PILE A COMBUSTIBILE
. Una p. a c., detta anche "pila a combustione" (ingl. fuel cell), è una p. elettrica ad azione chimica (v. pila, XXVII, p. 271) nella quale l'energia chimica di un combustibile viene trasformata direttamente in energia elettrica per mezzo di processi elettrochimici.
Il dispositivo è costituito di solito da due elettrodi (anodo e catodo), che non prendono parte alla reazione di funzionamento, da un elettrolito e da opportuni meccanismi di controllo. Il combustibile e l'agente ossidante giungono in modo continuo agli elettrodi della cella, dove avviene la reazione chimica, e subiscono, durante il funzionamento, la trasformazione della loro energia libera in energia elettrica. Per queste ragioni la p. a c. ideale può essere considerata unicamente un convertitore di energia, e possiede tutti i requisiti per un lunga durata. Tali requisiti sono: a) assenza di corrosione dovuta a reazioni locali indesiderate; b) assenza di modificazioni nell'elettrolito; c) nessuna trasformazione degli elettrodi, con esclusione di quelli di carbone, che partecipano al processo elettrochimico.
La classificazione delle p. a c. più comunemente usata è quella basata sulla temperatura di funzionamento, perché il valore di questa temperatura fornisce anche delle informazioni sul tipo di elettrolito utilizzato: per questa ragione si distinguono p. a c.: a) ad alta temperatura (> 500 °C), funzionanti con un elettrolito solido o un sale fuso; b) a media temperatura (100 ÷ 500 °C), funzionanti con un elettrolito a sale fuso; c) a bassa temperatura (〈 100 °C), funzionanti con un elettrolito in soluzione acquosa.
Combustibili e agenti ossidanti. - Per il funzionamento delle p. a c., oltre ai combustibili tradizionali (combustibili fossili e idrocarburi), si possono usare sostanze facilmente ottenibili da questi, come l'idrogeno, l'ossido di carbonio, gli alcoli, le aldeidi, ecc.
L'idrogeno è il più semplice e uno dei più reattivi tra i combustibili conosciuti. Esso, reagendo all'anodo, perde un solo elettrone per atomo e dà luogo a prodotti molto semplici. Ha però il difetto di essere piuttosto costoso e di difficile manipolazione; anche d'uso limitato, tanto che gli studi più recenti sono volti alla ricerca di sostanze che possano vantaggiosamente sostituirlo.
Gl'idrocarburi, soprattutto quelli liquidi, sono fra i combustibili più importanti. Essi sono di costo relativamente basso e non presentano pericoli nella manipolazione, cioè sono vantaggiosi proprio dove l'idrogeno presenta i più consistenti svantaggi. La loro reattività anodica è però molto bassa e, quando reagiscono, dànno luogo a prodotti numerosi e complessi: quindi presentano notevoli svantaggi, là dove l'idrogeno è molto vantaggioso.
Fra i combustibili di compromesso, che sono quelli dotati di caratteristiche intermedie fra l'idrogeno e gl'idrocarburi, si possono citare l'ammoniaca, l'idrazina, il metanolo e l'ossido di carbonio. Di questi il più importante è forse l'idrazina; essa ha buone probabilità di diventare il sostituto dell'idrogeno per la notevole reattività, la non difficile accessibilità e l'alto contenuto energetico; solo il prezzo, attualmente troppo elevato, ne impedisce un uso universale nel funzionamento delle p. a combustibile.
Gli agenti ossidanti più comunemente usati sono l'ossigeno, l'aria e l'acqua ossigenata. I primi due possono essere usati scambievolmente, anche se si notano perdite di potenza fino al 50% quando l'aria sostituisce l'ossigeno, soprattutto nei sistemi a bassa temperatura. L'acqua ossigenata mostra eccellenti capacità ossidanti, soprattutto se usata nelle p. funzionanti con elettrolito in soluzione acquosa.
Principio di funzionamento delle pile a combustibile. - Lo schema di fig. 1 può essere utilizzato per spiegare il principio di funzionamento di una p. a combustibile. Due elettrodi di platino, opportunamente trattati per favorire l'adsorbimento dei gas, sono immersi in una soluzione fortemente conduttrice (per es., una soluzione acquosa di acido solforico). L'elettrodo negativo (anodo) è rifornito continuamente d'idrogeno gassoso, che viene fatto pervenire su di esso attraverso la soluzione, e l'elettrodo positivo (catodo) è rifornito continuamente di ossigeno gassoso, in maniera del tutto simile al precedente. Fra i due elettrodi, in queste condizioni, si misura una forza elettromotrice pari a circa 1,2 V: se gli elettrodi sono collegati a un carico, circola una corrente e si hanno le seguenti reazioni, che si possono scrivere separatamente, perché avvengono in due diverse regioni della pila:
due molecole d'idrogeno producono quindi quattro ioni idrogeno, lasciando sull'elettrodo quattro elettroni, che si portano attraverso il circuito esterno verso l'elettrodo positivo, dove si ha la reazione:
Perciò una molecola di ossigeno, assieme a quattro ioni idrogeno, reagisce con quattro elettroni formando due molecole di acqua. I quattro ioni idrogeno consumati al catodo vengono ripristinati da quelli prodotti all'anodo, che migrano dalla regione anodica verso quella catodica, cosicché, in totale, non si ha consumo di elettrolito.
La reazione globale, che avviene durante ogni atto elementare del funzionamento della p., è la somma delle due reazioni elettrodiche, cioè 2 H2 + O2 → 2 H2O, che è esattamente la reazione inversa a quella che avviene durante l'elettrolisi dell'acqua.
Se la p. a c. viene provvista anche di un rigeneratore dei reagenti, come potrebbe essere, nel caso ora descritto, una sorgente di radiazioni γ o di neutroni, il sistema può essere messo nelle condizioni di funzionare in continuazione, con la sola spesa energetica relativa alla reazione
La p. a c. ora descritta è stata scelta come paradigma di questi sistemi per la grande semplicità delle reazioni che, almeno in teoria, avvengono durante il suo funzionamento. In pratica, essa presenta alcuni inconvenienti che ne limitano l'applicabilità; il più importante è la formazione, all'elettrodo positivo, anche di quantità non indifferenti di acqua ossigenata H2O2.
Considerazioni termodinamiche. - L'ossidazione di un combustibile cioè il processo
comporta la produzione di una certa quantità di calore, che, se la trasformazione è condotta a pressione costante, si può identificare con la variazione di entalpia −ΔH connessa con la reazione.
Immaginiamo ora di trasformare in lavoro (e quindi, se si vuole, anche in energia elettrica) tale quantità di calore, ricorrendo a un processo ciclico reversibile effettuato da una macchina termica che lavori tra le temperature T1 e T2, con T1 > T2. Com'è noto, a norma del secondo principio della termodinamica non sarà mai possibile trasformare integralmente tale quantità di calore in lavoro, cioè avere un rendimento del 100% in tale trasformazione.
Se la stessa trasformazione chimica viene invece utilizzata per la produzione diretta di energia elettrica (come in una p. a c.), senza passare attraverso l'intermedio del calore, il lavoro massimo ottenibile corrisponde alla variazione di energia libera del sistema, −ΔG, la quale, per un processo che avvenga spontaneamente e sia perciò in grado di produrre lavoro utilizzabile, dev'essere negativa. La relazione che lega la variazione di entalpia alla variazione di energia libera e questa all'energia elettrica ottenibile è
nella quale n è il numero di elettroni coinvolti nel processo ossidoriduttivo, F rappresenta il faraday, pari a 96.493 coulomb, E è la f.e.m. della cella, in volt, ΔS è la variazione di entropia del sistema alla temperatura assoluta T, in calorie/(0K•mole).
I valori di ΔG possono essere maggiori, uguali o minori di quelli di ΔΗ, a seconda del segno di ΔS. In particolare, valori positivi di ΔS rendono ΔG più negativo di ΔΗ: le sole considerazioni termodinamiche portano perciò a concludere che il rendimento delle p. a c. per la trasformazione diretta di energia chimica in energia elettrica può essere molto superiore a quello di qualsiasi sistema che utilizzi macchine termiche, e può, paradossalmente, essere anche superiore al 100%. Infatti, il rendimento ideale di una p. a c. viene definito dalla relazione
ne deriva che, poiché le p. a c. funzionano in condizioni isoterme, il rendimento dipende dal valore e dal segno del rapporto ΔS/ΔH, come si può vedere dalla tabella seguente, che riporta i dati termodinamici relativi ad alcune reazioni di combustione, alla temperatura di 300 °K.
Per quelle reazioni in cui ΔS ≈ 0, il rendimento ideale è circa del 100% a tutte le temperature; per quelle reazioni in cui si ha una diminuzione di entropia, il rendimento ideale è inferiore al 100% e diminuisce all'aumentare della temperatura di funzionamento; per quelle reazioni, infine, in cui si ha aumento di entropia, il rendimento ideale è superiore al 100% e cresce all'aumentare della temperatura di funzionamento. Nella pratica però i valori del rendimento delle p. a c. sono notevolmente più bassi di quelli teorici, essenzialmente per ragioni di carattere cinetico.
Considerazioni cinetiche. - La f.e.m. di una p., E, calcolabile tramite ΔG della reazione responsabile del suo funzionamento (equazione [1]), rappresenta il valore più elevato della differenza di potenziale che la p. è in grado di generare quando si supponga che il processo avvenga in maniera termodinamicamente reversibile. Per questa ragione tale valore rappresenta un limite teorico. Spesso, già il valore sperimentale della f.e.m. non coincide con quello termodinamico, perché il processo elettromotore avviene in realtà secondo uno schema diverso da quello utilizzato per i calcoli; quando poi la cella eroga corrente, si verificano ulteriori cadute di potenziale, le cui cause debbono essere ricercate nella natura degli elettrodi e dell'elettrolito. La caduta di potenziale agli elettrodi (sovratensione cinetica) dipende da impedimenti cinetici allo svolgimento della reazione, dovuti alle condizioni superficiali degli elettrodi e ai cambiamenti di concentrazione ionica nelle regioni di soluzione adiacenti agli elettrodi; la caduta di potenziale nell'elettrolito (sovratensione ohmica) dipende dalla distanza tra gli elettrodi e dalla conducibilità specifica dell'elettrolito. Queste cause fanno sì che il rendimento effettivo di una p. a c. ηeff, sia sensibilmente inferiore a quello ideale, calcolato come ΔG/ΔΗ.
Per es., una p. H2−O2, che operi a 300 °K erogando una densità di corrente di 50 mA/cm2, fornisce una d.d.p. di 0,85 V; dalla tabella si ricava che la f.e.m. di tale pila è pari a 1,23 V e che il rendimento ideale è dell'83%. Il rendimento effettivo di tale cella è perciò: ηeff = o,83 × 0,85/1,23 = 57%.
Vantaggi e svantaggi delle pile a combustione. - Le p. a c. trasformano energia chimica direttamente in energia elettrica, senza una trasformazione intermedia in calore. Esse operano isotermicamente e non subiscono le limitazioni termodinamiche delle macchine termiche; hanno perciò, come si è visto, rendimenti teorici che si avvicinano al 100% e talora lo superano. In più, rispetto ai dispositivi tradizionali (p. chimiche, accumulatori, dinamo, ecc.), le p. a c. presentano volumi e pesi relativamente piccoli, mancano di parti in movimento e sono prive di rumorosità. Il loro principale svantaggio, oltre all'esistenza di un certo numero di problemi tecnologici non ancora risolti totalmente, consiste nel fatto che i combustibili oggi più economici, come il carbone e gl'idrocarburi, sono di difficile reattività elettrochimica.
C'è da notare inoltre che le p. chimiche tradizionali sono sorgenti preziose e convenienti di quantità di energia relativamente piccole, perché forniscono solo l'energia che in esse è immagazzinata. Le p. a c., invece, si dimostrano particolarmente vantaggiose nel caso sia necessario ottenere quantità relativamente grandi di energia: esse sono infatti essenzialmente convertitori dell'energia del combustibile e dell'ossidante forniti dall'esterno; l'immagazzinamento all'esterno diventa tanto più conveniente quanto più grande è la quantità di sostanza da immagazzinare. In conclusione, i due tipi di sorgente di energia sono complementari piuttosto che antagonisti.
Applicazioni. - La prima p. a c. può essere considerata quella costruita nel 1839 da W. R. Grove; in essa fu utilizzata la reazione tra idrogeno e ossigeno per dare acqua e si ottenne il passaggio di una corrente elettrica. Circa 50 anni dopo, nel 1894, R. W. Bunsen propose la costruzione di una p. che sfruttasse la reazione tra carbone e ossigeno per dare anidride carbonica. A. E. Baur e i suoi collaboratori svilupparono questa idea negli anni successivi e misero in atto una cella che poteva funzionare solamente a temperature molto elevate (a causa della scarsa reattività del carbone) erogando densità di corrente piuttosto basse per tempi brevi.
Le ricerche successive s'indirizzarono essenzialmente verso lo studio di p. che utilizzassero l'idrogeno come combustibile: intorno al 1930 furono ottenuti eccellenti elettrodi a diffusione per i gas, e L. Mond e C. Langer costruirono una cella con elettrodi di platino ricoperti di nero di platino, nella quale l'elettrolito era contenuto entro un diaframma poroso interposto tra ogni coppia di elettrodi.
Dopo la seconda guerra mondiale, l'interesse dei ricercatori si rivolse prevalentemente verso l'ottenimento di combustibili che potessero sostituire l'idrogeno, considerato troppo pericoloso. Dagl'idrocarburi furono ottenuti per via chimica combustibili come l'ossido di carbonio e il metanolo; dall'azoto si preparò l'idrazina.
Attualmente, le ricerche sulle p. a c. sono molto vive in tutti i paesi. Sono stati raggiunti risultati molto incoraggianti, e alcuni sistemi sono ormai di produzione industriale, come le p. idrogeno-ossigeno, idrazina-ossigeno e metanolo-ossigeno. Il campo di applicazione più brillante di questi sistemi si registra per l'alimentazione elettrica di astronavi. Per questo scopo, la cella a idrogeno-ossigeno presenta i vantaggi più rilevanti. Infatti ha un peso e un volume relativamente modesti (rispettivamente 63,5 kg/kW e 170 litri/kW) e in più possiede il non trascurabile pregio di produrre acqua potabile. Lo stadio di sviluppo di queste p. può essere considerato assai soddisfacente in relazione alle caratteristiche elettriche e alla vita operativa dei sistemi: gli studi attuali sono perciò improntati al miglioramento della struttura degli elettrodi, per ottenere densità di corrente più elevate, al miglioramento dei catalizzatori catodici, per rendere minimi i valori della sovratensione, e alla sostituzione delle membrane di supporto dell'elettrolito con materiali di più elevata resistenza meccanica, per evitare scadimento delle prestazioni dovuto al deterioramento di queste.
Nel caso delle missioni spaziali Gemini della NASA statunitense la soc. General electric ha costruito una p. a c. del tipo idrogeno-ossigeno, schematizzata in fig. 2, dalle seguenti caratteristiche. L'elettrolito (soluzione acquosa concentrata d'idrossido di potassio) è posto su un supporto costituito da una membrana a scambio ionico di polistirene solfonato. Gli elettrodi, di platino o di palladio, sono messi a contatto diretto con la membrana, da una parte, e dall'altra con una piastra di titanio che serve sia a conferire stabilità meccanica al sistema sia a permettere l'allontanamento del calore per mezzo di spirali raffreddanti. L'ingresso e l'uscita dei gas sono assicurati da piccoli canali. L'acqua di reazione (0,4 litri per kWh a 0,8 V) è raccolta per mezzo di opportuni dispositivi.
Un complesso di trentadue celle così costruite fornisce 13 A a 26 V. Tre di questi complessi formano una batteria, che è rinchiusa in un contenitore di titanio (diametro 30 cm, lunghezza 60 cm) all'esterno del quale sono posti solamente i condotti di adduzione dei gas e i meccanismi di controllo. La vita operativa della batteria è di circa 600 ore.
Nelle applicazioni terrestri, le p. a c. incontrano invece difficoltà maggiori a sostituire le sorgenti di energia tradizionali. Tuttavia è prevedibile che esse, in un futuro molto prossimo, saranno usate non solo per numerosi scopi militari, ma anche per far funzionare stazioni radiotelevisive, per ottenere sorgenti di emergenza per cliniche e ospedali, per risolvere il problema della trazione di veicoli.
Su quest'ultimo argomento è opportuno ricordare che la trazione elettrica di veicoli non è un problema nuovo, ma ha stimolato di recente l'interesse dei ricercatori per un numero molto grande di ragioni, non ultime delle quali sono il sempre più difficile approvvigionamento dei combustibili tradizionali, e l'elevato livello d'inquinamento che si è raggiunto nelle grandi città. Gli esperimenti più recenti hanno portato alla conclusione che né le batterie tradizionali, né le p. a c., se usate da sole, possono risolvere con successo il problema della trazione elettrica dei veicoli. Solo sistemi ibridi, costituiti dall'accoppiamento di p. a c. e batterie tradizionali, hanno dato risultati soddisfacenti. Quando la richiesta energetica è elevata, ma dura per brevi periodi di tempo (partenza, accelerazione), interviene la batteria tradizionale, mentre la p. a c. entra in funzione quando la richiesta energetica è più moderata, e provvede nel contempo a ricaricare la batteria. La soc. Union Carbide ha realizzato a questo scopo l'accoppiamento di batterie al nichel-cadmio con p. a c. idrazina-ossigeno, ottenendo il funzionamento competitivo di piccoli autobus per il trasporto urbano.
Bibl.: H. A. Liebhafsky, E. J. Cairns, Fuel cells and fuel batteries, New York 1968; Handbook of fuel cells technology, a cura di C. Berger, Englewood Cliffs, New Jersey, 1968; J. O'M. Bockris, S. Srinvasan, Fuel cells: their electrochemistry, New York 1969; W. Vielstich (trad. D. J. G. Ives), Fuel cells, Londra, New York, Sidney, Toronto 1970; C. L. Mantell, Batteries and energy systems, New York 1970; A. McDougall, Fuel cells, Londra e Basingstoke 1976.