PINELLI
– Capostipite della famiglia Pinelli, che per quasi due secoli ricoprì la funzione di stampatore ducale della Repubblica di Venezia, fu Antonio I nato circa nel 1571 da Giovanni Pietro, già defunto nel 1606.
Non trova riscontro documentario la notizia che la famiglia fosse di origine ligure, supposizione nata probabilmente dall’accostamento alla figura del noto umanista Giovan Vincenzo Pinelli (1535-1601), patrizio genovese che spese la gran parte della sua vita a Padova. È certo invece che, all’atto dell’iscrizione all’arte degli stampatori e librai della città lagunare, il 20 giugno 1601, Antonio I pagò una tassa di immatricolazione di cinque ducati, propria dei veneziani, invece dei dieci versati dai forestieri. Dichiarò in quell’occasione di essere stato per cinque anni garzone di bottega, così come previsto dalle leggi vigenti, presso Marco Bindoni.
La sede dell’attività era collocata nel cuore della città, nei pressi di campo S. Maria Formosa, non lontano da piazza S. Marco. Indizio della solida posizione sociale della famiglia nella città lagunare, a partire già dagli anni Trenta del Seicento, è la frequente presenza di patrizi veneti quali padrini di battesimo delle successive generazioni della famiglia.
Antonio I iniziò a stampare nel 1600, in caratteri sia greci sia latini. Nell’ambito della produzione in greco a Venezia lui prima e il figlio Giovanni Pietro I poi dominarono tutta la prima metà del XVII secolo, con oltre 130 edizioni. Tra il 1599 e il 1600 Antonio I acquistò dagli eredi di Pietro Zanetti caratteri, ornamenti tipografici e anche copie di alcune edizioni invendute del padre Cristoforo Zanetti, morto nel 1582. La tipografia si dotò pure di altre serie di caratteri, quali l’augustine grecque di Pierre Haultin e altri di provenienza francese, visibili nelle prime edizioni di testi in volgare, nonché di elementi decorativi provenienti dalla stamperia di Giacomo Leoncini, riutilizzati in libri liturgici. I Pinelli acquisirono inoltre la serie di xilografie della prima edizione (1526) dell’Iliade in greco moderno di Nikolaos Loukanis, impiegandole nelle loro edizioni del poema del 1603 e del 1640. Furono creatori di nuove iniziali decorate, testatine e cornici xilografiche. La tipografia arrivò a impiegare nel tempo dodici correttori per la parte greca, tra cui spiccano nomi illustri, quali quello di Massimo Margunio, Teofane Xenachi, elevato alla sede arcivescovile ortodossa di Filadelfia con residenza a Venezia, Arsenio Caludi direttore del Collegio Cottunio di Padova e predicatore a Corfù.
Due atti dimostrano l’intento di Antonio I di operare a lungo termine: nel 1619, progettando di ristampare sei libri greci di carattere liturgico, con un investimento di almeno 4500 ducati, chiese infatti e ottenne dal Senato veneziano un privilegio di vent’anni. Nel 1623 acquistò invece da un Francesco Pelicano quondam Giovan Vincenzo un privilegio ventennale per la stampa di Homelie in lingua greca (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Atti, reg. 5002, cc. 72v-73r).
Dal 1609 Antonio I stampò anche in caratteri latini, con una netta preponderanza di testi in volgare, per un totale di oltre 250 edizioni, oltre a ciò che produsse come stampatore ducale. Accanto all’attività di stampatore, egli operava anche in qualità di mercante di libri con un raggio d’azione europeo: con Bernardo Giunti, alla presenza di un notaio nel 1613 furono imballati sei colli contenenti 1040 copie in formato ottavo di un Breviario romano da spedire a Madrid via Alicante per conto del fiorentino Alessandro Fontana (ibid., reg. 4990, c. 266).
Fu durante la gestione di Antonio I che il Senato della Repubblica concesse a Pinelli la qualifica di stampatore ducale, in risposta a una sua supplica del 22 dicembre 1617. La situazione cambiò totalmente rispetto al passato: fino a quel momento, infatti, i tipografi Rampazetto avevano goduto di un privilegio molto più circoscritto, e cioè di stampare in città e fuori almeno una parte dei documenti ufficiali della Serenissima. Le successive generazioni della famiglia Pinelli detennero l’incarico fino alla caduta della Repubblica di Venezia, presentando suppliche alla morte di ogni titolare e ottenendo ogni volta la riconferma con decreto del Senato. Inizialmente gratuito, dal 1684 in poi il Senato impose «a titolo di decima o affitto» ai concessionari una contribuzione annua di 500 ducati, portata a 550 nel 1720 e a 1000 nel 1768.
Sin dal tempo di Antonio I, dunque, e precisamente dal 1617, i Pinelli furono stampatori ducali in tutto il territorio della Serenissima. Potevano cedere ad altri la loro facoltà di stampare, come avvenne con i Remondini. In data 13 luglio 1663 Giovanni Pietro I Pinelli e Giovanni Antonio Remondini si accordarono in questi termini: il primo concesse al secondo, che aveva «fatta una stamparia in Bassan», di stampare le bollette dei dazi ed altro per il luogo di Bassano, in cambio di «un quarto di vitello a Natale e uno a Pasqua» (Bassano, Biblioteca del Museo civico, Archivio Remondini, Catastico, 1, c. 6v).
La privativa concessa ai Pinelli venne scalfita quando nel 1682 si istituirono le Stamperie camerali per il solo uso degli uffici spettanti ai pubblici rappresentanti nelle città di Terraferma. Dal 1733 alcuni di questi stampatori camerali avanzarono la pretesa di produrre anche terminazioni, proclami e altri atti provenienti da Venezia, di fatto usurpando le prerogative dei Pinelli. La controversia che ne nacque venne risolta con decreto del Senato del 7 aprile 1768, regolante i rapporti tra stamperia ducale e camerali di Terraferma.
I Pinelli mantennero per tutto l’arco della loro attività anche una parallela produzione di carattere commerciale, concentrata in particolare in due settori: da un lato un’ampia fetta di pubblicazioni occasionali, di bassa qualità e ampio smercio, legata a eventi di carattere politico e militare, dall’altro, soprattutto nel XVII secolo, oltre alle edizioni in greco – e alcune in latino – entrambe con quasi inesistenti incursioni nei classici (Sofocle nel 1611, Plinio nel 1670 e 1686), risulta invece un’attenzione spiccata per gli autori contemporanei, tra cui membri dell’Accademia degli Incogniti, fondata dal nobile veneziano Giovan Francesco Loredan negli anni Trenta del Seicento: alcune edizioni di opere dello stesso Loredan, di Tommaso Roccabella e di Cristoforo Tomasini. Probabilmente vicini al circolo sarpiano, i Pinelli pubblicarono per almeno due volte opere di Paolo Sarpi con falsa data, il De iurisdictione nel 1619 e la Historia particolare nel 1624. Nel corso del XVIII secolo, da Giovanni Pietro II in poi la produzione privativa si riduce notevolmente, fatti salvi i componimenti d’occasione.
Per quanto riguarda la struttura del frontespizio dei loro volumi vi sono tre grandi filoni in uso presso i Pinelli nei secoli: l’emblema di s. Marco passante a destra o a sinistra quale contrassegno delle pubblicazioni ufficiali; l’allegoria di Venezia in veste di Giustizia risulta invece preponderante nelle molte relazioni seicentesche di vittorie veneziane contro i turchi, a volte sostituito da un semplice fregio xilografico; una marca parlante raffigurante un albero di pino per le edizioni in greco, latino e italiano di carattere letterario. Tale marca presenta spesso nelle edizioni seicentesche accanto al pino anche le iniziali del nome dello stampatore («A» per Antonio I, «G. P.» per Giovanni Pietro I).
Antonio I partecipò con regolarità ai capitoli dell’arte degli stampatori e librai, ricoprendo vari incarichi, tra cui quello di priore, dal giugno 1625 all’agosto 1627. Morì il 10 gennaio 1631, «amallato da febre et cattaro già doi messi», quindi presumibilmente non dell’esiziale pestilenza che imperversava all’epoca.
Nel testamento, datato 17 ottobre 1630, dichiarò di avere in affitto un magazzino da Casa Ruzzini, e di possedere dei mobili di casa, magazzini, stamperia a Venezia e una casa grande, terra prativa, altra casa, stalla e cantina a Fietta, località nei pressi del monte Grappa, in provincia di Treviso. Vi è attestazione che la vedova Angelica Pinelli abbia lavorato nella stamperia, per lo meno dopo la morte del marito (Archivio di Stato di Venezia, Arti, b. 163, reg. 3, cc. 86v-87r). Deceduta il 13 ottobre 1638 a circa settant’anni, lasciò cinque figli viventi, tra cui l’erede dell’attività paterna Giovanni Pietro I.
Contemporaneamente ad Antonio fu attivo anche Marco Pinelli, figura piuttosto sfumata, che stampò pochi titoli tra il 1603 e il 1609, utilizzando la marca tipografica dei Pinelli. Di lui non si è trovata traccia documentaria, e quindi non si è potuto stabilire la sua relazione di parentela con il resto della famiglia.
Giovanni Pietro I (1601-1684) divenne stampatore ducale il 28 gennaio 1631. Fu priore dell’arte degli stampatori e librai, dal dicembre 1635 al luglio 1637, dal settembre 1643 almeno fino all’ottobre 1646 e almeno dal settembre 1651 al giugno 1654. Un salto cronologico di cinque anni nei registri dell’arte (dal 1646 al 1651) rende incerto l’esatto dispiegarsi del secondo e terzo priorato. Si sposò due volte, dalla prima moglie Alba (1605-1639) nacquero almeno sei figli, tra cui il futuro stampatore ducale Antonio II; dalla seconda moglie Isabella (ca. 1604-1679) nacquero almeno altre tre figlie femmine.
Nel corso degli anni la produzione in greco, preponderante al tempo dei primi due stampatori, Antonio I e Giovanni Pietro I, andò riducendosi e risultava già molto ridimensionata attorno al 1676, fino a diventare, a partire dagli anni Sessanta del Settecento, solo legata all’attività governativa, e quindi alla stampa di leggi, regolazioni, tariffe e simili per i possedimenti greci della Serenissima.
Antonio II, nato da Giovanni Pietro I e dalla sua prima moglie Alba circa nel 1629, assunse l’incarico di stampatore ducale nel luglio 1684. Divenuto cieco attorno al 1697, passò l’incarico in data 18 dicembre 1699, al figlio e unico erede Giovanni Pietro II (o Giovanni, nelle fonti il nome oscilla), nato dal matrimonio con Maria Ginzetta (m. 1699). Iscritto all’arte dal 1684, Antonio II ne fu priore negli anni 1693-94, mentre dalla fine di novembre del 1697, a causa della cecità, non partecipò più ai capitoli. Morì il 27 ottobre 1713. Dei beni della moglie esiste inventario, redatto su richiesta del figlio alla sua morte.
(Giovanni) Pietro II, figlio di Antonio II, partecipò ai capitoli dell’arte dal 1701 in poi, e fu priore nel 1710-11. Morì prematuramente il 25 ottobre 1719, lasciando quattro figli, tutti in minore età, avuti dalla moglie Francesca Negri (circa 1678-1772): Giovanni Antonio I (1701-1737), che assieme con il fratello Almorò (1710-1739) gli succederà nella conduzione dell’attività di famiglia, Elisabetta (1704-1763) e Giovanna (1715-1796). Alla morte di (Giovanni) Pietro II venne redatto inventario sia della casa sia della stamperia. Di Francesca Negri si conserva il testamento, datato 1759, nel quale nomina eredi universali le uniche due figlie viventi, Elisabetta e Giovanna. (Giovanni) Pietro II lasciò anche un debito verso lo Stato di 5820 ducati derivante dal mancato versamento del canone annuale dovuto per l’esercizio della qualifica di stampatore ducale, di cui si fecero carico gli eredi Giovanni Antonio I e Almorò. Si impegnarono a restituire l’intera somma, in parte bilanciando con crediti che vantavano da parte dello Stato per l’ammontare di 3000 ducati, in parte con un rimborso diluito nei quattro anni successivi, tramite versamento di una cauzione.
Il primo dei due eredi, Giovanni Antonio I partecipò alla vita dell’arte, cui chiese iscrizione l’8 aprile 1720, ma temporaneamente non venne accolto in quanto il defunto padre (Giovanni) Pietro II risultava debitore. Sposato con Marta Morgani (o Morgagni, 1704-1790), ebbe almeno otto figli, di cui sei raggiunsero la maggiore età: Giovanni Antonio II (1726-1797), Pietro (1730-1801), Maffeo (1735-1785), e tre figlie femmine, Maria Antonia, monaca, Maria, rimasta nubile, entrambe viventi nel 1802, e Lucrezia, che sposò Giovanni Occioni. Giovanni Antonio I morì nel 1737, lasciando otto figli minori, i quali immediatamente presentarono supplica per poter continuare l’attività paterna. Il Senato, con decreto del 16 marzo 1737 accondiscese, affiancandoli allo zio Almorò. Nel testamento Giovanni Antonio I istituì due commissari, Francesco Zanchi e Giovanni Domenico Sabini, con l’incarico di fare da tutori ai figli minori e di occuparsi della stamperia. Almorò morì due anni dopo, nel 1739, lasciando ai nipoti tutto i capitali del negozio.
A seguito del decesso di Almorò, il Senato, in data 21 aprile 1740, riconfermò i figli del fu Giovanni Antonio I, ma chiese una cauzione al loro nonno materno, Maffio Morgani. La giovane vedova Marta Morgani si risposò con Daniele Zanchi (1719-1792), celebre causidico veneziano, figlio dell’ormai defunto Francesco tutore dei figli minori di Giovanni Antonio I, che quindi fece da patrigno ai figli nati da Pinelli. Nel 1737 venne redatto un inventario degli oggetti rimasti alla vedova Morgani, di scarso significato.
Giovanni Antonio II, primogenito di Giovanni Antonio I e di Marta Morgani, condusse la stamperia fino alla caduta della Serenissima, assieme con i fratelli Pietro e Maffeo. Iscritto all’arte dal 1742, ne fu priore dal 1752 al 1757. Durante la sua guida, nel 1741, la famiglia ricevette anche l’incarico di Stampatori patriarcali («Ex typographia ducali, & patriarchali Pinelliana»). Risulta avere avuto almeno due figli, Pietr’Antonio e Giovanni Pietro III (n. 1758). Alla sua morte, nel 1797, gli successe il figlio Giovanni Pietro III, futuro stampatore regio.
Maffeo (1735-1785), fratello di Giovanni Antonio II, affiancò all’attività di stampatore una passione per il collezionismo, che lo portò a possedere una pregevole raccolta di monete, medaglie, libri, stampe, statue e pitture, poste in vendita alla sua morte. Jacopo Morelli, custode della Libreria di S. Marco (attuale Biblioteca Marciana), suo compagno di studi e amico, redasse sia il catalogo dei dipinti, nel 1785, coadiuvato in questo dai pittori Domenico Maggiotto e Davide Antonio Fossati (Catalogo di quadri raccolti dal fu Signor Maffeo Pinelli ed ora posti in vendita, Venezia 1785), sia, per incarico del patrigno di Maffeo, Daniele Zanchi, il catalogo della sua biblioteca, che sarà venduta all’asta a Londra nel 1789 (Bibliotheca Maphaei Pinelli Veneti…, Venezia 1787). Maffeo fu anche noto alla Repubblica delle lettere per la sua traduzione di un libro di Edward Harwood uscito a Londra nel 1775 (Prospetto di varie edizioni degli autori classici greci e latini tradotto dal’originale inglese del d.r. Eduardo Arvood corretto ed accresciuto da Maffeo Pinelli veneziano, Venezia 1780). Nel testamento lasciò eredi i fratelli Pietro e Giovanni Antonio II, e alla loro morte il nipote Pietro Antonio, figlio di quest’ultimo.
Pietro (1730-1801), fratello di Giovanni Antonio II, sposò nel 1786 Maria Noni; nel testamento redatto nel 1795 non sono menzionati figli e la consorte è l’unica erede. Nel fondo Messetteria dell’Archivio di Stato di Venezia si conserva un calcolo degli attivi e passivi della sua eredità, richiesto dai nipoti.
Risale a questi anni la ristampa della celebre carta del mondo a forma di cuore, il mappamondo turco-veneziano detto di «Hajji Ahmed»: nel 1795, a seguito del rinvenimento nell’Archivio del Consiglio dei dieci dei sei blocchi in legno di ciliegio incisi che nel 1599 erano stati adoperati per la stampa della celebre carta cordiforme (di cui non si sono conservati esemplari), i Pinelli furono incaricati dallo stesso Consiglio di farne una nuova impressione. La tiratura fu di soli ventiquattro esemplari, dal momento che i legni compromessi non consentivano di più.
Per i secoli XVII-XVIII si può ricavare qualche notizia sulle dimensioni della stamperia Pinelli dai rolli (elenchi dei membri) richiesti dalla magistratura della Milizia da mar ai fini della tassazione dovuta (Archivio di Stato di Venezia, Milizia da Mar, b. 545). Si conservano per gli anni 1659 circa, 1671-72, 1690, 1705: tra garzoni e lavoranti vi erano sempre tra le cinque e le otto persone in servizio. Negli anni 1704-19 i Pinelli pagavano una tassa di venti lire annue, che con Giovanni Antonio I e Almorò passò a oscillare tra le sessanta e le ottantaquattro lire (anni 1724-35), cifra assai contenuta rispetto, per esempio, al Negozio Baglioni che ne versava circa seicento. Anche per gli anni 1791-97 rimane registrazione e pagavano sessantotto lire, più o meno la metà rispetto ad Antonio Zatta, e un quinto rispetto ai Baglioni. Una spiegazione possibile è che la tassazione colpisse solo la parte di produzione non oggetto di privativa.
Risale al 1740 una descrizione del funzionamento della tipografia (Senato, Deliberazioni, Terra, fz. 1911), a opera del magistrato dei Provveditori e aggiunti sopra denari, incaricati di prendere in esame la tariffa dei prezzi della Pubblica Stamperia ed evitare abusi nell’utilizzo del contrassegno di S. Marco apposto sulle pubbliche stampe: erano in attività continua sette torchi, con l’ausilio di un sufficiente numero di operai e addetti. Nella stamperia vi era un archivio che conservava la raccolta dei decreti, terminazioni, proclami e capitoli stampati nel corso degli anni, a uso delle magistrature che facessero richiesta di eventuali riemissioni o ripubblicazioni. Gli originali degli atti si trovavano in distinte filze annuali, per poterli confrontare con le stampe prodotte. Le matrici del contrassegno di s. Marco, sia in legno sia in rame sia in stagno, di varie misure, erano custodite sotto chiave dal proto, per evitare un utilizzo improprio o fraudolento.
Uno spaccato risalente al 1794 (Archivio di Stato di Venezia, Capi del Consiglio di dieci, Miscellanea, b. 14) contribuisce a chiarire modi e tempi dell’attività degli stampatori ducali: si tratta di un documento che contiene sedici ordini distribuiti nell’arco di un anno, dall’8 marzo 1794 al 1° marzo 1795, per un volume d’affari di oltre 3800 lire di valore, e la tiratura richiesta per ogni ordine, variabile dagli ottocento ai cinquemila. Tutti gli ordini sono seguiti da una nota di ricevuta, che nei rari casi in cui è datata dimostra che le stampe richieste, anche se numericamente rilevanti, venivano eseguite nel giro di pochi giorni.
La Stamperia Pinelli rimase attiva almeno fino al 1815, proseguendo la sua attività durante la nota alternanza di governi francese e austriaco, dopo la caduta della Serenissima Repubblica nel 1797. Un passaggio almeno formalmente significativo avvenne nel 1797, durante il periodo della Municipalità provvisoria: la privativa sulle stampe pubbliche, detenuta dai Pinelli per quasi duecento anni, decadde e l’incarico di stampare tutto il materiale prodotto dai vari Comitati della Municipalità venne ripartito tra Antonio Zatta, Giustin Pasquali – non legato da parentela con il più noto Giambattista – e Pinelli. I tre stampatori si impegnarono anche ad applicare un ribasso del 20% sulle forniture rispetto ai tempi della Serenissima (la nota tipografica fu: «Per li Pinelli, Zatta e Pasquali stampatori del governo»). Durante la prima dominazione austriaca (1798-1805), i Pinelli divennero stampatori regi («Per li Pinelli zio e nipote stampatori regi»), qualifica mantenuta nella successiva era francese del Regno d’Italia (1805-14), nella quale Giovanni Pietro Pinelli si sottoscriveva nelle edizioni: «Per Gio. Pietro Pinelli stampatore regio. In S. Maria Formosa calle Bragadina al n. 5089».
L’ultimo dato proviene da un documento risalente al 1815, e quindi al periodo della dominazione austriaca, (Archivio di Stato di Venezia, Dipartimento censura, 1815, b. 2), elencante tutte le tipografie attive nella città lagunare: da esso i Pinelli risultavano essere una tipografia ancora di tutto rispetto: si contano dodici torchi e ventotto lavoranti. Anche qui trova conferma quanto descritto nel documento del 1740, e cioè che la famiglia custodiva in un archivio tutte le leggi, risalenti fino a due secoli prima.
Fonti e Bibl.: Venezia, Archivio storico del Patriarcato, Parrocchia di S. Maria Formosa, Battesimi, regg. 2-13; Morti, regg. 7-20; Parrocchia di S. Marina, Morti, regg. 13-14; Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, bb. 328 n. 77 (Antonio I); 328 n. 64 (Angelica); b. 328 n. 29 (Adriana q. Antonio I Pinelli); 871 n. 113 (Giovanni Pietro II); 1104 n. 196 (Francesca Negri); 114 n. 70 (Antonio II); 106 n. 64 (Giovanni Antonio I); 1036 n. 241 (Marta Morgani); 106 n. 42 (Almorò); 1142 n. 112 (Pietro); 810 n. 36 (Maffeo); Notarile, Atti, reg. 4990, c. 266rv (Pinelli - Giunti); Giudici di Petizion, Inventari, b. 352/17 n. 77 (Antonio I); Giudici del Proprio, Vadimoni, reg. 261, c. 105v; Mobili, reg. 294, cc. 26r-27v (Maria Ginzetta Pinelli); Giudici di Petizion, Inventari, bb. 416/81 n. 55 (Giovanni Pietro II); 434/99 n. 35 (Giovanni Antonio I); Notarile, Atti, reg. 5002, cc. 72v-73r (Pinelli - Pelicano); Arti, bb. 163-165, 178; Milizia da mar, b. 545; Senato, Deliberazioni, Terra, fzz. 227; 235, cc. 575-580 (privilegio ventennale); 321; 1555; 1849; 1911; Capi del Consiglio dei dieci, Miscellanea, b. 14; Dipartimento di censura, 1815, b. 2; Ufficiali alla Messetteria, b.121; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss., IV.119 (inserto a c. 431): Progetto delli stampatori delle stampe del Foro civile alla Municipalità provvisoria di Venezia; Donà delle Rose, 341, fz. 9 ins. II: Leggi intorno alle stampe e stampadori.
Per la stampa in caratteri greci: E. Legrand, Bibliographie hellénique ou description raisonée des ouvrages publiées par des grecs au dix-septième siècle, Parigi 1894-1903, ad ind.; G. Plumidis, La stampa greca a Venezia nel secolo XVII, in Archivio Veneto, XCIII (1971), pp. 29-40; E. Layton, The Sixteenth century Greek book in Italy. Printers and publishers for the Greek world, Venezia 1994, ad indicem. Per la stampa in caratteri latini: M. Infelise, L’editoria veneziana nel ’700, Milano 1989, ad ind.; T. Menegatti, «Ex ignoto notus». Bibliografia delle opere a stampa del Principe degli Incogniti: Giovan Francesco Loredano, Padova 2000, ad ind.; Le edizioni veneziane del Seicento. Censimento, a cura di C. Griffante con la collaborazione di A. Giachery - S. Minuzzi, I-II, Milano 2003-06, ad indicem. Per il mappamondo turco-veneziano: Biblioteca Marciana Venezia, a cura di M. Zorzi, Firenze 1988, pp. 224-226, tav. CXXXIX; Venezia e l’Islam, 828-1797, Venezia 2007, pp. 326 s. scheda n. 25. Per Maffeo Pinelli e il collezionismo: Il collezionismo d’arte a Venezia. Il Settecento, a cura di L. Borean - S. Mason, Venezia 2009, p. 289.