OBIZZI, Pio Enea II
OBIZZI, Pio Enea II. – Nacque il 4 agosto 1592 a Battaglia, Padova, primogenito di Roberto e di Ippolita Torelli.
Compì studi umanistici, giuridici e filosofici a Bologna, Perugia e Padova. Nel 1613 entrò nella corte fiorentina di Cosimo II de’ Medici. Nel 1614 si unì al padre, fra le armate veneziane, nella guerra di Gradisca. Nel 1615 fu a Modena al servizio del duca Cesare d’Este. Nel 1617 prese parte alle nozze di Ferdinando Gonzaga con Caterina de’ Medici a Firenze, dove già nel 1616 aveva partecipato a due sfarzose rappresentazioni cavalleresche: La guerra d’Amore e La guerra di Bellezza, testi di Andrea Salvadori e musica di Paolo Grazi e Jacopo Peri (Weaver - Weaver, 1978, pp. 99 s.). Sempre nel 1617, durante un soggiorno di Alfonso III d’Este a Finale, organizzò uno spettacolo «con diverse forme di recitar in musica, di ballar e di combattere», in cui forgiò l’idea drammatica d’introduzione al duello e il testo poetico: lo attesta una sua missiva al duca del 26 novembre 1617, ora nell’Archivio di Stato di Modena (cit. in Di Luca, 1991, p. 261; Walker, 1990).
Tra il 1615 e il 1619 fu ambasciatore degli Este a Parma e a Torino: qui partecipò alle nozze di Vittorio Amedeo di Savoia con Cristina di Francia (1619). Nel 1620, accusato di complicità in un attentato contro Alfonso III d’Este durante una battuta di caccia nel giugno 1620, fu rinchiuso nella rocca di Rubiera (1620-27; gli atti del processo sono nell’Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto, Processi di Stato, b. 3, Libro del Processo Pepoli; cfr. Cavazzuti, 1907, pp. 13-29). Scarcerato, nel 1628 appoggiò Carlo Gonzaga Nevers nella guerra di successione di Mantova e del Monferrato.
Il 21 gennaio 1629 sposò Lucrezia Dondi dall’Orologio, da cui ebbe quattro figli: Roberto, Ferdinando, Ippolita e Matilde. Lucrezia fu assassinata, forse su incarico di un corteggiatore respinto, il 24 novembre 1654 da Attilio Pavanello (l’omicidio fu vendicato da Ferdinando nel 1662; Pietrucci, 1853, pp. 35-38).
Gli anni Trenta e Quaranta segnano la più feconda attività spettacolare e accademica di Obizzi. Avviò la sua produzione letteraria con Il Philoteuco (Venezia, 1628), raccolta poetica stampata col favore di Giulio Strozzi – lo si evince da una nota di Antonio Gasparini – nella ferrarese Accademia degli Intrepidi, sostenuta dal notabile Enzo Bentivoglio, promotore instancabile di attività teatrali e musicali a metà Seicento (per i rapporti tra gli Obizzi e i Bentivoglio cfr. Monaldini, 2000, pp. XIX-XXXVI). Tra gli Intrepidi, Obizzi fu affiliato come ‘Il Regenerato’: con lo stesso nome compare fra i Gelati di Bologna e fra i Ricovrati di Padova, accademia, quest’ultima, ospitata nel suo palazzo, come risulta dalla dedica che gli rivolse Francesco Petrobelli, maestro di cappella del duomo, nel pubblicare gli Scherzi amorosi a due e tre voci (Venezia, 1652).
Nel 1642 pubblicò L’Atestio, poema epico in ottave dedicato a Francesco I d’Este. Delle sue Poesie liriche si conoscono ristampe pubblicate a Padova (1650 e 1660) e a Ferrara (1670). Secondo Giuseppe Antonelli (1834, segnatura A12) avrebbe scritto un capitolo su Il gioco delle minchiate. La sua opera letteraria è stata sbrigativamente valutata come il «modello di tutto ciò che v’abbia di gonfio, di artificioso, di barocco nel Seicento» (Benacchio, 1901, p. 126).
Più ragguardevole la sua produzione nel campo dello spettacolo. Nel 1635 progettò a Modena una Giostra in campo aperto voluta dal duca Francesco I per il cardinale Maurizio di Savoia: Fulvio Testi scrisse i versi cantati, Cornelio Bentivoglio fu il «mantenitore», Alfonso Rivarola detto il Chenda (allievo di Giovan Battista Aleotti) artefice delle macchine sceniche (descrizione in Garimberti, 1659, p. 220).
Nel 1636 scrisse L’Ermiona, allestita a Padova in un teatro ligneo appositamente costruito in «cinque file di logge, l’una sopraposta all’altra con parapetti avanti a balaustri di marmo» (cfr. Petrobelli, 1965, p. 128) – lo stesso principio architettonico successivamente applicato al teatro Obizzi di Ferrara – su progetto e scene del Chenda.
Dello spettacolo si ha un minuzioso resoconto nella descrizione dello spettacolo fornita da Niccolò Enea Bartolini (L’Ermiona ... Per introduzione d’un torneo a piedi e a cavallo e d’un balletto, Padova, 1638; cfr. Petrobelli, 1965, pp. 125-141).
Autore delle musiche fu Giovanni Felice Sances, che nell’opera impersonò Cadmo; nel 1633 il musicista romano aveva dedicato a Obizzi i suoi primi due libri di Cantade (Venezia, 1633). Per le vistose differenze con le precedenti rappresentazioni con musica tenutesi in città, già Ivanovich (1681, pp. 389-391) pose L’Ermiona all’origine del teatro d’opera veneziano: lo spettacolo non è legato a particolari ricorrenze cittadine o dinastiche ma al «generoso desiderio […] di ordinare un torneo»; la platea di spettatori è variamente composta di «cittadinanza […] signori scolari e […] nobili stranieri […] rettori, nobili veneti […] gentildonne e gentiluomini». L’argomento dell’opera, mitologico, è diviso in tre parti: Il ratto d’Europa, Gli errori di Cadmo e Gli imenei. L’intreccio di base è spesso interrotto da episodi secondari. Tra i modelli dell’Ermiona vi fu forse La difesa della bellezza (1618) composta da Alfonso Pozzo per la progettata apertura del teatro Farnese di Parma (Reiner, 1964; trascritta in Ciancarelli, 1987, pp. 87-141). Spiccano alcune scene che saranno poi topiche nei drammi per musica veneziani, come i «lamenti» (di Giove, Mercurio, Europa rapita e Agenore). Degna di nota, sin dalla descrizione del 1638, la tendenza alla rappresentazione degli affetti nel canto: Mercurio si distingue «a’ passaggi, alle fughe, a’ trilli, al gesto, agli affetti con che accompagnava ’l canto veramente divino» (cfr. il libretto, p. 17); Europa si esprime «con voce lamentevole e con parole rotte ad arte da singulti» (ibid., p. 31). Il successo dello spettacolo fu un trampolino di lancio per la compagnia di musici e cantanti che l’aveva allestito: l’anno dopo diedero infatti a Venezia L’Andromeda di Francesco Manelli e Benedetto Ferrari, che segnò l’avvio delle recite di opere in musica a pagamento.
Dal 1637 fu principe dell’Accademia degli Intrepidi, adunanza «d’arme e lettere» patrocinata da intellettuali e artisti di Ferrara (dove gli Obizzi erano assai influenti: nel 1634 il padre di Pio Enea fu eletto giudice dei Savi). Nel 1638 e 1639 promosse due tornei a Padova. Nel 1639 allestì a Bologna I furori di Venere, «favola» in musica con un «torneo a cavallo» fatta nella sala del senato cittadino con macchine del Chenda. Il testo, tutto cantato, consta perlopiù di monologhi affidati a dèi e figure mitiche; tali spettacoli, per il carattere di autocelebrazione cittadina e nobiliare, sono però categoricamente eterogenei rispetto al nascente genere operistico (Bianconi - Walker, 1975, pp. 427-429).
Nel Carnevale del 1641 inaugurò il teatro Obizzi di Ferrara, il «primo teatro stabile» della città (Baruffaldi, 1787, p. 27): oltre a feste e iniziative cortigiane, dagli anni Cinquanta ospitò con regolarità rappresentazioni d’opere in musica aperte alla cittadinanza. Per l’inaugurazione, compose il testo del dramma musicale Il Pio Enea (apparso a stampa a Padova, dedica datata 4 maggio); la musica, d’autore ignoto, è conservata nel ms. It.IV.447 (9971) della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia.
Nel 1643, per le nozze di Bartolomeo Zeno e Lisabetta Landi, realizzò uno spettacolo nella piazza dei Signori di Padova, L’amor pudico (musica di Antonio dalle Tavole), fatto di combattimenti, abbattimenti di mostri, sfilate di cavalieri e macchine stupefacenti.
Nel 1648 avviò la ristrutturazione del castello del Catajo e la costruzione dello sfarzoso teatro in villa (sedici palchetti disposti su due ordini sovrapposti: nel 1739 Charles de Brosses [1992, p. 170] lo definì «un teatrino tascabile assai ben ideato»).
Secondo Walker (1984, pp. CLVIII s.) il piano architettonico varato da Obizzi potrebbe aver fornito un modello per l’analogo progetto intrapreso a Piazzola sul Brenta dal procuratore veneziano Marco Contarini, i cui rapporti con la famiglia Obizzi furono assai cordiali: a Roberto, figlio di Pio Enea, questi si rivolse nel 1680 per reperire un cervo da utilizzare nella Berenice vendicativa di Giorgio Maria Rapparini e Giovanni Domenico Freschi (Mancini - Muraro - Povoledo, 1988, p. 298).
Nel 1652 organizzò a Mantova le feste in onore degli arciduchi del Tirolo, Ferdinando Carlo e Sigismondo, e dell’arciduchessa Anna di Toscana: una «barriera» e un «combattimento a cavallo dei mostri» su testi di Diamante Gabrielli, musiche di Alessandro Leardini, scene di Giovan Francesco Carini Motta e Gaspare Vigarani (minuziosa descrizione in Tarachia, 1652, pp. 36-39; e cfr. Walker, 1987 per Gli sforzi del desiderio, ricreazione drammatico-musicale di Francesco Berni data sempre nel 1652 per gli stessi arciduchi a Ferrara). Il 1° gennaio 1652 ricevette da Ferdinando II di Toscana il titolo di marchese. Nel maggio 1652 la Compagnia ducale di Parma inaugurò a Padova il teatro Obizzi, che dagli anni Settanta ospitò anche recite operistiche. Nel 1660 inaugurò il nuovo teatro Obizzi di Ferrara (ristrutturato da Carlo Pasetti) con una sua favola da recitarsi in musica d’argomento mitologico: La Dafne.
L’opera riprende topoi della commedia dell’arte: la figura di Ceccobimbi richiama l’omonimo personaggio delle Due comedie in comedia di Giovan Battista Andreini, 1623 (Jacopo Antonio Fidenzi fu un celebre interprete di questa parte; Obizzi lo aveva ingaggiato con la sua compagnia a Padova nel 1650); la serva Griffa, come molti comici buffi, s’esprime in dialetto (qui in ferrarese). Non mancano agganci alle convenzioni del dramma per musica veneziano: il travestimento (Leucippo nella ninfa Filinda e Apollo sotto nome di Cirreo in I,7), una scena d’ambientazione infernale (II,4) e una di metamorfosi (Dafne in lauro in II,13).
Nel 1667 organizzò i festeggiamenti per gli Elettori di Baviera in visita al Catajo e allestì nel teatro Obizzi di Ferrara L’orto dell’Esperidi.
Il testo, in versi sciolti e quartine di ottonari, vede in scena Ercole, Flora e Amore. All’occasione (le nozze di Annibale Romei e Ippolita Rondinelli), alla città di Ferrara e alla sala della recita si allude nella prefazione e in più punti del testo poetico.
Nel maggio 1671, nel teatro Obizzi di Ferrara, comparve la sua ultima invenzione: L’Amor riformato, con le gare marine sedate ... per un torneo a piedi, macchine sceniche di Carlo Pasetti. La descrizione datane da Florio Tori in allegato al libretto (Ferrara, 1671) pone il lavoro nella tradizione del torneo cavalleresco, alla quale «la città di Ferrara ha portato gran vanto» (p. 27).
L’opera inscena la lotta tra Venere, Marte e Amore contro gli dèi infernali per convertire l’amor disonesto in amor pudico, e le «gare marine» tra Proteo, Nereo e Anfitrite per Dori. L’Obizzi vi agisce come «maestro di campo generale» e come Egeo, che introduce quattro «comparse de’ cavalieri».(cfr. il libretto, pp. 32 s.)
Morì al Catajo il 17 settembre 1674 e fu sepolto nella basilica di S. Antonio a Padova.
Committente, promotore, organizzatore, autore e attore di molte produzioni, Obizzi fu fra gli esponenti più alacri e ingegnosi di quelle forme di spettacolo cortese e cittadino che, negli stessi anni in cui venne a maturazione il moderno teatro d’opera impresariale, sperimentarono in varie città venete ed emiliane plurime combinazioni di poesia, musica, sfarzo scenico e imprese cavalleresche.
Fonti e Bibl: G. Betussi, Ragionamento … sopra il Cathaio, luogo dello Ill. S. Pio Enea Obizzi, Padova 1573; A. Tarachia, Feste celebrate in Mantova alla venuta de’ Serenissimi Arciduchi Ferdinando Carlo e Sigismondo Francesco d’Austria, et Arciduchessa Anna Medici, il carnevale dell’anno 1652, Mantova 1652, pp. 36-39; D. Garimberti, L’idea di un prencipe et eroe christiano in Francesco I d’Este, Modena 1659, p. 220; F. Berni, Lettera in cui si narrano le aggiunte fatte dal Sig. marchese P. E. degli O. al suo luogo del Cataio, Ferrara 1669; C. Ivanovich, Minerva al tavolino, Venezia 1681 (ed. aumentata Venezia 1688, in particolare le Memorie teatrali di Venezia, pp. 433-452; ristampa delle Memorie a cura di N. Dubowy, Lucca 1993, pp. 369-455); G. Baruffaldi, Notizie istoriche delle accademie letterarie ferraresi, Ferrara 1787, pp. 27 s.; Padova, Biblioteca del Museo civico, ms. BP.822.XIII: T. Obizzi, Compendio della vita di P. E. degli O. detto il Juniore [s.d.]; A. Neumayr, Illustrazione del Prato della Valle ossia della Piazza delle statue di Padova, Padova 1807, pp. 260 s.; G. Antonelli, Indicem operum ferrariensium scriptorum, Ferrara 1834, O., P. E., segnatura A12; N. Pietrucci, Delle illustri donne padovane. Cenni biografici, Padova 1853, pp. 35-38; A. Benacchio, P. E. II degli O. letterato e cavaliere, in Bollettino del Museo civico di Padova, IV (1901), 3-4, pp. 61-72; 6-7, pp. 123-130; G. Cavazzuti, Di Alfonso III d’Este, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le provincie modenesi, s. 5, V (1907), pp. 13-29, 73-86; B. Brunelli, I teatri di Padova dalle origini alla fine del secolo XIX, Padova 1921, pp. 72-112; S. Reiner, Preparations in Parma, 1618, 1627-28, inThe Music Review, XXV (1964), pp. 273-301; P. Petrobelli, L’Ermiona di P. E. degli O. e i primi spettacoli d’opera veneziani, in Quaderni della rassegna musicale, III (1965), pp. 125-141; Id., Francesco Manelli. Documenti ed osservazioni, in Chigiana, XXIV (1967), pp. 45-50, 52; E. Povoledo, Una rappresentazione accademica a Venezia nel 1634, inStudi sul teatro veneto fra Rinascimento ed età barocca, a cura di M.T. Muraro, Firenze 1971, pp. 122, 137, 165, 184; C. Molinari, Le nozze degli dèi. Un saggio sul grande spettacolo italiano nel Seicento, Roma 1968, pp. 68 s., 87-89; L. Bianconi - Th. Walker, Dalla «Finta pazza» alla «Veremonda»: storie di Febiarmonici, in Rivista italiana di musicologia, X (1975), pp. 427-429; P. Petrobelli, O., P. E. II, in Enciclopedia dello spettacolo, VII, Roma 1975, pp. 1272 s.; R. Maschio, I luoghi teatrali, in Padova. Case e palazzi, a cura di L. Puppi - F. Zuliani, Padova 1977, pp. 731-751; R.L. Weaver - N.W. Weaver, A chronology of music in the Florentine theater (1590-1750), Detroit 1978, pp. 99 s.; Th. Walker, «Ubi Lucius»: Thoughts on reading Medoro, in A. Aureli - F. Lucio, Il Medoro (Drammaturgia musicale veneta, 4), Milano 1984, pp. CXLIII, CLVIII s.; Id., Gli sforzi del desiderio, cronaca ferrarese: 1652, inStudi in onore di Lanfranco Caretti, a cura di W. Moretti, Modena 1987, pp. 45-75; R. Ciancarelli, Il progetto di una festa barocca: alle origini del Teatro Farnese di Parma (1618-1629), Roma 1987, pp. 253; F. Mancini - M.T. Muraro - E. Povoledo, I teatri del Veneto, III, Venezia 1988, p. 298; Th. Walker, Echi estensi negli spettacoli musicali a Ferrara nel primo Seicento, in La corte di Ferrara e il suo mecenatismo. 1440-1590, a cura di L. Waage Petersen - D. Quarta, Modena 1990, p. 345; C. Di Luca, Tra «sperimentazione» e «professionismo» teatrale: P. E. II O. e lo spettacolo nel Seicento, in Teatro e storia, VI (1991), pp. 257-303; C. de Brosses, Viaggio in Italia. Lettere familiari, prefazione di C. Levi, Roma-Bari 1992, p. 170; C. Di Luca, P. E. degli O. promotore di spettacoli musicali fra Padova e Ferrara, in Seicento inesplorato. L’evento musicale tra prassi e stile: un modello di interdipendenza, a cura di A. Colzani - A. Luppi - M. Padoan, Como 1993, pp. 499-508; Musica in torneo nell’Italia del Seicento, a cura di P. Fabbri, Lucca 1999, ad ind.; S. Monaldini, L’Orto dell’Esperidi. Musici, attori e artisti nel patrocinio della famiglia Bentivoglio (1646-1685), Lucca 2000, ad ind.; R. Ziosi, Il Teatro di S. Lorenzo: vita, avventure e morte di un teatro ferrarese del Seicento, in I teatri di Ferrara, I, Commedia, opera e ballo nel Sei e Settecento, a cura di P. Fabbri, Lucca 2002, pp. 223, 226, 228-230, 237-242, 244; I.B. Jaffe, Zelotti’s epic frescoes at Cataio: the O. Saga, New York 2008, ad ind.