Pietro Verri
Pietro Verri è la figura di maggior spicco della Scuola milanese, soprattutto in quanto primo promotore della Scuola stessa e di iniziative connesse, tra le quali spiccano la fondazione dell’Accademia dei Pugni e quella della rivista «Il Caffè». Costituisce inoltre un’importante figura di consigliere del principe e di pubblico amministratore.
Pietro Verri nacque nel Ducato di Milano il 12 dicembre 1728. Milano faceva allora parte dell’impero austriaco, a seguito degli accordi di pace del 1713 che avevano posto fine alla guerra di successione spagnola. Verri visse e lavorò a Milano per la maggior parte della sua vita e il 28 giugno 1797 vi morì; Milano era allora occupata dai francesi ed era diventata parte della neonata Repubblica cisalpina in seguito alla conquista napoleonica dell’Italia settentrionale nel 1796.
Pietro fu il primo figlio di una ben nota famiglia aristocratica milanese, i cui componenti da diverse generazioni erano impegnati nell’amministrazione pubblica come funzionari governativi. Suo padre, Gabriele (1695-1782), era in ottime relazioni con la Corte austriaca e ricoprì l’importante carica di vicario di provvisione per Milano. Nel 1749 divenne senatore dello Stato di Milano. Illustre avvocato e giureconsulto, curò la pubblicazione di un’importante raccolta di Costituzioni milanesi.
Date le condizioni familiari, a Pietro fu assicurata una buona istruzione che gli fu impartita prima presso il Collegio dei gesuiti a Monza, poi nel Collegio barnabita di S. Alessandro a Milano, successivamente nel Collegio Nazareno di Roma e nel Collegio dei nobili di Parma. Uno dei suoi insegnanti di Parma, Giambattista Roberti, strinse con lui un’amicizia che durò per tutta la vita. Completata la propria formazione generale, Pietro tornò a Milano nel 1749. Qui studiò legge con suo padre per prepararsi adeguatamente a intraprendere la tradizionale carriera di famiglia nell’amministrazione pubblica. Nel biennio 1752-53, Pietro accompagnò il padre a Varese e Vienna e fu introdotto da quest’ultimo alla Corte austriaca. Durante il suo soggiorno a Vienna, il monarca asburgico gli conferì il titolo di ciambellano.
Tuttavia, l’idea di fare carriera nella pubblica amministrazione non rappresentò per il giovane Verri l’obiettivo al quale dedicare tutte le sue energie durante il decennio 1750-1760. Ciò per almeno due ragioni. Prima di tutto, si scontrò spesso con il padre con il quale alla fine ruppe i rapporti, in quanto Gabriele aveva cercato di indurre in ogni modo quel suo figlio appassionato e colto ad abbracciare la propria concezione tradizionale della pubblica amministrazione; in secondo luogo – e questa è probabilmente la ragione più importante – egli subì il richiamo della ‘buona società’, che in quel periodo si stava imponendo a Milano e che aveva come modello Parigi. Il teatro e il salotto di Maria Vittoria Ottoboni, moglie del duca Gabrio Serbelloni (con la quale Pietro Verri ebbe una relazione di cui si parlò molto ai suoi tempi), lo distraevano dalle occupazioni più serie alle quali la tradizione di famiglia, rappresentata dal padre, lo aveva destinato. In breve, i vent’anni di Verri (dieci dei quali aveva trascorso a compiere i suoi studi) furono caratterizzati dalla rivolta nei confronti dei genitori e dall’indulgere in frivolezze da libertino milanese con pretese letterarie.
Nel 1759 Pietro sperimentò senza grande convinzione la carriera militare; ottenne il rango di ufficiale e per un certo periodo fu di stanza in Baviera, dove prestò servizio nell’esercito austriaco durante la guerra dei Sette anni (1756-1763) con il grado di capitano. Tuttavia, la vita militare, anche quella in servizio attivo in un Paese straniero, non offrì a Verri quella fuga dalla monotonia che stava cercando. Comunque gli permise di stringere una nuova importante amicizia: quella con il generale Henry Lloyd (1718 ca.-1783). Presumibilmente grazie a lui egli si avvicinò allo studio dell’economia e all’idea dell’utilità di analizzare la ‘società civile’. Le prospettive offertegli da questi nuovi settori di studio portarono il giovane Verri a comprendere quanto tempo della sua giovinezza avesse già sprecato.
Fu all’inizio del 1760 che egli decise alfine di divenire un riformatore illuminato e un filosofo sociale. Per acquisire le conoscenze necessarie, intraprese nella Biblioteca imperiale di Vienna lo studio approfondito delle opere degli autori principali dell’Illuminismo francese: Montesquieu, Voltaire, Rousseau ed Helvétius. Come si vedrà più dettagliatamente, egli iniziò allora a occuparsi delle scienze economiche. Alla fine del 1760 portò a termine il primo frutto di quegli intensi studi: il suo saggio Degli elementi del commercio, lavoro che non fu peraltro pubblicato prima del 1765.
L’evoluzione intellettuale di Pietro ricevette un ulteriore stimolo quando, nell’inverno tra il 1761 e il 1762, fondò insieme al fratello minore Alessandro un circolo intellettuale, la Società del Caffè, nota anche come Accademia dei Pugni. Altri soci del circolo furono il riformatore del sistema penale, e più tardi scrittore ed economista, Cesare Beccaria, il matematico Paolo Frisi, Alfonso Longo e Luigi Lambertenghi, autori che pure si occuparono in diverse occasioni di economia, nonché un certo numero di altre figure (tra le quali Giuseppe Colpani, Sebastiano Franci e Giambattista Biffi).
Oltre a fornire lo stimolo per Dei delitti e delle pene del Beccaria, edito nel 1764, il gruppo pubblicò una rivista nel corso degli anni 1764-66, sul modello dello «Spectator» inglese, che chiamarono semplicemente «Il Caffè». La rivista attirò l’attenzione di diversi intellettuali parigini e fu all’origine dell’invito a Parigi di Beccaria stesso e di Alessandro Verri tra il 1766 e il 1767.
Pietro Verri divenne la personalità centrale di questo fermento di idee illuministiche milanese. Gli anni 1764-1771 sono stati descritti da Nino Valeri, uno dei suoi biografi, come anni di «attività vulcanica», durante i quali scrisse e pubblicò molti dei suoi libri più importanti. È significativo il fatto che la fine di questo periodo coincise con l’anno in cui Verri pubblicò il suo scritto di economia di maggior rilievo: le Meditazioni sulla economia politica, opera che gli valse notevole apprezzamento negli ambienti in cui si andavano rapidamente sviluppando le riflessioni sull’economia negli ultimi decenni del 18° secolo.
Quel periodo di intensa attività intellettuale fu segnato anche dall’ingresso di Verri nel mondo dell’amministrazione e delle riforme economiche dello Stato milanese. Bisogna infatti inquadrare la sua attività nel contesto del movimento di riforma associato al dispotismo illuminato che caratterizzò i regni di Maria Teresa (1740-1780) e di Giuseppe II (1765-1790) d’Austria, durante i quali ricoprì numerosi incarichi fino a maturare, negli ultimi anni di vita, un distacco dall’assolutismo illuminato per sostenere la necessità di un regime costituzionale.
Il forte desiderio di Verri di diventare un vero riformatore illuminato aveva ispirato sia i suoi primi studi in campo economico sia i suoi primi scritti di economia. In linea generale, questi ultimi furono specificamente concepiti per attirare l’attenzione sulle sue nuove competenze nel settore dell’amministrazione pubblica. Così la sua analisi storica del commercio di Milano (Considerazioni sul Commercio dello Stato di Milano, 1763), concepita per dimostrare la necessità delle riforme economiche, fece sì che Verri nel gennaio 1764 entrasse a far parte di una ‘giunta’ che aveva il compito di riformare la ferma generale, cioè il sistema degli appalti a privati per la riscossione delle imposte indirette.
È inoltre pervenuto fino a noi un suo manoscritto del 1761 circa il tributo del sale a Milano, in cui egli faceva delle riflessioni su un manoscritto del conte d’Hauteville Joseph Perret. Nel suo scritto Verri illustrava la storia del tributo sul sale a Milano a partire dal Medioevo, inserendolo tra le imposte necessarie per permettere al sovrano e allo Stato di svolgere funzioni essenziali per i cittadini di quello stesso Stato. Il tributo del sale era, tuttavia, una delle principali imposte riscosse attraverso la ferma generale; per questo fu in seguito indicato da Verri come destinato all’abolizione.
Alle riunioni di quella giunta, Verri, infatti, si batté senza successo per l’abolizione degli appalti privati per la riscossione delle imposte, ragione per cui, nel settembre del 1765, gli fu assegnato un ruolo di grande responsabilità in seno alla ferma riformata e mista (deliberata nel 1764, in cui l’erario era interessato per un terzo).
Nel novembre del 1765, Verri fu invitato a entrare a far parte del Supremo consiglio di economia sotto la presidenza di Gian Rinaldo Carli. L’intensa e appassionata attività di Verri, volta a riformare il sistema milanese delle imposte indirette sia con l’abolizione del sistema di appalti a privati per la riscossione sia con altre politiche economiche liberali, lo portò sempre più in rotta con Carli. L’inimicizia, creatasi tra i due per le loro discussioni sulla tassazione in seno al Consiglio economico nazionale, ha quasi certamente ispirato i commenti critici di Carli sull’opera principale di Verri, le Meditazioni, del 1771. La frustrazione sperimentata durante la sua esperienza nel Consiglio convinse Verri sempre di più della necessità di operare riforme politiche per poter realizzare quei miglioramenti economici che egli auspicava così ardentemente. Nell’ottica di tali riforme rientra probabilmente la sua temporanea simpatia per il dispotismo illuminato, così evidente nella sezione finale (§§ 38-40) delle sue Meditazioni sulla economia politica.
Degna di nota è anche una successiva campagna di Verri per la riforma delle imposte indirette; nel 1768 egli ottenne il permesso di predisporre un piano per l’eliminazione delle regalie, i dazi su tabacco, sale e vino (paragonabili alla gabelle francese) e delle imposte più redditizie la cui riscossione veniva data in appalto ai privati. Quando Giuseppe II si recò in visita a Milano, Verri lo esortò ad appoggiare un’ulteriore riforma del sistema fiscale milanese; è possibile che fu in conseguenza di questo che l’imperatrice Maria Teresa nel 1770 prese in seria considerazione la possibilità di riscossione diretta delle regalie invece di delegare tale riscossione ai privati. Il 6 luglio 1770 un decreto imperiale abolì la ferma generale, riconoscendo un indennizzo ai suoi finanzieri-azionisti, tra cui Antonio Greppi. Si può riconoscere in questo fatto il maggior successo di Verri come riformatore del sistema fiscale sotto il dispotismo illuminato dei governanti austriaci.
Verri proseguì nella sua opera di riforma economica. Nel 1774 ottenne la rimozione di molti pedaggi e dazi doganali che aveva in precedenza criticato nei suoi scritti, e nel 1786 delineò una riforma delle tariffe; queste riforme e la sua crescente esperienza politica a poco a poco gli tolsero ogni illusione circa il contributo che l’assolutismo illuminato avrebbe potuto dare al progresso e trasformarono lentamente le sue convinzioni nella fiducia nello Stato di diritto come custode della libertà civile ed economica. Descrivere Verri come ‘il Turgot del Ducato di Milano’ sembra quindi abbastanza appropriato; le idee di Anne-Robert-Jacques Turgot e Verri sulle riforme economiche fondamentali erano molto simili, ma Verri ebbe probabilmente più successo nella sua opera concreta di riforma del suo più noto contemporaneo francese.
Si è detto che gli anni 1764-1771 furono anni di «attività vulcanica» per Pietro Verri e che la maggior parte dei suoi più importanti saggi di economia vennero scritti, anche se non sempre pubblicati, nel corso di quegli anni. I primi segni di tale interesse sono presenti nel suo saggio Degli elementi del commercio, completato nel 1760, e anche in altri saggi realizzati in concomitanza con la pubblicazione del «Caffè»: questi comprendevano alcuni tra i saggi più filosofici di Verri, ricchi comunque di riflessioni sull’economia, come, per es., le sue Meditazioni sulla felicità (1763). A tali opere seguirono altri contributi dedicati ai problemi monetari dello Stato di Milano: il Dialogo [fra Fromino e Simplicio] sul disordine delle monete nello Stato di Milano nel 1762 e la Consulta su la riforma delle monete dello Stato di Milano, entrambi del 1762. Egli inoltre realizzò dettagliati studi storici e statistici sulle attività commerciali a Milano e sulla bilancia commerciale della città relativi ad alcuni anni (1752, 1763 e 1769) e al periodo 1754-1763.
Nel 1764 pubblicò anche le Considerazioni sul lusso, con una discussione critica sul ruolo del lusso nel funzionamento di un sistema economico; nel 1768 portò a compimento un nuovo studio storico, le Memorie (storiche) sulla economia pubblica dello Stato di Milano. L’anno seguente completò un saggio sul commercio del grano, Riflessioni sulle leggi vincolanti principalmente nel Commercio de’ Grani, che tuttavia non fu pubblicato fino al 1797, anno della sua morte. Infine, nel 1771, venne pubblicata la prima edizione delle Meditazioni sulla economia politica, saggio importante di Verri su diverse questioni di teoria e di pratica economica. È l’opera alla quale egli maggiormente deve la sua fama di economista di spicco del 18° secolo.
È possibile indicare le varie fonti su cui Verri si era basato per queste pubblicazioni: un anno dopo la sua iniziazione allo studio dell’economia da parte del generale Lloyd, Verri era in grado di elencare François Véron Duverger de Forbonnais, Charles Melon, Jean-François Dutot e David Hume come i più autorevoli studiosi di economia che aveva letto. Dal lavoro del più importante di questi, ossia Hume, Verri aveva preparato estratti che sono arrivati fino a noi.
Per il suo studio sui problemi monetari a Milano del 1762, il numero degli studiosi di economia con il cui lavoro Verri aveva ormai acquisito familiarità era aumentato considerevolmente. Si erano aggiunti infatti John Locke e Isaac Newton sul tema finanziario, così come von Bielfeld, Montesquieu e gli studiosi italiani di economia Bernardo Davanzati, Geminiano Montanari, Carli, Antonio Genovesi, nonché il lavoro del suo amico Beccaria, che aveva stimolato questi studi sulla moneta.
Nel 1768, nella prefazione alle Memorie storiche Verri ampliò ulteriormente la lista degli studiosi di economia. Tra quelli elencati vi erano Gresham, studioso inglese di materia monetaria, Vauban e Savary, che si aggiungevano agli altri economisti francesi di economia, e lo spagnolo Ulloa. L’elenco degli italiani con il cui lavoro Pietro Verri aveva ormai acquisito familiarità comprendeva anche gli studiosi toscani Pagnini, Tavanti e Neri. Non menzionati nella prefazione, ma richiamati nel testo, sono gli scritti degli studiosi inglesi Bacon, Culpeper, Davenant, Law e Mandeville, sempre in traduzione francese, dato che Verri non era in grado di leggere l’inglese. Ai francesi citati si aggiungevano i nomi di Dupré de Saint-Maur, per le finanze, e Mirabeau, in materia di tassazione. Infine, nelle sue Riflessioni sulle leggi vincolanti del 1769 Verri citò Cantillon, Wallace e Boisguilbert e i saggi in inglese sul commercio di Cary, Decker e Nickolls, anch’essi in traduzione francese.
Per il commercio del grano, affrontato nelle sue Riflessioni, Verri citò praticamente ogni importante lavoro francese sull’argomento che fosse stato pubblicato tra il 1763 e il 1769, e in particolare trasse molte delle sue argomentazioni dal celebre saggio di Herbert sulla police des grains. In breve, nel momento in cui si accingeva a redigere il suo trattato più importante di economia politica, Verri conosceva quasi tutti i testi più importanti di economia che fossero stati pubblicati in una lingua a lui accessibile.
Tale conoscenza dei trattati di economia politica era stata certamente favorita dal viaggio fatto a Parigi da Beccaria e dal fratello Alessandro e da quello a Londra (del solo Alessandro), dai libri che essi portarono in Italia e dalle amicizie che avevano stretto, in particolare con Morellet. Inoltre, Verri stesso fu in grado di entrare in contatto con Forbonnais, Trudaine e Condillac in Italia ed entrò in corrispondenza con Condorcet e altri.
Un’assenza di rilievo nel resoconto di letture di economia sono le opere principali dei fisiocrati: Quesnay, Mercier de la Rivière, Le Trosne, Baudeau o Mirabeau, con l’unica eccezione della Théorie de l’impôt di quest’ultimo (1760). Tuttavia, il fatto che Verri nelle Meditazioni del 1771 si basi in maniera essenziale sul sistema economico dei fisiocrati, suggerisce che egli conoscesse molto meglio la loro teoria economica di quanto suggeriscono gli elenchi citati in precedenza.
I dialoghi tra Fromino e Simplicio che Verri aveva scritto nel 1762 (ora nel 2° vol., t. 1, 2007, della Edizione nazionale delle Opere di Pietro Verri) sono una riflessione sul disordine monetario che affliggeva lo Stato di Milano in quel periodo e su cui Beccaria aveva scritto un importante trattato (Del disordine e de’ remedi delle monete nello Stato di Milano nell’anno 1762). Inoltre, e cosa più importante, questi dialoghi esprimono osservazioni sui principi e le prassi della politica monetaria e su alcune questioni connesse con il valore del denaro e con le misure di valore più in generale. Trattano quindi di alcuni principi primi del denaro (mezzo di scambio) e delle leggi che regolano il denaro e il suo valore come enunciate da Locke e Newton, oltre che dall’enorme quantità di successiva trattatistica su questo tema prodotta in Inghilterra, in Italia e in Francia.
Il primo dialogo si conclude con una breve discussione sulla visione mercantilista di come una nazione sia in grado di attrarre denaro e metalli preziosi grazie a una bilancia commerciale favorevole. Il secondo dialogo ha luogo dopo la lettura da parte di Simplicio del trattato sulle monete di Beccaria e l’accusa mossa da Simplicio a quel testo per il mancato riferimento ad altri tipi di valute italiane, come quelle di Torino e di Venezia. Ciò offre a Fromino la possibilità di menzionare nelle sue repliche alcuni scrittori italiani che avevano trattato lo stesso tema e che avevano ugualmente commesso tale omissione, in parte utilizzando una tabella su questo argomento tratta da un saggio di Carli. Fromino istruisce anche il suo amico Simplicio sulla varietà dei tipi di misurazione del valore in questo contesto, facendo alcune semplici proposte circa la parità di valore di uguali quantità di argento nei diversi Paesi, a condizione che tali quantità siano di pari purezza. I dialoghi sottolineano anche il valore attribuito da Verri allo studio delle scienze economiche e politiche per comprendere tali problematiche.
La serie di scritti economici successivi di Verri è costituita dalle sue ricerche storiche e statistiche sul commercio di Milano. Questi studi includono le Considerazioni sul commercio dello Stato di Milano del 1763, un’indagine suddivisa in tre parti. La prima parte, composta da cinque capitoli, analizza La Grandezza e decadenza del commercio di Milano dal principio del 1400 sino al 1750. La seconda parte, anch’essa suddivisa in cinque capitoli, analizza la situazione del commercio di Milano, studiando cinque aspetti specifici delle sue manifestazioni contemporanee. Tali aspetti riguardano, nell’ordine, il carattere e l’equilibrio commerciale milanese, la natura delle leggi sul commercio e la loro regolamentazione ed esecuzione, gli orientamenti del commercio, il sistema agricolo di Milano rispetto ai suoi scambi commerciali nonché la natura della gabelle e la sua influenza sul commercio. La terza parte, relativamente breve, è dedicata a passare in rassegna i mezzi per consentire al commercio di Milano, in fase di crisi, di riprendersi. Le relative tre sottosezioni trattano, nell’ordine, della possibilità di sottoporre il commercio di Milano a una normativa, dell’illustrazione delle leggi che vengono proposte e di una discussione delle riforme che possono essere realizzate quasi immediatamente. Tra le specifiche attività commerciali da liberalizzare il più presto possibile, Verri menziona il commercio del grano, sottolineando come in questo settore sia necessaria un’urgente deregolamentazione.
Un’appendice presenta sette tabelle aggiuntive; esse forniscono informazioni sui mulini da seta che operavano nello Stato di Milano, i pesi e le misure adottati a Milano, un elenco delle merci che erano ogni anno trasportate nella città, le diverse abbazie situate nell’area milanese nel 1758, il bilancio degli specifici beni e servizi importati ed esportati a Milano, i decreti in materia monetaria emessi nello Stato di Milano nel periodo 1600-1762 e una tabella dettagliata delle arti e dei mestieri praticati a Milano con alcune delle loro caratteristiche economiche, come la quantità di capitale in possesso dei lavoratori sulla base di una stima del 1595, le tasse pagate nel 1595, il numero dei lavoratori ufficialmente iscritti nel 1750 e il capitale che essi possedevano nello stesso anno.
Uno studio di argomento ugualmente storico, ma con implicazioni statistiche molto ridotte, riguardante l’economia pubblica di Milano, fu redatto da Verri nel 1768. Si tratta delle Memorie (storiche) sulla economia pubblica dello Stato di Milano. È suddiviso in nove capitoli e completato da una serie di appendici di dati. I capitoli trattano, nell’ordine, della natura e della prosperità del commercio milanese prima del 17° sec., le cause di tale prosperità anteriore al 17° sec., il commercio milanese durante il 17° sec., la sua continuazione sotto il dominio spagnolo fino alla metà del 17° sec., come i rimedi ai mali di Milano fossero stati argomento dei dibattiti del 17° sec., la situazione in cui Milano si era trovata alla fine di quel secolo, il governo dell’‘augustissima’ Casa d’Austria fino alla metà del secolo, alcuni princìpi consolidati che ridussero l’effetto della benevolenza sovrana anche prima della metà del secolo e le conclusioni. L’ultimo capitolo sottolinea il cattivo stato in cui Milano era caduta sotto il dominio spagnolo e la lenta ripresa che stava avendo sotto il migliore governo dell’impero austriaco. Le tabelle statistiche allegate confermano queste affermazioni indicando il numero delle botteghe presenti a Milano nel 1768, il valore dei commerci individuali nel 1580 e i cambiamenti nella popolazione di Milano e dei suoi diversi distretti in alcuni anni selezionati tra il 1760 e il 1770.
Nel 1764, Verri scrisse un terzo saggio di questo tipo, sulla bilancia commerciale dello Stato milanese nel 1752. Questo progetto trovava probabilmente le radici nei suoi primi studi d’economia, nei suoi estratti dai saggi di Hume, compreso quello sulla bilancia commerciale, nonché nei suoi Elementi del commercio del 1760. Quest’opera, in particolare, fu presumibilmente influenzata dallo studio che Verri aveva appena completato di alcuni trattati inglesi, in particolare The British merchant (1721) di Charles King nella versione francese di Forbonnais (Le négotiant anglois, 1753).
Lo studio di Verri comincia con un elenco di merci il cui commercio è utile (seta, grano, lino, formaggi e burro) e un altro con le merci il cui commercio è dannoso (materiali di consumo e beni di lusso) insieme con le fonti di questo commercio in altri Stati italiani e in alcune parti del Nord Africa. Tali elementi vengono successivamente analizzati in maggiore dettaglio. Sono allegate le tabelle del bilancio del commercio dello Stato di Milano del 1752 divise per tipo di merce.
Verri produsse altre opere di questo genere negli anni successivi, oltre a diversi scritti collegati. Uno di questi è in forma di dialogo, con due personaggi (Abubeker e Rodengot) che discutono sulla confutazione della bilancia di commercio dello Stato di Milano del 4 marzo 1764, un altro è uno scritto in difesa delle valutazioni di bilancio dello stesso Verri, rivolto al lettore, come indicato nel titolo, A chi leggerà.
Tra gli altri scritti economici vi è un documento che propone una riforma degli elenchi dei beni commerciali soggetti a dazi doganali scritto intorno al 1765 in risposta a una richiesta ufficiale da parte delle autorità che proponevano una tale riforma. Proprio all’inizio di questo promemoria, Verri espone le ragioni per cui tale riforma andrebbe nell’interesse dei commercianti, insistendo, nella sua frase di apertura, sul fatto che questo tipo di riforma imprescindibile può essere realizzato bene o male. Vi erano numerosi dazi doganali imposti nel contesto del vasto commercio regionale tra i molti Stati italiani della metà del 18° secolo. La proposta di Verri dunque comprendeva l’eliminazione delle duplicazioni inutili, ovunque ciò fosse stato possibile. Questa proposta può essere vista come un ulteriore esempio del ruolo di riformatore assunto da Verri nei confronti del farraginoso sistema delle imposte indirette della Milano governata dagli austriaci.
Tra il 1765 e il 1770 Verri predispose alcuni scritti a proposito dei rifornimenti generali e dell’approvvigionamento alimentare per lo Stato di Milano. Tra di essi vi erano dei promemoria amministrativi indirizzati ai componenti del Consiglio economico di Milano (di cui Verri stesso faceva parte) e alcune lettere di singoli componenti di questo consiglio come, per es., il conte austriaco Joseph von Sperges.
Di gran lunga l’opera più importante in questo gruppo di scritti di Verri è il lungo saggio del 1769 Sulle leggi vincolanti principalmente nel Commercio de’ Grani, riflessioni adattate allo Stato di Milano in coincidenza con il tentativo di trasformare il suo sistema di approvvigionamento alimentare. Buona parte della prima sezione di questo libro è dedicata all’elaborazione dei principi del commercio, tra cui, in particolare, il commercio del grano e, quindi, in molti casi duplicati da quei principi generali elaborati in alcune parti delle sue Meditazioni sulla economia politica del 1771. La seconda parte affronta più specificatamente il sistema di riforma del commercio del grano che doveva essere adottato dallo Stato di Milano. Nel chiarire quali fossero i principi che avevano sotteso a tali riflessioni, la prima parte offre anche una dettagliata rassegna della letteratura di studi economici, in gran parte francesi, sui benefici derivanti dall’affrancamento del commercio nazionale di grano da normative e divieti regionali al fine di stimolare la produzione di grano e, quindi, garantire approvvigionamenti soddisfacenti alla numerosa popolazione urbana del milanese. Come già detto, questo lavoro per molti aspetti fu la prova generale per l’importante trattato di economia che Verri pubblicò poco più di un anno dopo.
Verso la fine del 1770, dopo il completamento del suo lavoro sul commercio del grano, Verri scriveva al fratello Alessandro (10 ottobre 1770) di avere la testa piena di buone idee di economia politica; così tante buone idee, di fatto, che questo gli creava problemi per la scelta di ciò che avrebbe potuto essere inserito in un breve libro sull’argomento. Verri affermò anche che egli era pienamente soddisfatto della qualità dei principi contenuti in queste idee. La maggior parte di esse erano state testate nel suo contributo al Consiglio economico dello Stato milanese ed erano quindi pronte per essere trasformate in principi teorici ed essere applicate in senso generale, come era stato appena fatto con l’opera del 1769 sul commercio del grano. Era questo certamente il momento più adatto per redigere un trattato di economia, sia perché Verri ambiva a farsi un nome nel mondo degli studi, sia perché i principi di questa nuova scienza avevano cominciato a venire diffusi dalla cattedra delle Scuole palatine di Milano a opera del suo primo titolare, Cesare Beccaria.
Con tale base di principi ben elaborati e di forte motivazione, non è sorprendente che Verri abbia scritto il libro in meno di un mese. Il 20 ottobre 1770 Alessandro ricevette la notizia che l’opera era stata completata. Il 7 novembre, una copia manoscritta e corretta fu recapitata ad Alessandro a Roma, e nelle seguenti tre settimane il suo contenuto fu accuratamente rivisto dai due fratelli. Aubert, editore in Livorno, aveva manifestato l’intenzione di pubblicare il libro e il manoscritto gli fu inviato il 5 dicembre.
Per la stampa bisognò aspettare alquanto tempo. Verri ricevette il frontespizio stampato e il sommario a Milano il 22 gennaio 1771 e dovettero passare tre mesi prima che egli ricevesse sessanta copie omaggio dell’opera stampata, il 20 aprile 1771. Dieci giorni prima, il 10 aprile, Alessandro Verri ne aveva ricevuto una copia stampata a Roma, dove risiedeva, mentre altre ‘prime’ copie vennero spedite a Trudaine, d’Holbach, d’Alembert, Diderot, Helvétius, Marmontel, Condorcet, Thomas, Keralio e Morellet: tutte persone che Alessandro Verri e Beccaria avevano conosciuto durante la loro visita a Parigi nel 1766. Altre copie del libro di Verri furono inviate anche a Frisi, a Lomellini, al conte Radicati, a Roberto (il suo ex insegnante di Parma), a Colpani, a Beccaria e al padre di Verri, Gabriele. Furono inoltre inviate copie agli esponenti del governo, tra cui Molinari, Firmian e Kaunitz e Verri ne inviò una copia anche al generale Lloyd.
Pietro non dovette attendere a lungo per venire a conoscenza delle reazioni e delle recensioni al suo libro. Alessandro fece una riflessione sulla variazione di stile tra la prima e la seconda parte del libro di suo fratello, intendendo come seconda parte le ultime undici sezioni delle Meditazioni sulla finanza e il fisco. Un giornale toscano, «Novelle letterarie», pubblicò la prima recensione del libro nel maggio del 1771; fu un articolo breve, ma favorevole. Una recensione molto più ampia apparve su un’altra rivista anch’essa toscana, il prestigioso «Giornale de’ letterati» (1771, nr. 4, pp. 81-109), che individuò la ‘modernità’ come caratteristica principale del lavoro di Verri. A Palermo fu pubblicata una recensione sulla rivista «Notizie de’ letterati» (gennaio 1772, nr. 3) che salutava quest’opera come un importante contributo alla nuova scienza dell’economia politica, la cui conoscenza era essenziale per garantire felicità e benessere all’umanità e alla quale erano stati offerti contributi precedenti da Hume, Melon, Cary e Genovesi. Una recensione francese sul «Journal encyclopédique» (settembre 1772, 6° vol., parte 2, pp. 314-15) dichiarò che quel contributo anonimo da parte di un savant milanese conteneva «scoperte eccellenti e profonde su ogni aspetto dell’economia politica».
Furono pubblicate anche nuove versioni delle Meditazioni. Alcune di esse furono nuove ‘edizioni’ in senso stretto, predisposte da Verri stesso. Altre presentavano note aggiunte o da amici come Frisi, o da avversari, come, per es., Carli. Nella raccolta delle opere scelte di Verri del 2007 (2° vol., pp. 395-560), si trova la ristampa del testo della sesta edizione nonché una grande quantità di materiale collegato.
Le Meditazioni del Verri sono suddivise in quaranta sezioni dalle notevoli variazioni di lunghezza. Era presente inoltre una prefazione, il cui testo fu rivisto per le edizioni successive. Il libro si apre (§ 1) con una riflessione sul baratto e le motivazioni dello scambio (dolore e piacere, bisogno e abbondanza); viene dunque presentato il denaro (§ 2) come elemento stimolatore del commercio, così come la nozione di eccedenza (differenza positiva tra riproduzione annuale delle risorse e consumo annuale), condizione necessaria per il progresso, il valore e la ricchezza (§ 3). Il valore è determinato dal bisogno e dalla rarità. Lo scambio di mercato, il monopolio e la concorrenza sono quindi introdotti in quanto principi generali dell’economia, i quali comprendono l’obiettivo dell’aumento annuale della riproduzione, nonché i mezzi per ottenere questo aumento attraverso il commercio interno ed estero (§ 5).
Verri poi suggerisce che un’equa distribuzione delle ricchezze incrementa notevolmente la riproduzione e il commercio, una verità ben conosciuta dalle nazioni antiche (§ 6). La maggior parte delle corporazioni vengono criticate in quanto monopolistiche, così come le leggi che frenano le esportazioni, mentre vengono invece evidenziati i benefici generali del libero scambio, in particolare per il commercio del grano (§ 9). Vengono quindi criticati i privilegi esclusivi nel commercio e nella produzione, prima di ribadire quali sono i diversi errori di politica economica (§§ 10, 11). Verri nega la necessità di un controllo dei prezzi e descrive il valore del denaro (§ 12), insieme con l’influenza positiva sull’industria di un aumento della quantità di denaro (§ 13).
Verri riflette successivamente sulla natura e sulla determinazione del tasso di interesse (§ 14), la possibilità e i vantaggi di abbassare detto interesse (§ 15), il sistema bancario e di credito (§ 16), la circolazione delle merci e la sua relazione con la riproduzione e il commercio annuali ( § 17), la coniazione di monete (§ 18), la bilancia commerciale (§ 19), i tassi di cambio (§ 20), la popolazione (§ 21), il miglior modello della sua distribuzione (§ 22), la possibilità di errore nella stima della popolazione di uno Stato o Paese (§ 23) e la divisione del popolo in classi. In questo contesto intende divisi in classi separate coloro che sono fornitori di prodotti (i riproduttori), i mediatori (o commercianti) e i consumatori, una divisione che esclude espressamente i dirigenti che lavorano presso il governo e in altri settori dell’economia (§ 24). Si sofferma inoltre sull’interrelazione tra queste classi nella società, per es., sul fatto che ogni produttore è anche un consumatore. Pure se il § 24 menziona il diritto di proprietà in questo contesto, per Verri esso non costituisce la base per la distinzione di classi. Il diritto di proprietà e la libertà individuale di utilizzare la proprietà sono considerate da Verri come caratteristiche essenziali di una società libera e prospera.
Il § 25 è dedicato alle colonie e alle conquiste come «sproni per l’industria», viene poi esaminato il possibile sviluppo dell’industria grazie al miglioramento delle comunicazioni (§ 26). La sezione successiva (§ 27) si occupa di agricoltura, in particolare quella che favorisce la crescita della riproduzione annua, anche se questo risultato non lo si può garantire con le leggi e con la forza, ma con la motivazione di un aumento dei profitti. Verri ribadisce in tale contesto che la crescita della riproduzione annuale dovrebbe essere un obiettivo importante della strategia politica nazionale. Nel § 28 si discute della possibilità di errore nella valutazione del progresso dell’agricoltura che, sostiene Verri, è lontana da essere giunta al massimo livello di sviluppo in tutti i Paesi d’Europa, anche i più avanzati, nonostante i bassi tassi di interesse allora riscontrabili in molti di essi.
Le ultime dodici sezioni delle Meditazioni trattano di imposte (§§ 29-36) e delle finalità di una buona politica economica, insieme con i meccanismi per garantire tale politica (§§ 37-40). Per Verri le imposte hanno una grande influenza sulla riproduzione annua, che può aumentare o diminuire, a seconda di quanto bene le imposte siano regolamentate. La tassazione viene definita come il pagamento per il ruolo che lo Stato ha nel garantire la protezione della proprietà privata ai suoi cittadini (§ 29). Si passa poi a riflettere sulla tassazione nociva, cioè una tassazione che causa il declino della riproduzione annuale. L’eccessivo carico fiscale è una forma di tassazione nociva; le imposte che ricadono su un gruppo sbagliato, come la tassazione eccessiva dei poveri, sono un’altra forma di questo tipo. Gli abusi in materia di accertamento e riscossione delle imposte possono essere un ulteriore importante difetto di un sistema fiscale, in evidente riferimento ai mali della delega a privati del sistema di riscossione delle imposte contro la quale Verri aveva combattuto così strenuamente da componente del Consiglio economico. Nel contesto dell’individuazione di un sistema di contribuzione fiscale equilibrato, Verri sostiene che le imposte sul consumo, cioè le tasse su quello che le persone consumano, sono ripartite e si proporzionano sui consumi di ciascuno in modo naturale. Per questa e altre ragioni, le imposte sui consumi sono di gran lunga superiori alla tassazione della proprietà e alla tassazione dei terreni (§ 30).
Il § 31 analizza varie forme di tassazione, a seconda se siano evidenti o occulte, obbligatorie o volontarie. Le tasse sulla lotteria sono un esempio di queste ultime. Il § 32 suggerisce che le imposte dirette vengono più efficacemente riscosse presso i proprietari, indipendentemente dal tipo di beni posseduti, che possono essere terreni, case, merci, denaro o crediti verso banche o altri istituti di finanziamento. Verri ammette, tuttavia, che una tassa sui fondi o sui crediti può essere difficile da riscuotere in termini pratici, dal momento che tali beni possono essere facilmente occultati. Nel § 33 Verri respinge la tesi dei fisiocratici secondo la quale tutte le imposte devono essere prelevate sulla proprietà terriera. Le imposte sui beni di consumo sono analizzate al § 34, comprese le imposte sulle importazioni, considerate utili per la protezione delle industrie locali, mentre sono poi elencate le caratteristiche che tali imposte dovrebbero avere per facilitarne l’accertamento e la riscossione.
Nel § 35, Verri descrive la semplificazione del sistema fiscale come un tipo di riforma particolarmente utile, illustrando questa teoria con la descrizione della realizzazione di un sistema di sole due imposte, vale a dire i dazi doganali e le imposte fondiarie. Prima di tutto, Verri suggerisce, un sistema così semplice non avrebbe mai bisogno di adottare la politica antiquata della delega a privati per la riscossione delle imposte. In secondo luogo, egli sottolinea che la relativa abbondanza di libri sul tema ha reso più facile l’acquisizione di competenze su queste materie sia da parte degli amministratori sia da parte della popolazione.
Se il prelievo fiscale sia di per sé utile o no viene discusso nel § 36. La risposta a questo quesito dipende dalla qualità del sistema fiscale esistente, la velocità di riscossione delle tasse e il loro impatto sull’industria e la riproduzione. Il § 37 analizza alcuni di questi principi, mentre nel § 38 viene espressa una dichiarazione a favore di un sistema di governo dispotico durante l’attuazione di importanti riforme per il bene della nazione.
Le ultime due sezioni (§§ 39 e 40) passano in rassegna in particolare le qualità auspicate per un ‘ministro delle finanze’ e per un ‘ministro dell’economia’. Un ministro delle finanze dev’essere competente, umile, incorruttibile, con una sincera vocazione a fare il bene del popolo e dotato di spirito di vera filantropia. Anche un ministro dell’economia ha bisogno di queste qualità, insieme con la capacità sia di distruggere sia di ricostruire, di abolire le norme inutili, di incrementare la concorrenza, di ispirare una maggiore riproduzione e di rinforzare la libertà civile attraverso una buona legislazione. Queste sezioni sono testimonianza del ruolo di Verri quale capace e illuminato riformatore del 18° sec. al servizio della monarchia austriaca.
Le sue Meditazioni sono state più volte ristampate e tradotte in varie lingue (francese, tedesco e olandese), chiaro segno del loro successo. Jean-Baptiste Say (1767-1832) sostenne che fossero il miglior trattato antecedente l’opera di Adam Smith, il quale, peraltro, possedeva nella sua biblioteca una copia del lavoro di Verri. Anche Pietro Custodi riproduce, nella sua celebre raccolta dedicata agli scrittori italiani di economia politica (Milano 1803-1815), numerose opere di Pietro Verri e ne celebra la figura in un noto saggio introduttivo.
Nel suo Literature of political economy (1845) John Ramsey McCulloch loda il libro di Verri soprattutto per la sua giusta critica dei fisiocrati, come fece anche Karl Marx nelle Theorien über den Mehrwert (composte tra il 1861 e il 1863), citando inoltre la trattazione da parte di Verri di argomenti di natura monetaria. John Kells Ingram, nella voce di economia politica nell’Encyclopaedia Britannica del 1888, cita il nome di Verri come un importante precursore del liberalismo economico mentre Joseph Alois Schumpeter, nella sua History of economic analysis (pubblicata postuma nel 1954), ne elogia l’originalità.
A Francesco Ferrara, che ristampò alcuni dei lavori di Verri sull’economia nella metà del 19° sec., può essere lasciata l’ultima parola:
Il conte Verri, se non è un classico economista, è però uno di quegli uomini che per ampiezza di sapere, per dirittura di mente, per operosità instancabile, per purezza di intenzioni starebbe allato a Sully, a Colbert, a Turgot [...] la sobrietà, l’ordine, la nitidezza delle idee, la semplicità in cui le espone, [...] gli assicurano [...] una decisa superiorità a paragone d’ogni altro fra gli economisti italiani del tempo suo (Prefazione a Trattati italiani del secolo XVIII, Biblioteca dell’economista, serie I, 3° vol., 1852, p. XIX nota 2).
L’Edizione nazionale delle Opere di Pietro Verri (a cura di C. Capra, Roma 2003-2010), di cui si sta per completare la prima serie, comprendente sei volumi (manca solo il 1° vol.), include gli scritti economici nel 2° vol. (Scritti di economia, finanza e amministrazione), tt. 2, curato da G. Bognetti, A. Moioli, P.L. Porta, G. Tonelli, Roma 2006-2007.
Il 1° tomo del volume comprende le seguenti opere:
Appendice.
Il 2° tomo comprende le seguenti opere:
Meditazioni sulla economia politica, Livorno 17726.
Appendice.
Verri fu anche autore di numerose consulte amministrative, non commentate, per ragioni di brevità, nel presente saggio, che costituiscono testi di rilievo per lo studio del suo pensiero. Dette consulte sono solo in piccola parte presenti nell’Edizione nazionale.
Si veda inoltre:
C. Beccaria, P. Verri, Tre saggi sul disordine delle monete a Milano nel Settecento (1762), introduzione di A. Quadrio Curzio, R. Scazzieri, Milano1986.
P. Groenewegen, Introduction a P. Verri, Reflections on political economy, transl. B. McGilvray in collaboration with P. Groenewegen, New York 1986.
F. Venturi, Settecento riformatore, 5° vol., t. 1, L’Italia dei lumi, Torino 1987.
Political economy and national realities, ed. M. Albertone, A. Masoero, Torino 1994.
Pietro Verri e il suo tempo, Atti del Convegno, Milano 1997, a cura di C. Capra, 2 voll., Milano 1999.
G. Panizza, B. Costa, L’archivio Verri. Parte seconda: la “Raccolta Verriana”, Milano 2000.