TEULIÉ, Pietro
– Nacque a Milano il 3 febbraio 1769 da Filippo Giovanni, impiegato nell’amministrazione finanziaria, e da Teresa Crippa.
La famiglia, probabilmente originaria della Linguadoca, non era agiata, e Pietro incontrò più di una difficoltà a completare gli studi di giurisprudenza all’Università di Pavia. Neppure la laurea, ottenuta nel 1788, lo sottrasse alle ristrettezze economiche, perché negli anni successivi, dopo il praticantato, non andò oltre il patrocinio di alcune cause minori, senza differenziarsi dai molti laureati in legge che a Milano conducevano vita stentata. Anche per questo motivo il mondo dell’avvocatura fu in prima fila tra quanti plaudirono, nel 1796, all’arrivo a Milano di Napoleone Bonaparte. Il governo dei francesi moltiplicò gli incarichi e le possibilità di impiego e dischiuse nuove opportunità di promozione sociale e professionale tra i laureati: molti passarono nei ranghi della nuova amministrazione, ma altri – come Teulié – trovarono la loro occasione nel mestiere delle armi.
Arruolatosi nelle file della Guardia civica, venne subito promosso aiutante del nuovo comandante Gian Galeazzo Serbelloni e si adoperò per trasformarla, sempre sul modello francese, in un corpo militare dal profilo politico segnatamente patriottico. Non sembra che Teulié avesse successo, perché lasciò presto l’incarico per arruolarsi nella Legione lombarda, chiamata a coadiuvare le operazioni militari francesi. Tra la fine del 1796 e i primi mesi dell’anno successivo, ottenuto il grado di aiutante generale, partecipò alla seconda parte della campagna d’Italia di Bonaparte. Nel febbraio del 1797 partecipò alla guerra contro i pontifici, dove contribuì alla presa del forte di San Leo, per poi portarsi, dopo l’armistizio di Tolentino, nel Bresciano e prender parte, in aprile, alla repressione delle Pasque veronesi.
Il trattato di Campoformio distolse momentaneamente Teulié dalle operazioni militari. A Milano partecipò alla vita politica della neonata Repubblica Cisalpina e si schierò tra quanti reclamavano maggiore autonomia dai francesi e il suo allargamento all’intera penisola. Per questo motivo si oppose alla riforma costituzionale della Cisalpina imposta dal governo francese e nell’estate del 1798 fu tra i firmatari di una petizione di protesta. Assieme al generale Giuseppe La Hoz, decise poi di recarsi a Parigi per perorare la causa cisalpina, ma il tentativo andò a vuoto. Quando, in agosto, l’ambasciatore francese a Milano Claude-Joseph Trouvé impose alcune modifiche costituzionali ed epurò i Consigli, sembra che Teulié si accostasse, sempre assieme a La Hoz, alla setta dei Raggi, che si prefiggeva l’unificazione della penisola e l’indipendenza italiana per la via di una congiura militare.
Di lì a breve la parola tornò però alle armi: nella primavera del 1799 l’Austria scese in forze in Italia e Teulié prese parte alla sfortunata campagna che portò al tracollo della Repubblica Cisalpina. Perso il cavallo nella sconfitta di Legnago, che aprì agli austro-russi le porte della Lombardia, Teulié si portò prima a Bologna e poi in Romagna, dove si mise sotto il comando di La Hoz nella lotta agli insorgenti. Qui fu testimone del voltafaccia dell’amico e compagno d’arme, che tentò la via dell’indipendenza italiana ponendosi addirittura a capo dei ribelli: benché circolasse presto voce che fosse stato in qualche modo coinvolto nel progetto, Teulié uscì indenne dalle accuse, perché, abbandonato La Hoz al suo destino (morì per mano di un soldato cisalpino nel settembre del 1799, mentre guidava gli insorti sotto le mura di Ancona), raggiunse Perugia e poi fu nel Lazio alla difesa della Repubblica Romana assediata dagli insorgenti. Pur riportando qualche successo, alla fine dell’estate del 1799, tutto era però perduto e Teulié si imbarcò per la Francia. Giunto a Parigi, dove erano molti italiani esuli, partecipò alla costituzione della Legione italica, e venne designato da Bonaparte, appena divenuto primo console, aiutante generale del comandante Giuseppe Lechi. In quelle vesti partecipò alla seconda campagna d’Italia di Bonaparte, che nella primavera del 1800 vide la Legione sconfiggere gli austriaci a Varallo e da lì – passando per Arona, Varese, Como e Lecco – giungere a Brescia. Promosso generale di brigata nel mese di luglio, Teulié proseguì le operazioni militari fino a Trento e Bassano, prima che agli inizi del 1801 l’armistizio di Treviso ne interrompesse la marcia.
Le ottime prove di valore militare e il pronunciato patriottismo valsero a Teulié la nomina, il 23 aprile, a ministro della Guerra della restaurata Repubblica Cisalpina. In quel ruolo molto si adoperò per riorganizzare la truppa, introducendo provvedimenti che dessero continuità di soldo e fierezza del mestiere ai soldati e al tempo stesso prevedendo una coscrizione obbligatoria che riducesse la tutela francese e liberasse la Repubblica dagli oneri finanziari del mantenimento di truppe straniere sul territorio. Il progetto venne però sviluppato dai suoi successori, perché sin dal 28 luglio, dopo soli tre mesi di governo, Teulié rassegnò le dimissioni: sembra che la mossa fosse una protesta contro la corruzione – che specie nelle forniture militari dominava la vita pubblica cisalpina – e che egli si attendesse di esser presto richiamato alla guida del dicastero. Invece, sul finire dell’anno, i comizi di Lione – che portarono alla nascita della Repubblica Italiana – segnarono una battuta di arresto delle sue fortune politiche. Il nuovo esecutivo, guidato da Francesco Melzi d’Eril, pur riprendendo il progetto della coscrizione obbligatoria, gli preferì come ministro Alessandro Trivulzio e a Teulié venne conferita – ormai nell’autunno del 1802 – solo la direzione della divisione del personale. Lo danneggiarono le sue idee politiche unitarie e patriottiche, ritenute passibili di gran sospetto in una Repubblica che guardava ormai con diffidenza a ogni estremismo politico. Per questo motivo, di lì a qualche tempo, nel marzo del 1803, Teulié rimase coinvolto nella scoperta di una presunta congiura antifrancese, ordita in seno all’esercito cisalpino dal capitano Giulio Ceroni. L’occasione venne subito utilizzata dai francesi per decapitare il ‘partito patriottico’ e nel marzo del 1803 Teulié, che ne era reputato il capofila, venne arrestato e prontamente degradato. La sua detenzione e le sue pubbliche disgrazie non durarono però a lungo, perché la ripresa delle ostilità con la Gran Bretagna suggerì a Bonaparte di tornare ad avvalersi delle sue qualità militari. Liberato e reintegrato nell’ottobre del 1803, Teulié, alla guida della divisione italiana, venne però subito trasferito a Parigi, da dove, agli inizi del 1804, mosse verso Calais, nel quadro della preparazione di una spedizione oltremanica cui il contingente italiano avrebbe dovuto prender parte. Nell’attesa di una manovra che mai ebbe luogo, Teulié, tenuto di proposito lontano da Milano, trovò però il modo di dimostrare la propria lealtà, perché il 2 dicembre 1804 si recò a Notre Dame per assistere all’incoronazione di Bonaparte imperatore dei francesi. Nel marzo del 1805 fu uno dei componenti della delegazione giunta a Parigi per offrire a Napoleone anche il titolo di re d’Italia e nel mese di maggio presenziò all’incoronazione nel duomo di Milano.
Di ritorno a Calais, venne promosso generale di divisione e si recò poi con il contingente italiano a Boulogne. All’apice di una carriera che lo aveva visto superare non pochi dubbi e altrettante illazioni sulle sue idee politiche, nel maggio del 1806, Teulié venne cooptato nell’Ordine della corona ferrea. A novembre ricevette il comando di trasferirsi in Prussia nel quadro delle operazioni militari contro la quarta coalizione antinapoleonica. Qui, nel marzo del 1807, pose l’assedio alla fortezza di Kolberg, ma tre mesi dopo venne colpito da una granata che, alla fine di sei giorni di agonia, lo portò alla morte per tetano il 18 giugno 1807.
Il suo corpo, imbalsamato, venne trasferito a Milano e sepolto nell’orfanotrofio militare che aveva chiesto di istituire durante la sua breve permanenza alla guida del ministero della Guerra. La giovane nazione italiana aveva troppo presto perduto il suo soldato dal più pronunciato profilo patriottico, colui che mai rinunciò all’idea che «senz’Armata non v’ha Patria, Governo o Stato» (P. Conte, Cesare Paribelli. Un giacobino d’Italia (1763-1847), Milano 2013, p. 340).
Fonti e Bibl.: Parigi, Archives nationales, série AF/III, cart. 197; série F/19, cart. 1911; Service historique de l’Armée de terre, série 16/Yd, cart. 340; Bibliothèque nationale de France, Manuscrits italiens, cart. 1564, ff. 128-201; Archivio di Stato di Milano, Autografi, Militare, b. 210; Ministero della Guerra, Registro matricole ufficiali, b. 1; Uffici e tribunali regi, parte antica, b. 511. Inoltre: A.G. M. [G. Marocco], Elogio funebre di P. T., generale divisionario e commendatore dell’Ordine della Corona di Ferro, Milano 1807; [U. Foscolo], Elogio funebre di P. T., generale divisionario e commendatore dell’Ordine della Corona di Ferro dedicato al Ministro della Guerra da A.G. M., in Giornale della Società d’incoraggiamento delle scienze e delle arti, I (1808), pp. 64-73; A.G. M. [G. Marocco], Risposta dell’A.G. M. all’analisi critica dell’elogio funebre del generale T. di U. F., Milano 1808; G. Jacopetti, Biografie di Achille Fontanelli, di Francesco Teodoro Arese e di P. T., Milano 1845, pp. 69-107; A. Monti, Un tipico eroe italiano: il generale P. T., in Id., Figure e caratteri del Risorgimento, Torino 1939, pp. 8-15; F. Della Peruta, Esercito e società nell’Italia napoleonica. Dalla Cisalpina al Regno, Milano 1988, ad ind.; M.L. Betri, «Tu scrivi come un angelo italiano». Il generale P. T. e l’affaire Ceroni, in Ordine militare e cospirazione politica nella Milano di Bonaparte, a cura di S. Levati, Milano 2005, pp. 219-253; Ead., Dall’avvocatura alle armi. P. T. nel triennio repubblicano, in Archivio storico italiano, 2008, n. 166, pp. 673-701.