SORANZO, Pietro
– Figlio del senatore Lorenzo e nipote di Nicolò, a sua volta senatore, pronipote di Giovanni (doge 1312-28), nacque in data imprecisata tra il primo e il secondo decennio del XIV secolo. Appartenne al ramo di S. Angelo.
Nella documentazione d’archivio, occorre via via identificarlo tra i molti nobili con questo nome – almeno otto – vissuti a Venezia tra il secondo e il terzo quarto del XIV secolo, che il completo o parziale silenzio delle carte pubbliche e private circa il patronimico o altri fattori identificativi non sempre consente (né ha consentito ai principali genealogisti: Marco Barbaro, Girolamo Alessandro Capellari) di distinguere nettamente e con certezza assoluta.
Nella vita pubblica sembra essersi dedicato in particolare agli affari marittimi e alla flotta, applicandosi nondimeno anche a qualche non trascurabile impegno in Terraferma. Nel 1344 – ma già da alcuni anni era impegnato in questi traffici – fu infatti patrono, ovvero armatore, di una delle galee della muda, o convoglio scortato, di Romania (dirette cioè a Costantinopoli e al Mar Nero). Il 10 maggio 1353 fu creato sopracomito in armata – «generale contro genovesi», secondo Capellari, e dunque, forse, successivamente asceso nella scala gerarchico-organizzativa – agli ordini del capitano generale da Mar Nicolò Pisani nella guerra contro Genova, conclusasi con la disastrosa sconfitta navale veneziana all’isola della Sapienza (1354); ma non fu direttamente coinvolto nei successivi processi, pur essendo chiamato, nel 1359, a deporre contro i figli di Pisani per varie mancanze commesse mentre militavano nella flotta del padre.
In Senato almeno dal 1355, fu eletto tra i cinque savi agli Ordini, con competenza sulle cose marittime e sulla navigazione mercantile e armata. Dopo una parentesi a Treviso, come membro di una commissione inviata a verificare lo stato delle difese e degli approvvigionamenti militari in città e nel contado, nel 1357 risulta capitano del golfo, cioè comandante delle galee incaricate di presidiare l’Adriatico. Fu impegnato in varie operazioni nella zona di Patrasso e in altre località della costa ellenica, nonché in missioni di scorta delle mude di Alessandria, di Cipro e di Romania, ma incappò in alcuni infortuni. Nel giugno del 1357, infatti, il Senato lo accusò di avere trasgredito gli ordini, avendo fatto avventatamente sbarcare dalle sue galee 100 armigeri sull’isola di Léucade (nelle Ionie) per sostenere il feudatario locale (Graziano Zorzi) nella fallita repressione di una ribellione. Cessato dal comando prima del dicembre del 1357, per decisione del Senato (settembre 1359) fu posto sotto inchiesta dall’avogaria di Comun e condannato a un’ammenda di 100 lire. Contro il comportamento di Soranzo in quanto capitano del golfo protestò presso il doge Giovanni Dolfin anche Androin de la Roche, abate di Cluny, legato pontificio e vicario papale in Italia: ausu sacrilego Soranzo avrebbe sottratto beni e animali al vescovo di Nona in Dalmazia.
La sua carriera nondimeno proseguì: tra il 1358 e il 1360 fu savio agli Ordini e fece parte di altre commissioni competenti su porto e navigazione, e dall’agosto del 1359 si occupò anche di questioni riguardanti le entrate e le uscite del Comune. Alternando come in precedenza incarichi in Terraferma, il 26 dicembre 1359 con Luca Lion e Orso Gradenigo si recò a Verona a salutare solennemente i fratelli Cansignorio e Paolo Alboino della Scala (che avevano avvicendato Cangrande II al governo della città); nel 1360 fu podestà a Conegliano. Nell’occasione, fu autorizzato dal Senato a una licenza di quindici giorni per accorrere a Venezia al capezzale della moglie e di due figli malati, lasciando il castello in custodia al fratello Iacobello.
È incerto invece se nel novembre del 1359, e poi ancora nel marzo del 1362 sia stato uno dei capi del Consiglio dei dieci; in quell’anno fu però certamente a Treviso come capitano, insieme con il podestà Andrea Zane. Ritornò presto, tuttavia, a dedicarsi alle questioni mediterranee: nel luglio del 1363, quando fu tra i cinque Savi deputati a valutare le scelte più opportune per contenere, con Giovanni V Paleologo e con la Repubblica genovese, la sempre più pressante minaccia ottomana sui Dardanelli e, soprattutto nei mesi successivi, quando ebbe a occuparsi della rivolta di san Tito, scoppiata per ragioni fiscali, che vide fianco a fianco, nell’isola di Creta, gruppi ribelli locali, aristocrazia greca e nobiltà veneto-cretese.
Contestualmente ai tentativi di gestione diplomatica della sollevazione da parte di un qualificato gruppo di «ambaxiatores et provisores solemnes ad partes Crete» (Archivio di Stato di Venezia, Collegio, Secreti, reg. 2, c. 23v), il 12 settembre 1363, con Andrea Zen e Marco Morosini, Soranzo fu eletto sopracomito, cioè comandante di una delle tre galee armate a Venezia, che insieme a una di Chioggia e a una di Capodistria si sarebbero dovute portare agli ordini del capitano generale Domenico Michiel (che egli avrebbe dovuto sostituire in caso di assenza o di impedimento).
L’identificazione sembra certa, anche se il genealogista Barbaro attribuisce la missione a Candia a un diverso Piero (o Paulo) Soranzo di Nicolò da Santa Ternita, che dice nato nel 1336. Con l’appellativo di «capitaneus Culfi», Soranzo era già in mare il 1° ottobre 1363 e raggiunse Creta con le cinque navi. Gli ordini del Senato prevedevano che Michiel vagliasse ogni possibilità di accordo con i ribelli (anche con esborso di denaro), e che in ogni caso prendesse decisioni collegialmente, insieme con Soranzo e con gli altri sopracomiti Andrea Zen, Giovanni Priuli e Marco Morosini, costituiti dal doge Lorenzo Celsi «sindicos, actores et procuratores legitimos» (ibid., c 39r) per ogni trattativa. Ma la missione pacificatrice fallì e il compito di domare l’insurrezione con la forza (portato a termine nella primavera del 1364) fu allora lasciato alla flotta di Michiel e alle truppe di Luchino Dal Verme. L’annuncio della vittoria fu recato a Venezia proprio da Soranzo: Francesco Petrarca fu testimone, il 4 giugno, dell’ingresso in porto della sua galea ornata a festa.
Uno sgradevole corollario dell’impegno a Creta fu per Soranzo il coinvolgimento nel processo apertosi nell’agosto del 1364 contro uno dei comandanti veneziani, Nicolò Falier, messo sotto accusa per le gravissime violenze inferte al sopracomito Tommaso Barbarigo, che aveva imprigionato in condizioni inumane e al quale aveva poi fatto cavare gli occhi, per probabili motivi di contesa familiare e personale.
Nel 1365 Soranzo fu forse (l’identificazione non è certa) fra i 30 elettori dogali chiamati a scegliere il successore di Lorenzo Celsi (che fu Marco Corner); ma fu presto impegnato in un’altra delicata missione diplomatica nel Mediterraneo.
Dopo l’attacco militare di Pietro I di Lusignano re di Cipro, che nell’ottobre del 1365 era sbarcato in Egitto (allora soggetto con la Siria al dominio dei Mamelucchi) con 10.000 uomini e si era impadronito di Alessandria, saccheggiandola in modo cruento, le reazioni del sultano al-Aschraf Schaban (in Occidente appellato «soldano di Babilonia») non si erano fatte attendere, con numerosi sequestri di uomini e merci che pregiudicarono soprattutto gli interessi dei mercanti di Genova e di Venezia. Lo scenario diplomatico era reso assai complesso dalla posizione molto rigida del papato, che garantiva copertura alla mossa di Lusignano e interdiceva qualsiasi iniziativa pacifica dei Paesi cristiani, chiedendo anzi agli stessi di prestare sostegno all’azione crociata.
Oltre a inviare una delegazione composta da tre patrizi ad Avignone, per tranquillizzare il papa, Venezia spedì in Egitto due ambasciatori: con Francesco Bembo, fu destinato Soranzo. Raggiunta Alessandria nel marzo del 1366 i legati portarono a termine con esito complessivamente positivo la missione loro assegnata, poiché ottennero che il sultano restituisse i beni requisiti e rinnovasse ai sudditi veneziani la libertà di commerciare in Egitto. In questo senso si espresse lo stesso sovrano mamelucco in un firmano successivamente spedito alla città lagunare.
Le omonimie rendono difficile l’identificazione del nostro con il Pietro Soranzo eletto nell’agosto del 1366 duca di Candia, e con l’ulteriore omonimo che il 14 febbraio 1367 ebbe l’incarico (con altri undici patrizi) di recarsi con cinque galee a Marsiglia per scortare papa Urbano V, che abbandonava la sede avignonese, e ricondurlo a Roma. Le navi salparono alla volta della costa provenzale il 18 marzo 1367, ma Pietro di Lorenzo Soranzo venne a morte il 16 marzo precedente, nella sua casa nei pressi di Sant’Angelo, avendo testato qualche giorno prima in atti del cancelliere ducale Rafaino Caresini.
Dalla documentazione conservata nell’ambito della commissaria (l’esecuzione testamentaria allora istituita per l’amministrazione dei suoi beni e affidata alla gestione dei procuratori di S. Marco) è possibile ricavare abbondanti informazioni sulle attività mercantili esercitate per tutta la vita in parallelo alle funzioni politiche da Soranzo, da solo o in società con altri, avvalendosi anche di navigli dei quali era armatore. Commerciò in zucchero, noce moscata, chiodi di garofano, che gli giungevano, con cera, miele e perle, da Cipro e dalla Siria, ma anche in metalli estratti dalle miniere austriache, come stagno, rame e ferro, dei quali stoccava una certa quantità nei suoi magazzini. Trattava anche l’oro e le pelli, provenienti dalla zona del Mar Nero, nonché la seta, che esportava verso i territori tedeschi e Bruges nelle Fiandre, dove si appoggiava a vari corrispondenti. Limitate invece le sue proprietà immobiliari, in Venezia e fuori.
Dalla stessa fonte si recuperano pure notizie sulla vita familiare di Soranzo, coniugato in prime nozze con Suordamor da Canal, che gli diede due figlie femmine e Zanino («Giovanni dal Baston» in Capellari) prima di lasciarlo vedovo; in seguito si risposò con Elena Grimani, che gli sopravvisse, dalla quale ebbe altri cinque figli, due dei quali morti fanciulli.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, reg. 3642, c. 83v; Collegio, Secreti, reg. 2, cc. 20r, 23v, 27r, 27v, 28r, 31v, 34r, 35v, 36r, 39r, 97v, 182r, 182v; Commemoriali, reg. 5, c. 102, reg. 6, cc. 77-80, reg. 7, c. 62 (ed. I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, tomo II, Venezia 1878, p. 263 n. 235, p. 306 n. 160, tomo III, 1883, p. 45 n. 251, p. 47 n. 267, p. 48 n. 268, n. 273, p. 55 n. 319); Inventario n. 394 (Procuratori di San Marco, Misti, Commissarie), t. VII, p. 1380; Maggior Consiglio, reg. 19, Novella, c. 110v; Misc. codd., I, St. veneta, 23: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, pp. 23, 37, 59, 65; Procuratori di San Marco, Misti, b. 73; Segretario alle voci, Misti, reg. 1, c. 59v, reg. 2, cc. 21r, 28r; Senato, Deliberazioni, Misti, reg. 17, c. 95r (ed. Venezia-Senato. Deliberazioni miste. Registre XVII, a cura di F.X. Leduc, Venezia 2007), reg. 22, c. 24v (Registro XXII, a cura di E. Demo, Venezia 2016), reg. 27, cc. 10v, 27v, reg. 28, cc. 6r, 12r, 14r, 19v, 22v, 36r, 79r (Registro XXVIII, a cura di E. Orlando, Venezia 2007), reg. 29, cc. 20r, 25v, 36r, 62r, 95v (Registro XXIX, a cura di L. Levantino, Venezia 2012), reg. 31, cc. 30v, 41v (Registro XXXI, a cura di L. Levantino, Venezia 2016); Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Cod. It. VII, 18: G.A. Capellari Vivaro, Campidoglio veneto, IV, cc. 91v, 94r; Biblioteca del civico Museo Correr, Codici Cicogna 3466/II; Histoire de l’ile de Chypre sous le règne de princes de la maison de Lusignan, a cura di M.L. de Mas Latrie, III, Paris 1855, p. 753; Monumenta spectantia Slavorum meridionalium, IV, Zagreb 1874, pp. 2, 38; Diplomatarium veneto-levantinum sive acta et diplomata res venetas graecas atque levantis illustrantia a. 1351-1454, pars II, Venetiis 1899, pp. 111 n. 66, 113 n. 68; Regesti di documenti dell’Archivio di Stato in Venezia riguardanti l’Istria: Lettere segrete di Collegio (1308-1627), parte I, in Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, XLV (1933), pp. 105-160 (in partic. p. 123); Consiglio dei dieci. Deliberazioni miste. Registro V (1348-1363), a cura di F. Zago, Venezia 1993, pp. 238, 285; F. Petrarca, Seniles, IV, 3: Ad Petrum Bononiensem rethorem, de victoria Venetorum sacrisque et ludis ob eam actis, in Id., Le Senili, 1 (Libri I-VI), testo critico di E. Nota, traduzione a cura di U. Dotti, Torino 2004, p. 470; The rulers of Venice, 1332-1524, Database compiled and edited by B.G. Kohl - A. Mozzato - M. O’Connell, 2004-2018.
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