PILE A COMBUSTIBILE
(App. IV, II, p. 801)
La p. a c., più comunemente nota con il nome di ''cella a combustibile'' (dall'ingl. fuel cell), è un sistema elettrochimico che converte l'energia chimica di un combustibile direttamente in energia elettrica. Simile a una batteria con elettrodi positivi e negativi ed elettrolita, la p. a c. produce energia elettrica in continuo e non richiede di essere ricaricata. È sufficiente infatti che agli elettrodi (anodo e catodo), separati da un elettrolita, fluisca rispettivamente un combustibile ricco d'idrogeno e un ossidante (l'ossigeno dell'aria) per produrre energia elettrica. Gli elettrodi si comportano da siti catalitici per le due semireazioni elettrochimiche che consumano idrogeno e ossigeno con produzione di acqua e separazione delle cariche elettriche provocando il passaggio di corrente nel circuito esterno. L'elettrolita si comporta da conduttore per gli ioni che, prodotti da una semireazione e utilizzati dall'altra, consentono di chiudere il circuito elettrico della cella elementare.
Il funzionamento concettuale per una cella avente come elettrolita l'acido fosforico è illustrato in fig. 1. La trasformazione è esotermica e consente l'utilizzazione diretta dell'energia libera disponibile nel combustibile senza le classiche limitazioni termodinamiche al rendimento di conversione, altrimenti imposte dal ciclo di Carnot. L'alta efficienza di conversione è praticamente indipendente dalle condizioni operative, e quindi dal carico elettrico applicato. L'ossidazione elettrochimica del combustibile all'anodo produce elettroni che, passando attraverso un circuito esterno, raggiungono il catodo dove si combinano con l'ossidante con formazione di acqua quale prodotto refluo. Il circuito è chiuso dagli ioni che attraversano l'elettrolita da un elettrodo all'altro.
Una singola cella del tipo rappresentato in fig. 1 produce una tensione poco inferiore a 1 V; cosicché per raggiungere un valore significativo di tensione è necessario, come nelle batterie, collegare in serie più celle. L'insieme delle celle elementari collegate in serie fino a ottenere la tensione desiderata viene detto ''pila'' o ''stack''. Gli stack sono costituiti da diverse centinaia di celle elementari; ogni cella è separata da un piatto bipolare che consente la distribuzione dei due gas reagenti, impedendone la miscelazione, e funge da collettore di corrente. La corrente prodotta dipende quasi esclusivamente dalla superficie della singola cella. Gli stack sono generalmente realizzati in moduli che possono essere collegati in serie e/o in parallelo fino a ottenere un generatore della potenza voluta.
Gli impianti completi sono costituiti, oltre che dalla parte elettrochimica (le celle), da un sistema per la produzione dell'idrogeno (il reformer) o più in generale di una miscela gassosa ricca d'idrogeno, a partire dai combustibili disponibili (gas naturale, olio combustibile, carbone, biogas, ecc.), e da un sistema per la conversione della corrente continua, prodotta dalle celle, in corrente alternata comprendente anche i circuiti di regolazione e il controllo. A causa di fenomeni di polarizzazione, la trasformazione elettrochimica è accompagnata dalla liberazione di calore che dev'essere rimosso per mantenere costante la temperatura di lavoro della cella. Si può usare l'energia termica così prodotta sia per fornire parte del calore necessario allo stadio di trattamento del combustibile, sia per usi cogenerativi e sia, quando disponibile a un opportuno livello di temperatura, per produrre energia elettrica mediante cicli termici convenzionali. Uno schema a blocchi di un impianto a celle a combustibile è riportato in fig. 2.
Tipi principali di pile a combustibile. − Anche se una diversa classificazione può essere fatta sulla base della temperatura di lavoro, le p. a c. vengono di norma classificate a seconda dell'elettrolita impiegato. Quest'ultimo fornisce più informazioni per quanto attiene alla tecnologia ed è significativo anche della temperatura della cella. Infatti esso comporta, oltre alla diversa specie di ioni che migrano all'interno della cella elementare, differenti caratteristiche di funzionamento per quanto riguarda la temperatura del processo, la struttura degli elettrodi e la composizione dei gas reagenti. Pertanto i tipi di p. a c. di maggiore interesse sono: a elettrolita alcalino, a membrana polimerica, ad acido fosforico, a carbonati fusi e a ossidi solidi. I principali dati caratteristici di ciascuno sono riportati in tabella.
Pila a elettrolita alcalino (soluzione acquosa di KOH). − Le p. a c. a elettrolita alcalino (AFC, Alkaline Fuel Cells) funzionano a bassa temperatura (60÷120 °C), con rendimento della cella elementare prossimo al 60%. Questo tipo di cella fu sviluppato per soddisfare le esigenze dei programmi spaziali, dando buoni risultati dal punto di vista dell'affidabilità e dell'impiego in condizioni piuttosto severe. Queste pile, però, richiedono come combustibile idrogeno praticamente puro, non tollerando la presenza di composti del carbonio che reagiscono con l'elettrolita, quali CO e CO2; è inoltre necessario depurare da tali composti anche l'aria utilizzata come ossidante. La prima di queste condizioni costituisce un ostacolo pressoché insormontabile per le applicazioni energetiche e per la commercializzazione nel settore civile; la seconda rappresenta un pesantissimo limite al rendimento e alla durata. La loro semplicità e compattezza e il ridotto tempo di ''avvio'' rendono comunque interessanti queste pile per applicazioni specifiche tra cui la trazione elettrica.
Nei confronti con gli altri tipi di p. a c. esse presentano una serie di vantaggi, rispetto per es. a quelle ad acido fosforico, quali: una vita più lunga dovuta a una ridotta aggressività chimica dell'elettrolita della cella alcalina nei confronti dei materiali strutturali costituenti la cella; un'ampia scelta di catalizzatori che, nelle celle ad acido fosforico, è limitata ai metalli nobili e alle loro leghe; una più elevata efficienza, poiché al 60% di efficienza della cella alcalina (riferito al potere calorifico superiore dell'idrogeno e partendo da idrogeno puro) corrisponde, a parità di condizioni, il 50% di efficienza della cella ad acido fosforico; il costo dei componenti che, a parità di superficie, è inferiore rispetto a quello della cella ad acido fosforico.
Attualmente in Europa l'attività di ricerca su questa tecnologia è condotta prevalentemente dalla Siemens in Germania e dalla Elenco in Belgio. Le ricerche sono finalizzate alla messa a punto di generatori di piccola taglia per usi militari e, come precedentemente detto, per impieghi nell'autotrazione.
Pile a elettrolita polimerico solido. − La p. a c. elettrolita polimerico solido (SPEFC, Solid Polymeric Electrolite Fuel Cells), impiegano, come elettrolita, un polimero perfluorurato con una funzione acida terminale (conferisce alla membrana la capacità di scambiare ioni), e funzionano a temperatura intorno ai 100 °C con platino come catalizzatore. A differenza delle alcaline, nelle celle solido-polimeriche può essere usato direttamente l'ossigeno contenuto nell'aria senza che la presenza di CO2 danneggi il catodo. Il combustibile richiesto è però idrogeno con elevata purezza, anche se con minori limitazioni rispetto alle stesse pile alcaline.
Sviluppate agli inizi degli anni Sessanta dalla General Electric per applicazioni spaziali, a partire dalla metà degli anni Novanta sono state oggetto di un rinnovato e tuttora crescente interesse. Infine le loro caratteristiche di compattezza e leggerezza, unite all'elevata densità di energia, ne fanno in prospettiva la tecnologia più promettente per applicazioni alla trazione elettrica. In tale impiego risultati molto interessanti potranno derivare dall'accoppiamento cella polimerica/batterie (sistemi ibridi). Difficilmente potranno prevedersi impieghi energetici a eccezione dei piccoli generatori portatili e di generatori distribuiti di piccola-media taglia.
Programmi di sviluppo della tecnologia sono in corso in diversi paesi con la realizzazione di stack fino a qualche decina di kW; di particolare rilievo sono le attività condotte dalla Ballard in Canada, dalla Siemens in Germania e dalla De Nora in Italia.
Sono in corso ricerche per superare alcuni problemi aperti, quali: la riduzione dei costi, soprattutto delle membrane; lo sviluppo dei catalizzatori più resistenti al CO che consentono l'uso dei gas dei prodotti a partire da idrocarburi (mediante processi di reformer); la durata; il water management (gestione dell'accumulo dell'acqua prodotto in cella). Quest'ultimo è dal punto di vista tecnico uno dei problemi più critici. Infatti, dal lato anodico della membrana bisogna evitare la disidratazione per prevenire una riduzione della conducibilità ionica e dal lato catodico si deve rimuovere l'eccesso di umidità per evitare il rischio di allagamento della membrana.
I principali vantaggi delle celle a elettrolita polimerico solido possono essere così riassunti: assenza di liquido corrosivo libero in cella (l'unico liquido è rappresentato dall'acqua di reazione che umidifica la membrana e quindi i problemi di corrosione dei materiali sono ridotti al minimo); relativa semplicità di fabbricazione della cella; capacità di lavorare con grandi differenziali di pressione; dimostrata lunga vita media con membrana Nafion; alta densità di potenza.
Pile ad acido fosforico. − Le p. a c. ad acido fosforico (PAFC, Phosphoric Acid Fuel Cells), funzionano a temperature prossime a 200 °C. Esse hanno raggiunto negli Stati Uniti e in Giappone uno stadio di sviluppo molto avanzato; la loro penetrazione nel mercato è stata già avviata con la produzione e sperimentazione di alcuni impianti dimostrativi (da 4,5 MW nel 1985, e da 11 MW attualmente funzionante a Tokyo); la piena commercializzazione è prevista per la seconda metà degli anni Novanta. I maggiori problemi ancora aperti riguardano l'affidabilità, la durata e il costo: per i primi la soluzione definitiva è affidata a ricerche già in corso con ottime probabilità di successo; per il costo la riduzione si potrà ottenere soprattutto con l'impiego di tecniche e metodologie di produzione di serie e sostituendo il catalizzatore di platino o riducendone la quantità necessaria. Sin da ora le quantità di platino impiegate sono enormemente ridotte con l'impiego di tecniche di ''micro-dispersione'', tanto da non rappresentare più un problema sostanziale nella riduzione del costo. Inoltre, a parte la fase iniziale d'immobilizzo, può essere completamente riciclato e recuperato. La presenza di anidride carbonica non reca danno a questo tipo di cella; pertanto al catodo può fluire direttamente l'aria dell'ambiente, mentre nell'anodo, come combustibile, può essere utilizzato gas di sintesi ottenuto dal reforming di idrocarburi o da carbone.
Il rendimento elettrico globale di un impianto con questo tipo di celle alimentate con metano si aggira attorno al 42% riferito al potere calorifico superiore; si prevede che tale valore potrà raggiungere il 45÷50% per effetto dei miglioramenti in corso di realizzazione. Tali rendimenti sono riferiti all'energia elettrica, in corrente alternata, all'uscita dall'impianto e pertanto al netto dei consumi interni, quale, per es., l'energia assorbita dalla conversione del metano all'interno dello stadio di reforming, le perdite di energia nella conversione da corrente continua a corrente alternata nell'inverter e gli altri fabbisogni elettrici e termici.
Il metodo di asportazione del calore prodotto durante il funzionamento è molto importante, sia per mantenere costante entro certi limiti la temperatura di cella, sia per il suo recupero ai fini dell'utilizzo contemporaneo di energia elettrica e calore (cogenerazione). La rimozione del calore viene fatta mediante un fluido refrigerante che può essere aria, acqua od olio (per citare i sistemi di raffreddamento finora adottati dalle principali industrie impegnate nel settore: Energy Research Corporation, Westinghouse, United Technology Corporation negli USA e Sanyo, Toshiba, Mitsubishi e Fuji in Giappone). Il fluido refrigerante passa attraverso delle piastre speciali, scanalate, che raffreddano gruppi di celle elementari (generalmente una piastra di raffreddamento su cinque di celle dello stack); una schematizzazione sia dello stack (l'insieme di celle) che della cella è rappresentato in fig. 3.
La scelta del sistema di raffreddamento e del tipo di fluido impiegato dipende normalmente dalla potenza dell'impianto. In generale il raffreddamento ad acqua è utilizzato per le grandi taglie di potenza (alcune decine di MW), dove è necessario asportare grandi quantità di calore con produzione di vapore. Il raffreddamento ad aria è utilizzato per le piccole potenze (da pochi kW alle centinaia di kW), dove le ridotte dimensioni degli elettrodi presentano una distribuzione uniforme della temperatura e le condizioni di scambio termico sono meno critiche. Il raffreddamento ad aria comporta altresì una notevole semplificazione dell'impianto, ma rende più difficile il mantenimento e il controllo delle temperature ai valori dovuti.
In Italia è in corso un ampio programma dimostrativo con impianti da alcune decine di kW, 200 kW e 1 MW, alimentati a gas naturale. Quest'ultimo, installato a Milano presso l'AEM (Azienda Elettrica Municipale), è caratterizzato da uno sviluppo dell'ingegneria impiantistica completamente italiana.
Pile a carbonati fusi. − Le p. a c. a carbonati fusi (MCFC, Molten Carbonate Fuel Cells) sono molto promettenti, per effetto degli elevati rendimenti elettrici prossimi al 60%, per la possibilità d'impiegare combustibili meno pregiati del metano e per la disponibilità di calore ad alta temperatura (600÷650 °C) che, una volta recuperato, consente ancora di produrre energia elettrica con sistemi convenzionali (ciclo combinato turbina-vapore).
La ricerca su questo tipo di cella è impegnata per superare alcuni problemi aperti, che riguardano principalmente la corrosione del catodo e la stabilità di alcuni materiali alla temperatura di funzionamento di 650 °C. La fattibilità tecnologica è comunque a buon punto, tanto che sono in corso realizzazioni di stack e impianti dimostrativi di alcune centinaia di kW (100÷300 kW).
L'impegno di ricerca è tuttavia in continua crescita specie negli USA e in Giappone, ove si prevedono, per questa tecnologia ''di seconda generazione'', applicazioni stazionarie per centrali elettriche di potenza compresa tra alcuni megawatt e qualche centinaio di megawatt. Entro la seconda metà degli anni Novanta il programma USA prevede la realizzazione di un impianto da 2 MW e quello giapponese di un impianto da 1 MW per la stessa data. Anche in Italia si sta avviando un programma di sviluppo i cui obiettivi sono allineati a quelli degli altri paesi. Il loro prevedibile impiego nel mercato della generazione di energia è possibile intorno al 2000.
La tecnologia delle pile a carbonati fusi presenta notevoli vantaggi rispetto alle celle ad acido fosforico per la loro semplicità costruttiva e per l'impiego di materiali e componenti meno costosi. Infatti, rispetto alle PAFC, nelle MCFC: gli elettrodi sono a base di nichel (e non di grafite pura) e non usano metalli nobili come catalizzatori; l'anodo è costituito da una struttura porosa di nichel contenente dal 2 al 10% di cromo; lo spessore è di circa 0,5÷0,6 mm; esso è il componente più costoso, che incide per circa il 40% sul costo totale dello stack di celle; il catodo è costituito da una struttura porosa di ossido di nichel contenente 1÷2% di litio; il suo spessore è circa 0,5 mm.
Altri componenti importanti delle MCFC sono il tile e il piatto di separazione. Il primo è una mattonella (che funziona da elettrolita) costituita da una struttura ceramica porosa di alluminato di litio (LiAlO2) imbibito di una miscela di carbonati di litio e potassio (l'elettrolita fuso), dello spessore di circa 1,5 mm. Il secondo, detto anche piatto bipolare, è costituito da un foglio molto sottile di metallo, di spessore circa 0,2 mm, la cui superficie corrugata presenta delle scanalature uniformi e parallele; questo componente svolge due importanti funzioni: separare due celle contigue e assicurare il deflusso sia per il combustibile che per l'ossidante.
In questo tipo di pile si possono usare combustibili meno puri; in particolare l'ossido di carbonio nel gas ricco d'idrogeno non costituisce un veleno (come per il catalizzatore al platino delle PAFC), ma è esso un combustibile per la cella. L'alta temperatura di lavoro consente, in alcuni casi (per es. con alimentazione a metano), l'alimentazione diretta del combustibile senza passare attraverso lo stadio di reforming del combustibile esterno, con aumento del rendimento e riduzione dei costi. Va previsto all'anodo un catalizzatore che può essere lo stesso nichel, che alla temperatura di circa 600 °C trasforma direttamente il metano in H2 e CO2.
Pile a ossidi solidi. − Le p. a ossidi solidi (SOFC, Solid Oxide Fuel Cells), grazie alle recenti acquisizioni in merito alle conoscenze sui materiali ceramici, hanno potuto superare gli ostacoli relativi alla temperatura di funzionamento intorno ai 1000 °C. La cella, che opera con un elettrolita solido in grado di condurre ioni ossigeno a temperature superiori a 800 °C, utilizzando elettrodi di materiali non nobili, è costituita principalmente da un elettrolita ceramico a base di ossido di zirconio e ittrio (Y2O3−ZrO2) e da un anodo e catodo rispettivamente di materiale composito Ni-ZrO2 e La(Sr)MO3. Questa tecnologia potrebbe porsi in competizione con quella dei carbonati fusi. La struttura della cella può essere sia di tipo planare che tubolare: ancora non si è pervenuti a una scelta tecnologica definitiva. La Westinghouse, negli USA, ha realizzato, con tecnologia tubolare, sistemi da 25 kW, attualmente in funzione presso aziende del gas giapponesi.
I vantaggi principali consistono: nei ridotti fenomeni di corrosione (presenti invece nella MCFC) e nell'assenza di evaporazione da parte dell'elettrolita solido; nell'assenza di catalizzatori a causa della cinetica delle reazioni elettrochimiche ad alta temperatura; nella tollerabilità da parte di composti contenenti lo zolfo; nella disponibilità di calore ad alta temperatura (800÷1000 °C), che può essere impiegato per produrre energia elettrica; nel rendimento globale che può raggiungere il 60%. Tuttavia questa tecnologia presenta anche considerevoli svantaggi, quali per es.: tempi piuttosto lunghi per l'avviamento, necessari per raggiungere l'alta temperatura di funzionamento con un onere energetico non trascurabile ai fini del bilancio complessivo; scarsa idoneità a frequenti cicli di spegnimento-avviamento; problemi di sicurezza, dovuti alle alte temperature, superiori a quelli d'ignizione dell'idrogeno. In Italia, accanto ad attività di ricerca sui materiali, esiste un programma per lo sviluppo di celle planari, condotto da Eni-Ricerche.
Caratteristiche degli impianti. − Rispetto agli impianti convenzionali, quelli con p. a c. presentano interessanti caratteristiche che possono renderli competitivi per molteplici applicazioni che vanno dai generatori portatili da qualche centinaio di watt ai sistemi per cogenerazione e alle centrali elettriche di potenza (diversi megawatt).
Le principali caratteristiche riguardano i seguenti aspetti:
a) I rendimenti elettrici sono superiori a quelli degli impianti che utilizzano cicli termici sia tradizionali che avanzati, con valori che vanno dal 40 al 48% per gli impianti ad acido fosforico (PAFC), al 60% per quelli a carbonati fusi (MCFC) con la conversione diretta, del combustibile, interna alla cella. Essi sono praticamente indipendenti sia dalle dimensioni dell'impianto che dalle variazioni del carico elettrico applicato. In fig. 4 è il confronto tra i rendimenti di conversione dei principali impianti in uso. Di notevole interesse è la risposta degli impianti con p. a c. al variare del carico rispetto ai sistemi convenzionali che risultano penalizzati nel funzionamento a bassa potenza (fig. 5).
b) L'impatto ambientale è estremamente ridotto, con effetti d'inquinamento chimico, termico e acustico praticamente trascurabili, e comunque molto inferiore ai limiti fissati anche dalle più severe norme di protezione dell'ambiente (per es., norme Epa-USA). Sono infatti bassissime le percentuali di ossidi di azoto e di zolfo, e pressoché assenti gli idrocarburi incombusti e i particolati solidi.
c) L'energia termica prodotta dalla cella (reazioni elettrochimiche agli elettrodi) può essere utilizzata sia per fornire calore al reattore di conversione, sia per produrre energia elettrica mediante cicli termici convenzionali, sia per usi esterni al sistema (cogenerazione).
d) La modularità degli impianti con p. a c. agevola la progettazione e la costruzione di nuove centrali con vantaggi economici sia in fase di produzione e d'installazione, sia in fase di manutenzione. È pertanto possibile produrre i componenti in serie, realizzare impianti di potenza, aggregando un numero variabile di moduli, e seguire l'incremento della domanda nel tempo, aggiungendo successivamente altri moduli, adattando la potenza alle diverse esigenze.
e) La gestione automatica degli impianti può essere molto spinta data l'assenza quasi totale di parti meccaniche in movimento, con conseguente riduzione di personale di operazione e sorveglianza.
f) La risposta alla variazione del carico elettrico è rapidissima (qualche secondo) tra il 30% e il 100% della massima potenza, rendendo il sistema molto adatto all'inseguimento dei carichi variabili.
g) Possono essere utilizzati in prospettiva tutti i combustibili primari sostituendo la sola unità di conversione (reformer). È previsto intanto l'uso di metano e di idrocarburi liquidi mediante conversione catalitica e successivamente anche l'utilizzo dei prodotti della gassificazione o liquefazione del carbone. Nelle celle che funzionano ad alta temperatura (MCFC a 650 °C e SOFC a 1000 °C) può essere sfruttato direttamente il calore prodotto per ottenere, sul lato anodico, direttamente il reforming del combustibile.
h) Il bassissimo impatto ambientale e la possibilità di generare energia elettrica e calore nelle immediate vicinanze dell'utenza consentono il facile reperimento dei siti (anche in aree urbane) e una generale riduzione delle perdite lungo le linee di distribuzione.
Costi. −I costi degli impianti con p. a c. ad acido fosforico (la sola tecnologia a livello precommerciale di cui esiste un'offerta) sono ancora molto elevati. Gli impianti infatti vengono prodotti su singole commesse, poiché l'industria non ha ancora sufficienti garanzie di mercato per impostare una produzione in serie. I costi vanno da 5÷6 ML al kW installato per gli impianti di piccola taglia (200 kW per impianti prodotti dalla IFC-USA) a 7÷8 ML per gli impianti multimegawatt (11 MW in Giappone). Gli studi di mercato e le prospettive di applicazione indicano costi a regime allineati con gli impianti di generazione tradizionali. Per le tecnologie MCFC e SOFC i costi, a mercato maturo, dovrebbero essere circa il 20% in meno di quelli con tecnologie PAFC. Vedi tav. f.t.
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