse servizio di capo dell’Ufficio I della Direzione generale Europa, Levante, Africa, dove si occupò prevalentemente di questioni inerenti l’Europa centrale. Nell'aprile 1935 partecipò come esperto alla Conferenza di Stresa (tra Italia, Gran Bretagna e Francia, in seguito alle minacce tedesche contro l'indipendenza dell'Austria) e nel settembre dello stesso anno fu destinato a Salonicco con patenti di console generale.
A causa di alcune esternazioni critiche sulla politica etiopica di Benito Mussolini, nell'agosto 1936 fu inviato alla sede 'punitiva' di Kabul, con credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, ruolo al quale fu promosso nell’ottobre di quell'anno. L'Afghanistan era un Paese con cui i rapporti diplomatici italiani erano praticamente inesistenti, se si escludono le relazioni che l’Italia continuava a mantenere con l'ex re Amanullah (deposto nel 1929), che sperava di tornare al potere dal suo esilio di Roma. La missione di Quaroni prevedeva di «intensificare i rapporti economici e commerciali con l’Afghanistan» e di inserire quel Paese «nel quadro di una politica anti-inglese» (Monzali 2012, p. 59), obiettivo al quale potevano prestarsi i fermenti nazionalisti attivi in India, in Turchia e nel mondo arabo.
Con lo scoppio della guerra tra Germania e Unione Sovietica (giugno 1941), Quaroni si trovò ad agire in un Paese neutrale inserito tra Paesi nemici dell'Italia, considerando il legame dell’India con la Gran Bretagna; questo lo spinse a intensificare i contatti con le realtà indipendentiste, ma soprattutto acuì l’isolamento di quella sede diplomatica, che assunse venature drammatiche dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Data l’adesione della legazione italiana di Kabul al 'governo regio' (quello presieduto a Brindisi da Pietro Badoglio), con telegramma firmato Mussolini del 20 settembre 1943 gli fu comunicata la cessazione immediata dalle funzioni.
Nel maggio 1944 Quaroni fu inviato come rappresentante del governo Badoglio a Mosca, dove arrivò dopo un viaggio avventuroso e dove fu costretto a operare in condizioni di estrema difficoltà, non ultima quella di essere ignaro delle «condizioni di armistizio che gli stessi russi ben conoscevano» (Di Nolfo, Serra 2010, p. 110). Si scontrò subito con la durezza delle posizioni sovietiche sulla questione dei prigionieri italiani in Russia, e fu presto cosciente della strumentalità del riconoscimento sovietico del governo Badoglio, dettato dall’interesse di Iosif V. Stalin di avere a Mosca una 'presenza' occidentale. Dunque, secondo Quaroni nulla ci sarebbe stato da attendersi in sede di trattato di pace: per i russi l’Italia era un «paese colpevole della guerra che [doveva] guadagnarsi il perdono» (Quaroni al ministro degli Affari esteri Alcide De Gasperi il 30 gennaio 1945; Documenti diplomatici italiani, decima serie, 1943-1948, II vol., p. 61).
Di grande spessore, per capacità di analisi e perspicacia, sono i suoi rapporti a De Gasperi del 1945-1946, come quando rilevava con puntualità i primi dissapori tra i big three (Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna), avvertiva come le due parti in causa – anglo-americani da una parte e russi dall’altra – intendessero «per collaborazione il prevalere del proprio punto di vista» ed esponeva la teoria delle zone di influenza, che in Russia veniva «negata recisamente: però in pratica [era] applicata e rispettata integralmente» (Quaroni a De Gasperi il 22 aprile 1945; ibidem, pp. 188-189). Una situazione che gli faceva consigliare per l’Italia un atteggiamento di onesta «neutralità» tra i due blocchi contendenti, scettico com'era nei riguardi di una politica di federazione europea «o magari solo dell’Europa occidentale», come scrisse a Renato Prunas (segretario generale del ministero) in una lettera del 24 aprile 1945 (ibidem, p. 204). La storiografia ha spiegato il neutralismo di Quaroni in questa fase con l’impressione destata in lui dalla forza politica e militare dell’Unione sovietica, che avrebbe potuto essere dominante in Europa, e, parallelamente, con la sua poca fiducia sul fatto che Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero potuto impegnarsi attivamente a sostegno dell’Italia (Monzali in Un ricordo di Pietro Quaroni, 2014, p. 46). Non poco peso in questo senso dovette comunque avere la difficoltà di percepire con esattezza come stesse evolvendo la situazione in campo occidentale, acuita da una non perfetta comunicazione con Roma.
Già promosso inviato straordinario e ministro plenipotenziario di prima classe nel giugno 1945, nel luglio 1946 fu destinato come consigliere politico della delegazione italiana alla Conferenza di pace a Parigi. Fu sempre realisticamente cosciente della gravità della situazione dell’Italia, e considerò un errore-base di impostazione l’aver creduto che per l'Italia lo status di 'cobelligerante' significasse un primo passo verso lo status di alleato (P. Quaroni, Le trattative per la pace, 1969, pp. 692-693). Impegnato in particolare sulla questione dei confini orientali dell'Italia, dall'ottobre 1946 fu membro della delegazione italiana al Consiglio dei ministri degli Esteri, che riuniva i ministri di Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e che si svolse a New York dal 4 novembre al 12 dicembre 1946; in tale veste aiutò l'ambasciatore italiano a Washington, Alberto Tarchiani, nel tentativo di influenzare in senso favorevole all’Italia l’opinione pubblica statunitense.
Nel febbraio 1947 fu inviato a Parigi con credenziali di ambasciatore, ruolo al quale fu promosso un mese dopo. Nella capitale francese si impegnò per il ripristino delle buone relazioni diplomatiche tra i due Paesi, che avvenne tutto nel quadro della cooperazione atlantica ed europea, rispetto alla quale egli aveva mutato radicalmente le sue posizioni rispetto ai tempi di Mosca, esprimendo al ministro degli Esteri Carlo Sforza nel giugno 1948 la convinzione che in quel clima di contrapposizione «del bene contro il male […] la stessa idea di neutralità [fosse] un crimine» (Serra 1988, p. 286). Anni dopo avrebbe scritto che l'adesione dell'Italia al Patto atlantico – sulla quale il mondo politico italiano si era diviso (e continuò a dividersi per anni) – era la sola possibilità di revisione del trattato di pace, «la fine vera di un periodo triste della nostra storia» (Le trattative per la pace, cit., p. 744). Riguardo al processo di unione europea, fu consigliere accorto di De Gasperi (in quegli anni presidente del Consiglio), avvertendolo che, vista l’ampia opposizione esistente tra le forze politiche francesi al trattato istitutivo della Comunità europea di difesa (CED), le speranze che questo venisse ratificato erano poche (Gaja 1995, p. 147). In questo senso, fu interprete realista dell’europeismo francese, sempre strumentale ai propri interessi nazionali, soprattutto nei confronti della Germania.
Nell’aprile 1958 fu destinato a Bonn, dove fu protagonista delle trattative italo-tedesche sul contenzioso finanziario e sugli indennizzi alle vittime del nazionalsocialismo, mentre nel giugno 1961 venne inviato a Londra, dove rimase sino al 1964, quando cessò dal servizio, dopo essere stato collocato a riposo il 1° novembre 1963; fu testimone, da quella importante sede diplomatica, della crisi di Cuba, i cui esiti, nelle sua valutazioni, avevano rafforzato il mondo occidentale, ma indebolito l’Europa (Calamia in Un ricordo di Pietro Quaroni, cit., p. 36).
Lasciato il servizio, fu presidente della RAI dal 1964 al 1969 e della Croce rossa italiana dal 1969 al 1970, e direttore del trimestrale Affari esteri dal 1969 al 1971. Pubblicista attivissimo su alcuni dei principali quotidiani nazionali, fu autore di numerosi volumi e studi sui temi della politica estera.
Morì a Roma l’11 giugno 1971.
Il nome di Quaroni – come, nel giorno della sua scomparsa, aveva previsto in un telegramma a Larissa Cegodaeff l’ex ambasciatore Roberto Gaja (Ministero degli Affari esteri, Archivio storico diplomatico, Personale cessato, cit., R. Gaja a L. Cegodaeff, 11 giu. 1971) – è rimasto nella storia della diplomazia italiana.
Opere: L’Italia e i problemi internazionali, Milano 1935 (libro scritto con lo pseudonimo di Latinus); Ricordi di un ambasciatore, Milano 1954; Aspetti della diplomazia contemporanea: Oriente e Occidente. Conferenze, Venezia 1956; L’Europa al bivio, Milano 1965; Il mondo di un ambasciatore, Milano 1965; Il Patto atlantico: scurezza nella libertà, Roma 1966; Le trattative per la pace: Mosca, Parigi, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, I, La Costituente e la democrazia italiana, Firenze 1969, pp. 685-744.
Fonti e Bibl.: Roma, Ministero degli Affari Esteri, Archivio storico diplomatico, Personale, Serie I, Diplomatici e consoli, pos. Q3; ibidem, Personale cessato 1970, elenco 2, b. 667, P. Quaroni; ibidem, Ambasciata d’Italia a Mosca, bb. 299-304, 307, 314, 315; ibidem, Rappresentanza italiana in Francia, bb. 340-505, in particolare bb. 417 e 439; ibidem, Documenti diplomatici italiani, serie settima (1922-1935, voll. III, IV, VII-XII, XIV, XV), ottava (1935-1939, voll. VII, XII), nona (1939-1943, voll. I-X), decima (1943-1948, voll. I-VII), undicesima (1948-1953, voll. I-VII), dodicesima (1953-1958, voll. I-VII).
R. Arcidiacono, L’Italia fra sovietici e americani: la missione di P. Q. a Mosca (1944-1946), in L’Italia e la politica di potenza in Europa, a cura di E. Di Nolfo, R. Rainero, B. Vigezzi, Milano 1985, pp. 93-121; E. Serra, P. Q. e la Francia, in Italia e Francia, 1945-1954, a cura di J.B. Duroselle, E. Serra, Milano 1988, pp. 278-297; R. Morozzo della Rocca, Le relazioni economiche italo-sovietiche nel dopoguerra (1945-1948), in La politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957), a cura di A. Varsori, Milano 1993, pp. 271-297; R. Gaja, L’Italia nel mondo bipolare, Bologna 1995, p. 7 e passim; E. Di Nolfo, M. Serra, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943 al 1945, Roma-Bari, 2010, p. 88 e passim; L. Monzali, Un re afghano in esilio a Roma, Firenze 2012, p. 6 e passim; Id., P. Q. e l’Afghanistan, in Nuova storia contemporanea, 2014, 1, pp. 109-122; Un ricordo di P. Q., a cura di S. Baldi, Roma 2014, http://baldi.diplomacy.edu/italy/Pietro_Quaroni_Ricordo.pdf (in partic. P. Calamia, Q. ed il multilateralismo, pp. 31-38; L. Monzali, P. Q. e la politica estera italiana, 1944-1947, pp. 39-50).