MARCONI, Pirro
Nacque a Verona il 1° genn. 1897 da Pietro, violinista, e da Antonella (Nella) Levi. Dopo essersi iscritto alla facoltà di lettere a Roma, interruppe gli studi nel maggio del 1915 per arruolarsi come volontario tra gli alpini. Divenuto ufficiale di complemento, rimase in servizio per tutta la durata del primo conflitto mondiale. L'esperienza di combattente, che gli avrebbe fruttato due medaglie d'argento al valore e la croce di guerra al merito, fu da lui ricordata in un volume di memorie (Il battaglione Monte Berico: dicembre 1915 - agosto 1919, Roma 1923). Dopo il congedo poté riprendere gli studi universitari, che completò nel luglio 1920, discutendo una tesi sulle rappresentazioni di Antinoo, data alle stampe alcuni anni più tardi (Antinoo. Saggio sull'arte dell'età adrianea, in Monumenti antichi pubblicati per cura dell'Accademia nazionale dei Lincei, 1923-24, vol. 29, cc. 1-302).
Il lavoro, pur limitandosi alla sola scultura, ebbe il merito di riprendere un tema che, dopo l'omonimo studio di L. Dietrichson del 1884, era rimasto del tutto ignorato. La biografia del personaggio, l'assimilazione a figure mitiche e il retroscena ideologico del suo culto suscitarono l'interesse del M. esclusivamente in funzione dell'analisi formale delle raffigurazioni e della definizione degli influssi della tradizione statuaria, individuati nell'arte policletea ed egizia. Il M. vide nel corpus delle raffigurazioni un "riassunto dell'arte adrianea" (ibid., c. 297), espressione di un gusto originale che non si risolve nella ripresa di modelli iconografici classici o esotici, ma giunge a creare un tipo del tutto nuovo, nel quale il carattere naturalistico del ritratto dal vivo dell'amante di Adriano, riconosciuto in quello di villa Adriana a Tivoli, ora ai Musei Vaticani, si stempera progressivamente, giungendo a creare un'immagine idealizzata di malinconica bellezza.
Dopo la laurea, il M. frequentò la Scuola italiana di archeologia di Roma, dove conobbe la futura moglie, Jole Bovio, con la quale condivise anche l'esperienza di borsista presso la Scuola archeologica italiana di Atene (1923-24); nello stesso periodo conseguì la laurea in filosofia (1923). Nel settembre 1925 ottenne la libera docenza in archeologia e, in seguito a concorso (1926), divenne ispettore, dapprima presso la soprintendenza del Veneto orientale, e successivamente (1927) presso il Museo nazionale di Palermo, del quale fu nominato direttore nel 1929.
Gli anni di attività in Sicilia segnarono profondamente la produzione del M.: più di una trentina di suoi lavori, tra i quali alcune monografie, riflettono l'intensa attività di scavo condotta nelle province di Agrigento, Palermo e Trapani.
I monumenti e la topografia di Agrigento in età arcaica e classica rappresentano uno fra i principali poli di interesse del "periodo siciliano" del Marconi. Già nel 1926 pubblicò i resti di quattro dei colossali telamoni dell'Olympieion, da poco rinvenuti a sud del tempio (I telamoni dell'Olympieion agrigentino, in Bollettino d'arte, VI [1926], pp. 33-45). Nello stesso anno una lunga relazione di scavo illustrava le ricerche condotte nell'area delle chiese di S. Biagio e di S. Nicola, relative soprattutto ad alcuni edifici di culto, quali il cosiddetto "oratorio di Falaride" e il tempio di Demetra (Sicilia: Girgenti. Ricerche ed esplorazioni, in Atti dell'Acc. nazionale dei Lincei, Notizie degli scavi di antichità, s. 6, II [1926], pp. 93-148).
A una monografia d'interesse generale sulla città (Agrigento, Firenze 1929), ne seguì una seconda su Agrigento arcaica. Il santuario delle divinità chtonie e il tempio detto di Vulcano (Roma 1933). In questo volume il M. pubblicò i risultati di uno scavo condotto nell'area a nordovest della Porta V delle fortificazioni della città, nel corso del quale mise in luce un esteso santuario dedicato alle divinità ctonie, che si sviluppava su terrazze fino al ciglio roccioso prospiciente alla Kolymbethra. Nel settore destinato a ospitare le stele votive e i donari, inoltre, egli rinvenne le testimonianze più arcaiche della religiosità agrigentina, consistenti in oggetti più antichi della fondazione della colonia stessa e presumibilmente importati da Gela (fine del VII secolo a.C.).
Di non minore interesse furono le ricerche condotte a Segesta, nell'area della scena del teatro (Segesta. Esplorazione della scena e del teatro, in Atti dell'Acc. nazionale dei Lincei, Notizie degli scavi di antichità, s. 6, V [1929], pp. 295-318) e a Imera, nell'area del tempio della Vittoria (Himera, lo scavo del tempio della Vittoria e del Temenos, Roma 1931).
Il M. portò alla luce il tempio negli anni 1928-29, demolendo un casale cresciuto intorno a una torre cinquecentesca. Secondo una prassi ampiamente diffusa all'epoca, lo scavo consistette in un vero e proprio sterro, finalizzato a liberare dal terreno l'edificio, che fu datato al 480-460 a.C. Notevole attenzione fu riservata all'apparato decorativo, in particolare ai gocciolatoi a protome leonina, che il M. attribuì a due botteghe agrigentine, una più attenta alla plasticità delle forme, l'altra ai caratteri disegnativi e decorativi del manto leonino.
All'arte figurativa siceliota e magno-greca lo studioso dedicò più contributi (L'efebo di Selinunte, Roma 1929; La scultura e la plastica nella Sicilia antica, in Historia, IV [1930], pp. 645-674; L'anticlassico nell'arte di Selinunte, in Dedalo, XI [1930], pp. 395-412; Italicità nell'arte della Magna Grecia, in Historia, IX [1935], pp. 574-585), nei quali andò definendo i lineamenti di una personale "teoria dell'arte", influenzata a un tempo dalle tendenze imperanti nella cultura e nella politica italiana del periodo, il neo-idealismo e il nazionalismo sostenuti dal regime fascista.
Secondo il M. i coloni greci avrebbero creato, grazie all'incontro con la componente indigena, "un ambiente d'arte, nuovo […] in cui l'italicità è riconfermata con maggiore sapienza e viva coscienza" e, "quando l'elemento coloniale greco vien meno, incontrandosi con i popoli italici dell'Italia centrale, contribuisce al formarsi della civiltà romana" (Italicità nell'arte della Magna Grecia, cit., pp. 583-585). La specificità di questa cultura sarebbe consistita in una reazione all'intellettualismo e all'astrattezza dei canoni greci; nella riaffermazione di un'ispirazione concretamente realistica, il carattere di questa arte si sarebbe lasciato riassumere alla luce della categoria estetica dell'"anticlassico".
Negli stessi anni in cui individuava nelle espressioni dell'arte siceliota e italiota del V secolo a.C. le premesse della nascita dell'arte romana, il M. pubblicò uno studio d'insieme su La pittura dei Romani (Roma 1929).
In questo volume egli lumeggiava circa tre secoli di pittura, dal II secolo a.C. alla distruzione di Pompei, con l'obiettivo dichiarato di dimostrare l'originalità dell'arte romana. È nell'avanzato I secolo d.C. che egli vide l'inizio della parabola discendente e di un lungo periodo di stasi di questa espressione artistica, adagiatasi sui risultati raggiunti nell'ambito pompeiano e ormai destinata a estenuarsi in mero gusto per la decorazione.
Gli affreschi della villa dei Misteri - ai quali il M. avrebbe in seguito dedicato uno studio monografico (La villa dei Misteri, Bergamo 1938) - rappresentano l'esempio più notevole di quest'arte, dietro al quale, a suo avviso, è possibile individuare una compiuta personalità artistica. Al M., in particolare, fu riconosciuto il merito di essere stato il primo a tentare di definire il carattere del pittore, mediante un'analisi formale dell'opera, che ne accentuasse al contempo il carattere di "romanità". Pur sostenendone l'ispirazione originale, il M. non poté fare a meno di osservare il carattere "senza anima" di queste pitture, con una riuscita "più intenzionale che effettiva", dato che "i singoli gruppi non giungono a una fusione artistica fra di loro" (Bianchi Bandinelli, p. 83).
Dal 1931 al 1933 il M. fu soprintendente alle Antichità delle Marche. Nel dicembre 1933 fu nominato professore straordinario di archeologia, prima presso l'Università di Cagliari, poi (ottobre 1935), in quella di Napoli. La produzione scientifica di questi anni fu incentrata in prevalenza su temi di arte romana (L'Augusto di Ancona, in Bollettino d'arte, XVI [1932], pp. 149-157; Verona romana, Bergamo 1937) e sulla cultura artistica picena. A quest'ultima egli dedicò vari contributi, che possono essere idealmente raccolti intorno a quello su La cultura orientalizzante del Piceno, in Monumenti antichi… dei Lincei, 1933-35, vol. 35, coll. 265-454.
Il lavoro fece il punto sulla regione picena nei secoli VII-V a.C., rendendo noti alcuni complessi di grande importanza (come gli avori intagliati da Pianello di Castelbellino e le tombe di S. Maria in Campo presso Fabriano), e affrontando in modo approfondito problematiche fino ad allora ignorate. Degni di nota, per esempio, furono l'attribuzione a una produzione locale delle ciste bronzee poi denominate "gruppo Ancona" e il riconoscimento a Numana del ruolo di emporio aperto ai commerci greci dell'Adriatico (Naso).
Nel dicembre 1936, il M. fu chiamato a dirigere la missione archeologica italiana in Albania. Negli anni 1937-38 esplorò l'entroterra di Butrinto, rivolgendo la propria attenzione, grazie alla collaborazione con L. Cardini, anche alle fasi preistoriche (Zevi).
Questo fervore di attività fu tragicamente interrotto al ritorno da un viaggio in Albania, il 30 apr. 1938, quando il M. perì in un incidente aereo nel cielo di Formia.
Rimase incompiuto, tra l'altro, il progetto di una nuova sintesi generale dell'arte romana, che il M. si apprestava a realizzare negli anni dell'insegnamento napoletano.
Fonti e Bibl.: Necr., P. Romanelli, P. M., in Bull. del Museo dell'impero romano, IX (1938), pp. 175 s.; I. Bovio Marconi, P. M., in Arch. stor. per la Sicilia, IV-V (1938-39), pp. 574-577; B. Pace, P. M., Napoli 1939; R. Bianchi Bandinelli, Due noterelle in margine a problemi della pittura antica, in La Critica d'arte, 1940, nn. 25-26, pp. 80-83; F. Zevi, L'archeologia italiana in Albania, in L'archeologia italiana nel Mediterraneo fino alla seconda guerra mondiale, a cura di V. La Rosa, Catania 1986, pp. 167-187; V. La Rosa, "Archaiologhia" e storiografia: quale Sicilia?, in Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni dall'Unità a oggi, La Sicilia, a cura di M. Aymard - G. Giarrizzo, Torino 1987, pp. 723, 731; S. Settis, Idea dell'arte greca d'Occidente fra Otto e Novecento: Germania e Italia, in Storia della Calabria antica, II, Età italica e romana, a cura di S. Settis, Roma-Reggio Calabria 1994, pp. 855-902 (in partic. alle pp. 877-880); All'ombra dell'Acropoli: generazioni di archeologi fra Grecia e Italia, a cura di V. La Rosa, Atene 1995, p. 105; M. Barbanera, L'archeologia degli Italiani: storia, metodi e orientamenti dell'archeologia classica in Italia, Roma 1998, pp. 135 s.; A. Naso, I Piceni. Storia e archeologia delle Marche in epoca preromana, Milano 2000, pp. 99, 151.