Briganti, pirati e corsari
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le difficoltà delle comunicazioni terrestri e marittime, lo scontro fra interessi commerciali opposti, le lotte fra città e popoli confinanti che si tingono anche di contrasti religiosi, determinano nella società europea stati di conflittualità permanente che causano ovunque e continuamente atti di pirateria e di banditismo non sempre ben distinguibili dai comportamenti leciti.
La profondità degli sconvolgimenti della società europea altomedievale dalla caduta dell’Impero romano fino alla rinascita dell’anno Mille investe profondamente quelli che precedentemente, fino al basso impero, erano stati i canoni della vita comune delle popolazioni che si affacciavano sul Mediterraneo, la reciproca integrazione e la convivenza nelle proprie regioni e sul mare. Le ondate delle popolazioni barbariche che dalle steppe asiatiche, attraversando le pianure dell’est europeo, raggiungono e devastano le terre affacciate sul Mediterraneo e le successive invasioni dei Saraceni sulle terre che circondano il mare nostrum, distruggono la fitte rete di vie di comunicazione marittime e terrestri che avevano fatto pulsare la vita economica e sociale dell’impero romano. Le terre e le campagne di tutta Europa vedono svanire il brulichio dei traffici che al seguito di mercanti o di eserciti aveva caratterizzato le grandi strade romane che mettevano in comunicazione il Mare del Nord fino ai punti estremi della penisola italiana, e, anzi, al di là delle Alpi il tracciato di esse molte volte svanisce. Ovunque il territorio torna a uno stato selvaggio e lì dove vi erano state in precedenza città, campagne coltivate e ville abitate, tornano la foresta e la palude.
Trionfa un’economia agricolo-pastorale a breve raggio e i mezzi di sussistenza diventano sempre più scarsi. I fiumi restano le maggiori vie di comunicazione, le arterie dell’Europa a ovest e a est. L’imbarbarimento non è minore sui mari: la vecchia rete dei porti tirrenici e adriatici, già decaduta per il minor volume di scambi della tarda età romana, con il crollo dei commerci seguito alle invasioni islamiche perde la sua funzione di porta fra Oriente e Occidente e la vita sui mari è caratterizzata fino all’anno Mille solo dall’andare e venire delle navi arabe e saracene o dai navigli del piccolo cabotaggio locale. Ovunque l’organizzazione militare, amministrativa, economica si sgretola, scompare il senso dello Stato, le mentalità e le sensibilità divengono più rozze e superstiziose. La fine del forte sistema di potere e di diritto del tempo dell’impero e la nascita di realtà politiche locali a raggio al massimo regionale, fa crollare anche i principi della convivenza civile di tradizione romana: la sicurezza del vivere e del circolare viene sostituita da un sistema di relazioni fra individui e fra popoli caratterizzate da principi, normalmente accettati, di aggressione e sopraffazione.
Parlare di banditismo o di pirateria, e cioè di aspetti patologici dei rapporti sociali e politici, in questo periodo equivale dunque a considerare il sistema delle relazioni fra popoli e persone nel suo complesso: il diritto, dal tempo dei regni romano-barbarici in poi, è fondato su modi di azione e principi che considerano la forza, la violenza e la sopraffazione come elementi validi e determinanti dei rapporti fra gli uomini e i popoli. La presenza dei Saraceni sulle coste occidentali del Mediterraneo e il loro espandersi alla conquista delle coste dell’Africa del Nord, della Spagna, della Sicilia, colora i rapporti fra questi e le popolazioni costiere con elementi di lotta religiosa. In altre parole banditismo e pirateria, nell’alto Medioevo, sono elementi consustanziali a tutta la società. L’unica voce che propone valori diversi è la Chiesa. Già sant’Ambrogio vede nei barbari nemici sprovvisti di umanità, anche se le vere ragioni che oppongono romani e barbari sono nella supremazia militare di questi e nel fatto che la società romana, divisa fra una minoranza di ricchi e potenti e gli strati popolari, risulta schiacciata dal nuovo stato di cose.
Si comprende quindi come le campagne e soprattutto i boschi e le foreste diventino l’habitat naturale di uomini o bande che si guadagnano la sopravvivenza assaltando e rapinando coloro che transitano sulle strade, gruppi a cui talvolta non sono estranei anche ecclesiastici, non inseriti in alcun ordine monastico o secolare. A nulla valgono gli ordini delle autorità civili per rendere sicuro il cammino di mercanti, eserciti o pellegrini; la vita del bandito, spesso appoggiato dagli abitanti dei villaggi rurali, sfugge a ogni inquadramento ed è resa inafferrabile anche per le ridottissime dimensioni delle comunità, per cui spesso non vi è quasi differenza numerica fra gruppi di banditi e villaggi rurali.
Anche le vie marittime di comunicazione subiscono i contraccolpi delle invasioni barbariche: il Mediterraneo solo agli albori dell’anno Mille vede le città costiere riacquistare importanza e ritornare a uno splendore marittimo e commerciale. Lungo le coste del Mediterraneo in questo periodo emergono porti cui fanno capo comunità dedite ai traffici: nell’Adriatico lentamente inizia a sorgere l’astro di Venezia con il suo commercio del sale, la pesca, il commercio di schiavi verso l’Oriente, i rapporti con l’impero bizantino; sul Tirreno è determinante la presenza di Genova e di Pisa, nonché dei porti di Marsiglia e Barcellona. Nella parte meridionale dell’Italia continua la presenza bizantina che vede nella città di Napoli e nei porti pugliesi i suoi punti saldi. Ma è soprattutto Amalfi che con la sua presenza domina sui mari, imponendo i suoi mercanti e i suoi fondaci in tutto l’Oriente e favorendo l’ingresso di merci preziose nell’Occidente. Ma in ognuno di questi centri manca una struttura pubblica che regolamenti le attività commerciali e il limite fra commercio e pirateria è in verità molto labile, essendo ambedue queste pratiche spesso adoperate dalle medesime persone; la vita marittima è caratterizzata da grande incertezza, non solo per il basso livello tecnico delle imbarcazioni e delle attrezzature, ma soprattutto proprio per il continuo e persistente pericolo rappresentato dagli abbordaggi, dalla cattura delle imbarcazioni e degli equipaggi da parte di gruppi isolati di marinai che così si procurano bottino e ricchezze.
Oggetto delle scorrerie piratesche lungo le coste di tutta l’Europa sono i beni delle popolazioni costiere, che per proteggersi dal nemico che viene dal mare si ritirano sempre più verso l’interno, lasciando impaludare le coste, e soprattutto uomini e donne che i pirati, saraceni ma anche cristiani, cercano per alimentare il mercato degli schiavi, fiorente soprattutto a Oriente. La pirateria, oltre che del commercio, diventa degenerazione della guerra, modo di affrontare il nemico e sopravvivere in situazioni in cui l’attacco personale e la lotta per portare avanti attività normalmente lecite come il commercio, sono la regola. Pirati e corsari li ritroviamo ovunque, in ogni zona, senza bandiera di appartenenza e senza che nessun gruppo cittadino sia esente da questa pecca: i Veneziani attaccano le coste della Dalmazia, i Pisani e i Genovesi conquistano e controllano la Corsica, la Sardegna e le Baleari, i Saraceni non cessano di prendere di mira le coste dell’Italia meridionale. E ciò determina la necessità per le popolazioni costiere di difendersi da sole.
Non ultimo è il pericolo che rappresentano sui mari e sulla terra ferma i gruppi di mercenari che arrivano dai confini dell’Europa, come ad esempio i Normanni provenienti dalla Scandinavia e già sbarcati sulle coste della Gran Bretagna; come gli antichi barbari questi, soprattutto nelle prime generazioni presenti sul suolo italiano, si presentano come crudeli guerrieri pronti a farsi ripagare con la licenza di fare bottino, rapinare e mettere a fiamme e fuoco i beni del nemico del momento. Le lotte mai sopite, l’incertezza del potere centrale, la crudeltà della guerra che si svolge con un confronto corpo a corpo continuo, la necessità di procurarsi da vivere con la sopraffazione, la rapina e la pirateria, determinano presso le popolazioni un clima di violenza diffusa che perpetua un irriducibile stato d’animo di precarietà e di terrore dell’ignoto e del mare aperto, a lungo radicato nelle popolazioni occidentali.
Un’eguale situazione di incertezza e di violenza la ritroviamo del resto nei mari del Nord, dove, a partire dalla Scandinavia, gruppi di vichinghi sin dall’alto Medioevo cominciano a conquistare spazi con le razzie e le scorrerie lontano dalla madrepatria nella direzione dell’Inghilterra e dell’Atlantico e anche verso gli immensi territori della Russia e il Mar Nero, alla conquista di schiavi, pelli e altri prodotti da scambiare.