TOSINI, Pietro (Pietro Maria)
– Nato a Bologna nel corso del decennio 1660-70, molto scarse sono le notizie biografiche che lo riguardano. Studiò teologia a Bologna, assumendo lo stato ecclesiastico e la condizione di abate, come risulta dai titoli delle sue opere. Risulterebbe a Roma tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento.
Tra il 1708 e il 1710 fu sicuramente a Genova, in Sardegna, in Spagna e di nuovo a Genova. Più incerto il suo successivo soggiorno in Francia, in un periodo che resta oscuro, tra il 1710 e il 1712. Nell’aprile del 1713 lo incontriamo a Utrecht nell’entourage dell’abate, poi cardinale, Domenico Passionei, inviato già dal 1708 come osservatore pontificio (non ambasciatore, in quanto la S. Sede era potenza neutrale) per le trattative del congresso che intendeva concludere la guerra di successione spagnola. Ignoriamo le ragioni dei suoi rapporti con Passionei: se lo abbia incontrato a Roma negli anni precedenti o in altre occasioni. È certo però che Tosini sviluppò in questi anni, dopo la partenza di Passionei da Utrecht nello stesso 1713, a conclusione della pace, forse con un ruolo non preciso di agente, in Olanda, per conto della Curia romana, un’esperienza politica europea, movendosi non di rado autonomamente nel contesto di una diplomazia ‘parallela’ a quella ufficiale, favorito anche da una certa spregiudicatezza e da reti personali di informazione.
Tra l’estate del 1714 e la primavera del 1715 era a Bruxelles, dove incontrò l’internunzio Vincenzo Santini, probabilmente per conto della Curia romana. Tornato in Olanda, dopo un soggiorno all’Aja e ad Amsterdam compì un itinerario in terra tedesca, a Colonia e a Bonn, per ragioni che ci restano sconosciute. Ancora di lì a poco di nuovo nei Paesi Bassi, vi pubblicò i due scritti che portano il suo nome: nel 1717 la Storia e sentimento sopra il giansenismo e nel 1718 La libertà dell’Italia illustrata a suoi prencipi e popoli. Tranne un breve riferimento per il 1724, mancano del tutto, per gli anni successivi, notizie su di lui.
Tosini sarebbe morto tra il 1730 e il 1735.
Al di là della frammentarietà dei dati biografici, Tosini merita un posto di un qualche rilievo per i suoi scritti, soprattutto per la fama postuma che accompagnò nell’Ottocento e Novecento italiano, postrisorgimentale e nazionalista, sul piano politico e storiografico, la sua opera più nota, La libertà dell’Italia, con la quale la sua figura si presenta, se non esemplare, certamente significativa nel contesto della cultura e della realtà politico-religiosa del Settecento europeo. A essa Tosini partecipò in vario modo, pur nella sua qualità di diplomatico di secondo rango, respirando indubbiamente un’aria più libera nella centralità dell’osservatorio di Utrecht, ma esprimendo, riguardo ai grandi momenti della politica europea contemporanea, una posizione che, se appare volenterosa sul piano di alcuni importanti problemi allora dibattuti, resta legata in sostanza a una visione politico-ecclesiastica delle relazioni internazionali.
Il primo scritto di Tosini è la Storia e sentimento sopra il giansenismo nelle presenti circostanze della Chiesa, alla Santità di N.S. papa Clemente XI, Concordia [Amsterdam] 1717, in tre tomi, che rappresenta, se non la prima, una delle prime opere organiche, in italiano, sul movimento allora riacutizzatosi. Non conosciamo, nei suoi termini esatti, la genesi degli orientamenti di Tosini nei confronti del giansenismo: se essi maturarono attraverso i rapporti con Passionei, antigesuita e filogiansenista, o più in generale attraverso i contatti con l’ambiente politico-religioso dei Paesi Bassi, dove Tosini allacciò consistenti legami. Se è probabile che la dedica dell’opera al pontefice sia riferibile a una captatio benevolentiae nei confronti della Curia romana per le proposte pacificatrici contenute nello scritto, è certo che esso ebbe di mira inizialmente la situazione politico-religiosa dei Paesi Bassi e in particolare nell’ambito del giansenismo olandese, quella Chiesa di Utrecht configuratasi presto, intorno al 1708-09, in opposizione alla politica papale e alle pressioni della ‘missione’ gesuita di Olanda, come una Chiesa ‘giansenista’ ritenuta scismatica da Roma per i suoi caratteri disciplinari e per l’autonomia della sua gerarchia episcopale dagli interventi curiali. Ne è conferma un gruppo di ventidue lettere di Tosini, indirizzate tra il 1714 e il 1718 a Joan Christian Van Erkel, canonico di Utrecht e rettore del beghinaggio di Delft, alcune pubblicate parzialmente a suo tempo (Recueil..., 1763, I, pp. 383-392), altre più recentemente riassunte e parafrasate dagli originali esistenti nell’Algemeen Ryksarchiv di Utrecht (Belvederi, 1954, pp. 164-166). Quali che siano stati i rapporti di Tosini con Van Erkel per questa iniziativa a favore della Chiesa di Utrecht, in effetti fu quest’ultimo a preoccuparsi per la diffusione delle copie dell’opera in suo possesso, alcune delle quali furono inviate, a sua volta, da Tosini a Roma nel 1718, ai cardinali Giuseppe Sacripanti e Carlo Agostino Fabroni, l’uno autorevole punto di riferimento di Tosini, come lo stesso dichiara, l’altro invece chiuso esponente curiale della più dura opposizione al giansenismo: con l’evidente intento di influire attraverso due figure diverse sulle discussioni romane all’indomani dell’emanazione della bolla Unigenitus (1713), che aveva condannato nuovamente il movimento, colpendo le Réflexions morales dell’oratoriano francese Pasquier Quesnel.
Se le lettere di Tosini a Van Erkel esprimono, perciò, inizialmente una situazione pregressa, riferendosi all’opportunità della sottoscrizione del cosiddetto Formulario alessandrino (1665), imposto da Alessandro VII alla Chiesa di Francia dopo la condanna dell’Augustinus di Cornelio Giansenio (1653), ma non accolto nei Paesi Bassi, il progetto di Tosini dovette, non a caso, presto articolarsi in una più ampia comprensione del fenomeno nel panorama europeo, secondo un piano politico-religioso che rivela accordi precisi anche con il giansenismo francese. Questi si desumono dall’invio da parte di Tosini di una sezione del manoscritto della Storia e sentimento in corso di stampa, con una lettera del 14 gennaio 1716 al cardinale Louis-Antoine de Noailles, arcivescovo di Parigi, protettore di Quesnel, in quel momento al vertice dell’opposizione giansenista-gallicana alla Unigenitus. Nella lettera si avanzava anche la promessa del prossimo invio della parte finale dell’opera, che Tosini avrebbe desiderato vedere stampata e tradotta in francese, cosa di cui non abbiamo conferma, mentre sappiamo di trattative, agli inizi del 1718, per una seconda edizione olandese (Caracciolo, 1968, p. 83).
Se riesce difficile misurare le convinzioni profonde di Tosini in riferimento al dibattito politico-religioso di quegli anni, non v’è dubbio che sulla questione del giansenismo egli fu animato da una sincera volontà di pace nella Chiesa, come risulta non solo dalla ricordata dedica al pontefice, ma dai diversi Progetti presentati al papa, nel terzo volume dello scritto, per la soluzione dei conflitti: uno dei primi tentativi, questo di Tosini, per un superamento della frattura religiosa in atto, al quale ne sarebbero seguiti altri da più parti nei decenni successivi.
Nel volume, a un Progetto per comporre il giansenismo in Francia (pp. 97-216), seguono una parte descrittiva sullo Stato presente del giansenismo in Fiandra (pp. 217-264), un Progetto per estinguere il giansenismo in Fiandra (pp. 263bis-310), la descrizione dello Stato presente del giansenismo in Olanda (pp. 311-358) e un Progetto per esterminare il giansenismo d’Olanda (pp. 359-364), attraverso i quali Tosini intendeva riflettere su un momento che riteneva di rigidezza disciplinare e di confusione politica del Papato (pp. 92-94), aprendo spazi nei confronti del giansenismo ‘nuovo’, come si era delineato dopo la Unigenitus, per un orientamento religioso e politico di più ampio respiro.
Esclusa la possibilità di un concilio generale per le tensioni in atto, accentuate oltre tutto dai settori del giansenismo francese ‘appellanti’ a un futuro concilio, Tosini suggeriva quale soluzione interlocutoria e scelta operativa immediata la convocazione di una commissione di cardinali, consultori e qualificatori dei vari Paesi cattolici, per riesaminare, in rapporto alla Tradizione, tutti i libri sino ad allora condannati da Roma, sia giansenisti (Michele Baio, Giansenio, Quesnel, sull’ultimo dei quali pronunzia un’eloquente difesa) sia gesuiti (Luis de Molina). Era, questa di Tosini, una proposta anch’essa dirompente, pur nella presa di distanza dal conciliarismo giansenista, e che sollecitava, attraverso una critica della prassi delle proibizioni di scritti sino ad allora seguita da Roma senza ascoltare gli autori, il magistero papale a riconoscere che, nel caso di scritti non ispirati, Roma potesse rivedere le proprie decisioni: una proposta illusoria, come assai difficili, se non impossibili da realizzare, erano altre proposte puntuali di pacificazione avanzate da Tosini, riguardanti le Fiandre e l’Olanda, per i complessi rapporti politico-religiosi tra Roma e le istituzioni politiche e religiose locali, stanti gli orientamenti dei nunzi inviati a Colonia e a Bruxelles, e soprattutto la visione complessiva del papato Albani al suo epilogo, irrigiditosi sul piano politico e della giurisdizione ecclesiastica. Si comprende facilmente come, sottoposta all’esame della congregazione dell’Indice sin da subito, nello scorcio del papato di Clemente XI, la Storia di Tosini sia stata condannata sotto il suo successore, Innocenzo XIII, il 15 settembre 1721.
La congregazione cardinalizia dell’Indice, in cui sedevano tra gli altri porporati i cardinali Sebastiano Antonio Tanara, Filippo Antonio Gualtieri e Fabroni, ritenne «pro prima vice», senza passare a un secondo esame, che l’opera fosse da proibire absolute «sine alia remissione», basandosi sul voto del consultore padre Giovanni Battista Fiorentini, abate generale della Congregazione riformata di S. Bernardo (foglianti). Questi giudicò in particolare censurabili i dubbi sollevati da Tosini circa le condanne romane pronunciate senza maturo esame, da quella di Giansenio a quella di Quesnel, senza che, in quest’ultimo caso, si fossero chiesti chiarimenti all’autore, come da lui sollecitati, e circa le riserve di Tosini sull’infallibilità papale.
Nonostante la condanna, l’opera sembrò presentare una sua utilità nello sviluppo del movimento giansenista almeno nel contesto italiano dei decenni successivi, se una sua edizione ampliata apparve a Venezia presso Vincenzo Radici nel 1767, nel clima di ripresa del giurisdizionalismo veneziano sulla linea sarpiana, con regolari permessi di stampa da parte del teologo Natale Dalle Laste e del pubblico revisore Tommaso Antonio Contin, che ravvisò nello scritto cose «opportunissime per aprire gli occhi di tutti alla vera cognizione delle cose» (cit. in Belvederi, 1954, p. 151, nota 69).
L’anno successivo alla stampa della Storia appariva in Olanda il secondo scritto di Tosini, La libertà dell’Italia illustrata a suoi prencipi e popoli, Amsterdam, presso li compagni Josué Steenhouwer e Germano Uytwerf, 1718, presso gli stessi stampatori della Storia, che presenta gli stessi caratteri tipografici: un’edizione seguita nello stesso anno, ancora presso gli stessi editori, da una traduzione francese, La liberté de l’Italie démontrée à ses princes et à ses peuples, traduite de l’Italien, de l’abbé Tosini de Boulogne, Amsterdam, se vend chez Steenhouwer et Uytwerf, 1718.
Al di là delle interpretazioni in chiave risorgimentale e nazionalista di cui diremo, lo scritto va più correttamente riportato, in sede di analisi storica – anche se ci mancano informazioni precise –, alle vicende della politica internazionale tra il 1717 e il 1718, legate all’inizio della guerra della Triplice alleanza (gennaio 1717), divenuta poi della Quadruplice alleanza (dicembre 1718), che le potenze europee coalizzate mossero contro il tentativo di Giulio Alberoni mirante al recupero dei territori italiani, sottratti alla Spagna e passati all’Austria dopo la Pace di Utrecht.
Nella ricostruzione storica di Tosini l’Italia viene presentata «nella sua nativa libertà», ininterrotta dai tempi dell’impero romano a quelli più recenti, pur attraverso le invasioni barbariche, la costituzione dell’Impero carolingio, la politica degli imperatori tedeschi. Soprattutto contro questi ultimi Tosini sembra trovare agganci politici più diretti, di polemica contro la politica imperiale nella penisola da Carlo V in poi, e specificamente contro le pretese rivendicazioni di una feudalità imperiale in Italia a opera di Giuseppe I, che aveva tra l’altro portato all’occupazione dei territori di Comacchio, nel 1708, ai danni della S. Sede, non ancora restituiti al pontefice, come sarebbe avvenuto più tardi, nel 1722. Un pamphlet sostanzialmente politico, questo di Tosini, che si colloca quasi alla conclusione degli scontri politico-giurisdizionalistici tra Papato e Impero, apertisi all’inizio del secolo, quando si erano confrontate duramente le posizioni storico-erudite ‘ghibelline’ di Lodovico Antonio Muratori e quelle curiali di Giusto Fontanini.
Uno scritto non privo di una sua ambiguità, nell’esaltazione della forza spirituale del Papato e della sua funzione egemone sviluppatasi, nei secoli, nei confronti delle istituzioni pubbliche e dei poteri politici della penisola, sino ad assumere i caratteri di una vera e propria supremazia tutelare. Un contenuto ‘politico’ dello scritto, dunque, rischioso in una difficile contingenza bellica internazionale e troppo sbilanciato in una direzione antiaustriaca, tanto da non sfuggire all’occhio attento dei censori romani, portando alla sua proibizione da parte della congregazione dell’Indice il 20 luglio 1722, sulla base del voto «prima vice» del consultore padre Paolo Bellomo del terz’ordine di S. Francesco, reggente del collegio dei Ss. Cosma e Damiano. Se alcune considerazioni di Bellomo appaiono secondarie nel quadro politico offerto da Tosini, anche se dovettero apparire significative per i censori romani, come alcuni riferimenti critici alla primitiva Chiesa cristiana, centrale è una nota appunto ‘politica’ posta a margine del voto, probabilmente nel corso della discussione, riguardo al concetto di libertà, espresso nello scritto, e alla rivendicazione più volte ribadita in esso di una ‘libertà’ dell’Italia nei confronti di qualsiasi principe che «imprudenter» la dominasse: un’affermazione che sembra cogliere in qualche modo un lievito antiassolutistico, ‘repubblicano’ nella concezione del tempo, e comunque la sottesa presenza di elementi libertari nell’opera, al di là delle conclamate intenzioni apologetiche e filopapali dell’autore.
Anche la storia postuma della Libertà dell’Italia ha un suo particolare interesse, anzi un interesse ben maggiore della Storia e sentimento sopra il giansenismo. L’opera sarebbe stata riciclata negli anni Trenta del Settecento, durante la guerra di successione polacca, nonostante la debolezza politica del papato di Clemente XII, nel quadro internazionale di quegli anni, in cui le potenze europee dibattevano, tra l’altro, la questione della successione medicea nel Granducato di Toscana: una debolezza politica che ironicamente Jean Rousset sottolineava nel Mercure historique et politique, stampato all’Aja nell’ottobre del 1736, riferendosi al Traité de la liberté d’Italie che Tosini «à present» veniva «régaler» all’opinione pubblica (Venturi, 1969). Ancora una nuova utilizzazione dello scritto di Tosini avvenne nel 1745, nel corso della guerra di successione austriaca, stando al piano progettato dal ministro francese René-Louis de Voyer de Paulmy marchese d’Argenson per una nuova soluzione politica, in funzione antimperiale, della questione del Granducato di Toscana, passato agli Asburgo nel 1737, dopo l’estinzione della dinastia medicea (Morandi, 1926). Questa singolare sopravvivenza della Libertà dell’Italia avrebbe consentito che la sua maggiore fortuna postuma fosse affidata alla strumentalizzazione che ne avrebbe fatto la storiografia italiana postrisorgimentale e nazionalista, tra Otto e Novecento, come si è accennato, che vide in essa un’anticipazione del progetto neoguelfo Del primato morale e civile degli italiani (1843) di Vincenzo Gioberti. Ne sono espressione più consona Giulio Natali (1917), Gustavo Balsamo-Crivelli (in Gioberti, 1925), ma soprattutto Ettore Rota nelle sue diverse ricerche, confluite poi nell’opera sulle Origini del Risorgimento (1938), dove venne riassunta la precedente bibliografia: un’interpretazione che rappresenta una pagina non trascurabile del percorso di un particolare filone della storiografia risorgimentale dall’Unità d’Italia al fascismo. È significativo, infatti, che tracce se ne ritrovino ancora nel più recente, ultimo contributo su Tosini (Belvederi, 1954), marcato per altro da forti connotazioni apologetiche cattoliche.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio della congregazione per la Dottrina della Fede, Index, Protocolli, 1721-1723, cc. 59r-60v per la condanna della Storia e sentimento sopra il giansenismo, il voto è ibid., cc. 68r-70v; c. 179rv per la condanna della Libertà dell’Italia, il voto è ibid., cc. 240r-244r. Recueil de divers témoignages de plusieurs Cardinaux, Archevêques [...] Docteurs [...] en faveur de la catholicité et de la légitimité des droits [...] de l’Eglise catholique des Provinces-Unies, I, Utrecht 1763, pp. 383-392; J.M. De Bujanda, Index librorum prohibitorum 1600-1966, Montréal-Genève 2002, p. 888.
G. Natali, L’idea del primato italiano prima di Vincenzo Gioberti, in Nuova antologia, LII, 16 luglio 1917, f. 1092, pp. 126-134; V. Gioberti, Del primato morale e civile degli Italiani, a cura di G. Balsamo-Crivelli, I, Torino 1925, p. XLI; C. Morandi, Assetto europeo e fattori internazionali nelle origini del Risorgimento, Pavia 1926, p. 29; E. Rota, Le origini del Risorgimento (1700-1800), I, Milano 1938, pp. 140-149, 153, II, pp. 735-737 (ivi, la precedente bibliografia); C. Cannarozzi, L’adesione dei giansenisti italiani alla Chiesa scismatica di Utrecht, in Archivio storico italiano, C (1942), 3-4, pp. 3-52 (in partic. pp. 7 s., 18 s., 25); R. Belvederi, L’abate T. e il suo pensiero storico-politico, in Nuove ricerche storiche sul giansenismo. Studi presentati... per il IV centenario della Pontificia Università Gregoriana,... 1953, Romae 1954, pp. 139-184; A. Caracciolo, Domenico Passionei tra Roma e la repubblica delle lettere, Roma 1968, pp. 82 s.; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, p. 11; P. Stella, Il giansenismo in Italia, I, I preludi tra Seicento e primo Settecento, Roma 2006, pp. 143-148.