Tosinghi (della Tosa), Pino
Membro della potente consorteria guelfa fiorentina fu, secondo il Villani, " il più sufficiente e valoroso cavaliere di Firenze, e il più leale a parte guelfa popolo e comune... grande imprenditore di gran cose per avanzarsi " (XI 39).
Insieme al parente Rosso, Pino T. fu uno dei capi dei Neri e, dopo la loro scissione, fu tra gli avversari di Corso Donati alla cui rovina sembra abbia attivamente partecipato (1308). In relazione a ciò, l'anno seguente alla morte di Rosso T., i Fiorentini, per onorare la memoria del vecchio guelfo, crearono i suoi figli Simone e Gottifredi e il loro parente Pino T. cavalieri del popolo, compensandoli con " molti danari ", frutto di una speciale tassa sui filati: il che procurò, ai tre, il sarcastico epiteto di " cavalieri del filatoio " (Compagni III 38). Al tempo della calata imperiale pare che Pino fosse tra i capi dei meno intransigenti, se è vero che cercò ripetutamente d'intavolare trattative con Enrico VII mentre l'imperatore stava in Roma e poi durante l'assedio di Firenze: cosa che tuttavia non gli evitò la condanna imperiale. È probabile che in quel tempo sia avvenuto il passaggio del T. su posizioni decisamente filo-angioine, divenendo per oltre venti anni il più fedele partigiano di Roberto d'Angiò in Firenze. Nel 1314 era vicario angioino in Ferrara, dove represse la sollevazione dei da Fontana, che fece giustiziare dopo averne ottenuto la consegna dal vescovo di Feltre Alessandro Novello presso il quale si erano rifugiati. È la vicenda cui si riferisce D. in Pd IX 52-53, che tuttavia non ne fa pretesto per un'invettiva contro Pino, forse per simpatia verso chi era stato nemico di Corso Donati. Nel 1315 Pino partecipò alla battaglia di Montecatini; caduto prigioniero, venne condotto in Pisa e chiuso nella torre della fame: a questa prigionia, secondo l'Imbriani, alluderebbe il verso e che conviene ancor ch'altrui si chiuda (If XXXIII 24), ma evidenti ragioni cronologiche inducono a scartare l'ipotesi. Dopo la liberazione il T. fu ancora vicario di re Roberto in Ferrara, dove rimase fino alla rivolta antiangioina del 1317; nel 1321-22 ricopriva la medesima carica in Pistoia, e di qui si adoperava per un accordo con Castruccio Castracani; nel 1329 era tra i fautori dell'acquisto di Lucca, messa all'asta dai tedeschi del Bavaro, ma le trattative fallirono, pare per i maneggi di Simone T., geloso di Pino. Era dunque in Toscana l'uomo di fiducia di re Roberto, che se ne servì ancora al tempo della lega antiscaligera, secondo la testimonianza del Villani (" messer Pino per mandato del re Ruberto, da cui tenea la terra, cercò con messer Mastino concordia con lui e col nostro comune ", XI 39); ma proprio questi contatti gli fruttarono, dopo la morte (1337), l'accusa di tradimento. Pur risultando falsa, quest'accusa portò al guasto di parte della sua casa e, più tardi (1345), alla confisca agli eredi dei beni donati nel 1309.
Secondo il Boccaccio (Trattatello in laude di D., a c. di P.G. Ricci, Milano-Napoli 1965, 638-640) fu merito soprattutto di Pino e di Ostasio da Polenta se Bertrando del Poggetto non poté dar corso al suo disegno di disseppellire e bruciare in Bologna le ossa di D.: com'è noto la notizia venne o guardata con molto sospetto o trattata addirittura come favola, finché il Ricci riuscì a provare, se non la sua assoluta veridicità, almeno la contemporanea presenza bolognese dei tre personaggi.
Bibl. - Fonti principali, oltre alle Cronache del Compagni e del Villani, sono: S. Della Tosa, Cronichette antiche di vari scrittori del buon secolo della lingua toscana, Firenze 1733; N. da Butrinto, Relatio de Heinrici VII imperatoris itinere italico, Innsbruck 1888, 65, 72; Chronicon Estense, in Rer. Ital. Script., XV, Milano 1730, 375-382, e Rer. Ital. Script.², XVIII 82-88 (incompleta); Storie Pistoresi, ibid. XI V, Città di Castello 1927, 74, 129. Per la condanna imperiale: Mon. Germ. Hist., Leges. Constitutiones, IV IV 933-995.
Sul T. manca una monografia: notizie, oltre naturalmente che in Davidsohn, Storia, III, passim, in A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, III, Ferrara 1823, 259-264; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, Firenze 1879-87, I 600, 602, 986-987; II 414-415; P.D. Pasolini, I tiranni di Romagna e i papi nel Medio Evo, Imola 1888, 131 ss.
Per il passo del Boccaccio: O. Guerrini - C. Ricci, Studi e polemiche dantesche, Bologna 1880, 71-92; V. Imbriani, Lettera a O. Guerrini e C. Ricci, in Studi danteschi, Firenze 1891, 167-169; C. Ricci, L'ultimo rifugio di D., Ravenna 19655, 159-164, 442.