PILLIO da Medicina
PILLIO da Medicina. – Nacque certamente nel borgo di Medicina, soggetto alla giurisdizione di Bologna. Incerta la data di nascita, che deve presumersi anteriore di almeno venticinque anni al 1169, quando compare per la prima volta in veste di testimone di una sentenza episcopale a Bologna.
L’ulteriore documentazione d’archivio che lo riguarda è tutta localizzata in Emilia, soprattutto fra Bologna e Modena, dove egli infatti ricorda di aver soggiornato e insegnato. La storiografia, però, ritiene che abbia trascorso un periodo in Francia, dal quale avrebbe tratto le conoscenze di consuetudini provenzali e i riferimenti a casi pratici francesi inseriti nella sua raccolta di Quaestiones. Esiste una lacuna, tra 1188 e 1192, nella documentazione che attesta la continua presenza di Pillio in Emilia. L’altra lacuna, tra 1201 e 1207, è invece improbabile, perché le quaestiones erano allora già redatte e pubblicate.
Studiò diritto con ogni probabilità a Bologna, dove ebbe per maestro Oderico Bonconsilii, l’unico che egli ricorda come tale. Ma subì anche l’influenza di Piacentino, al quale doveva essere legato, giacché le sue glosse sono aggiunte a quelle di lui nell’apparato ai Tres libri del Codice.
Ne scaturisce un apparato piuttosto stabile, testimoniato da diversi manoscritti come opera compiuta e accolto quasi integralmente nel successivo apparato di Ugolino dei Presbiteri (edito sotto il nome di Azzone nella Lectura Codicis apparsa a stampa nel 1577). Una tale stabile stratificazione di glosse potrebbe essere spiegata dall’uso, da parte di Pillio, del liber magistri di Piacentino, almeno per quanto riguarda i Tres Libri. Il rapporto è confermato dal proemio che Pillio antepose alla propria continuazione della Summa sui Tres libri, interrotta da Piacentino dopo soli 38 titoli. Prima di affrontare il successivo titolo 39, importante perché tratta della cittadinanza e dell’origo, tema cui la cultura giuridica cittadina era attenta in quegli anni, Pillio premette una breve introduzione autobiografica, dimostrando di risentire anche in questo dell’influenza di Piacentino.
Qui egli narra che, dopo aver insegnato per circa tre anni a Bologna, Modena gli si era rivolta proponendogli di sollevarlo dai debiti che aveva contratto e offrendogli un compenso allettante se avesse accettato di trasferirsi per insegnare. Si tratterebbe – sia detto per inciso – della più antica attestazione di un salario annuo versato a un docente di diritto da parte di una istituzione comunale. Pillio accettò l’offerta, ma poco dopo le autorità bolognesi costrinsero tutti i professori giuristi a giurare che non avrebbero insegnato altrove per due anni. Il nuovo obbligo, unito ai precedenti disagi, lo confermò nella decisione di lasciare Bologna per trasferirsi a insegnare a Modena, dove ottenne in effetti condizioni migliori. I modenesi gli consentirono anche di ritardare l’inizio dell’insegnamento, per non infrangere il giuramento che – benché costretto – aveva fatto a Bologna. Poiché il primo documento che attesta la sua presenza a Modena è del gennaio 1181, si può ritenere che il trasferimento sia avvenuto poco prima di quella data.
Durante i due anni di sospensione dell’insegnamento, racconta, portò a termine il suo Libellus disputatorius e poi, rispondendo all’invito proveniente da Piacentino stesso, apparsogli in sogno, si mise a proseguire la raffinata Summa Trium librorum che questi aveva lasciato incompiuta. Fu l’occasione per dedicarsi ai temi pubblicistici della cittadinanza, al prelievo fiscale consentito alle città dell’Impero e alle esenzioni, ai poteri dei magistrati cittadini (equiparati ai decuriones giustinianei), dei collegia di arti e mestieri, dell’amministrazione regolamentare e finanziaria delle città. Interruppe l’opera con il titolo C. 11.40, ultimo di una serie dedicata all’amministrazione delle città e anche ultimo a essere trattato da Pillio. Questo suo impegno, che per sua esplicita ammissione non derivava dalla didattica, ma rispondeva a un’esigenza culturale, era probabilmente scaturito dal rapporto particolarmente stretto che Pillio ebbe con le autorità cittadine.
Modena era un Comune in forte ascesa, che aveva bisogno di giuristi di alto livello per affrontare i problemi che condivideva con le altre città italiane, ma anche per regolare questioni radicate negli assetti territoriali locali. Il primo ordine di problemi era quello dell’imposizione fiscale locale, per il quale gli argomenti romanistici tratti dallo studio dei Tres libri era stato decisivo già in Provenza e in Toscana (Menzinger, 2013). Le questioni del secondo tipo scaturivano dalla rete di concessioni in precaria o in feudo in forza delle quali l’aristocrazia cittadina deteneva le terre della città e del contado circostante. Gli studi di Rölker hanno dimostrato infatti che quasi tutto il territorio modenese apparteneva alla mensa episcopale della città, sicché tutti i possessi erano esercitati in forza di concessioni.
Fu in questo quadro socioeconomico che Pillio, il giurista più autorevole della città, profumatamente retribuito dal Comune, intraprese lo studio del diritto feudale, assumendo come textus per le sue lecturae la raccolta di consuetudini che prese il nome di Libri feudorum, rompendo la tradizione già consolidata di interpretare soltanto gli autorevolissimi libri di Giustiniano. L’ardita operazione ebbe successo, giacché i Libri feudorum entrarono a far parte stabilmente del Corpus iuris civilis, come appendice alle Novelle che l’imperatore aveva raccolto per innovare la sua legislazione. Era ormai la scuola a fornire autorevolezza al testo, e non più viceversa.
Commentando i Libri feudorum Pillio introdusse un concetto giuridico destinato a straordinario successo nella dottrina dell’antico regime: quello di dominium utile (Feenstra, 1971). L’azione di rivendica, che il diritto feudale riconosceva al vassallo per recuperare il bene detenuto in feudo, gli parve una actio utilis di origine consuetudinaria, che rifletteva un diritto soggettivo anch’esso qualificabile come utilis, cioè costituito estendendo i caratteri di una fattispecie disciplinata dalla legge a una situazione analoga, anche se non del tutto identica. Qualificò perciò di dominium utile il diritto del concessionario sul feudo, mentre quello del concedente era denominato dominium directum. Questa divisione della proprietà divenne per secoli la forma giuridica del rapporto reale di natura feudale, ed è stata assunta dagli storici del diritto a simbolo della libertà di interpretazione dei giuristi medievali, capaci di infrangere la regola della singolarità del rapporto fra soggetto e cosa nel diritto romano. Non è stato osservato che proprio negli anni del trasferimento di Pillio a Modena una norma locale aveva autorizzato i concessionari ad alienare liberamente i beni immobili detenuti a titolo derivativo, senza autorizzazione del concedente, a patto che all’acquirente si trasferisse anche l’obbligo di corrispondere in canone dovuto (doc. del 31 ottobre 1182, Registrum privilegiorum..., 1940). Il concetto giuridico di dominium utile formulato da Pillio riconosceva quindi giuridicità all’assetto imposto ai beni feudali dalla legislazione locale.
Oltre alle consuetudini feudali, Pillio conosceva bene anche il diritto canonico: la cronaca inglese di Gervaso di Canterbury riferisce che nel 1187 svolse un ruolo determinante nella causa che opponeva da tempo l’arcivescovo di Canterbury e il Capitolo della vicina abbazia. Pillio difese il Capitolo a Verona, di fronte al tribunale pontificio presieduto da Urbano III. Decisiva fu, a dire del cronachista, l’assenza del consenso del Capitolo abbaziale che avrebbe reso inefficaci le decisioni del vescovo, mentre una delle glosse dell’apparato ordinario al Decretum di Graziano riferisce che l’argomento determinante richiamato da Pillio fu la norma di Graziano (Decr. Grat. C.23 q.2 c.2, ove si legge la glossa) che autorizza a convenire in giudizio il giudice che non amministra la giustizia. In entrambi i casi, Pillio diede prova di sentirsi talmente a suo agio tra le fonti canonistiche da aver ragione sul pur coltissimo e ben noto avvocato dell’arcivescovo, Pierre de Blois.
Questa perizia nella dialettica processuale si riflette in gran parte della produzione letteraria di Pillio, che riveste anch’essa una grande importanza nella storia della letteratura scolastico-giuridica. Sua infatti è la raccolta di Quaestiones più diffusa e apprezzata del periodo, redatta probabilmente fra 1186 e 1195, e contenente ben 138 casus tratti dalla tradizione scolastica o dalla pratica coeva, corredati di argumenta pro e contro e di soluzione conclusiva. La fiducia nel metodo dialettico convinse Pillio a redigere anche un Libellus disputatorius, ossia una raccolta sistematica di luoghi del Corpus iuris civilis ordinati per servire di argumenta pro o contra nelle discussioni processuali o scolastiche.
Si usa definire questi elenchi ‘brocarda’, anche se Pillio, nell’introduzione al suo Libellus (Belloni, 1989, p. 54), dice di usare quel termine per designare le quaestiones. Gli elenchi di citazioni contrapposte contenuti nel Libellus li definisce invece ‘generalia’, perché il contrasto dialettico che propone agli studenti consente loro di indagare la natura delle cose, per le quali il diritto stabilisce generalia, principi generali in base ai quali le norme apparentemente opposte possano conciliarsi. A ben vedere, anche la categoria del dominium utile era un ‘generale’ che riconduceva a unità la costellazione variegata delle concessioni medievali.
Il metodo dialettico che Pillio proponeva con la sua opera avrebbe permesso, a suo giudizio, di ridurre a soli quattro anni il periodo di studi giuridici, che a Bologna toccava i dieci anni trascorsi ad apprendere norme di cui non si comprendeva la funzione operativa. Il legame fra scienza e pratica è all’origine delle opere di Pillio in materia di processo, nelle quali il ragionamento dialettico è applicato alla procedura. Le innovazioni introdotte da Pillio nella didattica e nella dottrina furono dunque assai significative e influenzarono a lungo anche Bologna. Nel complesso, la sua figura occupa un posto chiave nella storia della cultura giuridica medievale, che dalle origini bolognesi segnate dall’esegesi minuziosa del testo si apre con lui a influssi culturali provenienti dalle scuole di arti e teologia, rinnova profondamente la metodologia, formula principi destinati a segnare la dottrina per secoli (Cortese, 1995, II, pp. 145-174).
L’ultimo documento che lo attesta in vita è un atto di transazione tra la pieve di Medicina e il Capitolo episcopale di Bologna in materia di decime, datato agosto 1207. La menzione di Pillio contenuta nell’Oliva di Boncompagno da Signa è stata datata al 1213 da una parte della storiografia sulla base di studi di inizio Novecento ripresi acriticamente dal Fried (Fried, 1974, p. 190, nota 18). Oggi si ritiene che l’opera di Boncompagno risalga agli anni 1199-1200 e che sia in ogni caso anteriore al 1208. Il termine post quem per la data di morte di Pillio deve perciò essere riportato al 1207, anno dell’ultima testimonianza documentaria.
Fonti e Bibl.: Opere: Elenco in H. Lange, Römisches Recht im Mittelalter, I, Die Glossatoren, München 1997, pp. 226-236: Libellus disputatorius, in due diverse redazioni (parzialmente edito nella dissertazione dottorale di Meyer-Nehthropp, dattiloscritto Hamburg 1958; manoscritto digitalizzato in libera consultazione: Wien, Österreichische Nationalbibliothek, Mss., 2157, con inizio a c. 36ra); Quaestiones (raccolta della versione vulgata stampata a Roma, apud Antonium Bladum impr. Cameralem, 1560; rist. anast. in Corpus glossarum iuris civilis, IV, 1, a cura di A. Converso, Torino 1967; i casus sono studiati ed editi da A. Belloni, Le questioni civilistiche del secolo XII: da Bulgaro a Pillio da Medicina, Frankfurt am Main 1989, con indicazioni bibliografiche complete e raffronti con altre collezioni coeve; A. Padoa Schioppa, Le quaestiones super Codice di Pillio da Medicina, in Studia et documenta historiae et iuris, XXXIX (1973), pp. 239-280, ha reperito ed edito alcune questioni abbreviate inserite in un apparato al Codice); Distinctiones (cfr. E. Seckel, Distinctiones glossatorum, Berlin 1911, rist. 1956, che gli attribuisce una raccolta, presentata però in forme diverse nei diversi manoscritti; ediz. parz. a cura di G.B. Palmieri in Bibliotheca juridica medii aevi, II, Bononiae 1892, pp. 138-179; P. Torelli, Distinctiones di Pillio nei codici Vaticani Chigiani E.VII.211 e 218 (1928), ora in Id., Scritti di storia del dir. italiano, Milano 1959, pp. 227-262); glosse alle varie parti del Corpus Iuris Civilis (risultano consolidate in forma di apparati quelle ai Tres libri: cfr. E. Conte, Tres Libri Codicis, Frankfurt am Main 1990, pp. 71-91), al Codex (G. Dolezalek - L. Mayali, Repertorium manuscriptorum veterum Codicis Iustiniani, I, Frankfurt am Main 1985, pp. 493-499); apparato ai Libri feudorum (cfr. A. Rota, L’apparato di Pillio alle Consuetudines feudorum e il ms. 1004 dell’Arch. di Stato di Roma, in Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, XIV (1938), pp. 61-103, ripreso quasi per intero della Glossa ordinaria di Accursio – forse attraverso l’intermediazione della redazione di Iacopo Colombi – e perciò diffuso ampiamente prima manoscritto, poi a stampa); Summa feudorum (non ne sopravvive la redazione originale ma una versione rimaneggiata, da Iacopo Colombi secondo E. Seckel, Über neuere Editionen juristischer Schriften aus dem Mittelalter, in Zeitschrift der Savigny-Stifiung für Rechtsgeschichte, Röm. Abt., XXI (1900), pp. 255-271, oppure da Accursio secondo P. Weimar, Die Handschriften des Liber feudorum und seiner Glossen, in Rivista internazionale di diritto comune, I (1990), pp. 31-98; edita da G.B. Palmieri sotto il nome di Ugolino in Bibliotheca juridica medii aevi, II, Bononiae 1892, pp. 181-194); Summa Trium Librorum (accolta nelle versioni a stampa della raccolta di summae di Azzone fin dal Quattrocento come prosecuzione dell’opera di Pillio, è attribuibile a lui soltanto sino a C. 11.40; inserita insieme alla parte di Piacentino da Rolando da Lucca nella propria Summa ai primi del Duecento, è edita in E. Conte - S. Menzinger, La Summa Trium Librorum di Rolando da Lucca. Fisco, politica, scientia iuris, Roma 2013, parti in corsivo da C. 10.39 a C. 11.40); Tractatus e summulae sul processo (De reorum exceptionibus, inc. «Precibus et instantia», a cura di H. Hoehne, in Ius commune, IX (1980), pp. 139-209, con introduzione e bibliografia completa); De testibus, inc. «Quoniam in iudiciis», a cura di Y. Mausen in Forum Historiae Iuris, 2008 (http://www.forhistiur. de/media/ zeitschrift/0805mausen.pdf); Libellus de ordine iudiciorum, inc. «Cum essem Mutine», a cura di U. Nicolini (1936), ora in Id., Scritti, Milano 1983, pp. 225-255; Tractatus de violento possessore, inc. «Cum varie multiplicesque sint actiones», a cura di P. Weimar in Ius commune, I (1967), pp. 61-103. Guglielmo Durante e Giovanni d’Andrea gli attribuiscono l’ordo Invocato Christi nomine, che però sia E. Seckel (che lo attribuisce a Bencivenne da Siena) sia H. Kantorowicz ritengono non sia opera sua; analogamente, il Libellus de preparatoriis litium, ed. G.B. Palmieri in Bibliotheca juridica medii aevi, III, Bononiae 1901, pp. 15-69, è stato attribuito a un «Guizardinus de Porta Esteria».
Studi: The historical works of Gervase of Canterbury, I, The chronicle of the reigns of Stephen, Henry II and Richard I, a cura di W. Stubbs, London 1879, rist. Cambridge 2012 (e-book); E. Seckel, Quellenfunde zum lombardischen Lehenrecht, insbesondere zu den Extravaganten-Sammlungen…, in Festsgabe der Berliner juristische Fakultät für Otto Gierke, I, Breslau 1910 (rist. anast. Frankfurt 1969), pp. 51-168; Registrum privilegiorum comunis Mutinae, a cura di L. Simeoni - E.P. Vicini, I, Reggio Emilia 1940, pp. 78-83 (doc. n. 50 del 31 ottobre 1182); R. Feenstra, Les origines du dominium utile chez les glossateurs, avec un appendice concernant l’opinion des ultramontani, Groningen 1971, poi in Id., Fata iuris romani: études d’histoire du droit, Leiden 1974, pp. 215-259; J. Fried, Die Entstehung des Juristenstandes im 12. Jahrhundert, Köln-Wien 1974; G. Santini, Università e società nel XII secolo: P. da M. e lo studio di Modena, Modena 1979; G. Dolezalek - L. Mayali, Repertorium manuscriptorum veterum Codicis Iustiniani, Frankfurt am Main 1985; E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, II, Roma 1995, pp. 145-174; R. Rölker, Nobiltà e comune a Modena. Potere e amministrazione nei secoli XII e XIII, Modena 1997 (trad. it. con aggiornamenti dell’ed. tedesca 1994), pp. 2-26, 182 e ss.; E. Cortese, P. da M., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, II, Bologna 2013, pp. 1587-1590; S. Menzinger, Verso la costruzione di un diritto pubblico cittadino, in E. Conte - S. Menzinger, La Summa Trium Librorum di Rolando da Lucca, Roma 2013, pp. CXXV-CCXVII; S. Menzinger, Pagare per appartenere: sfere di interscambio tra fiscalità ecclesiastica e laica in Francia meridionale e nell’Italia comunale (XII secolo), in Quaderni storici, CXLVII (2014), 3 (http://dialnet.unirioja. es/ejemplar/388558), pp. 673-708.