PIETRO
– Suddiacono e rettore del Patrimonio di S. Pietro. Non si conoscono luogo e data di nascita né origini familiari di Pietro, ma sembra probabile che egli sia nato a Roma o comunque si sia formato in ambiente romano. Le notizie su di lui derivano in massima parte dall’epistolario di Gregorio Magno, papa dal 590 al 604.
Già difensore della Chiesa romana a Ravenna, come risulta dalle Ep. VI, 24 e III, 54, venne nominato da Gregorio, all’inizio del suo pontificato, rettore del Patrimonio di S. Pietro e suo vicario in Sicilia (si vedano le Ep. I, 1, ai vescovi di Sicilia, I, 2, al pretore della Sicilia Giustino, I, 3, allo scolastico Paolo, tutte del settembre 590) e successivamente (nel 592) rettore del Patrimonio in Campania.
A lui come rettore di Sicilia sono dirette le Ep. I, 9, 18, 39, 42, 44, 54, 65, 67, 69, 70, 71; II, 50; Appendix I. Dal complesso di queste lettere si evince che Pietro fu chiamato dal papa ad affrontare molte delicate questioni, muovendosi su più fronti.
In una lettera del 16 marzo 591 (Appendix I) Gregorio lo invitò a rileggere continuamente le istruzioni che gli aveva dato per la sua missione in Sicilia: il rettore doveva esercitare un attento controllo sui vescovi, sui monaci e sul clero, e doveva intervenire con decisione contro gli abusi ecclesiastici, segnalati da più parti al pontefice; al tempo stesso doveva far valere, quando sia il caso, i diritti della Chiesa, senza però ricorrere alla forza. Pietro fu inoltre invitato a gestire con grande equilibrio i rapporti con la nobiltà e il pretore, dosando opportunamente indulgenza e severità. Oltre a questa, risultano particolarmente ricche di dettagliate indicazioni e quindi utili a comprendere la riforma amministrativa del Patrimonio voluta da Gregorio l’Ep. I, 42, del maggio 591, con la quale il pontefice affidò a Pietro molte incombenze, esortandolo alla fine a una maggiore sollecitudine, e l’Ep. II, 50, del luglio-agosto 592, con cui Pietro veniva richiamato a Roma.
Nel settembre 592 risulta già rettore del Patrimonio di Campania (Ep. III, 1). Come tale risulta destinatario anche delle Ep. III, 5, 19, 23, 34, 35, 39. Dall’Ep. III, 39 emerge che ricopriva ancora l’incarico di rettore della Campania nel giugno del 593, ma in una lettera di poco posteriore (luglio 593) a Giovanni, vescovo di Ravenna (Ep. III, 54), viene per la prima volta ricordato con il titolo di diaconus. A partire da questo momento Pietro sembra risiedere stabilmente a Roma. In qualità di diaconus è menzionato anche nelle Ep. V, 28, al diacono Cipriano, del marzo 595, e VI, 24, al vescovo di Ravenna Mariniano, del gennaio 596. Ancora a lui fa riferimento Gregorio nell’Ep. IX, 11, al vescovo di Sardegna Gennaro, dell’ottobre 598, e nell’Ep. IX, 220, al vescovo di Gap Aregio, del luglio 599.
Pietro figura come interlocutore del papa nell’opera agiografica di quest’ultimo, i Dialogi. Nel prologo del I libro Gregorio lo definisce figlio amatissimo, suo amico fin dai tempi della giovinezza e collaboratore nelle ricerche esegetiche: «dilectissimus filius meus Petrus diaconus adfuit, mihi a primaevo iuventutis flore in amicitiis familiariter obstrictus atque ad sacri verbi indagationem socius» (Dial. I, prol. 2).
Il riferimento del pontefice all’antica amicizia ha fatto credere che Pietro fosse suo compagno nel monastero di S. Andrea ad clivum Scauri (Moricca, 1924, p. 13 n. 1), ma sembra più probabile che egli appartenesse all’alto clero romano, come pensa de Vogüé (Grégoire le Grand, Dialogues, I, 1978, p. 45), che rimanda a Giovanni Immonide, Vita Gregorii, II, 11 («Gregorius […] clericorum sibi prudentissimos consiliarios familiaresque delegit, inter quos Petrum diaconum, coaetaneum suum»). Un ulteriore elemento biografico si può ricavare da Dial., IV 59, 6, dove Pietro accenna al suo soggiorno in Sicilia («Ea quae narras ipse quoque in Sicilia positus agnovi»).
Gregorio assegna all’amico una funzione importante all’interno della sua opera. Secondo il prologo del I libro dei Dialogi è infatti Pietro che, dopo aver ricevuto le confidenze del pontefice, angustiato dalle cure quotidiane e nostalgico della quiete monastica, lo interroga sulla presenza in Italia di «boni viri» che abbiano compiuto «signa atque virtutes» e lo convince a interrompere gli studi esegetici per narrare i loro miracoli. Numerosi sono poi i suoi interventi nel dialogo.
Pietro sollecitò infatti a più riprese il pontefice con richieste di informazioni e spiegazioni (cfr., per es., Dial., I, 1, 8: «Placet quod dicis. Sed peto ut mihi dicas si tantus hic pater aliquem imitatorem sui discipulum reliquit») e ne stimolò la riflessione e il commento dottrinali con domande e osservazioni suggeritigli dalla narrazione (cfr., per es., Dial., I, 1, 5: «Putamus hic tam egregius vir, ut post magister discipulorum fieret, prius habuit magistrum?»). Manifestava inoltre approvazione, ammirazione e persino stupore per ciò che apprendeva (cfr., per es., Dial., I, 4, 19: «Vera sunt valde quae dicis»; I, 5, 3: «Mirum est valde quod audio»; I, 6, 2: «Et perpendo et obstupesco»). Convinto dalle parole di Gregorio, non esitò ad ammettere i propri errori (conosciuti i miracoli di Onorato, di Libertino e del monaco ortolano di Fondi, confessò di essersi sbagliato a credere che in Italia non ci fossero santi capaci di compiere miracoli: Dial., I, 3, 5) e a riconoscere la sua tarditas (Dial., II, 35, 8). In altri casi viene benevolmente ripreso da Gregorio (in Dial., II, 13, 4 è invitato a tacere; in Dial., II, 22, 4 e altrove suscita la meraviglia del papa per le sue perplessità). Più volte Pietro si richiama alla Scrittura, per rilevare analogie e paralleli con il racconto di Gregorio (Dial., I, 7, 6; II, 8, 8; II, 13, 4 ecc.) o sottoporre all’attenzione di quest’ultimo luoghi biblici che gli suscitano interrogativi (Dial., I, 9, 6; II, 16, 4 e 6).
Talvolta esprime o si fa portavoce di dubbi su questioni di fede e di dottrina: il caso più significativo si registra alla fine del III libro e agli inizi del IV, quando Pietro, dopo aver osservato che in seno alla Chiesa molti dubitano «de vita animae post mortem», esorta il pontefice a portare argomenti e «animarum exempla» in grado di persuadere i dubbiosi (Dial., III, 38, 5). Più avanti (Dial., IV, 4, 9), facendo riferimento all’Ecclesiaste, si dice pronto a farsi interprete dei deboli («infirmantium in me personam suscepero»), cioè di coloro che vacillano nella fede, per recare loro aiuto, e riceve per questo la lode di Gregorio.
La critica (Van Uytfanghe, 1986, Cremascoli, 1989) ha giustamente rilevato l’importanza del ruolo qui assunto da Pietro, che non può essere spiegato in termini di pura finzione letteraria, ma piuttosto denota una temperie spirituale travagliata, in cui si erano fatti strada dubbi e incertezze su punti cruciali della fede cristiana. Nel dialogo fra Pietro e Gregorio il primo ha evidentemente il compito di interpretare le incertezze e le ansie dell’uomo del suo tempo; il secondo quello di risolverle attraverso il richiamo al trascendente.
Pietro è protagonista anche di un episodio narrato da Giovanni Immonide nella Vita Gregorii (IV, 69), avvenuto l’anno della morte del papa (604): da esso emerge il suo attaccamento alla memoria del pontefice e ai suoi scritti.
Reagendo alla calunnia di prodigalità lanciata contro Gregorio dopo la sua morte, Pietro, «familiarissimus eius», si oppose alla decisione di dare fuoco alle opere del papa, dichiarando che quell’atto non sarebbe servito a cancellare la sua fama e avrebbe inoltre rappresentato un sacrilegio, giacché si trattava di scritti ispirati dallo Spirito santo (egli stesso aveva visto spesso lo Spirito aggirarsi sopra la testa del pontefice «in similitudine columbae»). Per convincere il popolo, Pietro aggiunse di essere pronto a giurare e a permettere la distruzione dei libri di Gregorio se fosse sopravvissuto al giuramento. Salito sull’ambone, morì subito dopo aver reso testimonianza alla santità del pontefice.
Sulla base di questo racconto si è soliti fissare la sua data di morte nel 604 o 605.
Secondo una tarda tradizione agiografica (attestata da Pietro de’ Natali) Pietro sarebbe stato sepolto accanto a Gregorio e avrebbe cominciato subito dopo ad essere venerato come santo. Altre fonti agiografiche narrano della traslazione delle sue reliquie (avvenuta forse nel sec. VII) da Roma a Vittimulo, in diocesi di Vercelli, e da qui, dopo un periodo in cui sarebbero andate perdute, a Salussola, per volontà del vescovo di Vercelli Ingone (961-974).
Frutto dell’elaborazione di questa leggenda è anche la notizia, data da alcuni scrittori, dell’origine vercellese di Pietro e in particolare della sua appartenenza alla nobile famiglia dei Bulgaro (Bolgaro) di Vittimulo. Pietro viene ricordato in martirologi e calendari tardi, che ne fissano la data di morte al 12 marzo (in coincidenza con quella di Gregorio Magno) oppure al 30 aprile (data della traslazione).
Una Vita inedita di Pietro è segnalata nei codici XXXIV (196) e XLVII (101) dell’Archivio Capitolare di Vercelli. Il culto «ab immemorabili» fu approvato da Pio IX il 3 maggio 1866. È venerato a Salussola, dove si conservano ancora le sue reliquie. La festa patronale viene celebrata ogni anno la prima domenica di maggio.
Fonti e Bibl.: Catalogus sanctorum et gestorum eorum ex diversis voluminus collectus, editus a reverendissimo in Christo patre domino Petro de Natalibus de Venetiis Dei gratia episcopo Equilino, Vicenza, Enrico di Ca’ Zeno, 1493 (rist. anastatica Spoleto 2012), libro III, cap. CXCIII; Iohannes Immonides, Vita s. Gregorii, II, 11, in PL 75, col. 92 A-B; ibid., IV, 69, coll. 221 s.; Gregorii Magni Dialogi. Libri IV, a cura di U. Moricca, in La storia d’Italia. Scrittori secolo VI, Roma 1924, p. 13 n. 1 (rist. 1990); Grégoire le Grand, Dialogues, I-III, a cura di A. de Vogüé, trad. P. Antin, I, Paris 1978-1980, in Sources Chrétiennes, 251, 260, 265, pp. 44-45, 77-80; S. Gregorii Magni Registrum epistularum, I, Libri I-VII, II, Libri VIII-XIV. Appendix, a cura di D. Norberg, Turnhout 1982 in Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum, 140, 140 A; Gregorio Magno, Lettere, a cura di V. Recchia, I-IV, in Opere di Gregorio Magno V, 1-4, passim; Gregorio Magno, Storie di santi e di diavoli (Dialoghi), introd. e commento a cura di S. Pricoco, testo critico e trad. a cura di M. Simonetti, I, (Libri I-II), Milano 2005, in partic. pp. XXX-XXXII e p. 228 n. 8.
Bibliotheca Hagiographica Latina antiquae et mediae aetatis, ediderunt Socii Bollandiani, II, Bruxelles 1900-1901 (rist. 1949), p. 984, n. 6771 (si veda inoltre H. Fros, Bibliotheca Hagiographica Latina … Novum supplementum, Bruxelles 1986, p. 718); E. Crovella, Pietro, diacono, discepolo di s. Gregorio Magno, beato, in Bibliotheca Sanctorum, X, Roma 1968, coll. 650 s.; M. van Uytfanghe, Scepticisme doctrinale au seuil du Moyen Age? Les obiections du diacre Pierre dans les «Dialogues» de Grégoire le Grand, in Grégoire le Grand. Chantilly. Centre culturel Les Fontaines, 15-19 septembre 1982, a cura di J. Fontaine - R. Gillet - S. Pellistrandi, Paris 1986, pp. 315-324 (con la discussione alle pp. 324-326); G. Cremascoli, «Infirmantium persona» («Dialogi» 4, 4, 9). Sui dubbi del diacono Pietro, in Scritti in onore di Vincenzo Recchia = Invigilata lucernis, XI (1989), pp. 175-195; D. von der Nahmer, Die Bedeutung der Fragen des Petrus für die Dialoge Gregors des Großen, in Florentissima proles Ecclesiae. Miscellanea hagiographica, historica et liturgica Reginaldo Grégoire O.S.B. XII lustra complenti oblata, a cura di D. Gobbi, Trento 1996, pp. 381-416; J. Moorhead, The Figure of the Diacon Peter in the «Dialogues» of Gregory the Great, in Augustinianum, XLII (2002), pp. 469-479; A. Vlaevska-Stantcheva, Reliquie e potere locale: il culto di s. Pietro levita nel Vercellese, in Liturgia e agiografia tra Roma e Costantinopoli. Atti del I e II Seminario di studio. Roma- Grottaferrata 2000-2001, a cura di K. Stantchev - S. Parenti, Grottaferrata 2007, pp. 323-328.