RIELLO, Pilade. –
Nacque a Bagnolo, frazione di Lonigo, in provincia di Vicenza, il 15 novembre 1897, da Ettore e Stella Zorzin. Pochi mesi dopo la sua nascita la famiglia si trasferì nella vicina Legnago, in provincia di Verona, dove il padre era impiegato presso la ditta Cirillo Fanti, una fonderia di ghisa e costruzioni meccaniche. Le modeste condizioni della famiglia, unite a una scarsa attitudine allo studio e a un’indole poco incline alla disciplina, fecero sì che venisse avviato in giovanissima età al lavoro, insieme ai fratelli Raffaello (1899-1973) e Giuseppe (1902-1983).
A tredici anni fece le sue prime esperienze professionali in un laboratorio di minute riparazioni di biciclette, e successivamente in qualità di tornitore. La vigilia del primo conflitto mondiale lo vide impegnato in una specifica applicazione della meccanica, ovvero le caldaie a vapore in uso nelle campagne per la trebbiatura.
Nel luglio 1915, nella prospettiva di un possibile esonero dal servizio militare al fronte, Riello, diciassettenne, trovò impiego a Genova, presso le Officine Ansaldo, ove trascorse gli anni del conflitto, salvo un breve passaggio in zona di guerra poco prima della offensiva finale. Carattere indocile e insofferente alla disciplina, venne congedato nel 1919, anno in cui decise di rientrare a Legnago per intraprendere un’attività autonoma.
Nelle sue fasi embrionali questa non si distaccò dai modelli dell’imprenditorialità minore tipici delle prime fasi del decollo industriale: le dimensioni erano minime, le competenze provenienti esclusivamente dalla ristretta cerchia familiare (oltre a Pilade, l’officina impiegava anche il padre e i due fratelli, uno anch’egli esperto fabbro tornitore e il secondo verniciatore). Si trattava di un’entità che, inizialmente, svolgeva mansioni complementari, di riparazioni meccaniche e manutenzioni. Secondo un copione oramai consolidato, il credito necessario all’acquisto del primo tornio, indispensabile complemento alle lavorazioni della bottega, venne erogato a Pilade e ai fratelli dalla locale banca popolare sulla base di un cumulo di avalli ottenuti dal padre e dal titolare della Fanti.
All’inizio degli anni Venti procedette a un ampliamento dell’attività di riparazioni meccaniche, estendendo il proprio raggio d’azione e non disdegnando alcun lavoro, compresa la costruzione di automobili e motocicli assemblati con materiali di recupero e residuati bellici. Nonostante le turbolenze sociali del periodo, l’attività si espanse, e nel 1922 fu inaugurato uno stabilimento alla periferia di Legnago, con annessa abitazione. Si definì anche più nettamente la specializzazione aziendale nella produzione di compressori, forni, motori, caratterizzati dall’impiego di combustibili liquidi e gassosi.
In questo ambito, che potrebbe definirsi di ‘artigianato d’ingegno’, individuò il proprio futuro ambito d’azione. Le molteplici attività di riparazione, finirono per porlo in contatto con prodotti tecnologicamente avanzati, di origine straniera, che il suo ingegno pratico gli fece comprendere essere migliorabili e riproducibili a costi decisamente inferiori, come nel caso di un forno a gasolio per la cottura del pane, di fattura americana, del quale Riello venne casualmente a conoscenza: coadiuvato dal fratello Giuseppe e altri collaboratori, lo modificò, migliorò e riprodusse. Superati una serie di prevedibili ostacoli, sia relativi ai finanziamenti sia, soprattutto, alla commercializzazione di un’innovazione la cui utilità doveva essere adeguatamente illustrata ai potenziali acquirenti (i fornai delle campagne veronesi) si concentrò, non senza difficoltà derivanti dalla cronica sottocapitalizzazione della piccola azienda, sulla produzione di bruciatori, prima a gasolio e poi, intorno al 1925, addirittura a olio combustibile (nafta).
Anche per ovviare ai problemi finanziari e dare forma legale agli appoggi informali che sino a quel momento avevano consentito a Riello, alquanto esposto personalmente, di operare, all’inizio del 1926 venne costituita un’accomandita che riuniva alcuni notabili e imprenditori locali, già finanziatori di Riello in qualità di accomandanti: la SARB (Società in accomandita Riello bruciatori). Nella veste di accomandatario Riello perdeva di autonomia, ma poteva contare su maggiori capitali e più ampie garanzie a fronte dell’impegno di costruire bruciatori, svolgendo anche le mansioni di agente di vendita per le regioni nordorientali, nonché per l’Emilia Romagna, la Toscana e il Lazio.
Ben descrivono le sue memorie, raccolte in un volume autobiografico, la difficile affermazione dei prodotti della ditta su un mercato che stentava a decollare, e che vedeva l’imprenditore viaggiare instancabilmente al fine di collocare i propri prodotti (Riello SpA, Vita di un pioniere. Memorie dell'ingegnere P. R., Legnago 2002). Un’ulteriore svolta si ebbe agli inizi del 1928 quando comprese che, anziché convincere i fornai a acquistare nuovi forni a nafta in luogo di quelli a gasolio, avrebbe più facilmente potuto persuaderli a risparmiare, convertendo le caldaie esistenti. L’adattamento dei bruciatori, dal gasolio all’assai più economico olio combustibile, fruttò a Riello guadagni crescenti tra il 1928 e il 1932, tali da consentirgli un rapido rientro dall’esposizione debitoria. Si trattò di un completo cambiamento, anche nel suo morale: «Nel 1927 non riuscivo a fare affari, nel 1932 non riuscivo ad affrontare le richieste», scriveva nel citato diario (ibid., p. 142). Nel 1932 disponeva ormai di sufficienti risorse per rilevare lo stabilimento della SARB. Secondo un modello consolidato, a parte una piccola quota divisa tra i fratelli, tutti gli utili disponibili vennero reinvestiti nell’impresa. Contemporaneamente, fu costituito un piccolo nucleo di uffici amministrativi.
Lo sviluppo, sempre imperniato sulla sua abilità tecnica, si indirizzò ancora di più verso la produzione di bruciatori per caldaie industriali e civili. Un contratto di fornitura con il Vaticano gli conferì una discreta notorietà, tanto che a metà degli anni Trenta la ditta Riello era ormai presente con punti vendita nelle principali città italiane. In quel periodo prese anche avvio un piccolo nucleo di espansione all’estero, in Spagna, Francia, Germania, coordinato in prima persona dallo stesso Riello.
Reagendo ancora una volta a uno stimolo esogeno – in questo caso la progressiva scarsità di nafta determinatasi in Italia a seguito delle sanzioni comminate dalla Società delle Nazioni –, sul finire degli anni Trenta avviò la progettazione di bruciatori a carbone: l’Autarchico, in grado di bruciare carbone di vario tipo, tra cui quello del Sulcis, oltre alla torba, riscosse notevole successo, tanto che alla vigilia della seconda guerra mondiale fu necessario un ulteriore ingrandimento degli spazi produttivi. Nonostante la contrarietà dei familiari, nel 1939 inaugurò un nuovo stabilimento in cui una settantina di operai erano impiegati nella produzione di caldaie e macchine utensili.
Le sopra citate memorie di Riello ci restituiscono i travagli di un imprenditore innovatore e visionario, circondato però anche da scetticismo e prudenza, in particolare dalla più ristretta cerchia dei familiari: «Mi occorreva aiuto, elementi che avessero iniziativa, che vedessero lontano. Dai miei Flli non potevo contare nulla, dal mio papà idem […] bravo eccelso aggiustatore ma iniziative idee nuove nulla. Già facevo fatica che mi seguissero, erano solo timorosi e contrari» (ibid., p. 160). La necessità di circondarsi di adeguati collaboratori lo spinse ad aprire presso il nuovo stabilimento una scuola per allievi operai e apprendisti dai 13 ai 15 anni intitolata al padre Ettore.
Attraversata non senza difficoltà la fase più complessa e drammatica dell’occupazione dopo l’8 settembre 1943, quando la ditta si trovò giocoforza a essere tra i fornitori dell’esercito tedesco, all’indomani della conclusione del conflitto riuscì abbastanza rapidamente non solo a tornare ai livelli produttivi d’anteguerra, ma a superarli e ad estendere ulteriormente le dimensioni della struttura produttiva.
All’aprirsi degli anni del boom, la Riello era una realtà oramai consolidata, vantava una venticinquennale esperienza nella produzione di bruciatori di ogni tipo e adatti a ogni impiego, e, nel settore, risultava uno dei protagonisti di maggiori dimensioni. Quando venne nominato cavaliere del lavoro, nel 1957, la Riello fratelli officine e fonderie aveva dimensioni del tutto rispettabili: 5 dirigenti, che comprendevano i fratelli, 130 impiegati amministrativi, oltre 600 dipendenti e una forza vendita complessiva di circa 600 unità, impiegata in 26 filiali e oltre 50 agenzie, che svolgevano anche attività di riparazione e manutenzione. I bruciatori prodotti annualmente erano 20 mila; l’organizzazione di vendita era capillare in Italia, ma anche già strutturata all’estero, mentre la scuola apprendisti era oramai considerata un elemento chiave per la formazione dei giovani dell’intero territorio. Si consolidò in questi anni anche il modello di relazioni industriali interne a una realtà che, come molte altre simili, aveva bruciato le tappe dello sviluppo, crescendo a ritmi intensissimi senza però che ciò determinasse una maturazione anche nei rapporti tra capitale e lavoro.
Al pari di non pochi ‘padroni’ della sua generazione, aveva un approccio alle relazioni industriali di matrice paternalista, di cui il rapporto diretto con le maestranze era il perno, simboleggiato dai celebri discorsi che rivolgeva agli operai dal balcone affacciato sul cortile dell’azienda. Il welfare aziendale era tra i più sofisticati dell’epoca, comprendendo sia l’organizzazione del tempo libero, sia attività culturali e la tutela sanitaria. Uno stile che aveva sempre applicato anche alla propria famiglia: a lui, e non al padre, i fratelli avevano chiesto il permesso di sposarsi, e lui aveva pensato agli studi dei nipoti, Valerio Giordano (figlio di Raffaello - 1926) e Pilade (figlio di Giuseppe, 1932-). Dedicato al lavoro, e geloso della propria indipendenza, schivo anche degli stessi famigliari, si sposò in età avanzata, poco prima di compiere i sessant’anni; con la moglie Luisa ebbe tre figli: Lucia (1954-), Ettore (1956-) e Roberta (1967-).
Al rapido decollo seguì negli anni Sessanta una chiara affermazione sul mercato nazionale, ove la Riello si pose come componente fondamentale del processo di modernizzazione abitativa. Il cosiddetto Piano casa, avviato all’aprirsi degli anni Cinquanta, finalizzato al rinnovo e alla modernizzazione dell’edilizia popolare, aveva costituito un ulteriore elemento propulsore per l’azienda, che consolidò la propria immagine attraverso mirate campagne pubblicitarie. Inoltre, la stratificazione di competenze che avviene nello stabilimento, porta in breve la Riello a fungere da volano per lo stimolo di un indotto capillare negli ambiti della meccanica e della carpenteria metallica. Le competenze interne furono alla base anche della diversificazione delle produzioni. Nel 1961, ad esempio, per iniziativa del nipote Giordano, venne avviata la produzione di condizionatori nello stabilimento di Bevilacqua (VR), dal 1963 con il marchio Aermec.
Come nel caso di altri produttori nazionali di elettrodomestici, anche per la Riello (dal 1973 OFR – Officine fratelli Riello, per il 50% sotto il controllo di Pilade, e il restante diviso equamente tra i due fratelli) gli anni Settanta coincisero con un incremento del processo di internazionalizzazione, a seguito della progressiva saturazione del mercato nazionale. L’azienda trovò sbocchi soprattutto in Europa continentale e negli Stati Uniti. Nonostante le fasi di crisi attraversate nel corso della seconda metà degli anni Settanta, rimase caratterizzata da un notevole dinamismo. Nel 1979, ad esempio, viene posto in produzione il Mectron, un bruciatore tecnologicamente avanzato, che nel decennio seguente sosterrà i bilanci dell’azienda.
Quando Riello morì a 83 anni, l’8 gennaio del 1980, a Verona, la OFR era un’azienda di rispettabili dimensioni, con un fatturato di circa 60 miliardi di lire.
Fonti e Bibl.: Roma, Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, Archivio storico, R. P., Legnago (Verona). G. Roverato, L’industria nel Veneto. Storia economica di un “caso” regionale, Padova 1996, pp. 360-362; G. Roverato, L’industria vicentina nel Novecento, in G. L. Fontana (a cura di), Storia dell’industria vicentina dal Medioevo ad oggi, Padova 2004, pp. 455-542; A. Galdo, Fabbriche. Storie, personaggi e luoghi di una passione italiana, Torino 2007, pp. 55-61.