TAMBURINI, Pietro
Sacerdote, capo e maestro del giansenismo italiano. Nacque a Brescia il 1° gennaio 1737, morì a Pavia il 14 marzo 1827. Ivi iniziò e compì i suoi studî: di filosofia presso i filippini, di teologia presso i domenicani; suo maggior maestro fu il teatino bresciano G. B. Scarella, lettore di filosofia nel seminario della città nativa e avversario dell'aristotelismo, difeso dai gesuiti. Prese gli ordini sacri e a 23 anni fu chiamato dal suo vescovo, Giovanni Molino, a insegnare filosofia, più tardi teologia, nel seminario, dove rimase 12 anni.
Il T., in un ambiente come quello bresciano, non nuovo alle polemiche intorno alla questione della grazia, prese posizione nell'agostinismo con l'opuscolo De summa catholicae de gratia Christi doctrinae praestantia (Brescia 1771) contro il quale i gesuiti insorsero accusando di eresia il T. che dovette lasciare il seminario. Chiamato a Roma da Clemente XIV per interessamento del bresciano cardinal Marefoschi (1771), il T. ebbe la reggenza del Collegio irlandese. Il T. rimase a Roma circa 6 anni e contrasse l'amicizia di molti religiosi, legati alla "buona dottrina", e fra essi, Fabio de' Vecchi, Pietro Foggini, Giovanni Bottarri, Giovanni Amaduzzi, tutti immersi nella lotta lojolitica.
Dalle prime censure si difese negli anni del soggiorno romano riaffermando i concetti già svolti con i due volumi Osservazioni di un teologo ad un conte (Firenze 1776). Ripete che senza la grazia nulla può farsi di buono, che nessuna opera è buona se non riferita a Dio, e già insinua l'idea che il giansenismo esista solo, come inteso dai nemici, nella fantasia di questi medesimi. Grande fu la sua operosità, rivolta a promuovere l'epuramento del culto e della disciplina col richiamare la Chiesa alla vita più semplice dei suoi primi tempi.
Con la morte di Clemente XIV, Roma non era più buona mediatrice d'idee nuove. Pio VI era ostile a ogni tentativo di riforma, e non gradiva l'opera dell'intrepido bresciano, che si dispose per ciò ad abbandonare la Santa Sede. Accettò l'offerta del conte di Firmian, che, a nome di Maria Teresa (28 novembre 1778), lo invitò ad occupare la cattedra di teologia morale nell'ateneo pavese. La scelta fatta dal Firmian era un indice dei suoi propositi: dare un sostegno dottrinale alla politica anticurialista di Vienna. Il T. si propose di giovarsi della sua scuola per allevare nel clero lombardo un forte nucleo di giovani teologi, che fossero la propria milizia fedele, operante in ogni stato della penisola e nei centri principali di cultura. Giuseppe II, impegnato nella lotta contro Roma e contro i privilegi ecclesiastici, accordò il proprio favore al Bresciano per una perfetta unità di azione e di pensiero non solo fra Vienna e la Lombardia, ma fra quest'ultima e la Toscana dove suo fratello, il granduca Leopoldo, era coadiuvato dal vescovo Scipione de' Ricci. E il T. divenne il tratto di collegamento spirituale fra Pavia e Pistoia, Pavia e Vienna. Giuseppe II trasferì a Pavia il Collegio germanico-ungarico e vi nominò il T. prefetto degli studî. E per assicurarsi uniformità di educazione nel clero, ispirata alle dottrine teologiche dell'università pavese, legò a questa, per gli studî e per gli esami, il seminario generale, che dal 1784 prese a sostituire il seminario diocesano: così il programma del T. ebbe organi ufficiali di attuazione e mezzi possenti di cultura e di diffusione. Per 18 anni egli fu lettore nell'ateneo pavese.
Ricordiamo di questo periodo, oltre alle Analisi, l'Etica cristiana, le Lettere di un teologo piacentino, la Vera idea della S. Sede, le Prelezioni, la Risposta di fra Tiburzio ai dubbi proposti alla facoltà teologica di Pavia; ed è attribuito al T. anche il Trattato della tolleranza, uscito nel 1783 sotto il nome del Conte di Trautmansdorf.
Nel 1786, invitato dal vescovo Ricci, per volere del granduca Leopoldo, fu l'anima del sinodo di Pistoia. Richiesto dal governo veneto, allorché pareva dovesse revocare le leggi del 1767 sulle manimorte per quietare il Vaticano, il T. vi andò e rinfrancò la repubblica nella sua politica anticurialista. Inaspritesi le relazioni di Giuseppe II col Vaticano, la cattedra del T. ebbe un carattere più spiccatamente politico e fu volta a difendere i diritti della potestà laica nelle cose ecclesiastiche di natura civile e a somministrare la vera idea della Chiesa e del suo governo spirituale. Questo nuovo compito gli suscitò contro invettive, libelli e satire. Nel 1792 Francesco II, prevalendo a Vienna lo sgomento della rivoluzione, si lasciò indurre dalle istanze del pontefice a mettere in pensione il T.
Nelle Lettere teologico-politiche pubblicate a Lugano e ristampate a Pavia (1794) difese il principato contro i nuovi principî della sovranità popolare di origine contrattuale; ma non fu creduto in buona fede e i gesuiti lo smentirono con le sue stesse pagine contraddittorie.
Il T. rimase in opinione di giacobino; e, realmente, fraternizzò con i Francesi e con i democratici del triennio cisalpino. Con lettera 1° glaciale dell'anno V, fu richiamato all'università a insegnare filosofia morale, diritto naturale e pubblico: cattedra che perdette e riebbe con varia vicenda. Fu poi consultore presso il Ministero del culto del regno d'Italia. Giubilato il 4 aprile 1818, rimase tuttavia professore emerito e stabilmente direttore della facoltà politico-legale.
Egli appartiene a quella schiera di giansenisti che, in Italia, furono propugnatorri di regimi democratici dopo di avere cooperato con i principi illuminati a fortificare lo stato mediante l'abolizione dei privilegi ecclesiastici. Innestò il liberalismo parlamentare sulla costituzione della Chiesa e condannò la centralità teocratica di Roma e il potere temporale. Tentò di conciliare la repubblica col Vangelo e la filosofia con la religione; il suo giansenismo ebbe un contenuto non meno politico che morale.
Bibl.: Zuradelli, Elogio funebre di P. T., Pavia 1827; Memorie e docum. per la storia d. Univ. di Pavia, Pavia 1878; E. Rota, P. T. di Brescia, teologo piacentino, in Boll. Soc. pavese di storia patria, settembre-dicembre 1912; A. Jemolo, Il Giansenismo in Italia, Bari 1928.