PIOLA
– Famiglia di pittori attivi a Genova dagli ultimi decenni del Cinquecento fino alla prima metà del Settecento.
Dei tre figli di Geronimo (morto nel 1621), di professione sarto e membro di una casata, di origine abruzzese, che annoverava filatori di seta e orefici, Pier Francesco e Giovanni Gregorio furono pittori, mentre Paolo Battista, che seguì la professione paterna, diede i natali a Pellegro, Giovanni Andrea e Domenico, anch’essi pittori.
Pier Francesco (1565-1600), in seguito a una formazione da autodidatta trascorsa, in particolare, a studiare le opere del raffaellesco Pietro di Giovanni Buonaccorsi, detto Perìn del Vaga, nel palazzo del Principe, fu notato dalla pittrice cremonese Sofonisba Anguissola, di stanza a Genova dal 1580 circa e in contatto con Luca Cambiaso e Bernardo Castello. In effetti, la lezione cambiasesca improntò completamente la sua produzione, come testimoniato dallo Sposalizio mistico di santa Caterina (Genova Multedo, chiesa di Monte Uliveto), dalla Madonna con Gesù Bambino e i santi Giuseppe, Elisabetta e Giovannino (collezione privata), siglata e datata 1589 (o 1599), e dalla Carità (collezione privata), compositivamente analoga alla precedente.
Inoltre è possibile attribuirgli l’Ultima Cena conservata nella chiesa di S. Agostino a Loano (Bartoletti - Boggero, 2007, p. 125). Tali prove – alle quali si addiziona un disegno raffigurante La caduta dei giganti (Vienna, Albertina Museum) – conferiscono credito al rapporto con Anguissola, poiché del tutto analogo era il processo di assimilazione della matrice cambiasesca in chiave di fuso ammorbidimento linguistico. Una segnalazione inventariale, relativa a un dipinto con Adamo ed Eva di «Piola il Vecchio» (Belloni, 1973, p. 57), si deve riferire a questo pittore.
Giovanni Gregorio (1572-1625), inizialmente avviato al commercio tessile, si applicò tardivamente alla pittura, specializzandosi nella miniatura.
L’atto di battesimo, rinvenuto nell’archivio della cattedrale di S. Lorenzo (Zanolla, 1993, p. 17), sposta la data di nascita di dieci anni rispetto a quella formulata da Raffaello Soprani (Soprani, 1674, pp. 77 s.; Soprani - Ratti, 1768, pp. 169 s.).
Lasciò Genova prima per Roma, in seguito per la Spagna e infine per la Francia; soltanto a Marsiglia iniziò a essere apprezzato, ricevendo una serie di commissioni, di cui nulla si conosce, interrotte dalla morte prematura.
Dalle nozze del figlio minore di Geronimo, il sarto Paolo Battista, con Maddalena Zerbi di Giacomo, nacquero sette figli, tra cui attesero alla pittura Pellegro, Giovanni Andrea e Domenico.
Secondo la documentazione visionata nei registri della chiesa di S. Stefano prima della distruzione bellica, Pellegro nacque il 5 giugno 1617 e morì il 26 novembre 1640, colpito da una pugnalata (Soprani, 1674, pp. 147-150; Soprani - Ratti, 1768, pp. 316-323; Zanolla, 1993, pp. 18, 24-31). Nella sua formazione contò, oltre al periodo di apprendistato nella bottega di Giovanni Domenico Capellino dal 1629 al 1634 e l’esercizio di copia da Raffaello e Luca Cambiaso, l’intelligente studio delle stampe dei grandi maestri e la suggestione dei modi di Giulio Cesare Procaccini, noto attraverso le presenze pittoriche nelle maggiori quadrerie cittadine.
Il catalogo dell’artista è attualmente composto da un nucleo esiguo di opere certe, da scalare in soli sei anni, dal 1634, quando «cominciò con l’assistenza del proprio Padre ad esercitar liberamente in sua casa la profession di pittura» (Soprani, 1674, p. 147), fino alla morte: la Madonna degli Orefici su ardesia (Genova, Museo dell’Accademia Ligustica), il gonfalone con la Madonna del rosario (ibid.), la Sant’Orsola (Genova, Musei di strada Nuova, Palazzo Bianco), la Sacra Famiglia con i santi Elisabetta e Giovannino (Genova, Musei di strada Nuova, Palazzo Rosso), la Sacra Famiglia con san Giovannino, già assegnata a Stefano Magnasco (Genova, Galleria nazionale di Palazzo Spinola), una tela di identico soggetto (collezione privata), Labano promette Rachele a Giacobbe, commissionata dall’impresario milanese Pietro Giovanni Facchinetti (collezione privata), una Sacra Famiglia già nel palazzo Pallavicini a Genova (collezione privata), un Cupido, già a Camogli (noto attraverso una fotografia) e un disegno (Stoccarda, Staatsgalerie) con la Sacra Famiglia e san Giovannino.
Il 25 luglio 1637 ottenne l’emancipazione dal padre e, quello stesso anno, sposò Giovanna Caterina Desiderati.
Giovanni Andrea (1627 o 1629-1681) fu un altro figlio di Paolo Battista dedito alla pittura, «minore d’un anno» rispetto a Domenico e «discepolo suo e di Pellegro» (Ratti, 1769, p. 49). Tuttavia Carlo Giuseppe Ratti affermò, contestualmente, che la morte lo colse nel 1681, «cinquantaquattresimo di sua età» (ibid.), e dunque la data di nascita dovrebbe porsi nel 1627. Definito pittore «d’ottima riuscita» (Soprani - Ratti, 1768, p. 323), venne allontanato dalla carriera artistica a causa di un incidente che gli fece perdere la ragione all’età di diciotto anni.
Due tele di collezione privata (Labano consegna Rachele in sposa a Giacobbe e Apollo e Dafne), innegabilmente sostanziate da un fare piolesco non riconducibile però ad alcuna mano nota dell’entourage di Domenico, potrebbero risultare una testimonianza della sua produzione, da collocare però negli anni Settanta del Seicento (Sanguineti, 2004a, I, p. 107).
Domenico (1628-1703), fratello di Pellegro e di Giovanni Andrea, fu la personalità di spicco, fondatore di quella ‘casa Piola’ che divenne, dalla metà del Seicento, la principale fucina artistica attiva a Genova, ubicata in salita S. Leonardo.
La data di nascita proposta da Ratti «dentro dell’anno 1628» (Ratti, 1769, p. 30) – coerente con quella avanzata nella versione manoscritta della biografia (Ratti, 1762, c. 49r [ed. Migliorini, 1997, p. 44]) – è confermata da un documento del 10 luglio 1651 in cui si specifica l’età del pittore (ventitré anni). Fu Mario Labò a indicare, invece, con perentoria sicurezza il 1627 (Labò, 1933, p. 69), seguito dalla restante critica. Neppure sembra accettabile la proposta di far cadere la nascita nel 1629, sulla base di una deposizione del 10 febbraio 1699, nella quale egli sostenne di avere «anni 70 circa», ma «da più a meno» (Migliorini - Assini, 2000, CD-Rom, Biografie).
Intorno al 1635 Domenico Piola intraprese il discepolato nella bottega del fratello Pellegro, intervenendo gradualmente nelle opere in lavorazione, come indicato dalla segnalazione di un dipinto, entro la quadreria di Giovanni Battista Rappallo (12 agosto 1696), con una «mezza figura di San Giacomo, originale la testa di Pellegro Piola, il resto di Domenico suo fratello» (Belloni, 1973, p. 71). L’improvvisa morte del congiunto, nel 1640, determinò una prosecuzione didattica svolta con Giovanni Domenico Capellino della durata di «quattro anni in circa» (Ratti, 1769, p. 30), mentre lo stesso Piola, nella citata deposizione del febbraio 1699, affermò di aver frequentato quella bottega «per qualche mese» (Migliorini - Assini, 2000, CD-Rom, Biografie).
Nel 1643 è possibile rintracciare a Roma il quindicenne Domenico, come attestano alcune carte visionate da Ezia Gavazza (Gavazza, 2013, p. 8): questo soggiorno, taciuto da Ratti, calzerebbe con la volontà di approfondire lo studio, intrapreso in autonomia, degli artisti rinascimentali, dato che già lo stesso Ratti ricordò le esercitazioni sulle «più bell’opre che per Genova ritrovansi» (Ratti 1762, ed. Migliorini, 1997, p. 45) e le copie degli affreschi di Perìn del Vaga a palazzo del Principe.
Contestualmente ebbe inizio il fruttuoso rapporto di amicizia con Valerio Castello, dal quale ricevette solide conferme per intraprendere un percorso che conduceva verso gli emiliani (Correggio e Parmigianino) tramite una sintesi equilibrata dei linguaggi vigorosi di Pieter Paul Rubens e Giulio Cesare Procaccini. Inoltre Domenico iniziò, intorno alla metà degli anni Quaranta, una lunga collaborazione con il naturamortista e animalista Stefano Camogli, che, in quel periodo, gli divenne cognato. Nella seconda metà degli anni Quaranta il giovane iniziò a ricevere importanti commissioni: nel 1647 datò il Martirio e gloria di san Giacomo per l’oratorio di S. Giacomo della Marina a Genova; intorno al 1648 – quando gli eredi di Ottavio Passaggi ottennero dai francescani la prima cappella a destra nella chiesa della Ss. Annunziata del Vastato – dipinse la pala con la Gloria di san Bernardino (distrutta ma nota attraverso un’immagine); l’anno successivo – quando aveva ventuno anni – affrescò le facciate dei magazzini del Portofranco nel porto di Genova; nel 1649 firmò e datò l’Ultima Cena per il refettorio degli agostiniani di Pieve di Teco (ora Albenga, Museo diocesano) e l’anno seguente il dipinto, la cui destinazione originaria resta ignota, raffigurante Giobbe dinanzi ai figli morti, firmato con l’indicazione dell’età: «D. Piola annorum XX.II» (Bilbao, Museo de bellas artes).
Grazie a questi punti fermi una serie di tele è stata aggregata a costituire il nucleo giovanile (caratterizzato da una forza compositiva e cromatica dedotta in particolare da Procaccini), tra le quali spicca il celeberrimo Carro del Sole (Genova, Musei di strada Nuova, Palazzo Rosso).
L’attività grafica diventò, già da quegli anni, fondamento di una finalità progettuale applicata in svariati ambiti: nel 1650, per esempio, fu stampato a Genova il testo del padre cappuccino Francesco Maria Giancardi di Alassio, Augustissima apparizione della Gran Madre di Dio ad Antonio Botta, nell’inclita e fedelissima città di Savona, corredato dall’illustrazione La Madonna della Misericordia appare al contadino Botta, incisa da Giuseppe Testana su suo disegno. Il 10 luglio 1651, Giovanni Pio De Marini – giuspatrono della cappella dedicata al Crocifisso nella chiesa genovese di S. Domenico (ora distrutta) – consegnò a Domenico 100 lire per l’acquisto di pigmenti, in relazione agli affreschi della volta. Il decoro, che raffigurava angeli in volo con i simboli della Passione (alcuni frammenti si conservato nel Museo dell’Accademia Ligustica), fu concluso entro il 1° giugno 1653, quando Paolo Maria De Marini saldò il pittore. Nello stesso anno sposò Maddalena Varzi, del fu Andrea. Nel 1654 fu remunerato da Ansaldo Pallavicino per l’adattamento dei dipinti da inserire nella galleria della sua dimora, l’attuale palazzo Spinola di Pellicceria, mentre nel febbraio dell’anno successivo lo stesso nobile pagò Piola e Stefano Camogli per la fornitura di alcuni dipinti.
La scritta «D. Piola Genu.sis faciebat», accanto alla data 1656, si trova su un’incisione raffigurante la Natività (Roma, Istituto nazionale per la Grafica), suggestionata dai modi di Giovanni Benedetto Castiglione, il Grechetto: nel tragitto d’apprendimento intrapreso dal giovane, lo studio delle opere del celebre pittore, propenso o costretto, dagli anni Quaranta, a un’assidua mobilità fuori Genova, s’intende come appropriazione arguta di un fare che, nella tecnica e nella scelta dei temi, riscuoteva un innegabile successo di mercato. La ricerca andò a confluire, intorno agli anni 1655-56, nella pala d’altare raffigurante la Natività per la chiesa di S. Francesco a Recco, dove la composizione mostra l’abile utilizzo del modello castiglionesco. Per l’esplicito riferimento alla pestilenza del 1657 si può datare in questo anno la Madonna e san Simone Stock della chiesa di Nostra Signora del Carmine a Genova, che raffigura, in basso, il carro con gli appestati.
In quel decennio i colloqui artistici fra Piola e Valerio Castello avvennero soprattutto sui ponteggi dei grandi cantieri: a un periodo di poco successivo al decoro della cappella De Marini dovrebbero risalire i lavori nella chiesa di S. Marta (dove Piola dipinse nella volta sopra il coro l’Adorazione dei pastori) e nella villa di Giovanni Battista Balbi allo Zerbino, probabilmente conclusi entro il 1657. Oltre ai soffitti di quattro salotti della villa, Piola, nella sala delle Rovine, interpolò alla complessa finzione prospettica di uno specialista, forse Andrea Sighizzi, la raffigurazione centrale della volta con Giove, Mercurio e Cupido. Nel campo delle nuove concezioni decorative, inaugurate a Genova dai bolognesi Agostino Mitelli e Angelo Michele Colonna, per i quali le quadrature prospettiche si proponevano di raggiungere l’effetto illusorio della tridimensionalità, Piola fornì un primo saggio della propria disponibilità alla comprensione dei nuovi spazi creati dalla teatralità barocca.
Il linguaggio del pittore è innegabilmente suggestionato dagli esiti di grazia leggera propri del Castello, benché risalti l’autonomia nei confronti di una strenua ricerca disegnativa.
Intorno al 1657-58 svolse la prima attività nel palazzo di Francesco Maria Balbi (l’attuale palazzo Balbi Senarega), concretizzatasi nella spartizione del decoro con Castello. L’improvvisa morte di quest’ultimo, nel febbraio 1659, lasciò Domenico a concludere da solo il cantiere della chiesa di S. Maria in Passione, avviato insieme dai due colleghi, e a ultimare la decorazione della facciata di palazzo Sauli in piazza S. Genesio. Nello stesso anno, insieme al quadraturista Paolo Brozzi, Piola realizzò la decorazione degli sportelli dell’organo in S. Maria Assunta di Carignano a Genova, basilica gentilizia dei Sauli. Le prove che inaugurarono gli anni Sessanta – come la pala con San Tommaso d’Aquino in colloquio con il Crocifisso (1660), già nella chiesa di S. Domenico (ora nella chiesa della Ss. Annunziata del Vastato), e la grande lunetta con il Riposo durante la fuga in Egitto, collocata nel 1661 nel presbiterio della chiesa del Gesù – segnarono il passaggio a una nuova maniera, «tutta dolce e soave e d’un impasto tanto delicato, che assai s’accosta a quella di Pietro da Cortona, specialmente nel panneggiare» (Ratti, 1769, pp. 48 s.): si determinava in tal modo uno stile, saldamente fondato sul supporto grafico, su una tavolozza ricca e pastosa e sulla predilezione per composizioni teatrali, destinato a monopolizzare la parte restante del secolo. Nel 1664 Piola pose firma e data sulla pala raffigurante la Madonna e santi in adorazione della Trinità per la chiesa dei Ss. Pietro e Bernardo alla Foce a Genova e sull’Assunzione della Vergine per l’oratorio della Ss. Annunziata a Spotorno.
Iniziò a fornire le proprie competenze per la stesura di inventari, come dimostrato dalla valutazione della quadreria, nel 1666, del pittore fiammingo Giovanni Howart, defunto l’anno precedente. Nello stesso anno iniziò la decorazione del coro della chiesa dei Ss. Gerolamo e Francesco Saverio a Genova (ora Biblioteca universitaria), inaugurata l’anno successivo. Esempio della consulenza progettuale fornita agli scultori fu il contratto per il decoro della poppa della nave Paradiso, stipulato dall’intagliatore Filippo Parodi il 12 luglio 1667, sulla base di un disegno fornito da Piola (Parigi, Musée des arts décoratifs). Per il testo di Soprani (Li scrittori della Liguria, e particolarmente della maritima, Genova 1667), Piola elaborò l’antiporta raffigurante l’Allegoria delle Lettere e della Liguria. Firmò e datò 1667 la Madonna con Gesù Bambino, sant’Antonio da Padova e san Francesco della chiesa della Ss. Annunziata a Spotorno.
Un bozzetto con l’Adorazione dei pastori di collezione privata reca lo stemma papale Rospigliosi e dunque indica un contatto romano, di cui per ora non si conoscono altre informazioni.
L’anno successivo, oltre a firmare e datare la Madonna con Gesù Bambino, san Domenico e santa Caterina da Siena della chiesa di S. Pietro di Novella presso Rapallo, ricevette le commissioni per due pale destinate alla chiesa dei Ss. Gerolamo e Francesco Saverio: il San Francesco Saverio spirante (di cui resta il bozzetto a Palazzo Bianco) e il Sant’Ignazio (Campomorone, frazione Langasco, chiesa di S. Siro).
Tra il 1668, anno in cui la famiglia Viviani ottenne il giuspatronato della cappella intitolata a santa Rosa da Lima nella chiesa genovese di S. Maria di Castello, e il 1671, anno della canonizzazione della santa, può datarsi la pala con la Madonna con Gesù Bambino e santa Rosa da Lima.
Il 23 maggio 1669, Domenico fu padrino al battesimo del figlio del quadraturista Paolo Brozzi. In quell’anno concluse la Madonna con Gesù Bambino, san Francesco d’Assisi e san Domenico per la cappella Granello nella distrutta chiesa di S. Domenico (Taiwan, Chi Mei Museum, già Los Angeles, The Paul Getty Museum) e l’Adorazione dei pastori dell’oratorio della Ss. Annunziata a Spotorno. Nel 1670 vennero stampate a Torino le principali opere letterarie di Emanuele Tesauro, per le quali Domenico realizzò il disegno dei frontespizi incisi da Giorgio Tasnière e da Antonio de Pienne. In due lettere inviate, in data 4 e 12 gennaio 1671, dal nobile Giovanni Niccolò Cavana al padre Angelico Aprosio di Ventimiglia, si trattava del frontespizio per la Biblioteca Aprosiana, richiesto a Domenico per tramite di Soprani: l’opera venne data alle stampe nello stesso anno a Bologna, con il frontespizio inciso da Giovanni Mattia Striglione. Piola siglò e datò 1671 i tre dipinti raffiguranti l’Allegoria per il matrimonio Doria-Pamphilj, elencati nello stesso anno nel libro dei conti del principe Giovanni Andrea Doria (Genova, palazzo del Principe). Sempre nel 1671, oltre a firmare la pala con i Santi Antonio abate e Paolo eremita della parrocchiale di Pietra Ligure, gli furono corrisposte 430 lire dai protettori del Banco di S. Giorgio per l’esecuzione della pala con la Madonna Regina di Genova con Gesù Bambino e san Giorgio, posta nella sala delle Compere di palazzo S. Giorgio.
Fra il 1671, anno della canonizzazione di san Gaetano, e il 1674, anno di conclusione dei lavori della cappella dedicata al santo nella chiesa genovese di S. Siro, possono datarsi le tre telette raffiguranti San Gaetano in estasi, Cristo appare a san Gaetano, San Gaetano aiuta Cristo a portare la croce, conservate nella cappella.
Nel 1672 Piola tenne a battesimo Domenico, figlio di Filippo Parodi, e avviò le operazioni di adattamento di alcune pale d’altare di Guercino, Procaccini e Francesco Vanni acquistate da Francesco Maria Sauli per la basilica di Carignano. Nel 1673 firmò il Battesimo di Cristo della chiesa della Natività a Garlenda (trafugato) e realizzò la dispersa pala d’altare con San Giovanni Battista, oltre all’affresco del voltino, entro la cappella di Giovanni Battista Morando nella chiesa della Ss. Annunziata del Vastato. Il 30 agosto 1673 lo scultore Carlo Solaro, che fu incaricato di realizzare l’altare e il rivestimento delle pareti della cappella dedicata all’Immacolata nella stessa chiesa, vincolò il proprio operato al giudizio di Piola, il quale, entro il 1683 (come testimoniato da una lapide), fornì la pala d’altare con l’Immacolata Concezione e gli affreschi.
Nel corso dell’anno, Teresa Spinola, vedova di Ottavio Sauli, avviò i lavori di ristrutturazione della zona del portico del suo palazzo (Sauli De Mari): dunque in questa prima fase si può collocare la realizzazione del decoro della galleria.
Nel 1674 venne pubblicato, a Genova, il testo di Soprani, La vite de’ pittori, scoltori et architetti genovesi, con antiporta raffigurante l’Allegoria delle Arti disegnata da Piola e incisa da Giorgio Tasnière. Il 25 novembre di quello stesso anno la figlia Margherita sposò il pittore Gregorio De Ferrari, che entrò a far parte della ‘casa’. Dalla corte torinese, nel 1674, venne emesso un pagamento «al pittore Domenico Genovese, per il travaglio fatto alle scene del teatro della Venaria Reale» (Baudi di Vesme, 1966, p. 496). La data 7 settembre 1675 compariva, unitamente alla scritta «Disegno per depingere la Sala del Real Palazzo» (ibid.), in un progetto, di indubbia grafia piolesca, relativo a una partitura architettonica e decorativa, posto in relazione con il Palazzo Reale dei Savoia.
La canonizzazione del santo carmelitano Giovanni della Croce fornisce, nel 1675, il termine post quem per le due pale raffiguranti Gesù Cristo portacroce appare a san Giovanni della Croce della chiesa genovese di S. Carlo e della chiesa savonese di Santa Teresa (ora Savona, Pinacoteca civica).
Nello stesso anno datò la Decollazione di san Giovanni Battista per la chiesa dedicata al santo a Genova Sampierdarena (ora Genova, chiesa di S. Siro, sagrestia) ed elaborò il disegno, inciso da Antonio de Pienne, per l’ornamento della tesi di laurea di un membro della famiglia torinese Vitale raffigurante Maria Giovanna Battista promotrice delle arti.
In un momento successivo al 1675, anno della beatificazione di Caterina Fieschi, può collocarsi la pala Gesù Cristo appare alla beata Caterina da Genova entro la chiesa dei Ss. Nicolò ed Erasmo a Genova Voltri.
Nel 1676 dipinse la Madonna assunta della chiesa di S. Giovanni Battista a Chiavari e, il 16 ottobre, sottoscrisse il contratto per la Santa Maria Maddalena in preghiera dell’omonimo oratorio di Laigueglia, saldata il 12 luglio 1678. Il pagamento ricevuto da parte di Emanuele Brignole l’11 dicembre 1676 si riferiva alla pala con l’Ascensione di Gesù Cristo nella chiesa dell’Albergo dei poveri di Genova. Nel corso del 1677 fu pagato per l’affresco della volta della cappella di S. Andrea nella chiesa di S. Siro a Genova, eseguito da Gregorio De Ferrari, mentre, l’8 luglio dell’anno successivo, effettuò una perizia su quadri di Giovanni Carlo Imperiale Lercari. L’attività di perito continuò nel 1679, quando, il 7 maggio e il 22 luglio, stimò le quadrerie di Francesco Torriglia e di Marcantonio Grillo. Nello stesso anno spedì a Bastia la Madonna con Gesù Bambino e i santi Domenico e Francesco d’Assisi (chiesa di S. Giovanni Battista), dipinse il ciclo di quattro tele con l’Allegoria delle Sette Arti liberali (collezione privata), datò l’Annunciazione per l’omonima cappella nella chiesa della Ss. Annunziata del Vastato e concluse l’affresco con Bacco e Arianna in palazzo Centurione. Nel 1679 fu pubblicata a Torino l’Historia dell’augusta città di Torino di Tesauro, con frontespizio raffigurante Il re Eridano presenta la pianta della città al dio egiziano Api inciso da Giorgio Tasnière su suo disegno. Entro il 6 febbraio 1680 fece un’aggiunta laterale al Carro del Sole (Genova, Musei di strada Nuova, Palazzo Rosso), dipinto in gioventù e acquistato da Ridolfo Maria Brignole Sale, il 14 novembre dell’anno precedente, dalla vedova di Bernardo Scaglioso. Il 5 aprile 1680 fu pagato per aver dipinto il Cristo morto in legno, realizzato da Filippo Parodi su commissione di Orietta Spinola per la chiesa di S. Luca.
Circostanziate notizie consentono di datare in un momento successivo al 1680 la Santissima Trinità accoglie l’intercessione dei santi Rosalia, Gervasio e Protasio per le anime del Purgatorio nella chiesa dei Ss. Gervasio e Protasio a Rapallo, la Madonna con Gesù Bambino e i santi Anna e Francesco Saverio nella chiesa di S. Stefano a Sanremo e la Madonna della Misericordia per la cappella della Crocetta a Savona, terminata in quell’anno (ora in collezione privata).
Successivamente al 13 agosto 1681, data dell’elezione, dipinse un ritratto al doge Luca Maria Invrea, di cui resta una replica (collezione privata). Nel 1681 fu stampato a Genova la Vita mirabile e dottrina santa de la Beata Catarinetta da Genova, di cui Piola realizzò l’antiporta incisa da Giorgio Tasnière; l’anno seguente venne pubblicata la Vita mirabile o sia varietà de successi spirituali osservate nella vita della B. Caterina, scritta da Giacinto Parpera con antiporta inciso sempre da Tasnière su disegno di Domenico. Il testo fornì l’ispirazione per la tela con la Madonna con Gesù Bambino e santa Caterina Fieschi, già nella sacrestia della chiesa di S. Filippo Neri (ora a Genova Bolzaneto, chiesa di S. Francesco).
Nel manoscritto preparatorio alla biografia di Piola, Ratti fissò l’avvio della decorazione del presbiterio della chiesa di S. Leonardo al 1683 (Ratti, 1762, ed. Migliorini, 1997, p. 48), mentre nella versione a stampa fece slittare di un anno l’inizio di quel cantiere (Ratti, 1769, p. 41). Lo stesso biografo sostenne che il pittore subentrò, a seguito della morte di Giovanni Battista Carlone (1683 o 1684), nella decorazione della chiesa di S. Sebastiano, sebbene l’intervento piolesco, a giudicare dai frammenti superstiti (Genova, Museo di S. Agostino), sembri più precoce.
Dal 17 al 28 maggio 1684 ebbe luogo il bombardamento su Genova da parte dei francesi. La casa-bottega in salita S. Leonardo venne gravemente danneggiata e la famiglia trovò ospitalità presso villa Balbi allo Zerbino. All’inizio dell’estate del 1684 Domenico Piola intraprese un viaggio con i figli Anton Maria e Paolo Gerolamo, con Rolando Marchelli e con altre maestranze di bottega in varie città dell’Italia del Nord, ossia Milano, Bologna, Bergamo, Venezia, Parma, Piacenza e Asti. Secondo Ratti, la prima tappa fu Milano, dove venne contattato da «uno di que’ principali Signori» che desiderava impiegarlo in lavori di decoro ad affresco (ibid., p. 42), rifiutati dal pittore per poter procedere nel suo viaggio. A Piacenza l’équipe capitanata da Domenico decorò gli affreschi della galleria in palazzo Baldini. Il 20 settembre 1685 l’abate Turinetti di Priero scrisse da Piacenza a Vittorio Amedeo II di Savoia celebrando la capacità del pittore e proponendolo per la galleria di Palazzo Reale di Torino, la cui decorazione fu poi avviata nel 1688 da Daniele Seiter. Durante la permanenza a Piacenza prese parte con due tele – Alessandro Farnese spirante (Napoli, Museo archeologico nazionale) e Alessandro Farnese in trionfo (Piacenza, Museo civico di palazzo Farnese) – al ciclo, inaugurato tra l’agosto 1686 e il maggio 1687, dedicato alle imprese di Alessandro voluto da Ranuccio II Farnese. Nella stessa città affrescò, entro il 1685, il coro della chiesa di S. Maria di Torricella, elogiata da Lorenzo Bascarini in una composizione in prosa stampata in quell’anno a Piacenza (Descrizione encomiastica della bellissima Concettione dipinta a fresco nel coro di S. Maria Torricella dal signor Domenico Piola famoso pittor genovese dedicata agl’illustri signori e pii confrati di detta chiesa l’anno 1685), e, secondo Ratti, decorò, nello stesso anno, il coro della cattedrale di Asti (Ratti, 1769, p. 44).
Nel corso del 1686 rientrò a Genova per proseguire il cantiere di S. Leonardo e intervenire in cantieri aperti in seguito ai danni del bombardamento, come la cappella della Vigne, nell’omonima chiesa, e il palazzo Fieschi Raveschieri Negrone. In quell’anno datò la pala con Gesù ‘Salvator Mundi’ per la chiesa dei cappuccini di Lerici (ora Sarzanello, chiesa parrocchiale) e ricevette dalle monache di S. Andrea un saldo parziale di spese per gli affreschi della chiesa. Immediatamente dopo il cantiere di S. Leonardo, Ratti collocò quello per il decoro della facciata della chiesa, distrutta, delle monache della Chiappella. Al termine del 1687 il quadraturista bolognese Sebastiano Monchi e lo stuccatore lombardo Giacomo Muttone furono pagati da Giovanni Francesco Brignole-Sale per i lavori eseguiti nei salotti, affrescati da Piola e da Gregorio De Ferrari, entro il piano nobile della dimora del nobile (attuale palazzo Rosso): il saldo per le volte dei salotti dell’Autunno e dell’Inverno fu consegnato al pittore il 4 marzo 1688. Sempre nel corso del 1687, Domenico dipinse la pala con Sant’Ignazio contempla Gesù per la cappella dedicata al santo, di cui dipinse anche gli affreschi, nella chiesa dei Ss. Gerolamo e Francesco Saverio a Genova e realizzò i disegni preparatori per l’ornamento della tesi di laurea del conte Giacomo Natta, raffigurante Geremia reca la Sacra Scrittura a Giuda Maccabeo e inciso da Giorgio Tasnière.
Nel 1688 venne dato alle stampe il volume del padre oratoriano Parpera dedicato a Caterina da Genova (La dama stabilita da Dio nella novena della beata Caterina da Genova): la pala raffigurante Gesù Cristo portacroce appare alla beata Caterina da Genova, della chiesa di S. Filippo Neri a Genova, si collegava alle tematiche espresse in quel volume. Entro il 1689, quando cessarono i pagamenti da parte delle monache di S. Andrea, concluse la decorazione della chiesa. Il 20 maggio 1689, Piola venne pagato 76 lire per la progettazione del baldacchino dogale, nella sala del Maggior Consiglio in palazzo ducale, commissione risalente al 1685-86.
L’11 marzo 1690, il marchese Niccolò Maria Pallavicini, genovese residente a Roma, scrisse a Domenico un’epistola che testimoniava una conoscenza già avviata da parte dei due connazionali e una profonda stima del marchese verso l’arte del pittore (Bottari - Ticozzi, 1822, lettera XXVIII, pp. 148-150).
È invece datata aprile 1690 la lettera che Niccolò Maria Pallavicini scrisse, sempre da Roma, al pittore dalla quale si apprende che, dopo aver ricevuto e apprezzato il dipinto con l’Ateneo delle Arti, il marchese emise l’ordine di un dipinto raffigurante Alessandro e la famiglia di Dario, per il quale stabiliva un compenso di 600 scudi e si augurava di visionare presto il bozzetto. Federigo Alizeri riportò la notizia, sicuramente ricavata dalla lettura di documenti, che nel 1690 Domenico Piola, con un guadagno di 15.000 lire, proseguì il decoro della chiesa di S. Luca (presbiterio e tribuna), secondo l’erudito già avviato nel 1681 in relazione al presbiterio e al catino absidale (Alizeri, 1875, pp. 129 s.). Invece il grande cantiere, nel quale furono abbondantemente impiegati i figli Anton Maria e Paolo Gerolamo Piola, ebbe inizio, secondo Ratti, nel 1695.
Nel 1690 venne stampata a Genova la Vita del p. Ippolito Durazzo della Compagnia di Gesù, scritta da Tommaso Campora, con antiporta inciso da Giorgio Tasnière su disegno di Domenico. Ugualmente, l’anno successivo, il pittore e l’incisore si occuparono dell’antiporta per il volume di Giovanni Francesco Dabray, Vita della madre Maria Geronima Durazza dell’ordine della Santissima Nunziata. Nella lettera inviata il 24 dicembre 1693 dal conte Niccolò Gazzelli, ministro sabaudo residente a Genova, a Vittorio Amedeo II, si nominava in lavorazione il dipinto con Alessandro e la famiglia di Dario, destinato a Niccolò Maria Pallavicini. Nel corso dell’anno, Domenico fornì a Giorgio Tasnière il disegno con i Santi Solutore, Avventore e Ottavio con la veduta della città di Torino, probabile ornamento per il testo, pubblicato a Torino in quell’anno, di Carlo Giacinto Ferrero, Vita de’ Santi Martiri e primi protettori della città di Torino Solutore, Avventore e Ottavio.
Il 15 agosto 1694, il pittore ricevette dalla famiglia Sauli una caparra per la lavorazione del San Pietro guarisce lo storpio, saldato il 9 luglio 1696 e destinato alla basilica gentilizia in Carignano. A Piacenza, nel 1694 Martial Desbois su disegno di Piola incise l’Allegoria della Repubblica di Genova, antiporta al testo di Massimiliano Deza, Istoria della famiglia Spinola, edito a Piacenza. Il 23 giugno 1695 Niccolò Maria Pallavicini scrisse da Roma a Domenico per lodare Alessandro e la famiglia di Dario e per saldarlo, unitamente a una Santa Maria Maddalena. Il 27 novembre 1695 il mercante Guido Antonio Signorini scrisse da Roma a Piola: la lettera aveva carattere di replica a una missiva inviata dal pittore al mercante, dove, dal tenore delle risposte, Domenico sembrerebbe essersi informato dei risultati di una vendita di quadri di artisti bolognesi (Bottari - Ticozzi, 1822, lettera XXXIII, pp. 160-162).
Nel 1696 Francesco Pinelli cedette ai coniugi Assereto la cappella dedicata a S. Diego nella chiesa della Ss. Annunziata del Vastato: a quest’ultima committenza spettano le tre grandi tele con i fatti del santo e gli affreschi, realizzati pertanto successivamente a quella data.
Venne stampata nel 1696 La Sacra Famiglia con la veduta della città di Torino, foglio realizzato da Giorgio Tasnière su disegno di Domenico. Nel 1697 fu nominato perito per il pittore Anton Maria Casoni in una causa sulla bontà di alcuni quadri eseguiti da quest’ultimo per la corporazione dei Medici e Speziali. Antonio Maria Amerigo incise, su disegno di Domenico Piola, l’antiporta con la Crocifissione, Angeli e i simboli della Passione per il testo di Giovanni Gregorio di Gesù Maria, Divinitas atque innocentia Domini Nostri Iesu Christi in sua passione, stampato a Genova nel 1698. Il 10 febbraio 1699 Domenico venne chiamato a testimoniare al processo che Ottavio De Ferrari, finanziere specializzato in operazioni di cambio marittimo, intentò contro il pittore Giovanni Lorenzo Bertolotto, accusato di avergli rilasciato false consulenze per l’acquisto di un lotto di dipinti. Durante il processo fu chiamato come testimone della parte lesa e rispose, come gli altri colleghi, a settanta domande precostituite. Fra i pittori che intervennero come testimoni, Giovanni Ambrogio Camogli, Paolo Gerolamo Piola, Anton Maria Piola, Nicolò Maria Vaccaro, Rolando Marchelli, Gregorio De Ferrari e Nicolò Micone dichiararono di essere stati allievi di Domenico. Nel corso della primavera del 1699 fu contattato per fornire alcuni bozzetti per la decorazione ad affresco della sala del Maggior Consiglio di palazzo ducale a Genova, ma gli venne preferito Marcantonio Franceschini.
Il 20 giugno 1700 e il 4 agosto 1701 Domenico Piola e Rolando Marchelli stimarono rispettivamente le quadreria di Carlo Spinola e di Paolo Maria Crocco. Nel corso del 1700 fu stampata la tesi di laurea di Ottavio Lagomarsino il cui ornamento, raffigurante Sant’Ignazio di Loyola con due allegorie femminili e la fenice, fu inciso da Giorgio Tasnière su disegno di Domenico. Il pagamento, emesso nel 1702 da Nicolò Cattaneo al pittore per cinque tele di Antoon van Dyck, si riferiva probabilmente alla vendita e al riadattamento delle opere. L’8 aprile 1703 Domenico Piola morì a Genova e fu sepolto nella tomba di famiglia entro la chiesa di S. Andrea. Secondo la narrazione di Ratti, il pittore stava lavorando, al momento del decesso, alla pala raffigurante San Luigi Gonzaga in adorazione dell’ostia per la chiesa dei Ss. Gerolamo e Francesco Saverio (Ratti, 1769, p. 47).
Tra i numerosi figli di Domenico diventarono pittori Anton Maria, Paolo Gerolamo e Giovanni Battista, i quali, ammaestrati dal padre, esordirono come suoi aiutanti.
Anton Maria (1654-1715) fu probabilmente già attivo nei primi anni Settanta, dopo aver messo a punto un linguaggio caratterizzato dall’«ottima somiglianza» verso i modi paterni ed essersi specializzato «nel copiare i quadri de’ più insigni Maestri» (Ratti, 1769, pp. 49 s.). Al rientro dal viaggio con il padre avviato nel 1684 in alcune città dell’Italia settentrionale, dovrebbe collocarsi la pala con la Pentecoste (Genova, chiesa di Nostra Signora delle Grazie al Molo).
La scarsità di opere documentate costituisce lo specifico problema nello studio della produzione del pittore, il quale, nonostante la primogenitura, accolse la decisione paterna di designare il fratello Paolo Gerolamo successore nella conduzione della bottega.
Nel 1697 fu remunerato per la pala con la Madonna addolorata e santi (Bogliasco, chiesa di S. Maria), all’anno successivo può datarsi la Madonna incoronata dalla Trinità (Celle Ligure, chiesa di S. Michele), mentre intorno al 1701 dipinse la Madonna con i santi Gregorio e Orsola per l’oratorio genovese intitolato ai due santi (ora Genova, chiesa della Ss. Annunziata del Vastato). Il suo linguaggio presentava un’interpretazione stilizzata ed edulcorata del codice paterno.
La concentrazione di opere nel periodo di transito da un secolo all’altro permette di porre in dubbio il racconto di Ratti in merito a una delusione amorosa e all’abbandono dei pennelli, forse da collocare, al contrario, in un momento giovanile più consono a un tentativo di convolare a nozze (Sanguineti, 2004, I, pp. 108 s.; Id., 2010).
Il 27 gennaio 1699 depose al processo contro il collega Giovanni Lorenzo Bertolotto (Migliorini - Assini 2000, CD-Rom, Biografie), mentre il 9 giugno 1715 fece testamento.
Paolo Gerolamo (1666-1724) divenne ben presto la personalità di spicco in ‘casa Piola’, grazie all’elaborazione di un linguaggio derivante da quello di Domenico, ma destinato ad assestarsi sulla predilezione per volumetrie accentuate, in ottemperanza all’aggiornata corrente classicista di stampo romano. La prima notizia della sua attività risale al 1681, quando firmò e datò una copia della celebre Natività del Grechetto nella chiesa di S. Luca (Colonia, Wallraf - Richartz - Museum). Al rientro dal viaggio intrapreso dal padre nel 1684 in alcune città, tra cui Piacenza, dove partecipò al cantiere in palazzo Baldini, dipinse gli Evangelisti nei peducci della cupola della chiesa di S. Pietro in Banchi, realizzò la pala con la Madonna e santi (Genova, chiesa di Nostra Signora delle Grazie al Molo) e venne pagato, tra aprile e maggio 1689, per l’affresco con il Mito di Diana nella loggia del palazzo Brignole-Sale (Genova, Musei di strada Nuova, Palazzo Rosso). Il 3 febbraio 1690 il principe Giovanni Adamo di Liechtenstein gli scrisse da Feltspeg per ottenere un «quadro istoriato di tre o quattro figure» (Bottari - Ticozzi, 1822, lettera XXVII, p. 147). Fra marzo e aprile 1690 partì per Roma, dove fu protetto dal marchese Niccolò Maria Pallavicini. Il 25 dicembre 1691, Carlo Cignani scrisse da Forlì a Paolo Gerolamo per ricambiare gli auguri natalizi e per ringraziarlo della raccolta «de Puttini dell’Algardi e del Fiammingo» (Bottari - Ticozzi, 1822, lettera XXXI, p. 157).
Nel 1693 visitò Forlì e Loreto in occasione di un viaggio condotto con il marchese Pallavicini, mentre nel 1694 fece ritorno a Genova per aiutare l’équipe paterna nell’impegnativo cantiere della chiesa di S. Luca. La tendenza a risolvere anatomie e panneggi in cifra magniloquente e smaltata caratterizzò il catalogo dell’artista all’indomani del soggiorno a Roma, dove Paolo Gerolamo poté giovarsi delle lezioni di Carlo Maratti (o Maratta).
Sono databili a quel periodo la pala con l’Ascensione di Gesù Cristo realizzata per la cattedrale di S. Lorenzo (1695-96) e la perduta decorazione dell’abside della chiesa della Madre di Dio (1696).
Nel 1699, oltre a deporre al processo per truffa da parte di Bertolotto (9 febbraio), ricevette un acconto per la pala, ultimata l’anno successivo in gran parte dal fratello Anton Maria, rappresentante la Sacra Famiglia e santi (Montoggio, chiesa di S. Giovanni Battista). Anteriormente al 1700, quando prese parte, con un bozzetto (Genova, Musei di strada Nuova, Palazzo Bianco), al concorso per la decorazione della sala del Maggior Consiglio, avviò gli affreschi nella distrutta chiesa dei Ss. Giacomo e Filippo, conclusi nel 1709. Datò 1701 il Ritratto di dama in veste di Circe (collezione privata) e, l’anno successivo, affrescò due cappelle nella distrutta chiesa di S. Brigida. Il 28 aprile 1703 il nobile genovese Niccolò Spinola gli inviò da Roma una lettera di condoglianze per la morte del padre (Bottari - Ticozzi, 1822, lettera XXXIV, p. 162). Nel 1704 firmò e datò la pala con la Madonna del Carmine fra i santi Francesco da Paola e Antonio da Padova della parrocchiale di Ceriale. Il 31 dicembre 1705 fu pagato per gli affreschi realizzati in due salotti in palazzo Sauli a Genova.
A tale anno è databile anche l’affresco con San Francesco da Paola nella chiesa di S. Maria Maddalena.
Tra il 1706 e il 1708, in un momento successivo all’impresa di palazzo Sauli, dipinse l’affresco con Speranza e Carità in palazzo Grimaldi Pallavicino. Il 18 luglio 1708 ricevette alcuni pagamenti in relazione alla pala con i Santi Domenico, Rosa e Ignazio che venerano l’immagine mariana, in Nostra Signora Assunta di Carignano. Il 10 febbraio 1710, unitamente al quadraturista Francesco Maria Costa, stipulò un accordo con un capo d’opera per l’erezione dei ponteggi nella chiesa di S. Marta al fine di avviare il grande ciclo di affreschi, che, secondo il documento, doveva concludersi entro due anni (Sanguineti, 2004b, p. 184). Il 29 marzo 1712 i due colleghi stipularono un simile contratto con un altro capo d’opera che avrebbe dovuto predisporre le pareti della cappella Della Torre, entro la chiesa agostiniana di Nostra Signora della Consolazione, per accogliere gli affreschi (ibid., p. 185): l’operazione venne conclusa, come attesta una lapide, nel 1718.
Il 2 luglio 1712 lo scultore Camillo Rusconi scrisse a Paolo Gerolamo per ragguagliarlo sulle novità romane in campo artistico (Bottari - Ticozzi, 1822, lettera XLI, pp. 178-180). Nello stesso anno collaudò la statua della duchessa Margherita di Savoia nel santuario di Vicoforte presso Mondovì, lavoro di Giuseppe Gaggini. Il 13 maggio 1713 Anton Maria, Paolo Gerolamo e Giovanni Battista «fratelli Piola», rivolsero una supplica al Senato lamentandosi di avere ricevuto una tassa «molto eccedente le loro facoltà» (Toncini Cabella, 2002, p. 132). Il 20 aprile 1715, nel contratto di commissione del gruppo processionale raffigurante le Stigmate di san Francesco, stipulato fra lo scultore Anton Maria Maragliano e i confratelli dell’omonimo oratorio di Chiavari, Paolo Gerolamo comparve come supervisore dell’opera. Il 9 novembre dello stesso anno scrisse a Domenico Maria Ignazio Sauli per suggerire il nome di Camillo Rusconi per eventuali opere scultoree in Nostra Signora Assunta di Carignano. Nel 1719 affrontò un viaggio a Bologna e a Firenze in qualità di consulente di Giacomo Filippo Durazzo per l’acquisto di dipinti. Nella lettera che Camillo Rusconi inviò da Roma il 7 novembre 1722 a Paolo Gerolamo, di risposta a una precedente missiva inviata da costui allo scultore il 25 ottobre di quell’anno, venivano nominati i lavori condotti da Piola in palazzo Durazzo Pallavicini e nella chiesa di S. Marta. Inoltre si faceva cenno alla permanenza romana di Francesco Maria Schiaffino, che fu raccomandato presso lo scultore proprio da Paolo Gerolamo (Bottari - Ticozzi, 1822, lettera XLII, pp. 180-183).
Al biennio 1722-24 è databile un secondo lotto di affreschi che vennero realizzati nella chiesa di S. Marta, in particolare nel coro delle monache, lasciati incompiuti e terminati da Lorenzo De Ferrari.
Il 13 aprile 1723 venne pagato per gli affreschi nella volta di due salotti a palazzo Durazzo Pallavicini. Morì il 4 dicembre 1724 per un attacco di podagra e venne sepolto nella chiesa di S. Andrea.
Sulla produzione di Giovanni Battista (1670-1728), i cui estremi anagrafici furono ricordati da Ratti nella sola versione manoscritta della biografia del padre Domenico (Ratti, 1672, ed. Migliorini, 1997, p. 55), grava la totale mancanza di testimonianze pittoriche certe.
Ratti, che ricordò come fosse «anch’esso di qualche merito nella pittura avendo dal padre e poi dal fratello appreso» (ibid.), inasprì il giudizio nella versione a stampa, definendolo «scarso di talento» e dedito soprattutto al «copiare» (Ratti, 1769, p. 50). In tal modo si dovrebbe individuare il suo operato in tele come la Madonna Immacolata e santi, della parrocchiale di Ruta di Camogli, che mostra un linguaggio piolesco assai stemperato, dissimile da quello di Paolo Gerolamo e di Anton Maria, e che rivela la derivazione da un disegno, accostabile al fare di quest’ultimo, delle civiche raccolte genovesi: del resto Ratti suggeriva che costui «lavorò eziandio alcune tavole da Altare co’ disegni o del Padre o de’ fratelli, e da essi ritoccate» (ibid.). Risulta disperso l’«ovato», fatto con l’«assistenza» di Paolo Gerolamo, raffigurante la Madonna con Gesù Bambino, «sant’Erasmo ed altro santo», «posto entro capella sulla piazza del molo» (ibid.).
Fu l’unico dei maschi di Domenico ad avere figli: nel 1718 nacque Domenico (Domenichino o Domenico il giovane), che fu allievo di Lorenzo De Ferrari e che morì, ventiseienne, nel 1744, quando «dava ottime speranze per la pittura» (ibid.). Fece tuttavia in tempo a sposarsi con Maria De Simoni e ad avere due figli, «il maggiore» – che «dimostrava inclinazione grande alla pittura» (Ratti, 1762, ed. Migliorini, 1997, p. 55) –, che morì in tenera età, e Giovanni Battista, che si discostò dalla tradizione di famiglia. Alla sua morte, nel 1768, fu compilato un inventario dei beni, diretti agli eredi, comprensivo di un nucleo di duecentocinquanta dipinti dei Piola, rimasto nella casa in salita S. Leonardo fino al 1913, quando, per legato, passò al Comune di Genova (ora Musei di strada Nuova e depositi).
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