PIGNATELLI, Giuseppe, santo
PIGNATELLI, Giuseppe, santo. – Nacque a Saragoza (Aragona) il 27 dic. 1737, da don Antonio dei duchi di Monteleone, principe del Sacro Romano Impero, e dalla marchesa Francesca Moncayo, penultimo di otto figli (Gioacchino, Vincenzo, Francesco, Maria Francesca, Raimondo, Nicola Giovanni, Giuseppe, Nicola).
La famiglia Pignatelli proveniva da Napoli, dove è testimoniato un Lucio Pignatelli già nel XII secolo. Vi appartennero due papi, Paolo IV (Gian Piero Carafa) e Innocenzo XII (Antonio Pignatelli). Un fratello di questi, Ettore, duca di Monteleone, principe di Noja, viceré di Catalogna aveva sposato la figlia di Diego di Aragona, discendente di Cortez. Il nonno, Nicola Pignatelli Carafa, cavaliere del Toson d’oro, era stato viceré di Sardegna e Sicilia. Il ramo materno era invece aragonese. La madre era figlia di Bartolomé Moncayo Fernández de Heredia, decimo conte di Fuentes, grande di Spagna. Alcuni dei fratelli ebbero relazioni e ruoli importanti. Il maggiore, Gioacchino, conte di Fuentes, fu ambasciatore a Londra, Torino e Parigi; la figlia Maria Manuela sposò il duca di Villahermosa e il conte di Aranda fu suo genero. La sorella Maria Francesca sposò il conte di Acerra ed ebbe influenza nella corte borbonica napoletana. Il fratello Raimondo, canonico, rettore della università a Saragoza, fu tra i fondatori della Real sociedad económica aragonesa de amigos del País e figura di rilievo nella storia aragonese del Settecento. Come sempre in antico regime, e in Spagna in particolare, la rete familiare ebbe grande importanza anche nella vita di Pignatelli. La sua appartenenza alla grande nobiltà di antica ricchezza e potere ma al centro anche di importanti funzioni amministrative e culturali gli permise di poter contare su relazioni che si rivelarono decisive nel corso della sua vita di gesuita.
A cinque anni perse la madre e si trasferì a Napoli nel 1742 con il padre, quando Carlo di Borbone stava costruendo la nuova monarchia. Morto il padre nel 1746, fu accudito dalla sorella, contessa di Acerra, fino al ritorno a Saragoza, dove nel 1751 frequentò con il fratello Nicola il collegio gesuita fondato da Francisco de Borgia. Nel 1753 entrò nel noviziato gesuita di Tarragona, poi studiò a Calatayud e prese i voti nel 1755 a Saragoza. Nel 1759 indirizzò una lettera 'indipeta' al generale della Compagnia, chiedendo di essere inviato in America. La risposta fu negativa. Rimase quindi nella Compagnia in Aragona. La Compagnia di Gesù era allora al culmine della sua espansione: i gesuiti erano 22.126. Tuttavia questa struttura dava interni segni di sclerosi. La vivacità e contraddittorietà della sua spiritualità cinquecentesca era scomparsa e si era trasformata in un organismo privo di energia culturale, che rispettava le norme del passato, imbevuto di pratiche religiose superficiali, appiattito sulla fedeltà alla corte. La formazione di Pignatelli fu perciò caratterizzata da una forte fedeltà alla tradizione dell’insegnamento ignaziano e alla teologia gesuitica del probabilismo, dall’obbedienza alla gerarchia e alle istituzioni della Compagnia. Per lui lo specifico modo di agire del gesuita consistette nell’apostolato nelle carceri e nelle scuole. Nulla ci rimane di significativo di suoi scritti; i carteggi, pur se numerosi, sono poco significativi, perché Pignatelli aveva l’abitudine di distruggere le proprie carte. Uomo di forte religiosità astratta e ascetica, la risolse in una grande capacità di azione, che conservò fino alla fine della vita. Nel 1762 fu ordinato sacerdote. Nonostante la posizione della sua famiglia, anche Pignatelli fu colto di sorpresa dall’ordine di espulsione della Compagnia che il fiscal Pedro Rodríguez de Campomanes emanò il 31 marzo 1767.
Cominciò allora il lungo e tormentato periodo d’esilio. Pignatelli condivise tali difficoltà e si adoperò per soccorrere i confratelli, avendo chiaro e fermo l’obiettivo di ricostruire la Compagnia. Condivise innanzitutto il tragico trasferimento per via di mare che condusse i gesuiti a Civitavecchia dove fu loro interdetto lo sbarco da Clemente XIII. Ripiegarono allora in Corsica, dove si fermarono dal luglio 1767 fino al settembre 1768, quando furono espulsi da Luigi XV di Francia che nel frattempo aveva occupato l’isola: tra espulsioni e momentanei rientri si svolse tutta la vita di Pignatelli. In Corsica si adoperò per mantenere uniti i gesuiti e per vincerne lo scoraggiamento. Consigliato dal fratello Gioacchino di lasciare l’ordine e tornare in Spagna, rifiutò orgogliosamente. Quando potettero ripartire arrivarono a Genova e da lì proseguirono per lo Stato della Chiesa. In Italia si diresse a Ferrara, dove si installò l’ex provincia gesuitica di Aragona e dove il 2 febbr. 1771 prese il quarto voto. Lì fu colto quando il 21 luglio 1773 fu emanato il breve di scioglimento della Compagnia Dominus ac Redemptor di Clemente XIV, che aggravò ulteriormente le difficoltà di esistenza dei gesuiti. Di lì a poco Pignatelli si trasferì a Bologna, presso Fernando Coronel, commissario di Spagna. La sua posizione come grande di Spagna gli diede oltre al privilegio di essere 'intoccabile', anche il diritto a pensioni che permettevano una vita assai agiata (Guasti, 2006, pp. 138-140). Il fratello suo Nicola, pure gesuita, poté infatti condurre una vita di sperpero, che determinò una frattura tra i due, composta solo alla morte di questi a Venezia. Giuseppe invece se ne valse per legarsi a famiglie di rilievo come gli Spada e i Marsigli, per formare una notevole pinacoteca e una ricca biblioteca, per tessere rapporti con il mondo delle accademie (si pensi all’Accademia ecclesiastico-letteraria, fondata da gesuiti spagnoli nel 1790); frequentò anche corsi universitari di scienze naturali. Ma soprattutto utilizzò tali risorse e quelle fornitegli dai fratelli Raimondo e Maria Francesca per soccorrere i gesuiti, la cui condizione era giunta in molti casi ai limiti della sopravvivenza. Pignatelli già durante le peripezie corse e poi a Bologna aveva guadagnato grande prestigio e ascendente presso il mondo ex gesuita e continuò a vivere il suo stile di gesuita. A Bologna svolse, aiutato da Luigi Mozzi, alcune missioni che ebbero molto successo e nelle quali mostrò talento di predicatore. Quando nel 1796 le truppe francesi invasero Bologna e Ferrara scrisse, con altri confratelli, una memoria al re di Spagna perché gli ex gesuiti potessero tornare in patria. L’anno successivo Madrid cominciò a permettere il rientro e l’impegno di Pignatelli per questo lato diminuì.
L’idea della ricostituzione della Compagnia gli era sempre presente. Il suo confratello e fedele ammiratore e seguace, Luigi Mozzi, racconta che Pignatelli aveva pensato di andare in Russia fin dal 1780 e chiese allora al papa Pio VI se i gesuiti in Russia fossero da considerare «veri gesuiti». Il papa gli rispose che coloro erano veri gesuiti e che la Compagnia vi esisteva legittimamente (ARSI, Russia, 1001, VII, 4). Rassicurato, Pignatelli fece domanda da Torino ma Stanislaw Czerniewicz gli negò l’autorizzazione, perché spagnolo.
Nella Russia bianca (l’attuale Bielorussia e Livonia) permaneva l’unica superstite comunità gesuita. Vi rimase fino al 1820, mantenendo inalterate le istituzioni e le attività dell’antica Compagnia (Inglot, 1997, passim). Permanenza giudicata legittima perché il Breve di scioglimento non vi ebbe forma di pubblicità, e che lentamente fu riconosciuta dal Papato (con il presunto vivæ vocis oraculo di Pio VI nel 1783). Nel 1782 la Compagnia si era stabilizzata, essendosi ormai dotata di un noviziato con un cursus completo di formazione dei gesuiti, un provinciale e un’autorità centrale (il vicario generale e gli assistenti). La Compagnia poté così progettare di riprendere spazi e uomini attraverso una strategia di colonie (Pavone, 2008, pp. 195-198). Se il rispetto della struttura della Compagnia antiqua era rigoroso, tuttavia gli ex gesuiti si divisero sulla strategia della sua ricostituzione. Da un lato chi nella provincia russa vedeva una nuova Compagnia, già trasfigurata dopo la sua morte, e chi invece la pensava come la Compagnia minima, che stava lì affrontando il proprio calvario da dove sarebbe rinata nelle antiche forme (Morales in La presenza, 2010, pp. 402-406). Ai gesuiti che avevano vissuto in Russia si contrapponevano quelli spagnoli cui quell’esperienza era stata preclusa e che mostravano più completa adesione al modello dell’antiqua Compagnia. A questa seconda linea appartenne Pignatelli, che non andò in Russia, ma riuscì a far venire i gesuiti dalla Russia in Italia.
Da Bologna, la sua attenzione fu attratta dall’opera di Ferdinando di Borbone, duca di Parma e Piacenza, che stava trasformando quello che era stato uno dei centri del giurisdizionalismo europeo degli anni ’60 in un governo ortodossamente cattolico e filogesuita. Negli anni ’80 il partito devoto era ormai dominante e i rapporti tra il duca e Pignatelli si intensificarono, anche perché a Parma aveva conquistato un ruolo importante Carlo Borgo. Gesuita, più aggressivo di Pignatelli, più di lui avverso al giansenismo di fine Settecento, più di lui polemico verso il mondo curiale romano, fu come lui convinto della necessità ormai matura di promuovere iniziative per il ristabilimento della Compagnia.
L’intesa dei gesuiti con il duca sembra rappresentare quel movimento di opinione che puntò a promuovere riforme anche grazie all’intesa, dunque non strumentale, con il clero. Di questa proficua intesa tra religiosi e Stato un esempio lo diede proprio la famiglia Pignatelli, allora nota in Italia perché molto si guardò alle riforme spagnole in Aragona e in particolare al canale fluviale che suo fratello Raimondo aveva promosso.
Ma questo più largo orizzonte non fu di Pignatelli. La morte di Carlo III (1788) parve dare respiro a chi cercava di ricreare l’antica Compagnia. Il duca nel 1793 chiese che arrivassero dalla Russia alcuni gesuiti per costruire una viceprovincia dell’ordine. Nel febbraio erano a Parma i gesuiti Antonio Massarati, come superiore, Luigi Panizzoni e Bernardino Scordialò. Si era così affermato un essenziale principio ignaziano: che la struttura gerarchica di una provincia della Compagnia di Gesù potesse dipendere da un vertice che si trovava in altro Stato (in questo caso in Russia). Questa strategia, pensata da Borgo in accordo con i vertici gesuiti in Russia, fu abbracciata da Pignatelli. Con il suo prestigio assicurò l’adesione del mondo gesuitico spagnolo a questo progetto, riuscendo a far arrivare a Parma l’élite intellettuale gesuita sia nel Convitto dei nobili, sia nel noviziato di Colorno, di cui assunse la guida nel novembre 1799, dopo aver rinnovato i suoi voti a Bologna nel 1797. Per Pignatelli l’educazione gesuita continuava a essere quella nella quale si era formato a metà secolo: pratica intensa degli Esercizi di Ignazio, obbedienza alla gerarchia, studio, pratiche di culto devozionali ortodosse e di apostolato presso i bisognosi. Tra gli allievi del noviziato figurò anche Angelo Maj, che di Pignatelli testimoniò la statura morale e intellettuale.
Nel 1801 Pio VII riconobbe ufficialmente la Compagnia di Gesù esistente in Russia. Il collegamento tra Russia e Parma si ufficializzò. Pignatelli accettò, dopo breve esitazione, la nomina a provinciale d’Italia dal nuovo generale Gabriel Gruber, al posto dell’anziano Panizzoni. Il contrasto tra gli ex gesuiti si spostò in Italia e coinvolse Pignatelli nel conflitto con Gaetano Angiolini, gesuita proveniente dalla Russia, nominato procuratore generale in Italia. Il dissenso non fu dovuto soltanto al diverso carattere. Nell’agosto del 1803 Pignatelli su richiesta del vescovo di Viterbo inviò alcuni gesuiti sotto la guida di José Doz, aragonese, ma l’esperimento fallì sia per contrasti con il clero locale, sia per attriti interni ai gesuiti.
Era in effetti in giuoco la natura che la nuova Compagnia stava assumendo. In quegli anni Niccolò Paccanari aveva ideato una Compagnia della fede di Gesù che stava avendo molto successo tra i gesuiti. Sembrava loro che il nucleo dell’esperienza gesuita potesse restringersi alle Costituzioni ignaziane, sorvolando sulla formazione degli Esercizi e, soprattutto, rivedendo la struttura gerarchica tradizionale territoriale. Al contrario Pignatelli volle riaffermare l’assoluta e integrale continuità con il modello della Compagnia ante 1773. Quel contrasto non fu soltanto ideale. Se i gesuiti spagnoli condivisero la posizione di Pignatelli, tuttavia molti, ad esempio Manuel Luengo, ne dissentirono per la sua eccessiva parzialità verso gli aragonesi (Fernández Arrillaga - Guasti, 2014, pp. 188-189).
Ma la direzione presa era ormai quella voluta da Pignatelli. Per questa ragione, l’arrivo suo a Napoli l’8 giugno 1804 fu assai importante per la storia della ricostituzione della Compagnia di Gesù. Già nel 1795, aiutato dalla sorella la contessa di Acerra e su invito della regina Maria Carolina, e poi ancora almeno due volte, era andato a Napoli perché la corte sembrava intenzionata a richiamare alcuni gesuiti per la necessità di sostenere l’insegnamento. Subito Pignatelli espresse insoddisfazione per questa che gli parve troppo ristretta apertura; inoltre il papa, sempre timoroso della prevedibile insoddisfazione spagnola, pretendeva che il re firmasse di suo pugno la domanda di ricevere gesuiti nel Regno. In un qualche modo tale firma si ebbe e Pignatelli poté arrivare a Napoli e chiamarvi i confratelli. Con il Breve del 30 luglio 1804, Per alias, Pio VII riconobbe a Napoli la medesima legittimità che era stata riconosciuta alla provincia gesuita di Russia. Pignatelli era riconosciuto provinciale; né l’ostilità di Angiolini, che cercò di imporsi come superiore, gli fu di ostacolo. Il 15 agosto la Compagnia si insediò al Gesù Vecchio, con una cerimonia cui fu presente il re, e poi il 3 dicembre, festività di s. Francesco Saverio, fu celebrato il suo ufficiale ritorno. Il successo fu notevole. In poco tempo affluirono 300 gesuiti, di varie nazionalità. Pignatelli dovette mettere ordine in questa «arca di Noè» (Ferrer Benimeli, 2011, p. 78), composta da religiosi, in genere anziani, che da più di trent’anni avevano perduto l’abitudine a vivere in comune. Pignatelli riuscì ad aprire il Collegio Massimo, il Collegio dei nobili, il noviziato e la casa professa (la 'Conocchia') a Napoli, una residenza a Sora, il Collegio di Bari nel 1805. Come già a Parma, anche qui fece affidamento soprattutto su confratelli spagnoli, tra i quali Francisco Gustà, Vicente Requeno, José Doz e Juan Andrés, al quale affidò il Collegio dei nobili e la riorganizzazione della biblioteca, nella quale confluì la sua propria. In questa azione si ispirò alla sua idea di Compagnia, che così di fatto si impose quale modello di ripresa della nuova Compagnia. Semplificò lo studio degli Esercizi, impose la Ratio studiorum e il rispetto delle Costituzioni, diede impulso alla pratica di missioni e di catechesi, sostenne le devozioni e le congregazioni tipicamente gesuite (March, 1935, II, pp. 317 s.).
In qualità di provinciale delle Due Sicilie, Pignatelli curò anche la preparazione del ritorno dei gesuiti in Sicilia, dove arrivarono il 30 apr. 1805, guidati da Angiolini. Fu un’esperienza ancora più breve di quella napoletana, perché l’arrivo di Giuseppe Bonaparte nel febbraio 1806 mise fine di nuovo all’esperienza gesuita nel Sud Italia. Nonostante Pignatelli avesse firmato a giugno un atto di fedeltà al nuovo regime napoleonico, il 3 luglio i gesuiti furono espulsi dal Regno. Pochi giorni dopo, Pignatelli partì per Roma.
Poco si sa dei primi momenti dell’insediamento romano di Pignatelli, che incontrò comunque difficoltà tanto nei rapporti con il papa, quanto con i suoi confratelli. Tuttavia, grazie ad aiuti finanziari sia dello Stato papale, sia di famiglie aristocratiche, in particolare quella dei Villahermosa, suoi parenti, i gesuiti provenienti da Napoli trovarono nel 1807 una sistemazione nell’ospizio detto di S. Pantaleo, divenuta una casa professa, vicino al chiesa della Madonna del Buon Consiglio, nei pressi di S. Pietro in Vincoli. Pignatelli costituì un noviziato a Orvieto, un collegio a Tivoli e riuscì ad applicare di nuovo lo schema che con successo aveva imposto a Napoli, anche perché alcuni dei suoi più fidi confratelli, come Mozzi, lo seguirono e lo aiutarono, per esempio nelle missioni (ibid., pp. 400-420). D'accordo con il papa, ebbe l’idea di trasportare l’archivio della Compagnia a S. Pantaleo.
Morì a Roma il 15 nov. 1811, a 74 anni. La santificazione ha visto il riconoscimento della eroicità delle virtù nel 1917, da parte di Benedetto XIV; la proclamazione a beato da parte di Pio IX (25 febbr. 1933) e di santo da parte di Pio XII (12 giugno 1954).
Sebbene, non abbia lasciato né scritti, né memorie di miracoli, Pignatelli fu l’unico gesuita, tra quelli spagnoli che vissero l’esilio e la dissoluzione della antiqua Compagnia, a divenire santo. A parte le considerazioni di fede, si può concludere, che, su scala evidentemente ben più ridotta, sia valsa per lui l’argomentazione che Pedro de Ribadeneyra utilizzò per la santità di Ignazio di Loyola, che aver creato la Compagnia era stato il solo ma sufficiente miracolo; per Pignatelli averla ricostituita.
Fonti e Bibl.: I carteggi di Pignatelli sono dispersi in molteplici archivi. Una completa informazione in J. March, El restaurador de la Compañia de Jesús beato J. Pignatelli y su tiempo, I-II, Barcelona 1935, I, pp. III-LII. In particolare, lettere autografe si trovano a Roma nell’Arch. della postulazione generale della Compagnia di Gesù (a Carlo Borgo, Lorenzo Hervás, José Antonio Masdeu, Luigi Mozzi); la corrispondenza con G. Angiolini è in Roma, Bibl. dell'Accademia naz. dei Lincei e Corsiniana, codd. 2140, 2148; documentazione sui rapporti di Pignatelli con la Russia e con la Compagnia, ovviamente in Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI). Romana beatificationis et canonizationis … J.M. Pignatelli, Romae 1907; Romana seu Neapolitana beatificationis et canonizationis … J.M. Pignatelli. Novum Summarium Additionale, Romae s.d. [1933]; M. Luengo, Memorias de un exilio. Diario de la expulsion de los jesuitas de los dominios del rey de España (1767-1768), a cura di I. Fernández Arrillaga, Alicante 2002; Id., Diario de 1769 e Diario de 1773, a cura di I. Pinedo Iparraguirre - I. Fernández Arrillaga, Alicante 2010 e 2013.
G. Boero, Istoria della vita del p. G. P. della Compagnia di Gesù, Roma 1856; C. Beccari, Il beato G. P. della Compagnia di Gesù, Isola del Liri 1933; J. March, El restaurador, cit.; M. Batllori, Lo más antiguos retratos de san José Pignatelli, in Archivum Historicum Societatis Jesu, XXIII (1954), pp. 322-333; M. Inglot, La Compagnia di Gesù nell’Impero Russo (1772-1820) e la sua parte nella restaurazione generale della Compagnia, Roma 1997, passim; N. Guasti, L’esilio italiano dei gesuiti spagnoli. Identità, controllo sociale e pratiche culturali, Roma 2006, passim; N. Guasti, ; E. Fontana Castelli, “La Compagnia di Gesù sotto altro nome”: Niccolò Paccanari e la Compagnia della Fede di Gesù (1797-1814), Roma 2007, passim; N. Guasti, ; S. Pavone, Una strana alleanza. La Compagnia di Gesù in Russia dal 1772 al 1820, Napoli 2008, passim; N. Guasti, ; La presenza in Italia dei gesuiti iberici espulsi, a cura di U. Baldini - G.P. Brizzi, Bologna 2010 (in particolare M.M. Morales, Riflessioni su un corpo malinconico, pp. 391-410; G. Olmi, Sulla presenza e rimarchevole attività dei gesuiti spagnoli espulsi nel ducato di Parma e Piacenza, pp. 509-540); P. Molas Ribalta, Virreyes italianos en la Corona de Aragón, in Centros de poder italianos en la Monarquía hispánica (siglos XVI-XVIII), a cura di J. Martínez Millán - M. Rivero Rodríguez, I, Madrid 2010, pp. 34-44; J.A. Ferrer Benimeli, José Pignatelli (1737-1811). La cara humana de un santo, Bilbao 2011; I. Fernández Arrillaga - N. Guasti, The Exiled Spanish Jesuits and the Restoration of the Society of Jesus, in Jesuit Survival and Restoration, a cura di R.A. Maryks - J. Wright, Leiden-Boston 2014, passim; N. Guasti, ; http://www.cervantesvirtual.com/portales/expulsion_jesuitas (26 marzo 2015).