SABINO, Pietro
SABINO, Pietro (Pietro Sabino). – Nacque nella prima metà degli anni Sessanta del XV secolo probabilmente a Poggio Mirteto, nella diocesi di Rieti. Non si hanno notizie sulla sua famiglia, è usualmente denominato con l’aggettivo toponomastico.
La data di nascita si deduce, approssimativamente, dal fatto che egli si cita come magister in una lettera in versi del 1483 scritta a un certo Giovanni, un maestro siciliano, conservata in una raccolta di componimenti poetici autografi di Pietro datati tra il 1481 e il 1485 e traditi dal ms. Vat. lat. 2874, cc. 90r-96v (la lettera a c. 92r; cfr. Gionta, 2003, p. 117). Alcuni componimenti riportano come data topica Poggio Mirteto. All’epoca aveva dunque già completato un primo ciclo di studi; e potrebbe aver ricevuto un’istruzione di base nel suo territorio di origine.
Da un’altra lirica si evince che Pietro negli anni Ottanta era sposato: rivolgendosi all’amico Bernardino Farense, lamentail fatto che la sua consorte rappresentasse un ostacolo al suo desiderio di trasferirsi in Veneto, dove forse avrebbe voluto raggiungere il suo amico Marcantonio Coccio detto Sabellico (Vat. lat. 2874, cc. 94r-v, 95r). Egli era dunque già in contatto con gli ambienti umanistici romani ancor prima di trasferirsi nell’Urbe, ciò che avvenne nel 1484, quando è attestato per la prima volta come magister di retorica presso lo Studium Urbis (Gionta, 2003, p. 138). Oltre a Sabellico, Pietro ebbe modo di conoscere il celebre Pomponio Leto (m. 1497), l’ultimo esponente del milieu intellettuale che aveva animato la vita culturale romana nei decenni precedenti ponendosi come obiettivo il recupero e la celebrazione del mondo antico in tutti i suoi aspetti.
Anche dopo lo scioglimento della seconda Accademia nel 1468, Leto era rimasto un punto di riferimento; protesse tra gli altri diversi eruditi greci, rimasti senza tutors dopo la morte del cardinale Bessarione (1472). Tra questi, figurava Giovanni Argiropulo che tenne un corso di greco a Roma tra il 1484 e il 1485: Pietro vi partecipò, e con lui un umanista tedesco, Giacomo Aurelio Questenberg, col quale egli strinse un forte rapporto, tanto da esser da lui definito compater meus.
Anche negli anni successivi, per i quali la documentazione è carente, Sabino rimase verosimilmente a Roma, ove si sviluppò tutta la sua esperienza culturale e umana. Sul piano accademico, nel 1495 ottenne nuovamente la cattedra di retorica presso lo Studium Urbis di Roma, ma solo fino al 1496. Nello stesso anno è annoverato da Michele Ferno nell’edizione degli Opera di Giovanni Antonio Campano tra le forze migliori dell’umanesimo contemporaneo. E sempre in questo torno di tempo, Pietro scrisse un altro gruppo di carmi, traditi nel codice Firenze, Biblioteca nazionale Magl. VII.1095, cc. 175r-182v) e in un codice di Perugia, Biblioteca Augusta, G.25.d.
A prescindere dalle composizioni poetiche, Pietro è ricordato soprattutto per la silloge di epigrafi antiche, che secondo le sue intenzioni era destinata alla stampa a caratteri mobili (come ricorda in una lettera inviata a Marcantonio Sabellico nel 1495). Iniziò la sua raccolta prima della fine del 1494: infatti, tra il dicembre dello stesso anno e il gennaio 1495 celebrò l’arrivo di Carlo VIII a Roma presentando un primo campione di testi epigrafici. Il suo lavoro non sembra essersi spinto oltre il 1495. Del resto, aveva intenzione di pubblicare la silloge intorno al 1496-97 (González Germain, 2016, p. 332).
Nonostante che l’idea di un corpus epigrafico a stampa non si sia poi concretizzata (Gionta, 2003, pp. 121, 138), il progetto di Pietro fu molto importante perché – adottando un criterio sino ad allora non contemplato dagli altri studiosi di antichità – l’umanista scelse di aggiungere ai testi pagani anche quelli cristiani, collocandoli in una sezione a parte e allargando (in una seconda redazione) l’indagine al di fuori dell’area dell’Urbe ai marmi e ai mosaici delle chiese extraurbane.
Oltre ad effettuare le ricognizioni autoptiche sui monumenti, Pietro studiò anche gli antichi codici conservati nelle sacrae bibliothecae di Roma, per scovare testi epigrafici andati perduti nel corso dei secoli. Inoltre, utilizzò anche altre raccolte epigrafiche, come quella di Giovanni Giocondo, presentata a Lorenzo de’ Medici nel 1488-89. Secondo Gionta (2003, p. 147), anche questa scelta metodologica di intrecciare la ricerca eminentemente epigrafica con l’indagine sulle fonti secondarie rappresenta un unicum nel suo genere.
La silloge di Pietro è tramandata integralmente da cinque manoscritti (Carpentras, Biblliothéque Inguimbertine, Mss., 607; Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Chigi, I.V.168; Ottob. lat., 2015; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Lat., X.195 (= 3453); Firenze, Biblioteca degli Uffizi, V.2.7.b), e parzialmente da un sesto. (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 6040). Secondo González Germain (2016, pp. 331 s.) Pietro approntò due redazioni diverse della sua raccolta: la prima è conservata nei manoscritti di Carpentras, Chigiano, Marciano, Magliabechiano e Ottoboniano; la seconda, nel Vat. lat. 6040, proposta in un singolo codice, sarebbe quella allestita nel 1495 in occasione della venuta di Carlo VIII.
Secondo un epitaffio pubblicato tra gli epigrammi di Antonio Mancinelli, Pietro morì prematuramente e in maniera al quanto sfortunata: dopo essere stato colpito da un fulmine in una chiesa. Gionta ha collocato la morte tra la seconda metà del 1499 e la fine del 1502 (Gionta, 2003, p. 139).
Fonti e Bibl.: G. de Rossi, Due monumenti inediti spettanti a due concilii romani de’ secoli ottavo e undicesimo, in Annali delle scienze religiose», XIII (1854), pp. 321-366, 438-440; G. Mercati, Questenbergiana, in Id., Opere minori, IV, Città del Vaticano 1937, pp. 437-461; E. Bigi, Argiropulo, Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, pp. 129-131; L. Labowsky, Bessarione, ibid., IX, ibid. 1967, pp. 686-696; F. Tateo, Coccio, Marcantonio, ibid., XXIV, ibid. 1982, 510-515; D. Gionta, Epigrafia umanistica a Roma, Messina 2005, pp. 107-148; M. Buonocore, Dalla silloge di Timoteo Balbani a quella di P. S. In margine ad un libro recente, in Epigraphica, LXIX (2007), pp. 456-469; M. Accame, Pomponio Leto, Giulio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXXIV, Roma 2015, pp. 711-716; G. González Germain, La silloge epigrafica di P. S.: un riesame della tradizione manoscritta, in Epigraphica, LXXVIII (2016), pp. 315-335.