PIOTTI (Piot, Pioda, Ploda), Giovanni Antonio, detto il Vacallo
PIOTTI (Piot, Pioda, Ploda), Giovanni Antonio, detto il Vacallo. – Nacque a Vacallo, probabilmente nel 1529, come si desume dall’età dichiarata in una testimonianza da lui resa nel 1591 (Della Torre, 2003-2004, p. 104), da mastro Andrea del fu Bartolomeo. Il nome della madre è sconosciuto; ebbe un fratello di nome Bartolomeo. Il padre era originario di Morbio Inferiore, ma nel 1529 era già abitante in Vacallo e console di questo comune (Archivio di Stato di Como [ASC], Atti dei notai, 203, Francesco Maria Volpi, 27 maggio 1529, carte non numerate).
Nulla si sa ancora della sua formazione, avvenuta in patria o più probabilmente nei cantieri di altre regioni. Certamente l’arte nella quale mosse i primi passi documentati fu quella di muratore e appaltatore. Il 26 febbraio 1558 si impegnò con le monache di S. Margherita di Como a costruire due corpi di fabbrica a completamento del chiostro nel loro monastero (Della Torre, 1989, pp. 81-89; Id., 2003-2004, p. 77): nell’atto il padre Andrea è detto ancora vivente ma decrepito, sicché Antonio già da più di un decennio gestiva gli affari della famiglia (ASC, Atti dei notai, 393, Giovanni Andrea Olgiati, carte non numerate). Nello stesso 1558 si trasferì a Como, città che dodici anni dopo gli conferì la cittadinanza (ASC, Comune, Ordinationes civitatis, vol. 15, 1566-1573, pp. 142 s.). La sua residenza a Como era nella parrocchia di S. Eusebio; in seguito avrebbe cambiato casa due volte: nel 1579, quando comprò un’altra casa nella stessa parrocchia, e nel 1593, quando acquistò la prestigiosa dimora, attuale sede del Comune di Como (Della Torre, 2003-2004, pp. 91, 106-108).
Questa micromigrazione rappresentò una scelta di vita per Piotti, il quale, nel cuore di una regione di artisti migranti, volle essere un punto di riferimento per la committenza locale, sebbene rimanesse sempre in contatto con artisti che lavoravano altrove, o avevano viaggiato: nel 1564 elesse procuratore il fratello Bartolomeo per esigere crediti in Roma (ASC, Atti dei notai, 771, Gerolamo Vaccani, 17 aprile 1564, carte non numerate). Pur spostandosi a Como, non lasciò gli interessi nel villaggio d’origine, dove per tutta la vita continuò ad acquistare terreni fino a divenirne il principale possidente. Non si deve trascurare in proposito che Vacallo si trova sul confine che era stato tracciato pochi decenni prima per dividere il dominio degli svizzeri dalla Lombardia spagnola, e per questo motivo alcuni proprietari comaschi furono spinti a vendere o a permutare i loro terreni.
Negli anni 1562-63 Piotti operò nel monastero dell’Ascensione di Como (Della Torre, 2003-2004, pp. 77 s.) e nel 1564 fu impegnato in lavori al monastero di S. Maria di Cantù (ASC, Atti dei notai, 376, Giovanni Battista Campacci, 24 marzo 1564, carte non numerate).
Il monastero dell’Ascensione fu trasformato nel primo Ottocento in seminario su progetto di Simone Cantoni, che conservò diversi elementi cinquecenteschi, tuttora riconoscibili; nel chiostro canturino ragioni formali inducono a ritenere di Piotti il lato orientale del chiostro, a colonne doriche su un arcaico stilobate continuo con la soluzione del pilastro d’angolo, sistematicamente impiegata nei chiostri da lui edificati in seguito.
Il 1564 segnò l’inizio dei lavori di adattamento dell’antica chiesa di S. Carpoforo di Como a uso dei Gerolamini e della costruzione del convento. L’opera si protrasse per alcuni anni ed è ampiamente documentata da contratti, conti, perizie nonché da alcuni disegni. La documentazione attesta le responsabilità progettuali di Piotti, benché i disegni siano di qualità mediocre e gli edifici nel loro complesso assai semplici.
Al 1566 risale la prima notizia circa l’attività nel cantiere del duomo di Como. Anche in questo caso gli esordi furono da muratore, pagato settimanalmente per lavori alle volte della sacrestia settentrionale (ASDC, Fabbrica del duomo, Giornale di cassa 1560-1570, passim).
L’avanzamento del suo status professionale fu patrocinato da due committenti di rango: il cardinale Tolomeo Gallio e il conte Giovanni Anguissola, governatore di Como dal 1564 al 1578.
Appare probabile il coinvolgimento di Piotti nella costruzione della villa del Garovo di Cernobbio, più tardi conosciuta come villa d’Este, avviata nel 1569 dal cardinale Gallio. Non sono infatti emerse prove dell’attribuzione a Pellegrino Tibaldi, pur frequente in letteratura, mentre dal 1576 già risulta la familiarità tra Piotti e il cardinale, che si sarebbe tradotta in numerosi altri incarichi qualche anno dopo (Della Torre, 2014).
La consuetudine con Anguissola si consolidò nell’ambito delle mansioni svolte a partire dal 1568 per la città di Como, che lo incaricò di risolvere problemi legati alle piene del lago, effettuando scavi a Lecco nell’alveo dell’emissario Adda, necessari a facilitare il deflusso delle acque e a favorirne la navigabilità. Alcuni documenti su tali questioni idrauliche furono pubblicati già al principio del Novecento (Monti, 1900; Martinola, 1942) e contribuirono a formare un’immagine di Piotti come ingegnere idraulico e militare, condizionando per molto tempo la comprensione della sua figura.
Nel 1573 il conte Anguissola acquistò terreni attorno alla fonte Pliniana presso Torno, nota fin dall’antichità per la sua portata intermittente, e avviò la costruzione di una villa pensata proprio per incorniciare la fonte e farne un luogo di frescura e amenità.
Lasciando parzialmente incompiuto l’edificio, il committente con il suo ultimo testamento del 1578 impegnò l’erede a terminare la villa «iuxta votum et apparere domini Antoni de Ploda», notizia che conferma l’attribuzione, corroborata da altre considerazioni di natura sia storica sia stilistica (Della Torre, 1990, pp. 143-148; Cani, 2010), che superano le molte attribuzioni ad architetti più illustri, non sorrette da dati concreti (da ultimo Bosman, 2013). L’impianto planimetrico della Pliniana comprende al piano nobile il cortile, chiuso da una parete rustica a nicchioni, rivolta a monte, e da una loggia passante su colonne binate, aperta verso il lago. Ai lati della loggia, due ampi saloni coperti da soffitti lignei intagliati fingono in facciata una simmetria, in realtà contraddetta in pianta dalla collocazione della scala a chiocciola che conduce al piano superiore, e del relativo disimpegno così che un salone ha cinque finestre verso il lago e l'altro quattro. La facciata dissimula tuttavia questa anomalia, presentando su ambo i lati cinque finestre con interassi diversi. L’ornato delle finestre mostra timpani spezzati al piano nobile e finestre a targa al piano superiore, con balaustri laterali e volute a nastro sui lati superiore e inferiore: si tratta di elementi di repertorio, adoperati anche in altri edifici riferibili al catalogo piottesco.
Qualificato nel 1573 come ingegnere camerale, nel 1574 Piotti risulta iscritto al Collegio degli ingegneri di Milano (Della Torre, 2003-2004, p. 85). Si tratta di riconoscimenti che sancivano un raggiunto prestigio professionale, mentre il suo ruolo nella comunità d’origine è dimostrato dalla deputazione nel 1573 presso il vescovo di Como per ottenere l’erezione delle parrocchie di Vacallo, Morbio Inferiore e Morbio Superiore, che si staccavano dalla collegiata di Balerna (ibid., p. 84).
Nel testamento dettato il 7 novembre 1575 (ASC, Atti dei notai, 861bis, Desiderio Campacci, carte non numerate) non è citata la moglie, probabilmente morta poco prima, ma soltanto le figlie Costanza e Maddalena, e vi si nomina erede universale il figlio neonato, Giuseppe Piotti, destinato a divenire il capitano e ingegnere militare, anche lui detto il Vacallo. Di certo Antonio convolò a seconde nozze il 22 febbraio 1579, prendendo in moglie Elisabetta Sangiuliani, vedova di un tale Nicolò Cernezzi. Nel 1586 la figlia Costanza sarebbe andata in sposa al possidente Giovan Francesco Marzorati (Della Torre, 2003-2004, p. 102).
Tra il 1577 e il 1579 Antonio si occupò della costruzione della chiesa dei gesuiti di Como, per la quale era stato mandato da Roma un disegno di Giovanni Tristano. Erano infatti sorti problemi con un facoltoso vicino, il quale pretendeva che la chiesa non togliesse luce alla sua casa. Per questo motivo agì in qualità di arbitro nella controversia, studiando le soluzioni formali e strutturali (ibid., pp. 89 s.).
Nella chiesa la navata unica presenta cappelle laterali poco profonde, le cui arcate sono inquadrate da un ordine gigante con la trabeazione corrente ridotta alla sola cornice, così che le arcate salgono a invadere la trabeazione stessa (Bösel - Karner, 2007). Tale soluzione, già adottata da Vignola nella chiesa di S. Lorenzo a Sant’Oreste al Soratte, è in questo caso un espediente per limitare l’altezza totale, così come lo sono la volta a sesto ribassato e la struttura del tetto, che la abbraccia con incatenamenti posti a metà dei puntoni.
Il 1578 vide la morte del conte Anguissola e quindi la chiusura del cantiere della Pliniana, ma anche l’avvio degli interventi promossi dall’abate Giovanni Andrea della Croce, che volle riedificare la chiesa di S. Maria di Vico presso Como e l’annessa casa, già degli Umiliati, affidando a Piotti l’incarico di architetto (Della Torre, 2003-2004, p. 89). La chiesa fu demolita nel Settecento e poche rovine restano del palazzo abbaziale, trasformato nel Seicento in convento dei padri Minimi.
Intensi furono i legami con l’abate Della Croce, che gli commissionò varie opere anche in Riva San Vitale, tra cui la sistemazione del giardino della casa con opere «ad usum pescherae» (ibid., p. 98) e la costruzione della chiesa di S. Croce. In base a tali rapporti potrebbero essere attribuiti a Piotti anche altri edifici commissionati dai Della Croce a Riva, ma si tratta finora soltanto di ipotesi.
Piotti fu onnipresente nei cantieri di Como e dintorni, in un momento di favorevole congiuntura economica e quindi di intensa attività edilizia. Spesso si trattò soltanto di perizie e stime, ma talvolta di vere e proprie edificazioni, come quella promossa nel 1581 da un esponente della famiglia Olginati «iuxta modulum statutum per d. Io[hannem] Antonium Piodam architectum» (ASC, Atti dei notai, 741, Pompeo Coquio, 6 aprile1581, carte non numerate). Rientra in questo quadro la ricostruzione di una casa che la famiglia Natta acquistò nel 1579, facendola sistemare entro il 1581 in forme manieriste che riprendevano il lessico utilizzato alla Pliniana (Della Torre, 2000). Negli stessi anni progettò l’accorciamento della chiesa di S. Giacomo, con la nuova facciata dipinta (Della Torre, 2003-2004, p. 99). Anche nel cantiere del duomo si può apprezzare il passaggio di Piotti da esecutore a progettista e consulente dei deputati alla Fabbrica: in particolare per le cancellate metalliche e le balaustre degli altari del Crocifisso e di S. Abondio, tra il 1579 e il 1581, e per il progetto del battistero (Della Torre, 1994).
Costruito a seguito di un ordine impartito nel 1578 dal visitatore apostolico Giovan Francesco Bonomi, che lo richiedeva impostato su quattro colonne e quindi sul modello di quello eretto da Pellegrino Tibaldi nel duomo di Milano, fu realizzato entro il 1587 con riferimento invece al tipo a otto colonne proposto da Martino Bassi nei Dispareri (1572). Il disegno di Piotti, conservato nell’Archivio della Fabbrica del duomo, comprende anche un’improbabile copertura a cupola con grandi volute, ispirata al disegno di Antonio da Sangallo il Giovane per S. Giovanni dei Fiorentini, divulgato dall’incisione di Antonio Labacco (sull’argomento si consulti Della Torre, 1994).
Dopo la morte di papa Gregorio XIII e l’elezione di Sisto V, il cardinale Gallio decise di allontanarsi da Roma per tornare a Como, dove si fermò dal luglio 1586 all’ottobre 1587. Qui avviò una serie di lavori che poi seguì da Roma per via epistolare: la ristrutturazione della casa di città, l’ammodernamento della basilica di S. Abondio, la cappella di famiglia nella chiesa domenicana di S. Giovanni Pedemonte, la fabbrica del Collegio fondato nel 1583, e la villa di Gravedona. Per tutte queste opere la critica oggi concorda nel ritenere che Gallio si sia servito di Piotti come progettista.
Assai rimaneggiato, soprattutto negli interni, il palazzo di città, perduta la cappella di famiglia e ripristinata nell’Ottocento la veste medievale di S. Abondio, di quella campagna di lavori rimane tuttavia l’opera più ambiziosa, cioè la villa di Gravedona, detta delle Quattro Torri. Essa sintetizza le ambizioni del mecenate, cui sono attribuibili i riferimenti alle committenze Altemps e Madruzzo, e le competenze dell’architetto, riconoscibili nel ricorso a uno schema tipologico ricorrente – proveniente da una lunga ricerca avviata da Baldassarre Peruzzi e resa popolare da Sebastiano Serlio – e nel dettaglio architettonico già utilizzato nei precedenti della Pliniana e di palazzo Natta (Della Torre, 2014).
Tra il 1589 e il 1594 Antonio sovrintese alla costruzione della chiesa di S. Croce a Riva San Vitale, voluta da Andrea Della Croce come propria chiesa sepolcrale.
Risolta la questione attributiva grazie al ritrovamento di alcuni disegni (Della Torre, 2007), si può osservare come in questo caso l’impegno progettuale sia stato diretto a recuperare, quasi per via di citazione, autorevoli modelli antichi e del primo Rinascimento (Scotti, 1999). Si lega probabilmente a questa fase lo studio di S. Lorenzo a Milano, documentato in un disegno di controversa datazione della raccolta Bianconi di Milano (Milano, Biblioteca Trivulziana, Raccolta Bianconi, t. IV, c. 19v, lettera d), riferibile a Piotti (Della Torre, 1994; Id., 2007).
I disegni per la chiesa di S. Croce di Riva provengono dall’Archivio della Fabbrica del duomo di Como, cui in quegli anni si dedicò intensamente e gratuitamente, occupandosi della copertura del coro e dei progetti per la cupola (Della Torre, 1996).
Per la cupola sono pervenute due diverse soluzioni autografe: una su tiburio ottagonale, che richiama la chiesa di S. Croce di Riva; l’altra, che audacemente ripropone la cupola di S. Pietro in Vaticano, copiata dalla celebre incisione di Étienne Dupérac, ipotizzando anche il rifacimento di tutta la zona absidale con enormi paraste d’ordine corinzio.
I progetti di Gravedona e di Riva San Vitale, insieme con i lavori alla cattedrale di Como costituiscono l’apice della carriera di Piotti, determinata dalla sua affidabilità presso una committenza evidentemente soddisfatta della sua capacità di rielaborare modelli e di organizzarli entro le logiche di una robusta ragion pratica.
Negli ultimi anni il ruolo di ingegnere camerale lo obbligò spesso a trasferte per effettuare perizie anche ai confini del territorio comense.
Oltre che architetto non salariato della Fabbrica del duomo di Como, Piotti divenne perito di fiducia del vicario episcopale – occupandosi delle fabbriche di monasteri femminili, come quelli di S. Agata e di S. Giuliano (Della Torre, 2001) – e suo consulente per svariate questioni edilizie. Occorre ricordare anche l’intervento nel 1594 sul campanile di Viggiù, che si stava costruendo su progetto di Martino Longhi (Lerza, 2002, pp. 78 s.). L’ultima opera di Piotti fu il campanile della parrocchiale di Chiuro, in Valtellina, iniziato in sua presenza il 18 marzo 1596 (Rovetta, 1998, p. 75). Al ritorno a Como cadde infermo e dettò l’ultimo testamento il 2 aprile al notaio Cesare Perti. Morì il giorno successivo.
Fonti e Bibl.: F. Ballarini, Compendio delle croniche della città di Como…, Como 1619, p. 245; S. Monti, Inondazioni del lago di Como dal 1431 al 1765, in Periodico della Società storica comense, XIII (1900), pp. 152 s.; G. Martinola, Documenti ticinesi sulla navigabilità dell’Adda (1581), in Periodico della Società storica comense, n.s., XXXV (1942), 5, pp. 60 s.; S. Della Torre, La basilica di S. Carpoforo e i suoi restauri antichi e moderni, in Le basiliche di Como, a cura di Id. - M. Di Salvo - E. Rho, Como 1987, pp. 19-23; Id., L’ex-monastero di S. Margherita: appunti d’architettura, in Il ’300 a Como. Gli affreschi del monastero di S. Margherita (catal.), a cura di Id. - C. Travi, Como 1989, pp. 70-94; Id., Appunti di ricerca sulle architetture ‘pellegriniane’ in area comasca e sull’architetto G.A. P., in Arte lombarda, n.s., XCIV-XCV (1990), 3/4, pp. 140-148; Id., Disegni cinquecenteschi dall’Archivio della Fabbrica del Duomo di Como. Il progetto del battistero, in I disegni d’archivio negli studi di storia dell’architettura. Atti del convegno… 1991, Napoli 1994, pp. 43-45; Id., La cupola del duomo di Como: progetti e destino, in Il progetto della cupola del Duomo di Como, a cura di Id. - M.L. Casati, Como 1996, pp. 13-81; A. Rovetta, L’architettura, in Civiltà artistica in Valtellina e Valchiavenna, II, Il secondo Cinquecento e il Seicento, a cura di S. Coppa, Bergamo 1998, pp. 47-75; A. Scotti, in Il giovane Borromini. Dagli esordi a San Carlo alle Quattro Fontane (catal., Lugano), a cura di M. Khan-Rossi - M. Franciolli, Milano 1999, p. 129, scheda 70; S. Della Torre, Il Palazzo Natta di Como: dal cantiere di conservazione alla fine delle certezze, in Studi in onore di Renato Cevese, a cura di G. Beltramini - A. Ghisetti Giavarina, Vicenza 2000, pp. 189-204; Id., S. Giuliano nel tempo. L’abbazia benedettina, il convento, la casa di ricovero, in La Ca’ d’industria a Como. Due secoli di solidarietà, a cura di E. Bressan - A. Longatti, Como 2001, pp. 245-266; G. Lerza, L’architettura di Martino Longhi il Vecchio, Roma 2002; S. Della Torre, Documenti per la biografia dell’architetto G.A. P. da Vacallo (c. 1529-1596), in Periodico della Società storica comense, LXV (2003-2004), pp. 69-110; A. Bonavita, P., G.A. (Antonio da Vacallo, Vacallo), in P. Bossi - S. Langé - F. Repishti, Ingegneri ducali e camerali nel Ducato e nello Stato di Milano (1450-1706). Dizionario biobibliografico, Firenze 2007, p. 108; R. Bösel - H. Karner, Jesuitenarchitektur in Italien (1540-1773), II, Die Baudenkmäler der mailändischen Ordensprovinz, Vienna 2007, pp. 97-106.; S. Della Torre, Santa Croce di Riva San Vitale: l’architettura, in Camillo Procaccini (1561-1629). Le sperimentazioni giovanili tra Emilia, Lombardia e Canton Ticino, a cura di D. Cassinelli - P. Vanoli, Cinisello Balsamo 2007, pp. 104-113; F. Cani, La Pliniana di Torno. Storia di una villa e di un mito sul lago di Como, Como 2010; L. Bosman, Designing the Villa Pliniana at Lago di Como. Pellegrino Tibaldi and political iconography under Habsburg rule, in Annali di architettura, XXV (2013), pp. 155-170; S. Della Torre, Sul confine: il dialogo tra committente e architetto alla villa Gallio di Gravedona, in The Gordian Knot. Studi offerti a Richard Schofield, a cura di M. Basso - J. Gritti - O. Lanzarini, Roma 2014, pp. 213-222.