pingere (pignere; cong. pres. II singol. pinghe; imper. pres. II singol. pigni)
E vocabolo appartenente in modo quasi esclusivo all'uso poetico, attestato in prosa solo in Vn XI 2 e in Cv III XIV 4.
Come l'odierno ‛ spingere ' (mai presente in D.) indica il gesto pronto e rapido con il quale si preme su una persona o su una cosa con lo scopo o con la conseguenza di farla muovere o spostare o penetrare in un altro corpo: If X 38 l'animose man del duca e pronte / mi pinser tra le sepolture a lui; Pg XXIV 3 come nave pinta da buon vento; IX 130, XII 126 (sù pinti nel Petrocchi [v. ad l., e Introduzione 199]; sospinti nella '21); Pd XXII 100. Altri esempi in Fiore IV 4 Amor... / ogni altro pensier n'ha pinto fore, e in Detto 257, dove il participio pinta è in rima equivoca con pinta, " dipinta ". Poi, come variante, ma di scarso peso, di punger(e), in If XXX 24; cfr. Petrocchi, ad locum.
In senso estensivo vale " far cadere " (If XXIV 128 domanda che colpa qua giù 'l pinse), e " lanciare ", in 13 Corda non pinse mai da sé saetta / che si corresse via per l'aere snella, che è felice contaminazione di una similitudine virgiliana (Aen. XII 856 " non secus ac nervo per nubem impulsa sagitta ") con una ovidiana (Met. VII 776-778 " non ocior illo / … calamus levis exit ab arcu "). Riferito all'ambito delle esperienze psicologiche, esprime l'impeto con il quale la parola prorompe improvvisa sotto l'impulso di una forte emozione: Pd XX 83 [il mio dubbio] de la bocca, " Che cosa son queste? ", / mi pinse con la forza del suo peso.
A fonti classiche (Ovid. Her. XIII 101; Virg. Aen. III 563; Cic. Tusc. III XI 26) si rifà anche Pg XII 6 qui è buono con l'ali e coi remi / quantunque può, ciascun pinger sua barca, che come le latine " veloque remoque ", " remis ventisque ", " velis... remisque " delle fonti ora citate, è locuzione metaforica esprimente la necessità di affrettarsi con il massimo impegno possibile. Ovvio uso figurato è anche quello di Fiore CVIII 14 'n paradiso il pingo, " aiuto (un ricco) a entrare in Paradiso " inducendolo a spogliarsi dei suoi beni a mio favore.
Stilema stilnovistico, caro anche a Gianni Alfani e a Cino, è la locuzione ‛ p. fuori ' o ‛ di fuore ' usata nella Vita Nuova per indicare che la facoltà della vista, offuscata dal soverchiare dell'affetto, è " cacciata via ", " fatta uscire " dagli occhi per opera di Amore: XI 2 uno spirito d'amore... pingea fuori li deboletti spiriti del viso; e così pure in XIV 12 10. Ma ricorre anche con il significato di " far affiorare ": If IX 1 Quel color che viltà di fuor mi pinse (che però il Torraca, seguito dal Porena, interpreta " quel color pallido, che la viltà mi pinse, mi dipinse, fuor, in viso "), mentre in Pg XXXI 14 vale a esprimere lo sforzo con il quale, vincendo un turbamento dell'animo, si emette la voce.
Dal significato fondamentale di " imprimere un moto " deriva quello di " inoltrarsi ", " portarsi più avanti " che il verbo acquista quando è intransitivo pronominale: Pg II 84 l'ombra sorrise e si ritrasse, / e io, seguendo lei, oltre mi pinsi (in rima ricca con dipinsi del v. 82).
Applicato all'organo della vista vale " protendere " ed esprime lo sforzo occorrente per guardare più lontano del limite consueto: If XVIII 127 lo duca " Fa che pinghe ",/ mi disse, " il viso un poco più avante... "; anche in senso metaforico: Pd XX 120 mai creatura / non pinse l'occhio infino a la prima onda della grazia divina (per cui si vedano XI 29-30, XX 71-72, XXI 94 ss.).
Sempre in senso figurato, l'idea dello spostamento può identificarsi in uno stimolo ad agire in un determinato modo: Pd XIV 19 da più letizia pinti e tratti / ... quei che vanno a rota / levan la voce e rallegrano li atti; If XXVII 106 (dove vale più " indurre " che non " stimolare "); Pd I 132, IV 132; ma può significare anche " costringere ": Rime CVI 87 questo è quello che pinge / molti in servaggio.
Per Cv III XIV 4 lo primo agente, cioè Dio, pinge la sua virtù... per... diritto raggio, e in cose per modo di splendore reverberato, i più dei commentatori o non si soffermano a precisare l'accezione del verbo o lo fanno derivare, naturalmente attribuendogli un significato estensivo e traslato, da ‛ pingere ', " spingere "; solo il Del Monte propone d'interpretare " dipinge ". Questa ipotesi esegetica è suggestiva, ma poco convincente. Com'è noto, la dottrina secondo la quale l'universo è concepito come una serie di agenti gerarchicamente ordinati e dipendenti da una causa primaria, è esposta nei canti II, VII e XIII del Paradiso; lo stesso tema è poi ripreso in Ep XIII 53-57 (né qui interessa soffermarsi sulla paternità di questa lettera). Ora, in tutti i passi citabili a riscontro (Pd II 123, VII 69, XIII 54), per definire l'azione esercitata dalla causa primaria sulla secondaria, pur ricorrendo a traslati, D. non impiega mai metafore tratte dall'arte pittorica, ma piuttosto tropi suggeriti dal diffondersi della luce o verbi che richiamano l'idea del premere o del ricevere, e anche quella del moto. Esemplari sono, a questo proposito, i casi di Cv III Amor che ne la mente 37 (cioè proprio del passo della canzone di cui si offre il commento in senso allegorico in XIV 4), di Pd VII 69 e di Ep XIII 54; secondo la canzone la virtù divina discende in madonna, per Pd VII 69 la bontà di Dio lascia la sua imprenta in ciò che ella sigilla, per l'epistola omnia quae sunt... habent esse ab alio. Se poi si tiene presente che, come ha dimostrato il Nardi, fonte della dottrina dantesca è l'anonimo Liber de causis (del resto esplicitamente citato nell'epistola e altrove) e che per il trattatello (prop. i) " omnis causa primaria... est influens super causatum suum ", par certo poter dedurre che il pinge qui esaminato vale appunto " fa penetrare ", " imprime " e non già " dipinge ".
Accezione del tutto particolare è quella di Fiore LXIII 5 S'a coderon giocaste, pigni a ambassi, " se giocaste a dadi, gettali in modo da fare doppio asso ", cioè il punto di minor valore; il significato del verbo è ben chiarito dal confronto con B. Latini Tesoretto 2779 " giuoca con inganno, / e per far l'altrui danno / sovente pigna 'l dado ", "lo spinge sottomano operando da baro ". A proposito di quest'ultimo esempio, opportunamente il Contini (Poeti II 271) cita lo ‛ spingare ', metaplasmo di ‛ spingere ', attestato da If XIX 120 (v. Petrocchi, ad l.) e da Rustico Da che guerra m'avete incominciata 14 (in Contini, cit., p. 363).
Bibl. - B. Nardi, Le citazioni dantesche del Liber de Causis, in Saggi di filosofia dantesca, Milano 1967², 81-109, in partic. p. 86.