VIDONI, Pietro senior
– Nacque a Cremona l’8 dicembre 1610 da Cecilia Gallerani e da Cesare, marchese di San Giovanni in Croce.
Lo zio Girolamo (v. la voce in questo Dizionario) aveva abbracciato la carriera ecclesiastica fino al pallio cardinalizio. Pietro si laureò alla Sapienza di Roma nel 1631 in utroque iure e ne seguì le orme, entrando in prelatura.
Esordì nel 1634 come vicegovernatore di Tivoli. Fu quindi al governo della provincia di Sabina, fino al febbraio del 1637. Fra aprile dello stesso anno e ottobre del 1638, ricoprì l’incarico di governatore di Rimini. Ebbe nello stesso 1638 la nomina a referendario delle due Segnature. Quindi, fra il 1639 e il 1640, fu di nuovo governatore prima a Orvieto, poi a Spoleto (solo per quattro mesi); concluse l’anno come vicelegato di Romagna, per spostarsi infine a Fermo, come vicegovernatore. Vi rimase dal 1641 al 1644. Quando sembrava che fosse prossimo il suo passaggio al governo della Marca, il 13 luglio 1644, nell’ultimo Concistoro presieduto da papa Urbano VIII, fu creato vescovo di Lodi.
Vidoni raggiunse la sua sede il 17 gennaio 1645. Volle iniziare una visita pastorale già il 1° maggio 1646 ed ebbe modo di ordinare decreti per rimediare agli abusi più vistosi; tuttavia, dovette presto sospenderla a causa delle pessime condizioni economiche del territorio. Dimostrò attenzione alla presenza degli ordini religiosi in città: dopo aver inaugurato la nuova chiesa degli oratoriani, dedicata a S. Filippo Neri (il 29 ottobre 1645), pose termine a un risalente contenzioso con la Congregazione benedettina degli Olivetani. Quindi, nel 1649 attivò l’ospedale dei poveri infermi di S. Rocco a Casalpusterlengo, destinato alla cura degli indigenti di entrambi i sessi.
Presiedute le celebrazioni dell’anno santo 1650, Vidoni lasciò Lodi nel 1651, essendo stato nominato prelato domestico di papa Innocenzo X. A Lodi lasciò come vicario generale Cosmo Maiocchi Gusmeri, promotore del sesto sinodo diocesano, i cui atti uscirono a stampa. Anche da lontano, Vidoni avrebbe continuato a promuovere iniziative nella sua diocesi (lasciata solo nel giugno 1669). I lavori al palazzo vescovile gli costarono fino al 1657 più di 6000 scudi.
Nel maggio del 1652, approdò alla nunziatura di Polonia. Postosi in viaggio, Vidoni arrivò a Ratiboria (Racibórz) all’inizio di settembre del 1652.
Trovava il Regno polacco-lituano in una situazione estremamente difficile: infatti, nel 1648, i cosacchi di Bogdan Chmel′nickij si erano ribellati, sconvolgendone la parte meridionale. Sconfitti, avevano guadagnato la protezione turca e l’alleanza dei tartari, riprendendo a combattere. La battaglia di Berestečko, alla fine di giugno del 1651, aveva visto prevalere l’esercito polacco, ma nemmeno i successivi accordi di Biała Cerkiew, in settembre, avevano condotto a una pacificazione generale. I cosacchi, infatti, si erano rivolti ad Alessio Michajlovič, zar di Moscovia, che nel 1654 aveva invaso la Lituania e inviato aiuti a Chmel′nickij per una nuova offensiva in Ucraina. Iniziava così la seconda guerra del Nord, coincidente con il collasso della Rzeczpospolita: Vilnius, capitale lituana, fu conquistata dai moscoviti nell’agosto 1655.
A questo punto, il pericolo maggiore era un contemporaneo attacco anche da nord (dalla Svezia). Vidoni non mancò di segnalarne a Roma le avvisaglie sin dal maggio del 1655, riferendo dei timori di un assedio svedese a Danzica. Quando poi iniziò la guerra, alla fine della stessa estate, egli vide chiaramente che il re, Giovanni II Casimiro Vasa, avrebbe potuto contare ben poco sull’appoggio della nobiltà polacca, incline ad avvicinarsi al nemico, il re Carlo X Gustavo. Varsavia cadde, in effetti, già in settembre. Vidoni seguì il re a Głogówek, in ottobre, e affrontò senza esitazioni il residente imperiale, Johann Morando Girardin, per spronare Ferdinando III d’Asburgo a intervenire. Ebbe soltanto risposte generiche. Troppo forti i timori a Vienna di una ripresa del conflitto appena chiuso dalla Pace di Vestfalia; limitata anche la fiducia in un sovrano che, sposando Maria Luisa Gonzaga Nevers, appariva oggettivamente più vicino alla Francia.
Nel contempo, Vidoni dovette spendersi per evitare una pace negoziata, ipotesi rispetto alla quale si era dimostrato favorevole addirittura l’arcivescovo primate del Regno, Andrzej Leszczyński. Più duttile egli si dimostrava nei confronti dell’ipotesi avanzata dallo stesso primate di requisire tutto l’argento presente nelle chiese, da convertire subito in moneta.
Quasi nelle stesse settimane, a corte iniziò a parlarsi di una successione elettiva di Giovanni II Casimiro, mentre questi era ancora in vita. Mattias de’ Medici, fratello minore del granduca Ferdinando II, era ben visto sia da Vidoni, sia dallo stesso re. Il nunzio prese parte attiva alle trattative, che durarono per tutto il periodo in cui egli rimase in Polonia. Tuttavia, le manovre a favore del principe italiano non diedero alcun frutto.
La caduta di Cracovia, nel novembre del 1655, rese il quadro ancor più drammatico. Un sussidio di 12.000 talleri concesso da papa Alessandro VII non poté essere riscosso. Solo la strenua resistenza di Danzica e di Częstochowa contro gli svedesi, in dicembre, diede adito a qualche speranza. Il nunzio e il re si spostarono nella Galizia polacca, dopo un difficile viaggio invernale. Fu l’inizio della ripresa. A metà febbraio del 1656, raggiunta Leopoli, Vidoni riuscì a far arrivare alle casse regie un donativo pontificio di 33.000 talleri. Rimase quindi a seguire lo svolgimento della campagna militare, che in giugno portò alla riconquista di Varsavia. Oltre a concentrarsi sugli scenari diplomatici (progressivo avvicinamento del Brandeburgo alla Svezia, tentativi di mediazione francesi, possibilità di un intervento asburgico), Vidoni si impegnava nel recupero dei beni ecclesiastici perduti durante l’occupazione svedese. Particolarmente lo preoccupavano le sorti della diocesi di Varmia, nel Nord del Regno, nominalmente retta dal vescovo, Wacław Leszczyński, ma di fatto sotto il controllo del protestante Federico Guglielmo di Hohenzollern, elettore del Brandeburgo, che ne aveva assunto il dominio dopo gli accordi di Königsberg con il re di Svezia.
L’alleanza brandeburgo-svedese allargava il conflitto. Nel giugno del 1656, dopo aver perso di nuovo Varsavia, Giovanni II Casimiro concluse la pace con lo zar moscovita e si alleò con lui. Contemporaneamente, il principe transilvano György Rákóczy si preparava a entrare in guerra a fianco della Svezia. Vidoni vide chiaramente la necessità di un deciso intervento asburgico nel conflitto: non poteva considerare soddisfacente il primo Trattato di Vienna del dicembre 1656, con il quale era stato offerto solo un corpo di 4000 uomini, pagato a spese del tesoro polacco. Egli incontrò dunque l’inviato straordinario Franz Paul von Lisola nel marzo del 1657 e ottenne nuove promesse, ma la morte dell’imperatore Ferdinardo III, poco dopo, parve vanificare i suoi sforzi.
Vidoni temeva che qualora il re d’Ungheria Leopoldo d’Asburgo (futuro imperatore) fosse intervenuto massicciamente in Polonia, la Svezia sarebbe stata soccorsa dalla Francia. Invece, grazie al continuo lavorio diplomatico, in poche settimane lo scenario si ribaltò. L’elettore di Brandeburgo concluse a Bydgoszcz una pace (molto vantaggiosa) con Giovanni II Casimiro e passò dalla sua parte; il secondo Trattato di Vienna del 27 maggio vide l’Austria impegnata con 12.000 uomini sul campo; infine, l’ingresso in guerra della Danimarca a fianco del re polacco obbligò gli svedesi alla difensiva.
Il carteggio di Vidoni con la Segreteria pontificia è fonte primaria di tutti questi sviluppi, ma il nunzio ne fu poco più che spettatore. Vigilava invece costantemente sulla sorte dei cattolici, soprattutto nella diocesi di Varmia. Inoltre, egli cercava di rassicurare i membri più in vista della nobiltà polacca, sospettosi della ritrovata sintonia fra Giovanni II Casimiro e i ‘tedeschi’ Leopoldo d’Asburgo e Federico Guglielmo di Brandeburgo. Il Regno polacco-lituano gli appariva ancora a rischio di sfaldamento: consolazione solo relativa il fatto che la corte, e con essa Vidoni, avesse potuto riprendere dimora a Varsavia, dall’ottobre del 1657.
Il terzo anno di guerra (1658) si aprì nell’incertezza. Mentre gli svedesi avanzavano in Danimarca, i sovrani di Polonia, Austria e Brandeburgo rimanevano quasi inerti, preda di sospetti reciproci. Inoltre, la regina Maria Luisa Gonzaga Nevers continuava a essere malvista a Vienna. Vidoni si incontrò più volte con von Lisola, arrivato a Varsavia in marzo, e chiarì alla coppia reale i rischi rappresentati da un’eventuale rottura con gli Asburgo. Tentò anche inutilmente di opporsi alla conclusione del Trattato di Hadziacz (16 settembre 1658), che portò alla costituzione di un ducato cosacco ruteno di pari dignità con gli elementi polacco e lituano della Rzeczpospolita. Con l’occasione, infatti, Giovanni II Casimiro aveva fatto pesanti concessioni agli ortodossi scismatici, con pregiudizio degli uniati, cattolici di rito greco. Vidoni non poté fare altro che elevare proteste.
Lasciò la Polonia nel settembre del 1660. Favorito da una calorosa lettera di raccomandazione da parte di Giovanni II Casimiro, venne creato cardinale nel Concistoro del 5 aprile 1660, con il titolo di S. Callisto. La nomina fu festeggiata pubblicamente sia a Lodi, sia a Cremona, come testimoniano diverse relazioni a stampa.
Quindi, fra il 1662 e il 1665, fu nominato legato di Bologna. Partecipò attivamente alla vita culturale della città e commissionò importanti lavori nel palazzo d’Accursio, sua residenza.
Tornò a Roma nel gennaio 1666. Protettore dell’Ordine camaldolese, egli partecipava regolarmente ai lavori di molte congregazioni cardinalizie: solo per citare le principali, quella dei Vescovi e regolari, quella de Bono regimine, quella di Propaganda Fide, la Sacra Consulta, la congregazione dei Riti sacri.
Nei conclavi degli anni successivi, si schierò con il cosiddetto squadrone volante, gruppo di cardinali che si autoproclamava libero dalle pressioni esterne, ma che entrò presto nel gioco delle fazioni cardinalizie concorrenti. Prese parte ai conclavi degli anni 1667, 1669-70 e 1676. Sfiorò l’elezione al soglio pontificio in quello del 1669. Tuttavia, l’opposizione della Spagna, dei cardinali Flavio Chigi e Leopoldo de’ Medici bloccò ogni sua ambizione. Dal 1675 assunse la protezione della Corona polacca.
Morì a Roma il 5 gennaio 1681. Aveva cambiato dal 1673 il titolo cardinalizio con quello di S. Pancrazio, ma fu seppellito nella chiesa di S. Maria della Vittoria, nella cappella che già ospitava il monumento funebre dello zio Girolamo.
Fonti e Bibl.: Synodus dioecesana Laudensis quinta celebrata anno 1657. Iussu illustriss., ac reuerendiss. D.D. Petri Vidoni..., Laudae 1659; Relatione delle feste celebrate per la promozione dell’eminentiss. sig. cardinale Pietro Vidoni..., Cremona [1660]; G. Ghazini, La città di Lodi festeggiante per la promotione al cardinalato dell’ em.mo Pietro Vidoni suo vescovo, Lodi 1661.
A. Levinson, Die Nuntiaturberichte des P. V. über den ersten nordischen Krieg..., in Archiv fur Österreiche Geschichte, XCV (1906), pp. 1-144; C. Weber, Die ältesten päpstlichen Staatshandbücher..., Rom 1991, s.v.; G. Platania, Rzeczpospolita, Europa e Santa Sede tra intese ed ostilità: saggi sulla Polonia del Seicento, Viterbo 2000, ad ind.; R.I. Frost, After the Deluge. Poland-Lithuan and the second Northern war 1655-1660, Cambridge 2003, ad ind.; M.A. Visceglia, Morte e elezione del papa. Norme, riti e conflitti. L’età moderna, Roma 2013, ad ind.; R. Pagliarani, Memorie del cursus honorum tra gli arredi e le raccolte d’arte del cardinale P. V., in Annali della pontificia insigne Accademia di belle arti e lettere dei Virtuosi al Pantheon, XV (2015), pp. 568-610; I testamenti dei cardinali: P. V. (1610-1681), a cura di M.G. Paviolo, s.l. 2015; S. Cavicchioli, Il cardinale P. V. e l’omaggio ad Alessandro VII Chigi nell’appartamento del legato a Bologna, in Studi di storia dell’arte, 2018, n. 29, pp. 167-178.