PIREO (Πειραιεύς, Πειραεύς, Πειραιός; Peiraeus)
Demo attico appartenente alla tribù Hippotoontide; dal V sec. a. C. porto di Atene in sostituzione del Falero, situato in una baia troppo aperta e meno sicura. Occupava tutta la grossa penisola a S-O di Atene, nel sinus Saronicus, articolata nelle tre penisolette di Eetionea, la più piccola, a N-O, Aktea, la più grande, a S-O a 58 m sul livello del mare e, infine Munichia, a E, con la omonima collina che si alza fino a 86 m, scendendo con ripide pareti a S e ad O. Comprendeva i tre porti naturali di Kantharos, Zea e Munichia ed era separato dalla pianura di Atene da una lingua di terra bassa e, in antico, paludosa, chiamata Halai o Halỳpedon a N (Xenoph., Hell., ii, 4, 30 ss.; Arpocr., s. v.) e Halmyris a S-E (I. G., II, 1059; Esich., s. v.).
Secondo le fonti (Strab., i, 3, 18; Suda, s. v. Plin., Nat. hist., ii, 201; Arpocr., s. v. ῾Αλύπεδον), la penisola sarebbe stata in tempi remotissimi divisa dalla terraferma e completamente circondata dal mare che arrivava fino a Moschato e alla collina di Sikelia, presso Atene; in tal modo viene spiegata anche l'origine del nome di P. che si fa appunto derivare da πέρας (al di là). La paludosità della piana di Halỳpedon e il fatto che una parte della regione costiera tra Falero e P. fosse sommersa anche in tempi storici, rispecchierebbero questa situazione. L'assestamento della costa tuttavia è antico come dimostrano i ritrovamenti di stazioni preistoriche appunto vicino alla costa, che hanno dato anche materiale di Dimini.
Secondo una notizia di Aristotele (Ath. Pol., xix, 2), già Ippia aveva rivolto la sua attenzione a Munichia, fortificandola negli ultimi anni della sua dittatura, e questo, probabilmente, per le crescenti possibilità offerte dai porti della costa occidentale dopo la conquista di Salamina da parte di Pisistrato (prima del 560). L'importanza però di P. come porto di Atene fu compresa e sostenuta per primo da Temistocle, il quale riuscì a convincere gli Ateniesi della necessità di conquistarsi un potere navale e, nel 494-3, durante il suo primo arcontato, iniziò la fortificazione della penisola e la costruzione delle opere portuali, fornendo ad Atene uno dei più completi porti dell'antichità. I lavori, interrotti dalle guerre persiane, furono portati a termine intorno al 470.
Tutti e tre i porti, di cui l'entrata naturale a Munichia e Kantharos era stata ridotta dalle costruzioni di solidi moli, furono inclusi in un circuito di mura. Il piano generale di fortificazione fu completato tra il 460 e il 445 unendo il P. ad Atene mediante le Lunghe Mura, di cui fu costruito prima il muro N e il muro del Falero, essendo probabilmente ancora in funzione questo porto (Tuc., i, 107, i; 108, 3 ss.). Incerto tuttavia resta l'andamento di quest'ultimo muro, non conservato: si discute se, partendo da un punto occidentale delle mura di Atene e raggiunta la collina di Sikelia, si dirigesse poi in linea retta fino a Capo Koliàs, o se invece escludesse la baia, identificandosi nell'ultimo tratto col Lungo Muro S (Judeich). Il Muro S, detto anche τεῖχος δια μέσσος, fu costruito per consiglio di Pericle e si stendeva parallelo, a 16o m circa, al Muro N, formando un corridoio fortificato entro cui correva la via che univa Atene al P. (Andok., 3, 7; Plat., Gorg., 455; Aysch., ii, '74). È incerto se questo completamento delle fortificazioni fosse già nei piani di Temistocle o se invece nacque nella mente di Pericle, così come resta incerta la data di fondazione della città ippodamea vera e propria.
Nel 403, alla fine della guerra peloponnesiaca, Lisandro impose la distruzione di tutte le fortificazioni del P. e delle Lunghe Mura e vendette per 30 talenti le attrezzature portuali che ne erano costate 1000 (Isocr., vii, 67 u.). Dal P. partì la restaurazione democratica di Trasibulo che nel 403 si fortificò a Munichia. A soli dieci anni di distanza Conone, vincitore nella battaglia navale di Cnido, nel 395-4 ricostruì le fortificazioni del P. e le Lunghe Mura, ad eccezione del muro del Falero, reso ormai inutile dall'abbandono di questo porto e dalla presenza del muro S; restaurò le opere portuali e gli arsenali, e il tempio di Afrodite, dedicando una statua di Atena, opera di Kephisodotos il vecchio, ad Atena Sotèira.
Incominciò così il periodo di maggiore splendore per il P. le cui fortificazioni vennero, sotto Licurgo, rimaneggiate e adattate alle nuove esigenze belliche, che implicavano l'uso di macchine da guerra.
Nella seconda metà del secolo però la concorrenza di Rodi e Delo diminuì l'importanza commerciale del porto, mentre la potenza navale ateniese usciva distrutta dalla guerra lamiaca (322). Sotto la dominazione macedone, la fortezza di Munichia fu occupata dai successori di Alessandro che vi installarono un presidio, mantenendolo quasi ininterrottamente dal 322 fino al 229, eccetto i brevi periodi 307-294 e 273-263. Questo fatto sembra che abbia favorito e affrettato la decadenza del porto. Tuttavia, tenendo presente che Atene, nel III sec., è pur sempre una grande capitale artistica e intellettuale del mondo greco, è probabile che essa abbia mantenuto un posto ragguardevole anche nel campo economico, benché la sua preminenza fosse qui naturalmente meno marcata. Il raggio del suo commercio era indubbiamente più ristretto di prima, ma essa restava ancora il principale centro commerciale per il N Egeo e il Ponto, e il più importante mercato per la Tracia. La guarnigione macedone al P. quindi, non ebbe solo un significato politico, perché l'importanza commerciale del porto, permetteva, a chi ne aveva il controllo, di entrare; relativamente, in concorrenza con Rodi e Delo, empori di Tolomeo, e Efeso e Mileto, il cui controllo passava tra Tolomeo e i Seleucidi.
All'inizio dell'ultimo venticinquennio del III sec. e dopo l'allontanamento definitivo dei Macedoni (229), si notano segni di una fervida ripresa. Abbiamo notizia di una ricostruzione delle mura nel 229-8, nella quale però non sono prese in considerazione le Lunghe Mura: P. e Atene erano ormai due città separate e anche il raddoppiamento dei culti portuali in Atene ce lo conferma. Nel 200 subisce l'assalto distruttivo di Filippo, contro il quale però la flotta ateniese si era affiancata ai Rodi; della flotta ateniese si parla ancora, in questo periodo, come alleata dei Romani contro Antioco nel 190. Ma la vera rinascita del P. riguarda l'attività commerciale. Cittadini da tutte le parti dell'Attica si preoccuparono di ristabilirsi nella città portuale, attratti dalle possibilità economiche. Mercanti del P. presero parte attiva al commercio internazionale che si sviluppò a Delo, mentre il marmo dell'Imetto e il pentelico, molto richiesti, partivano dal P. per Delo e Roma. Nella rinascita di Atene del Il sec., la ripresa del P. è quindi una nota importante. È stato giustamente notato (Rostovtzev) che l'incremento della monetazione con la massa delle civette del nuovo stile che apparvero ora sul mercato, non fu tanto dovuta ad una restaurazione parziale dell'impero ateniese, ma alla crescente importanza di Atene e P. nel commercio del tempo.
Dopo il 146, seguendo le sorti di Atene, praticamente soggetta a Roma, anche P. divenne porto dei Romani. Una radicale distruzione della città, alleatasi con Mitridate, si ebbe con Silla, (App., Mithr., 30, 14-15; Strab., ix, 395, 396; Paus., i, 2, 2; Plut., Sylla, 14), che l'attaccò dalla parte di terra e la distrusse, incendiandola completamente e risparmiando solo il tempio di Afrodite.
Da allora pare che non si sia più riavuta. Strabone (ix, i, 15) la descrive come un villaggio riunito intorno al tempio di Zeus Sotèr. In epoca romana l'interesse andò tutto ad Atene, ma certo P. deve aver avuto vantaggi indiretti nel movimento del porto. Probabilmente tra Strabone e Pausania devono essere intervenuti dei restauri, se quest'ultimo (i, i ss.) ci parla di due agorài, di arsenali, del tempio di Atena e Zeus con statue di bronzo e pitture, del santuario cononico di Afrodite e del santuario di Artemide Munìchia.
Alcuni resti di ville di età antonina testimoniano una rinascita anche in tale età; distrutta definitivamente da Alarico nel 396, non viene più nominata.
Fortificazioni. - Il giro delle mura, con un percorso pressochè costante nonostante i numerosi rifacimenti, rinchiudeva P. in un anello fortificato che le Lunghe Mura congiungevano ad Atene. Si componeva di tre parti, ciascuna con una sua funzione, il cui punto di sutura non è più chiaramente distinguibile: le mura lungo il mare con il forte di Munichia, il fronte verso terra e il forte di Eetionea al di là del porto del Kantharos.
Un anello intermedio tra il fronte di mare e quello di terra pare essere stato il forte di Munichia. Lungo la costa le fortificazioni partendo con ogni probabilità dalla estremità S-O della baia del Falero, continuavano, formando un angolo acuto verso S, il fronte di terra che proprio in questo punto doveva raggiungere la costa, e procedevano ad una distanza di 20-45 m dalla costa stessa, seguendone le sinuosità.
Inglobavano il porto di Munichia, prolungandosi nei suoi moli, e quello di Zea che, naturalmente chiuso, non aveva bisogno di ulteriori difese, quindi proseguivano fino a Capo Alkimos costeggiando la penisola di Aktea, nella quale, sul versante E dove la costa cade a precipizio, correvano più vicino al mare. Secondo lo Judeich, proprio ad Aktea il percorso delle mura temistoclee sarebbe stato diverso da quello cononico e avrebbe tagliato trasversalmente la penisola, lasciandone indifeso un largo tratto fino alla costa: questa ipotesi è stata smentita (almeno per quel che riguarda le mura del 494) dal ritrovamento di fondazioni temistoclee proprio lungo la costa di Aktea, sullo stesso percorso delle mura di Conone.
Incerto resta anche il modo come il forte di Eetionea si saldava al fronte cittadino. La fortificazione di Eetionea incominciava dalla punta S della penisola omonima e andava in direzione N fino al versante della collina (m 16,7) sulla quale era il tempio di Afrodite, poi piegava ad angolo retto verso E probabihnente incontrando l'altro muro, da interpretarsi come un resto del fronte cittadino che, partendo da un punto della costa più a O di Eetionea, inglobava anche la piccola baia di Krommydaru, anch'esso dirigendosi verso N e quindi piegando ad E, dopo aver inglobato la collina dell'Aphrodision, senza comprendere sepolcri del suo versante E. La fortificazione cittadina proseguiva verso N-E e, poco dopo la porta di città, incontrava il Lungo Muro N e procedeva in direzione S e quindi S-E fino al colle di Munichia, dove, probabilmente, piegava ad O, raggiungendo la costa, come abbiamo detto, presso la baia del Falero.
Le porte erano tutte sul fronte di terra, mentre sul fronte di mare esistevano solo posterule, di cui tre restano ad Aktea ed una ad Eetionea. Poco sappiamo intorno al numero ed al preciso posto delle porte, di tre delle quali si salvano tuttora tracce. Due di esse sono ricostruibili come doppie porte a disposizione assiale con cortile interno, fiancheggiate da torri all'esterno, con un passaggio largo da m 6,15 a m 6,75. La porta di Eetionea si trova nel versante N-O delle mura di Eetionea, detta anche Porta Aphrodision perché conduceva al tempio di Afrodite (costruito da Temistocle ma ricostruito da Conone); davanti ad essa è da osservare un breve pezzo di fosso in direzione E-O, largo m 10. A 150 m più a E, tra le odierne vie Polis e Dimosthenes, sono i resti della Porta di Città (ἀστυκός), poco prima del Lungo Muro N; una altra porta doveva esistere più ad Oriente, dopo il Muro N ed entro le Lunghe Mura, nell'odierno quartiere Γουβατοῦ Βαβάυγα, destinata appunto ad accogliere la strada interna alle Lunghe Mura: di essa non resta alcun rudero, ma è stata identificata dalle tracce della strada di accesso. Infine un documento del 1825, pubblicato nel 1947. (Meletopoulos, in Πολέμων, 1947, pp. 18-72) che descrive le quattro porte ancora esistenti in quel tempo dandoci le distanze intermedie, ci permette di precisare il posto di una quarta porta, segnata dallo Judeich senza certezza all'altezza di Munichia, e che si può invece porre con sicurezza a 16o m dal mare, precisamente dove oggi è via Kountouriatou. In questa stessa strada fu trovato l'hòros (I.G., i2, 894) di una strada di Munichia, connessa quindi con questa porta. È stata supposta anche una quinta porta presso l'incrocio col muro S e, probabilmente, una altra tra la porta di Eetionea e la porta cittadina.
Le Lunghe Mura che, come abbiamo detto, correvano vicine e parallele, si aprivano circa 700 m prima delle mura del P., incontrandosi con esse molto più distanziate. La loro lunghezza di circa 9.000 m (6o stadi) è calcolata invece da Tucidide in 40 stadi perché forse misurata dal diatèichisma di Cleone. Esse dovevano avere aperture in punti determinati per lasciar passare il Cefiso. Della via che correva all'interno si distinguono ancora, in alcuni punti, le tracce. In una sporgenza del Muro S, all'altezza di Munichia si trovano i resti di un santuario o Heroon.
Quanto alle strutture delle mura, benché quelle del P. siano le meglio documentate epigraficamente e storicamente, tuttavia non possediamo testimonianze archeologiche e stratigrafiche tali da poter attribuire loro sempre una datazione assolutamente sicura. Sulla base delle sezioni di fortificazioni ancora conservate (per la maggior parte intorno ad Aktea, fino al piccolo porto di Freattis; a Munichia, sulla punta della baia di Koumountourou; a Eetionea intorno alla Porta Aphrodision; in città, pochissimi resti del fronte di terra, vicino alle porte sopra nominate), si sono distinti nove periodi costruttivi, secondo la diversità delle tecniche murarie; corrispondono ad altrettanti restauri delle mura i quali, però, avvenuti sempre parzialmente, non lasciano cogliere con chiarezza la loro successione stratigrafica.
La sezione più antica di mura sarebbe (Scranton) quella venuta alla luce durante gli scavi del 1935 sul promontorio che chiude il porto di Munichia a S-O (Kastella). Si tratterebbe di un tratto di muro in tecnica lesbia, non nominato nella relazione di scavo del Trepsiadis (Prak. Ath. Et., 1933-35), anche se presente nella sua pianta, ed ora non più visibile. Il muro viene datato alla fine del IV sec. e attribuito alle fortificazioni di Ippia. La notizia resta incerta, data l'impossibilità, allo stato delle nostre conoscenze, di distinguere e datare murature del VI sec.; è da tener presente tuttavia che i ritrovamenti ceramici nei medesimi scavi, hanno testimoniato una continuità di vita fin dal Tardo-geometrico, in questa zona.
Le scarse sezioni di mura poligonali sono state attribuite al primo periodo costruttivo temistocleo (494-3), in base alla loro somiglianza col muro temistocleo del Ceramico e alla sicurezza con cui si distingue il posteriore muro cononico. Si tratta di una sezione esistente ad Aktea, a E della chiesa di S. Basilio; delle fondamenta poligonali di una posteriore torre quadrata, a O della chiesa di S. Basilio; di sezioni di fondamenta poligonali sotto le mura cononiche della costa di Aktea, il che ha permesso di constatare l'identità di percorso dei due circuiti, il temistocleo e il cononico, almeno in questo primo periodo. Un'altra sezione poligonale è stata trovata ad Eetionea, sulla cresta N del muro che probabilmente faceva parte del fronte di terra delle fortificazioni temistoclee.
In base alla testimonianza di Tucidide (i, 93, 2, 3 ss.), si attribuiscono al secondo periodo temistocleo, dopo le guerre persiane, le sezioni di muratura in opera quadrata, che, nel disegno di Temistocle, doveva essere tutta di blocchi legati con grappe di ferro, ma che nella realizzazione non solo non raggiunse l'altezza voluta, ma risultò anche costruita con due facce riempite di terra. Presentano questa tecnica le basi ovali delle due posteriori torri rotonde della porta di città, e la sezione di muratura quadrata di Aktea, presso la chiesa di S. Basilio, con direzione S-N (interpretata dallo Judeich come la primitiva fortificazione temistoclea).
Il quarto periodo costruttivo, il meglio documentato epigraficamente e archeologicamente, è quello della ricostruzione cononica dopo il 395. Una sicura testimonianza ci è data dall'epigrafe che si riferisce a questa ricostruzione, sotto l'arcontato di Euboulides (394-3), trovata incisa su di un blocco isodomico a superficie ruvida, con una porzione, al centro del blocco, appositamente levigate per l'epigrafe. Era inserita nel tratto delle fortificazioni di Eetionea a S-O della porta e corrisponde alla tecnica del giro delle mura di Aktea. Consisteva di uno zoccolo a doppia faccia con due o tre filari di blocchi di calcare del P., con riempimento di terra e sovrastrutture in mattoni, perdute. Esistevano probabilmente stanze intermedie ed un corridoio scoperto alla sommità. Larghe torri quadrangolari, irregolarmente distanziate, che nella parte interna conservano in alcuni punti fondamenta di scale, sono ancora visibili.
Sopra questa unitaria zoccolatura si distinguono due tipi di sovrastrutture in pietra (posteriori alle sovrastrutture in mattoni, quindi), ambedue in blocchi a faccia liscia, ma l'uno con angoli retti, l'altro con angoli a cuneo.
La porta di Eetionea inoltre conserva sulle basi ovali del secondo periodo temistocleo, due torri rotonde in tecnica pseudo-isodomica, ad O delle quali si trova un resto di fortificazione a blocchi di conglomerato messi alternativamente di testa e di taglio, precedente alle torri stesse.
A Munichia, nel forte sul promontorio O, il rotondo muro esterno è riferibile ad età cononica, ma l'interno massivo tra le due facce corrisponde ad un rifacimento posteriore, lo stesso probabilmente a cui va riferita la robusta torre rotonda della parte O del forte stesso, tutta in blocchi quadrati, ben lisciati di cui però gli scavi non hanno chiarito né la data né il rapporto con gli altri muri.
Gli scarsi resti del fronte cittadino sono in breccia, a volte in calcare conchiglifero, nella tecnica di testa e di taglio. Lo spessore delle mura è qui notevole, ed esse presentano torri rotonde in contrasto con Aktea.
Le fonti relative alle fortificazioni non ci aiutano molto a precisare la datazione o quanto meno, la successione cr0nologica di questi diversi modi costruttivi. Sappiamo che nel 378 P. era ancora senza porte (Xenoph., Hell., 5, 4, 20). Ancora per il IV sec. riferimenti non molto chiari sembrano suggerire alcune opere di fortificazione intorno al 355 (Corn. Nep., Thimot., iv, i; Xenoph., De vectig., vi, i), mentre un rinnovamento alle fortificazioni menzionato da Demostene (xix, 125), è confermato forse da I. G., 112, 244 (339-8) dove si accenna espressamente a Munichia e alle Lunghe Mura. Non sappiamo se la guarnigione macedone fortificò Munichia, sappiamo tuttavia che nel 307 Munichia fu distrutta da Demetrio Poliorcete (Plut., Demetr., 9 ss.; Diod., xx, 45) e proprio nel 307-4 la I. G., ii2, 463, testimonia un riadattamento delle mura ai nuovi sistemi difensivi e offensivi con la costruzione di un corridoio coperto, con finestre per le macchine da guerra, e un fossato, che potrebbe identificarsi con quello trovato davanti alla porta di Eetionea. Un'altra riparazione avviene nel 229-8 con il demagogo Euricleide (I. G., ii2, 834), infine una iscrizione del Il sec. a. C. (I. G., ii2, 2331), si riferisce alla costruzione di una torre, probabilmente del Pireo.
Nonostante tutte queste testimonianze, continua a restare incerto se il fronte della città in breccia così come le sovrastrutture in pietra di Aktea appartengano al 337-6 o al 307-4 oppure ai lavori del III sec.: dalla metà del IV sec. infatti non si lasciano distinguere su basi archeologiche periodi cronologicamente distinti nelle murature. Nelle stesse condizioni ci si trova per il periodo ellenistico a cui forse appartengono le torri di Eetionea, pseudoisodomiche, e le sezioni a blocchi di testa e di taglio. Molte notizie di rimaneggiamenti poi possono non trovare riscontri perché riguardanti proprio la parte superiore delle mura, ora perduta.
Porti e altre costruzioni. - Dei tre porti quello più a E, Munichia e quello di Zea avevano carattere militare e furono quindi i primi ad essere organizzati. Munichia (Turkolimano moderno) era difeso da sbarramenti artificiali con torri terminali. Intorno alla costa erano costruiti 82 alloggi per navi (νεώρια o νεωσοίκοι) che costituivano la parte principale dell'attrezzatura portuale specie per le navi da guerra che non erano sempre in mare. Si trattava di capannoni coperti da tetto a doppio spiovente, con stilobati paralleli discendenti in acqua, lunghi m 37 e larghi m 6,25, i cui resti, di età cononica, sono ora sommersi per l'abbassamento della costa. Essi si appoggiavano, dietro, ad un muro su cui correva una strada definita da hòroi che delimitavano la zona portuale dal resto della città. La parte di costa restante era riempita di arsenali.
Sul colle di Munichia (odierno Haghios Ilias) si conservano resti di costruzioni in roccia, sotterranee, non sicuramente databili, probabilmente opere di rifornimento idrico. Sul lato N-O del colle stesso si trovava l'antico teatro, nominato più volte dalle fonti e dalla letteratura antica perché in esso si riunirono numerose assemblee popolari; ora non più visibile, è stato tuttavia identificato dagli scavi del secolo scorso. Forse vicino si trovava l'ancora sconosciuto tempio di Dioniso di cui si è trovato un hòros (I. G., i2, 868). Sempre a Munichia si trovava un tèmenos dell'eroe Munichos (forse la costruzione sul molo E), l'ancora inidentificato Bendidèion, e il santuario di Artemide Munichia, del quale gli scavi del 1935 sul promontorio ad O del porto, hanno portato alla luce numeroso materiale votivo, testimoniante una continuità di culto dall'età tardo-geometrica, non tuttavia resti di costruzioni.
Tra Munichia e Zea, lungo la costa, si trovano numerose cisterne, il santuario rupestre di Zeus Meilìchios con nicchie in roccia, e il cosiddetto Serangèion, nel luogo ora chiamato Σπηλιὰ Παρασκευά; interamente scavato nella roccia, sotto il livello della strada, con accesso, ora impraticabile, anche dalla parte del mare, si componeva di una serie di ambienti e corridoi intorno ad una sala rotonda con nicchie quadrate tutto intorno alla parete, forse con funzione di spogliatoi. Gli antichi autori (Iseo, iv, 33; Aristofane, in una commedia perduta Γεωργοί; Fozio, s. v.; Esich., s. v.; Suda, s. v.), si riferiscono al Serangèion indifferentemente come a un bagno o come a un santuario. Si conservano in esso due mosaici pavimentali a ciottoli, di cui uno, più grande (2,75 × 2,10), rappresenta una quadriga, l'altro completamente coperto da un recente muro, Scilla. Attribuiti dallo scavatore (Dragatsis) ad epoca romana, sono ora datati, per paragoni con Corinto e Olinto, al IV sec. circa. Non più visibile è l'Asklepieion (Aristoph., Plut., 621, Schol.), scavato nel secolo scorso, comprendente un tempio chiuso in un peribolo, situato non lontano dalla costa, nel tratto tra Zea e Munichia.
L'estremità della penisoletta che chiude a E il porto di Zea presenta una serie di buchi ovali in roccia, provvisti di copertura a calotta, di incerta destinazione, forse pozzi (ϕρέατα); in essa si è voluto identificare il distretto di Φρεατψύς, nominato dalle fonti (Demost., xxiii, 77 ss.; Arist., Pol., 4, 16, 2; Paus., i, 28, ii), dove i colpevoli di omicidio rimanendo su di una barca, venivano interrogati dai giudici sulla costa.
Questa penisoletta chiudeva, sul lato E, il porto di Zea (odierno Pacha Limani), il maggior porto militare di P.,quasi completamente chiuso naturalmente. Conteneva 196 alloggi per navi, di cui si riconoscono ancora, sommersi, i resti di 38, più vasti che a Munichia (lunghi m 40, larghi m 6,50), costruiti per due serie successive di triremi. Anche qui, a 37 m dalla costa, un muro e una strada con una serie di hòroi delimitavano il confine tra il porto e la città (I.G., i2, 889).
Nella parte N-E di Zea, non lontano dal luogo di ritrovamento della iscrizione che ad essa si riferisce, si doveva trovare la celebre skeuothèke di Philon, conosciuta solo dalla lunga dettagliata epigrafe relativa alla sua fondazione, che ne permette una ricostruzione abbastanza sicura. L'iscrizione si data al 346 circa e la costruzione si può porre tra il 340 e il 330. Opera di Philon eleusino, (v. arsenale), spesso citata tra le opere più rimarchevoli del P. (Strab., ix, 395; Vitr., Praef., vii; Plin., Nat. hist., vii, 38, i; Plut., Sylla, 14; Appian., Bel. Mithr., 41), è chiamata λυϑίνη per distinguerla da altre, evidentemente di legno; era adibita alla costruzione e riparazione di navi e alla custodia dei materiali delle navi stesse. Costruita in blocchi regolari di calcare del P. con rifiniture in pentelico e in marmo dell'Imetto e coronamento a triglifi, aveva una copertura in legno con mattoni corinzî. I lati lunghi erano aperti da 36 finestre, altre tre erano sui lati brevi, dove due grandi porte, divise da un pilastro, davano accesso all'interno diviso in tre gallerie da 35 colonne o pilastri, probabilmente dorici, ma molto slanciati per il minor peso da sostenere. La galleria centrale era riservata al passaggio pedonale; le due gallerie laterali, a due piani, comprendevano una serie di logge con scaffalature per la sistemazione dei materiali. Un pròpylon metteva in comunicazione la skeuothèke con l'agorà ippodamea.
Ad O di Zea, poco lontano dalla costa, si trovano ancora gli scarsi resti del secondo teatro del P., datato al Il sec. a. C. per le sue analogie col teatro di Atene, nella sistemazione di questo tempo. Presenta un proscenio con stilobate in marmo dell'Imetto con sette colonne senza scanalature per pìnakes, e quindi a intervalli aperti, di cui l'apertura centrale era doppia delle altre, con architrave dorico e parascaenia con cinque colonne in facciata. Davanti al proscenio, alto m 3,68, la roccia non levigata esclude la possibilità di una recitazione in questo luogo, anche se lo si pensi riempito di terra battuta. Il kòilon rivolto a S-E, sfruttava una debole cavità naturale, ed era per la maggior parte artificialmente sostenuto. Diviso in 13 κερκίδες, era più arcuato al centro ed andava rettificandosi ai lati. Sotto al passaggio inferiore un canale di scolo era coperto da lastre corrispondenti alle scalette di accesso al kòilon.
Nella zona di Aktea, non si trovano molti resti oltre quelli delle fortificazioni, citati: tracce di case, cisterne e, presso la costa, le antiche cave di calcare. Il sepolcro di Temistocle citato dalle fonti (Diod. presso Plut., Themist., 32; Paus., I, I, 2), è stato identificato in uno, ora sommerso, presso l'entrata E del porto del Kantharos, là dove, recentemente, nel 1953, Si è ricostruita anche una colonna di pòros i cui sette tamburi giacevano sparsi nelle vicinanze.
Il porto principale del P., il più occidentale dei tre, il cui nome Kantharos ne rispecchia la forma, era il porto commerciale di Atene, ma il suo angolo S, prima della odierna Dogana centrale, era riservato a navi da guerra, con 94 νεώρια, ora scomparsi. Altre installazioni belliche, probabilmente, bordavano la costa interna di Eetionea. Tutta la rimanente zona E, compreso l'angolo N-E, costituiva il cosiddetto Emporio, riservato al traffico commerciale. Una banchina allargava il piano di approdo con dei moli, di tre dei quali conosciamo il nome: il Διάζευγμα, riconosciuto in un molo diagonale quasi al centro della banchina, sotto il molo moderno: il Χώμα e il μέσου Χῶμα (che potrebbero anche identificarsi), forse nella sporgenza N-O del porto, quasi prolungamenti della sporgenza stessa (rispettivamente verso S e verso O se si tratta di due moli distinti). La regione era delimitata da hòroi due dei quali, trovati l'uno presso l'odierna Dogana e l'altro presso l'odierna piazza Karaiskakis, ci hanno dato precisamente i confini N e S. Era bordata da una serie di portici, cinque secondo lo scoliaste di Aristofane (Pax, 145), aperti verso il mare, ornati di statue (Paus., i, 2 ss.): di uno di essi si conosce il nome, Δεῖγμα (Xenoph., Mell., 5, i, 21; Lys., 75, 6). L'angolo N era bordato dalla Μακρὰ Στοά, costruita da Pericle e probabilmente da identificarsi anche con l'᾿Αλϕιτόπολις (Aristoph., Achar., 548, Schol.). In collegamento con la Μαρκὰ Στοὰ, era un'agorà commerciale, distinta da quella cittadina, detta ippodamea. Del complesso delle stoài si conserva ancora un angolo di muro, a S-E della odierna Dogana e della chiesa di S. Nicola, che prolungandosi verso N incontrava l'hòros I. G., i2, 892, sulla strada delimitante la zona del porto da quella della città. Recenti ritrovamenti fortuiti (1956-1959) hanno portato alla luce nella odierna via Giorgio I, là dove essa incontra via Filone, di fronte alla chiesa di Haghìa Triada, piccole stanze quadrate (circa m 5,70) a m 2,30 sotto il livello della strada, in una delle quali erano ammucchiate statue di bronzo e di marmo di diverse dimensioni e epoche (dal tardo VI sec. all'ellenismo). La zona di ritrovamento, come tutta la zona a N di Haghìa Triada, che presenta muri databili dal V sec. in poi, doveva far parte degli emporî e dei magazzini del porto; la zona in cui furono trovate le statue, probabilmente li riunite per essere imbarcate, dovette essere distrutta da un incendio che seppellì le statue stesse nel I sec. a. C.
Intorno al Kantharos e su Aktea si stendeva la città vera e propria, ippodamea. Fu costruita, secondo le fonti, al tempo delle guerre persiane (Aristoph., Equit., 327, Schol.), ma la sua datazione viene abbassata anche ad età periclea, onde accordare cronologicamente le altre fondazioni di città attribuite ad Ippodamo, Thuri e Rodi.
Senza dubbio Ippodamo intervenne nel tracciato del P., ma la presenza della città moderna non permette di restituire il piano antico, e gli elementi messi in luce sono rari. Nella regione tra il Kantharos e Zea si sono individuate tre strade parallele, con direzione N-S (il cui asse corrisponde alla porta di città con una leggera deviazione) e un crocicchio, sul lato N-O della odierna piazza Korai, ci è dato dall'angolo della casa dei Dionisiasti, riconosciuta sotto il teatro moderno. Le vestigia scarse di case e strade trovate ad Aktea, si completano in una rete di strade parallele e perpendicolari, il cui orientamento però segna una deviazione piuttosto forte rispetto agli assi della zona precedente. Conosciamo poi l'esistenza dell'agorà, la seconda del P., espressamente chiamata dalle fonti ippodamea, che si trovava nel punto più stretto della penisola, nei pressi della skeuothèke di Philon a cui dalla piazza si accedeva attraverso un pròpylon. Di essa ci restano solo notizie indirette delle fonti, che non la descrivono (Arpocr., s. v.; Fozio, s. v.). Sappiamo che una casa (Pseudo Dem., xlix, 22) la bordava, che da essa partiva la strada per il santuario di Artemide Munzìchi2 e il Bendideion (Xenoph., Hell., ii, 4, ii, 2, 10 ss.) e che aveva un pròpylon in comune con la skeuothèke, mentre un decreto del 320-19 (I. G., ii2, 380, lin. 8 ss.) prevede un livellamento della piazza che quindi non era ancora completata. In essa non si deve quindi cercare una forma definita fin dall'inizio; essa va interpretata come un centro politico della città, nettamente precisata solo nella sua ubicazione. Tenendo presente inoltre l'accurata delimitazione delle zone intorno ai porti militari e l'organizzazione del centro commerciale intorno al Kantharos con l'aiuto di portici specializzati, si può concludere (Martin) che la caratteristica della pianta ippodamea del P. non consiste già nella assoluta regolarità della rete stradale, trattata anzi con indipendenza per ciascun quartiere, ma nell'aver organizzato l'insieme appunto per quartieri, esattamente previsti e limitati (il διαίρεσιν delle fonti). Anche gli hòroi (I. G., i2, 887-896; 897-901; Hill, in Am. Journ. Arch., 1932, p. 254 ss.) infatti si datano epigraficamente secondo due serie, di cui l'una, più antica, fissa a grandi linee le zone di dominio pubblico, l'altra, più recente, della metà del secolo, riguarda qualche grande edificio pubblico. Infine, all'interno di Zea altri hòroi delimitavano i diversi edifici.
Sappiamo (Aristoph., Schol., Ucc., 997; Suda, s. v.) di un acquedotto costruito da Meton, ma esso, così come il santuario di Zeus Sotèr e di Atenà Sotèira (Paus., i, i ss.; Strab., ix, I, 15) e altri santuarî di culti stranieri, ci sono noti solo dalle fonti o dalle epigrafi.
Bibl.: J. Wudeich, Topographie von Athen, Monaco 1931, con tutta la bibliografia precedente; J. Day, Cape Colias, Phalerum and Phaleric Wall, in Am. Journ. Arch., 1932, pp. 1-11; D. Kent Hill, Some Boundary Stones from the Pireus, ibid., 1932, pp. 254-259; W. Wrede, Attische Mauern, Atene 1933; G. Bakalakis, Προτοελλαδικός συνοικίσμος κερατοσινίου Πειραίως, in ᾿Αρχ. ᾿Εϕημ., 1933, pp. 7-19; G. Säflund, The Dating of Ancient Fortifications in Southern Italy and Greece, in Opuscula Archaeologica, i, 1935, pp. 88 ss.; H. Megaw, Archaeology in Greece, in Journ. Hell. Stud., 1936, p. 142; I. Trepsiadis, Ανασκαϕικαὶ ἔρευναι ἐν Καστέλλᾳ τοῦ Πειραίως, in Πρακτικά, 1933-35, (1936), pp. 159-195; Th. Lenschau, in Pauly-Wissowa, XIX, 1937, col. 71, s. v., n. i; R. Scranton, The Walls of the Peiraeus, in Am. Journ. Arch., 1939, pp. 301-302; id., Greek Walls, Cambridge 1941; L. Halliday Savile, Ancient Harbours, in Antiquity, 1941, pp. 209 ss.; I. A. Meletopoulos, Καϑορισμός πύλης τοῦ πειαϊκοῦ περιβόλου, in Πυλέμων, 1947-49, pp. 68-72; id., Αἱ ἀρχαιότητες τοῦ λιμένος Πειραίως, ibid., pp. 125-137; W. B. Dinsmoor, Greek Arkitecture, Londra 1950; R. Martin, Recherches sur l'agora grecque, Parigi 1951; D. P. Theocharis, ᾿Ανασκαϕή ἐν Παλαίᾳ κοκκινιᾷ Πιραίως, in Πρακτικά, 1951, pp. 93-127; Bull. Corr. Hell. 1953, p. 202; M. Rostovtzev, The Social and Economic History of the Hellenistic World, Oxford 1953; A. Oikonomidis, ᾿Αττικαὶ ἐπιγραϕαί in Νεὸν ᾿Αϑηναῖον, I, 1955, pp. 9-14; F. Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l'urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956; R. Martin, L'urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956; N. Pappadakìs, Ιερός Νομός Βενδιδείων, in ᾿Αρχ. ᾿Εϕημ. 1937, III, (1956), pp. 808-823; N. Zafeiropulos, Μαρμαρίνη λήκιϑος μετ ᾿ἐπιτυμβίου παραστάσεως, in ᾿Αρχ. ᾿Εϕημ., 1953-54, (1958), pp. 236-246; F. G. Maier, Griechische Mauerbauinschriften, Heidelberg 1959; A. Papaghiannópulos-sen., Πειραϊκὴ ᾿Αρχαιολογία, in Πολέμων, 1958-59, (1959), pp. 26-48; G. Travlos, Πολεοδομικὴ ᾿Εξέλιξις τῶν ᾿Αϑηνῶν, Atene 1960; E. Vanderpool, New Letter from Greece, in Am. Journ. Ach., 1960, pp. 265-267; M. Paraskevidis, Zur Entdeckung der Statuen in Piräus, in Das Altertum, 1961, pp. 131-137; A. Momigliano, Sea-Power in Greek Thought, in II Contributo alla storia degli studi classici, Roma 1960, pp. 57-67. Per il Serangèion, oltre alla relazione di I. Dragatsis, Τὸ ἐν Πειραίει Σηράγγιον, in ᾿Αρχ. ᾿Εϕημ., 1925-1926, p. i ss., cfr. anche K. Donaldson, A Pebble Mosaic in Pireus, in Papes of Amer. School of Class. Studies at Athens, 1950-1951. Per i teatri: C. Anti, Teatri greci arcaici, Padova 1947; E. Fiechter, Das Theater im Peiraieus, Stoccarda-Colonia 1950, con tutta la bibliografia precedente; M. Bieber, The History of the Greek and Roman Theater, Princeton 1961; per il materiale del museo anche R. West, Eine römische Kaiserstatue im Piraeus Museum, in Oester. Jahresh., 1935, p. 97 ss.; Ps. A. Staropullos, Νεσαττικόν ἀνάηλυϕον τῶν Νυμϕῶν ἐν τῷ Μουσείῳ Πειραίως, in ᾿Αρχ. ᾿Εϕημ., 1950-1951, pp. 106-107.
(I. Baldassarre)
Museo Archeologico. - Situato in un piccolo edificio adiacente al teatro ellenistico di Zea, raccoglie alcune delle opere d'arte greca e romana rinvenute al Pireo. Fra le prime è particolarmente notevole la serie delle stele funerarie del V e IV sec.: queste puntualizzano lo sviluppo dello stile funerario attico che, muovendo da un gusto post-partenonico, basato sull'evidenza della linea come elemento essenziale delle figure e del movimento, gradualmente si evolve nella decisa affermazione della struttura plastica ove la figura svincola liberamente dal fondo e la linea si frange in segmenti posti su diversi piani, come avviene nelle opere della metà del IV secolo. Abbiamo così la stele di Nikeso, prossima alla preziosa linearità del rilievo di Orfeo del Museo Nazionale di Napoli (420 a. C.), quella frammentaria della donna con lo specchio, costruita su due direttrici contrastanti di movimento (410 circa), la stele dei guerrieri Chairedemos e Lykeas, ove le due figure appaiono distribuite su due piani diversi (420-10) e le steli di Hippomachos e Kallias, di Philusia, della, donna con ancella, di Agetor, inoltrantisi oltre le soglie del IV sec., nel corso della prima metà di esso (la stele di Agetor è del 362), ove il crescente interesse per la plastica si afferma attraverso le strutture sempre più salde dei volumi del corpo e il loro disporsi liberamente contro il fondo del rilievo.
Di molto più scarso interesse le stele ellenistiche e romane, stele-acroterî (columella di un milesio, Conze 1811; stele di Amphikles, Conze 1989; di Bacchios, Conze 2017; di Paramonos e Alexandros, Conze 2067; Epaphroditos, Conze 2111 ecc.).
In una sala del piccolo museo sono conservati sei ritratti romani in marmo pentelico (testa di Claudio, busto corazzato della metà del i sec. d. C., busto di C. Memmius Threptus tra la fine del I e gli inizî del Il sec. d. C., ritratto coronato di Traiano).
Di eccezionale interesse, soprattutto storico, è un gruppo di rilievi neoattici ripescati nel 1931 nel porto del P. e probabilmente riferibili al carico di una nave diretta in Italia, ai quali è destinata l'ultima sala del museo. Si tratta di una serie di lastre in pentelico, in parte frammentarie, con scene di amazzonomachia, che riproducono nella grandezza originale alcuni dei gruppi di combattenti che adornavano lo scudo della Parthènos fidiaca, e forniscono quindi un preziosissimo ausilio nella ricostruzione di questo capolavoro perduto. Alle lastre fidiache se ne aggiungono altre tre, pure neoattiche, di diverso soggetto mitologico.
Di recente in una strada della città si è trovato tutto un gruppo di bronzi e di statue, che era stato accumulato forse nel I sec. a. C., probabilmente per essere imbarcato ed esportato. Comprende: un koùros di bronzo del tardo VI sec. circa, alto m 1,92, una delle maggiori sculture in bronzo di questo periodo, col piede destro avanzato, invece del sinistro; esso è ora però al Museo Nazionale di Atene; una Atena in bronzo del IV sec. e una figura femminile pure in bronzo interpretata come Artemide o come Melpomene; una Maschera tragica, in bronzo, del IV sec. circa; un'altra, più piccola statua femminile in bronzo, interpretata come Artemide; una piccola statua femminile, in marmo, completamente avvolta in un lungo chitone che nasconde anche le braccia; due erme di marmo; due scudi con decorazione a rilievo, forse connessi con le statue di bronzo; una tazza megarese rappresentante il sacrificio di Ifigenia in Aulide.
Il museo possiede altresì un ricco campionario di ceramica corinzia, attica (fra cui alcune lèkythoi a fondo bianco) e romana, e varî frammenti architettonici provenienti dai monumenti della città.
Bibl.: Sul museo: S. S. Weinberg, in Archaeology, I, 1948, pp. 148-149; sulle stele attiche: A. Conze, Die att. Grabrel., Lipsia-Berlino 1893-1922; H. Diepolder, Die att. Grabrel., V-IV Jahr., Berlino 1931; sulle lastre neoattiche: H. Schrader, in Corolla L. Curtius, Stoccarda 1937, pp. 81-88; G. Becatti, Problemi fidiaci, Milano 1951; sui ritratti romani: C. Carducci, in Bull. Imp. Rom., IV, 1933, pp. 37-43; A. v. Schlieffen (R. est), in Oesterr. Jahresh. XXXIX, 1935, pp. 97-108; W. H. Gross, Bildnisse Trajans, Berlino 1940, pp. 101-102, p. 130, n. 54; J. M. C. Toynbee, in Ann. Brit. Sch. Athens, 53-54, 1958-59, pp. 285-291; N. Zafiropulos, Μαρμαρίνη λήχυϑος μετ έπιτυμβίον παραστασέως in ᾿Αρχ. ᾿Εϕημ., 1953-54, II (1958), pp. 237-246; D. M. Lewis, Apollo Delios, in Ann. Brit. Sch. Athens, 55, 1960, pp. 190-194.
(L. Vlad Borrelli)