RANZANO, Pietro
RANZANO, Pietro. – Nacque a Palermo, nel quartiere degli Amalfitani, non lontano dalla chiesa dell’Ordine domenicano, dedicata a S. Andrea, tra l’aprile del 1426 e quello del 1427. Apparteneva a una famiglia del patriziato cittadino; figlio di Enrico, probabilmente maestro in teologia, ebbe almeno due fratelli: Filippo e Antonio. Si ignora il nome della madre.
Iniziò gli studi primari nella città natale nel 1433, sotto la guida dell’umanista nisseno Antonio Cassarino prima e del domenicano palermitano Enrico Lugardo poi. Insieme con quest’ultimo, nel 1440 si imbarcò per raggiungere Porto Pisano e quindi Firenze, la città prescelta per gli studi universitari. Durante il viaggio in nave ebbe modo di conoscere l’umanista greco Teodoro Gaza, che si stava recando a sua volta in Lombardia.
Ranzano studiò a Firenze per un anno accademico, per proseguire quindi la propria formazione a Perugia nel biennio successivo, attrattovi dalla fama di Tommaso Pontano che vi insegnava retorica, e per concluderla quindi nuovamente a Firenze l’8 agosto 1447, allorché ottenne il titolo di baccelliere in artes. Nello Studio della città sull’Arno egli apprezzò particolarmente le lezioni di filosofia di Battista da Fabriano e del domenicano Leonardo de’ Mansueti, oltre che quelle di retorica di Carlo Marsuppini. Faceva comunque spesso ritorno in Sicilia; nel 1444 o 1445, come ci racconta egli stesso, si trovava a Catania. Nel 1449, probabilmente sempre a Firenze, pur avendo all’epoca solo ventidue anni invece dei ventiquattro richiesti dalla normativa canonica, grazie a una dispensa papale poté ascendere al sacerdozio ed entrare nell’Ordine domenicano. L’anno successivo fu prima a Roma e poi a Napoli, dove conobbe Giuseppe Beccadelli (il Panormita); nel 1451 era a Catania, con l’incarico di collettore apostolico. Nel periodo compreso tra il 1451 e il 1456 conseguì la laurea magistrale in teologia, probabilmente a Roma. Nel 1453 aveva nel frattempo presenziato al capitolo generale dell’Ordine, che si svolse a Nantes; e due anni più tardi, a Roma, ricevette da papa Callisto III l’incarico di scrivere la vita del domenicano catalano Vincenzo Ferrer, appena beatificato.
Nella città dei papi strinse relazioni intellettuali profonde con il cardinale Domenico Capranica e con l’umanista lodigiano Maffeo Vegio (di entrambi i quali, a suo dire, pronunziò l’orazione funebre) e, inoltre, con i grammatici Giovanni Tortelli e Pietro Odo da Montopoli, con l’umanista marchigiano Niccolò Perotti, che sarà poi di lì a poco segretario a Bologna del cardinale Bessarione, con il filosofo e teologo domenicano veneziano Domenico Domenici e con Lorenzo Valla. Periodici furono i suoi ritorni in Sicilia, dove, negli anni 1455-59 e 1463-67 ricoprì l’incarico di provinciale dell’Ordine e, dal 1463, anche quello di nunzio pontificio nell’isola per la crociata. Nel 1458, a Palermo, pronunciò un’orazione in onore del principe aragonese Carlo di Viana, che il forte partito autonomista siciliano auspicava ascendesse al trono dell’isola. Rimase quindi prevalentemente in Sicilia sino al 1467, a prescindere da un breve viaggio a Novara, resosi necessario per poter partecipare al capitolo generale dell’Ordine, che appunto in quella città si svolgeva, e nel quale ebbe l’onore di pronunciare il discorso inaugurale.
Nel 1468 tornò a Napoli, incaricato dell’educazione del principe Giovanni, figlio di re Ferdinando I d’Aragona e destinato alla carriera ecclesiastica. Nella capitale del Regno strinse, in particolare, relazioni con il teologo e generale dei celestini Matteo dell’Aquila, con il medico beneventano Angelo Catone (entrambi docenti presso il locale Studio) e con il giovane Galateo. Grazie presumibilmente al soddisfacente servizio prestato alla corte, nel 1476 ottenne la nomina a vescovo di Lucera. Non lasciò per questo l’entourage e la familia di Giovanni d’Aragona, divenuto nel 1477 cardinale; sicché quando costui (che era anche arcivescovo di Taranto) fu designato legato pontificio presso il regno d’Ungheria, Ranzano fu da lui designato come vicario nella città pugliese. Mantenne l’ufficio dal 1479 al 1484, anno in cui il cardinale d’Aragona rinunciò ufficialmente a quella sede.
Nel 1486 Ranzano si recò a Venezia, per seguire i lavori del capitolo generale dell’Ordine; due anni più tardi, si trasferì in Ungheria, in qualità di ambasciatore di re Ferdinando. Raggiunse a Vienna la corte del re magiaro, Mattia Corvino, e della moglie, Beatrice d’Aragona, figlia del re di Napoli, nell’estate del 1488. Nella città danubiana entrò in rapporti con il poeta e umanista siciliano Angelo Callimaco, di Mazara, e con il filosofo fiorentino Aurelio Lippo Brandolini, docenti presso lo Studio locale; entrambi lo elessero protagonista di loro dialoghi (rispettivamente, il Libellus de oratione dominica – un commento al Pater noster – e un trattato De humanae vitae conditione). Ranzano si trattenne nel Paese sin dopo i funerali del re, deceduto il 6 aprile 1490. Fu lui a pronunciarne l’orazione funebre, il 25 di quel mese, nella cattedrale di Székesfehérvár. Rimase quindi accanto alla regina, per seguire l’evoluzione della difficile successione al trono d’Ungheria, sino all’ottobre di quell’anno, quando partì per ritornare nel Regno. Al principio di novembre del 1490 era già in Puglia, da dove si spostò in Irpinia per conferire con re Ferdinando relativamente alla spinosa questione della successione ungherese, e ritirarsi quindi, nel 1491, nella propria sede pastorale, a Lucera.
Proprio a Lucera Ranzano si spense nel 1492 o 1493.
Ranzano fu uomo dalla cultura poliedrica e dagli ampi interessi letterari, che spaziavano su più generi, in molti dei quali infatti si cimentò. Se è probabile che tutti i suoi lavori fossero destinati a confluire, magari riassunti, nell’opera maggiore, gli Annales omnium temporum, è vero anche che molti di essi videro la luce autonomamente, talvolta per ragioni anche occasionali. Compose così alcuni scritti agiografici: nel 1455 la già menzionata Vita di s. Vincenzo Ferrer, commissionatagli da Callisto III; nel 1461 o nel 1463 la storia, in forma epistolare e diretta a papa Pio II, del martirio del confratello Antonio da Rivoli, avvenuto in Tunisia; e tra il 1468 e il 1469 la Vita et passio Sanctae Barbarae. Compose e recitò poi alcune orazioni, delle quali ci sono pervenute quella a Carlo di Viana (1458), quella pronunciata a Roma nel 1479 in memoria del vescovo di Coira Francesco di Toledo (e a Roma data alle stampe il 15 marzo del 1479, presso la tipografia Bulle), e una terza, più ampia e articolata, esposta a Vienna nell’estate del 1488, come indirizzo di saluto ai reali d’Ungheria. Scrisse poi dei versi agiografici, un paio di brevi epigrammi di circostanza e un paio di encomi in distici elegiaci, in onore di papa Pio II e di Lorenzo Valla. Ci sono ancora rimaste cinque sue epistole, tutte di accompagnamento a dedicatari di suoi lavori. Compose infine due opere storiche: una sulle origini e sulle vicende storiche antiche di Palermo, di carattere descrittivo ma fondata su tutte le fonti disponibili, narrative, archeologiche ed epigrafiche, e l’altra sulla storia d’Ungheria, commissionatagli da Corvino, rimasta interrotta alla morte del sovrano e più tardi terminata e fatta confluire negli Annales omnium temporum, che sono l’opera maggiore di Ranzano.
Egli aveva iniziato a occuparsi di storia, con l’intento, probabilmente, di scrivere una narrazione delle vicende del proprio tempo in forma annalistica, sin dal 1440 circa. Fu però solo attorno al 1460 che concepì un progetto ben più ambizioso: comporre una cronaca universale di carattere storico e geografico insieme, dalle origini del mondo sino ai suoi tempi, nella quale trovassero spazio anche i ritratti delle personalità più illustri, specie quelli di uomini di lettere e teologi, che avessero lasciato un’impronta significativa nella storia dell’umanità.
Pur restando nel solco della tradizione enciclopedica della paideia domenicana, gli Annales avevano l’obiettivo di aggiornarla, con l’intento di ammaestrare i contemporanei, attraverso l’esposizione degli avvenimenti a essi più vicini. I riferimenti culturali dell’operazione erano ovviamente i grandi nomi della tradizione erudita dell’Ordine, da Vincenzo di Beauvais a s. Antonino di Firenze. Ranzano fece però confluire nell’opera tutta la cultura storica e geografica quale si era venuta cristallizzando all’altezza del sesto decennio del XV secolo, fondandosi anche su classici greci appena resi accessibili a un più vasto pubblico attraverso traduzioni latine, come Strabone. In particolare, egli sembrò voler seguire il modello espositivo del Chronicon di Eusebio-Girolamo e della Bibliotheca historica di Diodoro Siculo. Fece però tesoro anche delle esperienze personali, né tralasciò di registrare il racconto di contemporanei giudicati degni di fede che avessero visitato Paesi lontani e potessero perciò illuminare terre ed episodi storici poco conosciuti. Egli riportò così all’interno della propria narrazione i resoconti che il vecchio Nino da Noto gli fece delle vicende di Tamerlano, quanto aveva appreso da Pietro Rombulo da Messina circa l’Etiopia, le notizie avute da Carlo Porcari a proposito di una congiura tentata contro il sultano d’Egitto, e quelle avute da Giovanni Filangieri (figlio cadetto di una nobile famiglia siciliana) su Cipro e sulle lotte che l’isola aveva dovuto sostenere contro i musulmani nella prima metà del secolo (narrate da Filangieri in un poemetto in volgare, da Ranzano ampiamente parafrasato). Ben presenti ai suoi occhi, infine, le opere anche più recenti elaborate dalla cultura umanistica, come l’Asia di Enea Silvio Piccolomini, il De viris illustribus di Bartolomeo Facio e l’Italia illustrata di Biondo Flavio.
Il lavoro, condotto sino al sessantunesimo libro, rimase purtroppo interrotto alla morte di Ranzano e si conserva oggi manoscritto e in massima parte inedito in sette grossi volumi (erano otto in origine, ma uno andò perduto nel corso del Settecento) presso la Biblioteca comunale di Palermo (3.Qq.C. 54-60). Esso, nel corso del XVI secolo, quando si trovava ancora nella biblioteca palermitana dell’Ordine dei predicatori, fu visto e ampiamente sfruttato dal domenicano bolognese Leandro Alberti nella sua Descrittione di tutta Italia (Venezia 1550) e dallo storico siciliano Tommaso Fazello, domenicano anch’egli, nel De rebus Siculis decades duae (Palermo 1558).
Edizioni. Vita sancti Vincentii, in Acta Sanctorum Aprilis, I, Antverpen 1675, pp. 477-529; Opusculum de auctore, primordis et progressu felicis urbis Panormi, a cura di A. Mongitore, in Raccolta di opuscoli di autori siciliani, IX, Palermo 1797 (traduzione in volgare di Ranzano stesso in G. Di Marzo, Delle origini e vicende di Palermo di Pietro Ranzano e dell’entrata di re Alfonso in Napoli. Scritture siciliane del secolo XV, Palermo 1864; il Delle origini e vicende di Palermo è stato poi ristampato in Delle cose di Sicilia. Testi inediti e rari, a cura di L. Sciascia, II, Palermo 1982, pp. 39-77); A. Hocedez, Lettre de Pierre Ranzano au pape Pie II sur le martyre du B. Antoine de Rivoli, in Analecta Bollandiana, XXIV (1905), pp. 357-374; Epithoma rerum Hungaricarum, a cura di P. Kulcsár, Budapest 1977; Vita et passio sanctae Barbarae, in B. Figliuolo, La cultura a Napoli nel secondo Quattrocento. Ritratti di protagonisti, Udine 1998, pp. 245-272; Descriptio totius Italiae (Annales, XIV-XV), a cura di A. di Lorenzo et al., Firenze 2007.
Fonti e Bibl.: V. Barcellona (pseud. di A. Lo Presti), Memorie della vita letteraria e de’ viaggi di P. R. dell’Ordine dei Predicatori Vescovo di Lucera, in Opuscoli di autori siciliani, VI, Palermo 1761, pp. 73-106; J.L. Villanueva, Viage literario à las Iglesias de España, IV, Madrid 1806, pp. 274-304; F.A. Termini, Pietro Ransano umanista palermitano del sec. XV, Palermo 1915; Id., Ricostruzione cronologica della biografia di P. R., in Archivio storico siciliano, XLI (1916), pp. 81-104; A. Barilaro, P. R. vescovo di Lucera umanista domenicano di Palermo, in Memorie domenicane, n.s., VIII-IX (1977-1978), pp. 1-197; B. Figliuolo, La cultura a Napoli, 1998, pp. 87-276; G. Ferraù, Il tessitore di Antequera. Storiografia umanistica meridionale, Roma 2001, pp. 288-296; D. Pietrasanta, La Sicilia greca e Diodoro da P. R. a T. Fazello, in Mediterraneo antico. Economia Società Culture. Rivista internazionale di storia antica, VI (2003), pp. 697-720; G. Petrella, L’officina del geografo. La “Descrittione di tutta Italia” di Leandro Alberti e gli studi geografico-antiquari tra Quattro e Cinquecento. Con un saggio di edizione (Lombardia-Toscana), Milano 2004, ad indicem.