PRATA, Pileo da
PRATA Pileo (Pileus, Pilius, Pilleus, Pigleus; Pilio, Pigio) da. – Figlio, con ogni probabilità primogenito, di Biaquino da Prata e di Isilgarda (Enselgarda) di Nicolò da Carrara, nacque nella seconda metà del 1330 o nella prima metà del 1331, forse nel castello di Prata, in diocesi di Concordia nel Friuli occidentale.
Il padre, cittadino di Padova e di Venezia, investito della dignità cavalleresca nel 1355, apparteneva a una famiglia tra le più importanti dell’aristocrazia del patriarcato di Aquileia, che sin nel secolo XIII aveva stretti legami con il Veneto e Venezia. Il nome Pileo era già in uso nella famiglia ed era stato di un parente morto verso il 1320. Dal matrimonio con la figlia di Nicolò da Carrara, eminente aristocratico padovano a lungo fuoriuscito perché emarginato dal parente Marsilio (allora in auge), Biaquino ebbe un altro maschio, Tolberto, pure attivo nello scacchiere politico regionale, e una figlia, Elena, che fu moglie di Guecellone IX da Camino.
Le prime notizie che riguardano da Prata risalgono al maggio 1350, quando comparve come canonico della cattedrale di Padova e partecipò col Petrarca, anch’egli da poco canonico, al concilio interprovinciale celebrato dal legato papale cardinale Guido di Montfort, di ritorno dall’Ungheria, oltre a presenziare ad atti del vescovo Ildebrandino Conti. Attestato come studente nel 1351, ebbe qualche consuetudine con gli ambienti accademici, mentre legami familiari e doti personali lo avviavano ai primi passi di una brillantissima carriera ecclesiastica. Tra il marzo 1356 e il gennaio 1358 divenne arciprete del duomo di Padova, e poco dopo (giugno 1358) fu eletto – con dispensa sul defectus aetatis, avendo solo ventotto anni non compiuti – vescovo di Treviso da Innocenzo VI, che non accettò l’elezione di Pietro da Baone da parte del capitolo trevigiano esule a Venezia. Da Prata, peraltro, non mise piede a Treviso, pur effettuando vari atti di investitura feudale (Sartoretto, Cronotassi, 1969, p. 68). Poco dopo fu officiato inutilmente dal suo sponsor politico, Francesco il Vecchio da Carrara (suo cugino per via femminile), come patriarca di Aquileia (agosto 1358) e un anno più tardi traslato alla sede di Padova, nel quadro dello stretto controllo politico della Chiesa locale messo in atto dal signore padovano.
Nel maggio 1360 avrebbe celebrato la sua prima messa (Stacul, Il cardinale, 1957 p. 291). Nel decennio di episcopato non trascurò almeno inizialmente l’ordinaria buona amministrazione della diocesi, come attesta una sinodo celebrata nel marzo 1360, le cui costituzioni contengono vari provvedimenti disciplinari. Spicca però la sua cura per l’Università (in quanto cancelliere dell’ateneo): nel 1360 arbitrò un contrasto tra gli studenti giuristi e quelli di arti e medicina - desiderosi di autonomia -, concedendo a questi ultimi di eleggersi un rettore, ma con molte limitazioni. Ebbe parte marginale nella richiesta, approvata nel 1363 da Urbano V, di erigere anche a Padova la facoltà teologica; nel 1366, dando esecuzione a un lascito, promulgò gli statuti del collegio Tornacense. Autorizzò anche la non-residenza dei canonici studenti (1361). Forse nel 1366 Petrarca gli indirizzò da Venezia la Senile VI, 4 «exhortatoria ad animi constantiam», in cui si accenna oscuramente ad avversità che da Prata aveva da poco affrontato.
In quegli anni da Prata fu coinvolto pesantemente, con la sua famiglia d’origine, nelle dinamiche strategie politiche di Francesco il Vecchio, che tentava di espandersi nell’Italia nord-orientale. Nel dicembre 1364 fu inviato dal signore padovano ad Avignone, in funzione antiviscontea (si trattava di tutelare alcuni aristocratici bresciani) e vi rimase forse sino al settembre 1365, mentre la Repubblica di Firenze e il Carrarese lo candidavano nuovamente, e nuovamente invano, al patriarcato di Aquileia, vacante per la morte di Ludovico della Torre e assegnato a Marquardo di Randeck. Questa missione in Curia fu la svolta della sua carriera. Da Prata dovette essere notato da Urbano V, che lo incaricò (con il vescovo di Cèneda e l’abate di Moggio) di accompagnare Marquardo nel non semplice insediamento (dicembre 1365-aprile 1366). Gli stretti rapporti col Papato lo condussero poi a Viterbo, nell’estate 1367, poco dopo il rientro del papa, e di qui nel 1368 a Bologna (ove fu presente alla promulgazione gli statuti di collegio universitario di Montpellier fatta dal cardinale Anglic Grimoard), per poi spostarsi, in compagnia di Francesco il Vecchio e del Petrarca, a Udine (aprile 1368), per accogliere l’imperatore Carlo IV, nel cui seguito entrò accompagnandolo a Mantova e Modena (primavera 1368). Nel 1369 fu ancora a Bologna a fianco degli ambasciatori carraresi, ma ormai il suo identikit si avviava a esser quello di un ecclesiastico “curiale”, destinato a muoversi su scenari ampi e a difendere gli interessi del papa, sia nei dominii pontifici sia nella politica europea.
Ha in prospettiva anche questo significato la sua promozione all’arcivescovado di Ravenna (gennaio-febbraio 1370); non a caso, dopo pochi anni di buoni rapporti, da Prata entrò nel 1373 in violento contrasto con Guido da Polenta, che come tutti i signori ambiva a controllare beni e signorie ecclesiastiche (come Lugo di Romagna), e non rientrò più in città, anche se ancora nel 1374-75 dalla Francia si preoccupava che gli Estensi pagassero il censo per il possesso di Argenta e che Ravenna fosse rifornita di grano. La tradizione storiografica ravennate, tuttavia, sin dal secolo XV ha giudicato negativamente da Prata come poco rispettoso della alla radicata tradizione della Chiesa locale (anche liturgica) e incapace di difendere le superstiti temporalità arcivescovili.
Già nel 1370 da Prata aveva collaborato col cardinale Anglic nella riconquista di Perugia, nel 1371 era stato a Bologna alle esequie italiane di Urbano V, e si era poi recato ad Avignone da Gregorio XI, con obiettivi legati alla sua amicizia con i da Carrara e agli interessi della Chiesa ravennate. Il sostegno anche militare a Francesco il Vecchio nella cosiddetta “guerra dei confini” del 1372-73 contro Venezia (ostilissima all’espansionismo di Padova carrarese) fu, si può dire, l’ultima azione politica di da Prata in veste di vescovo “italiano”. Nel 1373 fu infatti designato da Gregorio XI come nunzio, insieme con Guglielmo de l’Estrange vescovo di Carpentras, per trattare la pace fra Francia e Inghilterra («pro tractanda et perficienda optata pace» [Stacul, Il cardinale, 1957, p. 267, App. I, n. 7]); i due precedenti nunzi (due cardinali che erano anche cancellieri, ligi ai rispettivi re) non davano infatti affidamento quanto a neutralità. Un primo tentativo compiuto nei mesi di settembre-ottobre del 1373 a Parigi e a Troyes si risolse in un nulla di fatto, non essendo i duchi di Lancaster e di Bretagna autorizzati a trattare. Nella primavera successiva, da Prata fu poi inviato presso il re di Francia, col mandato di consolidare la tregua che Lancaster e du Guesclin avevano stipulato in Aquitania tra il gennaio e il maggio, ma anche in questo caso le trattative fallirono per l’opposizione del re. Un successo fu invece la successiva missione in Inghilterra (giugno 1374), perché da Prata ottenne l’assenso di Edoardo III per una tregua sino a Pasqua 1375 e per una conferenza di pace a Bruges; si recò successivamente presso il riluttante Carlo V e poi di nuovo oltre Manica, raggiungendo infine nuovamente il re di Francia (presso il quale si trovava il suo collega de l’Estrange) in novembre. Lo stesso papa (presso il quale da Prata tornò in dicembre) dichiarò che da Prata si occupò «ferventer e indefesse» della causa della pace (Stacul, Il cardinale, p. 67). I primi mesi del 1375 furono ancora spesi in preliminari e trattative diplomatiche, sinché nel marzo iniziarono finalmente i colloqui nella città fiamminga, imperniati soprattutto sul problema dell’Aquitania e sulla sua eventuale divisione. Le complesse trattative si protrassero sino a fine giugno; si andò molto vicini a un fallimento totale, ma i due nunzi riuscirono alla fine a imporre una tregua di un anno, sino al 1 luglio 1376, e una ripresa delle trattative in autunno. In realtà nunzi e rappresentanti si riunirono solo verso fine dicembre 1375, nella chiesa di S. Donaziano a Bruges, e ancora una volta i nunzi riuscirono a salvare la trattativa prorogando intanto per un anno la tregua vigente e proponendo una sospensione quarantennale delle ostilità.
Il contemporaneo deterioramento della situazione politica italiana, con la ribellione (sobillata da Firenze) di molte città pontificie, tra le quali Ravenna, obbligò da Prata a cedere Lugo, che il vicario papale per la Romagna non volle difendere, agli Estensi (aprile 1376).
Le trattative si trascinarono poi stancamente nella seconda metà del 1376, in una tornata estiva (luglio) e in una autunnale, e così pure nella primavera dell'anno successivo. Nel frattempo (estate 1377) da Prata ebbe modo di svolgere un ruolo di importante mediazione tra il duca di Brabante, fratello di Carlo IV, e la Curia papale in un altro rilevante affare della politica europea, cioè la consacrazione a imperatore di Venceslao di Boemia re dei Romani; e fu per trattare tale questione che nel gennaio 1378 egli comparve, nel seguito del re di Francia, in occasione dell’ultimo atto cerimoniale che concluse il soggiorno parigino dell’imperatore.
In quei medesimi giorni cade un episodio un po’ paradossale, ma significativo. Il papa, credendo vacante la diocesi di Tournai, cedendo alle insistenze del re di Francia vi traslò da Prata: formalmente una retrocessione (pur mitigata dalla concessione della prerogativa di mantenere il pallio e dalla promessa di una futura sede patriarcale). Ovviamente tutto si risolse in un nulla di fatto, ma risulta chiaro che da Prata si era fatto assai apprezzare nel lungo soggiorno in Francia. Da altre fonti si sa poi che egli avrebbe gradito un qualche episcopato in commenda, anche per ragioni finanziarie. Le spese di rappresentanza, per un legato papale impegnato per anni in una trattativa ai massimi livelli europei, erano molto alte. E d’altra parte, come ricorda il suo biografo, «troppo [al da Prata] piacevano la vita, le abitudini, la lingua di Francia» (Stacul, Il cardinale, p. 94).
Nei mesi successivi, l’estremo tentativo di rivitalizzare le trattative di pace anglo-francese mediante il progettato matrimonio di re Riccardo II con la figlia di Carlo V, svoltesi nel monastero agostiniano presso Bruges dove da Prata risiedeva, si risolsero una volta di più in un fallimento (maggio 1378).
Un mese più tardi da Prata rientrò in Italia e si recò presso il nuovo papa, ottenendone presto la nomina a cardinale (mantendendo in amministrazione la sede arcivescovile di Ravenna, per cui fu noto come cardinale ravennate), nella grande infornata di 29 porporati che Urbano VI nominò a metà settembre 1378. Stacul (Il cardinale, p. 103) attribuisce ai consigli di da Prata la resipiscenza di Urbano VI a proposito dei rapporti con l’imperatore e del riconoscimento di Venceslao, e anche nell’anno successivo la preparazione diplomatica del matrimonio fra Riccardo II d’Inghilterra e Anna di Lussemburgo, come punto importante della strategia di recupero dell’impero e dell’area tedesca all’obbedienza urbaniana. Ne fu conseguenza scontata la designazione di Pileo a nunzio in Germania.
Partì per il nord nel novembre 1378, via Ravenna-Venezia-Padova-Friuli, non senza impegnarsi durante il lungo viaggio (rallentato dalla notizia della morte di Carlo IV) in una attiva propaganda a favore di Urbano VI, in sapienti lettere al re Carlo V e al conte di Fiandra, da parte dei quali era fatto segno d’alta considerazione e stima. Nel marzo 1379 consegnò il cappello cardinalizio all’arcivescovo di Praga Jan Očko von Vlašim, che insieme con lui svolse nei mesi successivi un grande lavoro diplomatico a sostegno del papa dell'obbedienza romana, pilotando il giovane imperatore Venceslao. Dalla Boemia, da Prata visitò poi tutte le principali città tedesche (Norimberga, Würzburg, Spira, Worms, Francoforte ove prese parte alla dieta), per un giro di diplomazia e di propaganda che lo impegnò dal settembre 1379 al maggio 1380. Di ciò informò puntualmente Urbano VI.
Anche nei mesi successivi da Prata continuò ad essere l’ispiratore – la mente, ma anche il braccio – della politica filo-urbaniana di Venceslao, accompagnando il re dei Romani a Francoforte, Norimberga (febbraio 1381) e in altre città. Successivamente (marzo-aprile 1381) portò avanti, a Bruges, la trama per l’alleanza anglo-imperiale, poi formalizzata in Inghilterra nel maggio 1381. Con l’attività dell’anno 1382, svolta ancora in Germania a sostegno del re dei Romani a Francoforte e a Praga, si chiuse la sua lunga nunziatura, alla quale si deve sostanzialmente la fedeltà urbaniana delle chiese dell’Europa settentrionale.
Fra l’aprile 1382 e gli inizi di novembre 1383, invece, lo scenario operativo del provetto negoziatore fu ben diverso. Forse anche per ragioni personali, soggiornò infatti nel natio Friuli e – a quanto sembra senza uno specifico incarico papale, ma nell’evidente interesse di Urbano VI – cercò di mediare i violenti contrasti insorti nell’aristocrazia friulana e tra le maggiori comunità urbane (Udine, Cividale) per la nomina a patriarca (dal 1381) di Filippo d’Alençon, allora cardinale vescovo di Sabina. La questione era in realtà rilevante anche in termini di politica europea, coinvolgendo gli interessi degli Asburgo, dell’Ungheria, di Venezia; le trattative si svolsero a Udine, Gemona, Prata, Portobuffolè (ov’era signore Guecellone da Camino, cognato di da Prata). In quanto signore di Prata, il cardinale, nell’occasione, affrancò i servi delle sue masnade rurali.
Agli inizi del 1384 da Prata raggiunse Urbano VI a Napoli, ove il papa era recentemente entrato, ed era riuscito finalmente a costringere Carlo III di Durazzo (il re che egli aveva sostenuto, contro Giovanna d’Angiò) a rispettare i patti e a concedere al nipote Prignano i principati napoletani. Assunse immediatamente un ruolo di leader, anche cerimoniale, nel sacro collegio. In aprile fu però nominato legato e vicario «in spiritualibus et temporalibus» del Patrimonio e del ducato di Spoleto, e per un anno circa operò a Corneto, appoggiando i sostenitori urbaniani del centro e del nord Italia, nonché riconoscendo la neonata osservanza francescana, fondata da Paoluccio Trinci.
Per un momento, da Prata si scostò dalla fedeltà a Urbano VI – in quel momento in contrasto violentissimo con Margherita di Durazzo e Carlo III – giungendo in Campania a fine maggio 1385 su due galere regie e intavolando poi, da uomo super partes, una trattativa a Nocera assediata dalle truppe regie, con l’emissario papale. Pochi mesi dopo infatti, con altri 4 cardinali rimasti a Napoli (donde il papa era fuggito), predispose un proclama anti-urbaniano indirizzato al clero di Roma (estate 1385). Nei mesi successivi egli rimase tuttavia nell’incertezza, e sostò a Pisa a lungo (settembre-novembre 1385), per poi rientrare momentaneamente in Curia, ricevere l’investitura del titolo di Tuscolo e recarsi a nome del papa in Piemonte. Ma la sua linea trattativista nei confronti dei Durazzeschi lo pose fatalmente in conflitto col papa, che lo accusò poi di tentato avvelenamento. Nell’agosto 1386 da Prata e il cardinale Galeotto da Pietramala si rifugiarono pertanto presso Giangaleazzo Visconti, motivando il loro abbandono del papa con una lettera diretta al comune di Bologna e «cunctis principibus et communitatibus orbis» (Stacul, Il cardinale, p. 346, reg. n° 543). Inevitabile fu dunque l’approdo ad Avignone (con conseguente rogo del cappello cardinalizio ricevuto da Urbano VI, in piazza a Pavia, e ottenimento di un nuovo cardinalato). Da Prata giunse però in Provenza solo nel giugno 1387, dopo una lunga sosta in Savoia. Non mancarono nei mesi successivi contatti con Maria di Blois e da Prata tenne d’occhio la situazione meridionale; egli concertò soprattutto con Clemente VII il tentativo di allargare l’influenza avignonese nel nord-Italia, svolto attraverso una missione in qualità di nunzio (febbraio-aprile 1388), durante la quale cercò di sfruttare i diffusissimi timori anti-viscontei, cui si aggiunse la legazia per Roma e l’Italia meridionale continentale (4 maggio 1388). Tra il 1388 e il 1389 da Prata è presente in Friuli e poi in Piemonte, ad Asti, ove appoggiò i tentativi anti-viscontei di Francesco Novello da Carrara, figlio di Francesco il Vecchio, desideroso di recuperare il dominio di Padova; nell’agosto 1389 era a Firenze, ove tentò invano di staccare la Repubblica dall’obbedienza romana. Successivamente appoggiò, anche militarmente, la scelta anti-urbaniana di Orvieto, e nell’anno successivo (risiedendo a Montefiascone) continuò a sollecitare e promuovere azioni diplomatiche e militari nel Patrimonio, ottenendo alla fine (settembre 1390) il controllo di Viterbo.
Non sono arrivate a conclusive dimostrazioni le ricostruzioni storiografiche che asseriscono un doppiogiochismo di da Prata, anche se è certo che dopo la morte di Urbano VI (ottobre 1389) egli prese presto in considerazione l’ipotesi di riaccostarsi all’obbedienza romana, accordandosi con Bonifacio IX. Il pegno del ritorno all’ovile fu la fallita consegna di Viterbo, nel febbraio 1391, che obbligò da Prata ad abbandonare la città e a recarsi a Roma.
Subito destinatario di importanti benefici (la commenda di Rosazzo in Friuli; ma negli anni successivi ne collezionò parecchi altri), Pileo si occupò dapprima di questioni friulane (a favore del Comune di Udine e contro Giovanni di Moravia) e poi di trattative tra Bonifacio IX e il Comune di Roma. Ma ben presto (dicembre 1391) gli fu assegnata la legazia del Ducato di Spoleto e di numerose città papali (Perugia, Città di Castello, Cortona, l’Aquila e Chiusi). Svolse negli anni 1392-93 un'intensissima attività: conciliare i partiti urbani, riformare lo Studio di Perugia, intervenire militarmente (in prima persona, quantunque non fosse ormai più giovane) contro gli eserciti clementini e locali. Teatro di queste iniziative furono Viterbo, Todi, Perugia, ove fu in buone relazioni con Biordo Michelotti.
Ancora una volta, l’esperienza e il prestigio del «cardinale dai tre cappelli», come fu malignamente ma esattamente definito da Prata dai contemporanei («Pileus trium pileorum», giocando sul suo nome latino: Stacul, Il cardinale, p. XI), apparvero indispensabile oltralpe. Fu infatti designato, dopo il grave episodio dell’imprigionamento di Venceslao da parte dei nobili boemi, come legato in Boemia e nell’area d’impero, con ampie prerogative; ma per vari motivi la legazione non si svolse. Il casus belli infatti fu risolto ancor prima della possibile partenza (agosto 1394), e inoltre da Prata temporeggiò, nel corso del viaggio, sostando a Padova e in Friuli (a Prata, ma in stretto rapporto con il Comune di Udine), anche perché attratto dalla possibilità di ottenere finalmente il patriarcato di Aquileia (in sostituzione di Giovanni di Moravia recentemente assassinato, ma alla carica fu infine designato dal papa, tra i vari aspiranti, un outsider come l'arcidiacono di Bologna Antonio Caetani.
Sulla scia di preclari esempi di papi e cardinali coevi, nell’ottobre 1394 a Padova fondò un collegio per studenti universitari intitolato ai santi Girolamo e Prosdocimo, grazie alla donazione di una casa da parte di Francesco il Giovane da Carrara; dovette elaborare già in precedenza l’intenzione, ma sembrò dubbioso se erigerlo a Bologna o a Padova, come poi fu la sua volontà definitiva.
Trascorso un biennio nella gestione dei minuti affari locali a Rosazzo e a Udine, da Prata rientrò in Curia agli inizi del 1397, collezionando ricche prebende, vivendo nel suo «palatium in monte Jordani» (Stacul, Il cardinale, p. 255), e gestendo il tramonto della sua vita in funzioni onorifiche (era il cardinale vescovo più anziano e sostituì il papa nelle liturgie del Natale). Ma nel secondo semestre 1398 fu “richiamato in servizio” da Bonifacio IX come Senatore di Roma, e risiedette in Campidoglio, per poi passare la mano a Pandolfo Malatesta. Presiedette quindi una commissione cardinalizia d’inchiesta che incriminò Onorato Caetani, contro il quale fu bandita la crociata; ma dovette trovarsi in qualche difficoltà, in quanto procuratore di Venceslao e suo «più fedele amico», prima che l’imperatore fosse detronizzato col consenso del papa (20 agosto 1400).
Ormai settantenne, forse temendo la peste fece testamento il 4 ottobre 1399 a Roma. In esso dispose la fondazione di una cappella nel duomo di Padova perché vi fosse sepolto il suo corpo (in una solenne arca tardogotica con la figura del defunto, tuttora esistente, completata forse nel 1411); destinò i redditi dei titoli del debito pubblico depositati a suo nome nella Camera degli imprestiti di Venezia come dotazione dell’amato collegio universitario, che divenne operativo solo alcuni anni più tardi, verso il 1420, restando noto per secoli con il nome di Pratense. Alle due fondazioni lasciò tutti i suoi beni, tranne pochi legati a favore del monastero del suo primo titolo cardinalizio (S. Prassede), dell’ospedale di S. Giovanni di Prata e di congiunti. Morì prima dell’aprile 1400.
Da Prata anticipa tratti tipici del grande prelato rinascimentale: ambiziosissimo, diplomatico di gran classe, di tratto socievole e grande affabulatore; incettatore di prebende, attento alla carriera ma anche iuxta sua tempora attivo per il bene dell’istituzione; e inoltre amante del lusso (collezionava cavalli di razza) e del bel mondo, sì da trovarsi perfettamente a suo agio nelle corti e negli ambienti aristocratici francesi, inglesi, borgognoni, imperiali. Non si fece mancare un figlio illegittimo, Pietro Francesco, per il quale acquistò (e poi rivendette per garantirgli una rendita) il castello friulano di Morsano (1382). Nel 1387 l’umanista Giovanni Conversini da Ravenna, rievocando un incontro del 1378, ne fornisce un ritratto efficace e vivido: omaggiato da tutti, attorniato dal vescovo di Venezia e dal patriarca di Grado, parlava fluentemente e con affettazione in francese e solo in francese, discettando in mezzo al lusso di questioni d’alta spiritualità, mentre palleggiava da una mano all’altra una boccetta di ricercato profumo.
Fonti e Bibl.: F.S. Dondi dall’Orologio, Sinodo inedito inedito di Pilleo cardinal Prata vescovo di Padova e notizie della di lui vita, Padova 1795; A. Hortis, Giovanni Boccacci ambasciatore in Avignone e P. da Prata..., Trieste 1875; Hierarchia catholica Medii Aevi, sive summorum Pontificum, a cura di K. Eubel, I, Monasterii 1898, pp. 23, 386, 400, 480; P. Stacul, Il cardinale P. da Prata, Roma 1957 (studio fondamentale basato su spogli minuziossimi di fonti, edite e inedite, con pressoché completa bibliografia anteriore); A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, p. 681, ad ind.; A. Sartoretto, Cronotassi dei vescovi di Treviso (569-1564), Treviso 1969, pp. 86 s.; P. Paschini, Storia del Friuli, a cura di G. Fornasir, Udine 19904, p. 902, ad ind.; Storia di Ravenna, III, Dal Mille alla fine della signoria polentana, a cura di A. Vasina, Venezia 1993, pp. 808 s., p. 853, ad ind.; G. Montanari, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa nella diocesi di Ravenna, ivi, pp. 259-340; I collegi per studenti dell’Università di Padova, a cura di P. Del Negro, Padova 2003; A. Rigon, Vescovi e signoria nella Padova del Trecento, in Padova carrarese, a cura di O. Longo, Padova 2005, pp. 69-81; S. Bortolami, Prata (di) P., in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani, I, Il medioevo, a cura di C. Scalon, Udine 2006, pp. 701-707; C. Griggio, Petrarca a Udine nel 1368, in Studi petrarcheschi, XXII (2007), pp. 1-56.