SCROVEGNI, Pietro
– Nacque con ogni probabilità a Padova negli anni Sessanta del Trecento da Ugolino e da Luca di Pietro Rossi di Parma, forse ultimogenito di quattro fratelli.
La madre era figlia di Pietro Rossi, l’aristocratico parmense morto nel 1337 dopo aver contribuito alla liberazione di Padova dalla dominazione scaligera (v. la voce sulla famiglia Scrovegni in questo Dizionario). Il padre era figlio di Enrico senior (v. la voce in questo Dizionario). Nel 1352 Ugolino, ponendo fine al lungo periodo di ostilità che aveva opposto la sua famiglia ai da Carrara, rientrato a Padova dal volontario esilio veneziano, riallacciò i rapporti con il nuovo signore Francesco da Carrara il Vecchio. Diversamente dal padre e dai fratelli Enrico e Giacomo, che al servizio dei Carraresi svolsero numerosi e importanti incarichi, Pietro Scrovegni partecipò alla politica signorile solo con un’ambasceria presso Antonio Della Scala durante la guerra friulana (agosto 1386).
Risale a pochi mesi avanti la prima testimonianza su di lui: il 15 gennaio 1386 presenziò con il fratello Enrico e pochi altri – tra i quali Lombardo Della Seta, il discepolo di Francesco Petrarca – alla cerimonia con la quale Bonifacio Lupi concesse al nipote Ugolotto Biancardo la facoltà di servirsi delle sue insegne militari. Gli Scrovegni furono dunque vicini, anche per la comune parentela con i Rossi, a una figura di vertice della società carrarese, quale fu Lupi.
Due anni più tardi, quando una lega veneto-viscontea sconfisse l’esercito padovano, Francesco il Vecchio inutilmente abdicò in favore del figlio Francesco il Novello e Padova fu conquistata da Gian Galeazzo Visconti (21 novembre 1388). Gli Scrovegni, come altri padovani eminenti, compresi Lupi e Della Seta, si schierarono con il nuovo signore: uno sconcertante voltafaccia forse dovuto a mai sopiti risentimenti per i soprusi e i danni patrimoniali subiti in passato, che consentì loro tuttavia di assumere una posizione politica di rilievo e di ottenere vantaggi economici. Inevitabilmente drammatiche furono per la famiglia le conseguenze della successiva restaurazione carrarese nel 1390.
Il 21 giugno Francesco da Carrara il Novello entrò in Padova. Dopo il saccheggio del loro palazzo gli Scrovegni si rifugiarono nel castello ove si era attestato il presidio visconteo. In ottobre il podestà Rizzardo Sambonifacio giudicò in contumacia quindici cospiratori, tra i quali Ugolino, Enrico e Pietro Scrovegni. Particolarmente gravi furono le accuse rivolte a quest’ultimo: nel 1388 egli aveva favorito l’ingresso in città delle milizie nemiche e nel 1390 – uscito dal castello al seguito del capitano Ugolotto Biancardo per sollevare la popolazione contro il Novello e mettere a fuoco i borghi – si era macchiato di gravi fatti di sangue. La condanna fu per tutti di esilio perpetuo e confisca dei beni. Ancora una volta gli Scrovegni trovarono riparo a Venezia, dove la famiglia godeva di importanti relazioni, dell’appoggio di ragguardevoli parentele e di solide basi economiche.
Forse negli anni veneziani Scrovegni sposò Antonia d’Arco, appartenente a una casata trentina non marginalmente coinvolta fra Tre e Quattrocento nella vita politica padana e veneta. Pochi anni più tardi (lodo di Genova, 1392), tra le condizioni imposte a Francesco il Novello per il riconoscimento della sua signoria vi fu l’annullamento delle condanne e delle confische inflitte ai padovani ribelli; ma, come altri tra i cittadini rimasti fuori Padova, gli Scrovegni ripresero possesso dei propri beni solo nel 1404. Pietro Scrovegni rientrò in città col fratello Enrico in un momento imprecisato ed entrambi tornarono ad occupare un ruolo rilevante in seno al ceto dirigente. Egli condivise con il fratello anche la nuova ‘linea’ politica filoveneziana, che venne sancita da un accordo con la Repubblica nel 1407.
In questa linea, e nel solco di una consolidata tradizione di vicinanza agli ambienti ecclesiastici, si inseriscono le buone relazioni di Scrovegni, e del fratello Enrico, con il vescovo di Padova: il 28 luglio 1409 egli presenziò all’insediamento sulla cattedra padovana di Pietro Marcello, sicuro indizio di uno stretto rapporto con l’alto prelato, che troverà successive conferme.
Pietro Scrovegni ricoprì incarichi pubblici almeno dal 1412. Il 15 gennaio, con il giurista Prosdocimo Conti, comparve a Venezia in Pregadi per sollecitare aiuti in vista di un paventato attacco degli ungheresi; i due oratori sono eloquentemente definiti dal Senato «doctores fideles nostri Padue» (Cessi, 1985, p. 730). Rientra per certi aspetti in questa prospettiva – anche se per ragioni di opportunità politica l’idea non si concretizzò, salvo poi essere ripresa assai più avanti nel tempo – anche l’offerta di Scrovegni e del fratello (in gara con Ludovico Buzzacarini) di sostenere a proprie spese l’erezione di un mausoleo a Tito Livio, del quale furono scoperte presso il monastero di S. Giustina le presunte spoglie; un episodio che ebbe vasta eco negli ambienti umanistici, anche extrapadovani. In effetti, benché privo di titoli dottorali, Scrovegni non rimase estraneo al fiorente ambiente culturale del primo Quattrocento padovano: fu, con il fratello, in amichevole consuetudine con il citato Conti, con i Capodilista (Gianfrancesco e Francesco) e con altri cultori degli studi classici; fu in possesso di codici (Lazzarini, 1969, pp. 289, 293); compare, con il nipote Giacomo, nell’epistolario del letterato Antonio Baratella, in occasione delle nozze del giovane con Benvenuta di Paolo Dotti (1432).
Anche gli atti accademici menzionano frequentemente Pietro Scrovegni e il fratello Enrico come testi a cerimonie dottorali tra il 1410 e il 1418, facendo emergere un fitto intreccio di contatti con licenziati e laureati padovani e forestieri, alcuni anche transalpini, con esponenti del patriziato veneziano e della gerarchia ecclesiastica, con nomi illustri della cultura universitaria.
Attivo nel Consiglio civico per tutti gli anni Venti, Pietro Scrovegni venne nominato tra i deputati ad utilia il 15 novembre 1425. Il suo percorso politico attesta insomma la considerazione nella quale egli era tenuto dal consesso cittadino e dalle autorità veneziane, che sulle nomine dello stesso esercitavano un decisivo controllo.
Dal nipote Giacomo – figlio del defunto Enrico e di Beatrice Pallavicini di Parma – fu affiancato in Consiglio tra il 1433 e il 1438. Ma in questa data egli uscì dalla scena politica e amministrativa, verosimilmente in relazione all’imminente cospirazione antiveneziana, della quale c’era già sentore a Padova e Venezia.
Già nel marzo del 1435 un complotto che mirava a restaurare la signoria con Marsilio, ultimo figlio legittimo sopravvissuto di Francesco Novello, era fallito miseramente. Fra i giustiziati c’era stato Ludovico Buzzacarini, legato da amicizia a Scrovegni, la cui unica figlia Caterina, per un verosimile accordo tra i due, ne aveva sposato il nipote Pataro. Si può fondatamente supporre che la decapitazione di Buzzacarini, seguita dall’incameramento dei suoi beni, dovette rappresentare per Pietro la dolorosa occasione per una necessaria riflessione sulla sua vita personale e familiare. Il 27 giugno 1435 egli aveva provveduto alla definizione dell’assetto economico-finanziario della famiglia, pervenendo con Giacomo alla spartizione dell’eredità di Ugolino, rimasta sino a quel momento in comune. Si trattava di un patrimonio rilevantissimo, il cui valore superava le 100.000 lire. Un mese più tardi (30 luglio 1435) aveva redatto il suo testamento istituendo erede universale il nipote e lasciando a Caterina le briciole delle sue immense ricchezze. Esecutori testamentari furono nominati il doge, i procuratori di S. Marco de citra e gli amici Prosdocimo Conti e Taddeo d’Este, capitano della Serenissima, entrambi leali alla Repubblica Veneta.
Pietro Scrovegni non fu coinvolto personalmente nel complotto ordito nel 1439 da alcuni esponenti di spicco dell’élite padovana, i quali – insofferenti dello stato di sudditanza politica ed economica della città alla Dominante – intendevano consegnare Padova a Filippo Maria Visconti, mentre Giacomo ne era stato uno dei capi (v. la voce Scrovegni in questo Dizionario) e, colpito da condanna a morte, trovò protezione a Milano.
Ormai vecchio, amareggiato per quella vicenda, nella quale egli non aveva avuto parte alcuna, ma che, con la confisca dei beni di Giacomo, aveva inferto un colpo durissimo alla potenza economica del casato e alla sua rilevanza politica, ma anche al rapporto di fidelitas che da decenni lo legava alla Repubblica, Scrovegni morì a Padova nell’autunno del 1443.
Per sua volontà, venne sepolto nella cappella di famiglia, «sub porticali» (Zen Benetti, 2013, p. 434). All’apertura del suo testamento, che egli non aveva modificato neppure dopo i drammatici fatti del 1439, Venezia sottopose a confisca la sua eredità, volendo impedire che essa potesse pervenire nelle mani di Giacomo, suddito traditore.
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