VISCONTI, Pirro
– Nacque dal matrimonio del consignore di Brignano Alfonso (morto nel 1690) con Fulvia Arnolfi, la quale, erede delle fortune di Borgoratto, era figlia del senatore di Alessandria Francesco. Non è nota la data di nascita, ma fu primogenito di tredici fratelli, tra cui otto femmine, tutte monache.
La famiglia discendeva da Sagramoro Visconti, nell’epoca di Ludovico il Moro schierata con i Francesi di Luigi XII tanto da subire la vendetta di Francesco II Sforza. In seguito, dopo la devoluzione di Milano a Carlo V, i Visconti di Brignano dovettero attendere a lungo prima di ottenere considerazione da parte del governo spagnolo ed entrare nei ranghi dell’amministrazione o dell’esercito. Il vero tratto distintivo della famiglia fu però, tra XIV e XVII secolo, una peculiare scelta di trasmissione del patrimonio, la consignoria, che consentiva di condividere parte delle fortune familiari anche tra più linee di discendenza, imponendo una collaborazione intergenerazionale e interfamiliare, nonché un controllo reciproco sulle modalità di gestione del patrimonio che rendeva più difficoltosa l’ascesa dei singoli.
A realizzare un vero salto di qualità fu il padre di Visconti, Alfonso, che riuscì a rioccupare il seggio nel Consiglio decurionale cittadino (Arese Lucini, 1970, p. 104) e poté partecipare nel 1649 alle celebrazioni per il passaggio a Milano di Marianna d’Austria. L’alleanza matrimoniale con gli Arnolfi, una famiglia di rango senatoriale che si sarebbe presto estinta, fu un tassello importante della sua strategia di ascesa: Fulvia, in assenza di figli maschi, portò in dote il feudo di Borgoratto (oggi Borgoratto Alessandrino). A ciò si accompagnò la costruzione di una rete di conoscenze e clientele da tempo preclusa ai Visconti di questo ramo.
Nel 1652 Visconti, ancora bambino, ricevette in proprietà il feudo di Borgoratto, sul quale quattro anni più tardi il padre ottenne il titolo marchionale, che in seguito spettò anche a suo fratello Annibale, figura centrale dell’esercito spagnolo e poi di quello imperiale. Nel 1674 il padre gli lasciò il posto nel Consiglio decurionale e nel 1678 Visconti entrò pure nel Collegio dei giureconsulti. Probabilmente all’inizio degli anni Ottanta sposò la nobildonna romana Porzia Cenci, già vedova di Crescenzo Crescenzi, ricalcando così le orme paterne nella scelta di estendere la sfera delle proprie influenze attraverso il matrimonio. Tra 1683 e 1692 nacquero i sei figli della coppia: Fulvia (nata nel 1683), Giulia (1684-1716), Alfonso (1686-1710), Gaetano (1687-1710), Virginio (nata nel 1689), Giulia Cristina (1692- post 1734).
Nel 1686 Visconti fu nominato luogotenente regio, carica che preludeva a quella di vicario di Provvisione (1687 e poi ancora nel 1700), un incarico importante, per il quale era necessario il placet del governatore con cui il vicario doveva continuamente interagire. Ebbe certamente contatti con Giovanni Tommaso Enríquez de Cabrera e Toledo, conte di Melgar, governatore di Milano tra il 1678 e il 1686, e il duca Francesco Moles gran cancelliere tra il 1682 e il 1686, personaggi centrali della politica della corte di Madrid e del partito filoasburgico alla fine del XVII secolo. Nel 1693 Visconti provò a ottenere un incarico nelle magistrature giudiziarie: approfittando della grave situazione finanziaria in cui si trovava lo Stato di Milano, offrì un donativo di 16.000 pesos e chiese l’assegnazione della «futura successione» nel posto di capitano di Giustizia con la clausola che l’eventuale rimozione fosse subordinata al conferimento di un posto nel Senato (Madrid, Archivo histórico nacional, Estado, leg. 1940, consulta del 1° aprile 1693).
La carica, biennale, gestiva la giustizia criminale nella capitale e nel suo hinterland entro un raggio di 10 miglia con una competenza su tutto lo Stato per reati che prevedevano la pena capitale; gestiva inoltre l’ordine pubblico e le cause civili in cui erano coinvolti funzionari pubblici; infine dava esecuzione alle sentenze del Senato.
Nel 1693 la richiesta di Visconti, appoggiata dall’allora governatore Diego Dávila Mesía y Guzmán, marchese di Leganés, fu rifiutata dal Consejo de Italia in quanto, sebbene egli fosse considerato soggetto dotato di «letras, virtudes y servicios», la sua richiesta di trasformare una carica biennale in vitalizia fu considerata inammissibile. Si trattava probabilmente di un pretesto dato che già dalla metà degli anni Sessanta la carica era stata confermata per più volte agli stessi soggetti, tanto che dal 1687 ininterrottamente fu nelle mani del conte Carlo Visconti di Melegnanello. Così, solo quando nel 1695 quest’ultimo passò come soprannumerario al Senato, Visconti riuscì a entrare nell’ufficio. Fu capitano di Giustizia per un solo biennio, ma probabilmente ciò gli permise di mettersi in luce ed essere prescelto nel 1698 come rappresentante del Collegio dei giureconsulti ai festeggiamenti per l’arrivo del nuovo governatore Carlo Enrico di Lorena, principe di Vaudémont.
Quest’ultimo, che certamente approvò la nomina di Visconti a luogotenente regio nel 1699 e a vicario di Provvisione nel 1700 (Arese Lucini, 1957, p. 113), dopo la morte di Carlo II segnalò i fratelli Pirro e Annibale Visconti come fautori della successione asburgica sul trono di Madrid (Madrid, Archivo histórico nacional, Estado, leg. 1738, minuta di consulta del 25 maggio 1701). Tra 1701 e 1702 la vita di Visconti fu funestata dalla malattia della moglie Porzia, che morì il 3 febbraio dopo una un’infermità di sei mesi (Milano, Archivio della Parrocchia di S. Fedele, Registro della Parrocchia di S. Giovanni alle quattro Facce, Registro dei Battesimi, Matrimoni, Morti 1597-1757 circa, 3 febbraio 1702, atto di morte di Porzia Cenci Visconti).
Nel 1702 partecipò ai festeggiamenti e alle cerimonie di accoglienza di Filippo V, che fu a Milano tra la primavera e l’estate (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss.. O.29 inf.): non è chiaro cosa abbia dunque innescato, dopo la partenza del re, l’editto di confisca dei beni contro i marchesi di Brignano-Borgoratto emesso dal principe di Vaudémont. Sappiamo che Visconti fuggì da Milano e si rifugiò prima in Svizzera poi a Vienna, dove ottenne il titolo di ciambellano di corte grazie ai contatti del fratello Annibale con il principe Eugenio di Savoia e il generale imperiale Carlo Francesco di Commercy (Vienna, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, f. 209, 5 gennaio 1707). Dopo la presa di Barcellona da parte dell’arciduca Carlo d’Asburgo, nominato Carlo III di Spagna, nel 1706 Visconti cercò di mettersi in contatto con la sua corte per mettere in luce la propria vicenda (f. 210, lettera da Vienna, 19 giugno 1706).
Quando il 26 settembre 1706 l’esercito imperiale giunse a Milano al comando del principe Eugenio di Savoia, nominato subito nuovo governatore, Visconti era già ritornato in città e fu tra coloro che ebbero l’incarico di accoglierlo e inoltrò al re Carlo III di Spagna la richiesta di ottenere il grado di gran cancelliere, ruolo centrale nello Stato di Milano, solitamente affidato a un eminente giurista che coadiuvava il governatore, insieme col Consiglio segreto, nella prassi di governo. Fu però grazie all’intervento di Johann Wenzel, conte di Wratislaw se a giugno del 1707 ottenne l’incarico (Vienna, Haus-Hof- und, Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, f. 209, 3 aprile 1707; Archivio di Stato di Milano, Uffici Regi, p.a., cart. 148, Giunte dal 1700 al 1710): segno di difficoltà con la corte di Carlo III e il suo entourage barcellonese. Nel 1707 resse anche ad interim la presidenza del Magistrato straordinario, stante l’assenza per malattia di Juan Pinacho (Arese Lucini, 1970, p. 265).
Nei primi anni del governo imperiale asburgico Visconti ebbe un ruolo rilevante nella questione dei cosiddetti ‘smembramenti’, ovvero quella procedura secondo la quale, in seguito agli accordi del 1703 tra l’imperatore e il duca Vittorio Amedeo II di Savoia, a quest’ultimo in cambio del suo appoggio nel conflitto sarebbero state cedute Alessandria, Valenza con tutte le terre tra il Po e il Tanaro, la Lomellina e la Val Sesia. Il duca di Savoia pretendeva però di ottenere anche Vigevanasco e Cinque Terre. Il ruolo di Visconti fu delicato anche perché Borgoratto e alcune proprietà familiari erano situate proprio nell’Alessandrino: egli scrisse all’imperatore Giuseppe I sottolineando le preoccupazioni della nobiltà milanese con proprietà in quella zona e suggerì di predisporre dei risarcimenti (Annoni, 1959, p. 44 nota 1). Ma, oltre a tale questione, a fare del gran cancelliere un personaggio centrale nella storia di questo periodo fu il fatto che il principe Eugenio, costretto ad abbandonare lo Stato per ragioni legate alla guerra, istituì due giunte di governo la cui sovrintendenza fu affidata al gran cancelliere (Archivio di Stato di Milano, Uffici Regi, p.a., cart. 148, Giunte dal 1700 al 1710). Ebbe così inizio il periodo in cui Milano fu preda del Bruderzwist e del conflitto tra le due corti di Vienna e Barcellona.
Visconti nel 1708 fu gratificato del titolo di consigliere intimo (Wien, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, ff. 205 e 209); ciononostante a Milano e a Torino vi furono tentativi di screditarlo nella sua funzione di mediatore nell’affare degli smembramenti (f. 209, 17 aprile 1709) e in merito alla sua azione di governo (Archivio di Stato di Torino, Lettere Ministri, Milano, mz. 43, 7 febbraio 1708): il fatto che fosse tornato a Milano dall’esilio e avesse assunto centralità politica oltre al ruolo diplomatico aveva suscitato invidie che ben presto si tradussero nell’accusa di aver favorito gli assentisti contro gli interessi dello Stato, di aver cercato di far promuovere propri criados o di aver gestito male i festeggiamenti per l’arrivo a Milano di Elisabetta Cristina di Brunswick che nel 1708 passò da Milano diretta a Barcellona per sposare re Carlo III di Spagna. Dietro a tali accuse vi erano certamente le strategie di diversi personaggi: il conte Cristierno Stampa, il conte Giulio Visconti Borromeo, il marchese Gerolamo Capece di Rofrano, ma soprattutto il conte Carlo Borromeo Arese, il quale era stato uno dei più convinti sostenitori della successione imperiale asburgica ma non aveva ancora ottenuto nulla dalla nuova amministrazione. Sempre nel 1708 sembra che Pirro avesse intavolato trattative matrimoniali, poi naufragate, con Eleonora Salviati, vedova del marchese di Caravaggio Francesco Maria Sforza Visconti (Archivio di Stato di Torino, Lettere Ministri, Milano, mz. 43, 17 gennaio 1708).
Dopo i progressi delle armi imperiali della primavera del 1708, culminati il 7 luglio con la conquista di Napoli, Visconti prese parte a una serie di incontri con il cardinale Vincenzo Grimani, nuovo viceré di Napoli e con il plenipotenziario imperiale Ercole Turinetti marchese di Prié. L’Impero voleva difendere innanzitutto il diritto di alloggiare le truppe e richiedere le contribuzioni nelle valli di Comacchio occupate il 24 maggio e nel territorio di Parma e Piacenza, definito all’inizio di giugno «feudo imperiale» (Vienna, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, f. 205, 1° giugno 1708). Visconti si trovava allineato con questa posizione e pertanto non fu in grado di svolgere una concreta mediazione per conto della corte di Barcellona a proposito del riconoscimento da parte del papa di Carlo III come re di Spagna e sovrano del Regno di Napoli, feudo ecclesiastico. Tale rigidità e l’ossequio alle direttive imperiali gli procurarono grande considerazione a Vienna, ma lo misero in cattiva luce a Barcellona e ciò suscitò una diffidenza reciproca che causò al governo di Milano non pochi problemi. Visconti appariva profondamente intriso dello spirito della rinascita imperiale presente in quegli anni alla corte di Vienna; anche se non ostacolava apertamente le aspirazioni dell’arciduca Carlo, non concepiva che questi avesse aspirazioni autonome rispetto a quelle dell’Impero. Dai carteggi con Wratislaw emerge sempre più l’isolamento di Visconti nella corte di Barcellona e nell’entourage di Carlo III (Vienna, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, f. 209).
La sua lealtà verso il principe Eugenio fu evidente quando nel 1708 la fazione guidata a Vienna dall’imperatrice Amalia e dal principe di Salm contrari al Savoia riuscì a imporre la nomina di Rinaldo d’Este duca di Modena quale nuovo governatore di Milano: Visconti era convinto che affidare il governo di Milano a un parente dell’imperatore avrebbe complicato i rapporti con gli altri potentati italiani. Nonostante la protezione del principe Eugenio, non riuscì a evitare conflitti con le magistrature e in particolare con il Consiglio segreto che pretendeva fosse proprio diritto gestire il governo data l’assenza del governatore, e con il Senato che reclamava totale indipendenza dal governo nell’amministrazione della giustizia. Dietro a entrambi vi era il contrasto tra gli orientamenti e gli indirizzi politici della corte di Vienna rispetto a quella di Barcellona, ma anche l’azione di alcuni soggetti che agivano a Milano: il presidente del Senato Luca Pertusati, il senatore Giuseppe Bolaños o il reggente Luigi Trotti che accusavano Visconti di aver ecceduto nel gestire le proprie competenze ed emesso decreti contrari alle Novae Constitutiones. Egli fu costretto a inviare a Vienna un memoriale per discolparsi (Vienna, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Italien Spanischer Rat, Lombardei Collectanea, f. 17a): ancora una volta fu solo grazie all’intervento del principe Eugenio se Visconti riuscì a evitare il procedimento giudiziario.
Nel 1710 – anno cruciale per lui che fu a Londra mentre due dei suoi figli, Alfonso e Gaetano morirono (Gaetano di vaiolo) – il principe Eugenio tornò per breve tempo a Milano per dare maggior sostegno alla Giunta interinale e al gran cancelliere. Nel 1711 morì Giuseppe I e ancora una volta Visconti si trovò costretto ad adattarsi al nuovo corso e a mostrarsi disponibile a lavorare per il nuovo imperatore, Carlo VI, sotto cui, fingendo che tutto rimanesse uguale, si cominciò, a Vienna come a Milano, ad apportare modifiche al sistema. Nel 1713 fu avviata l’attività del Supremo Consejo de España per governare i territori italiani.
Grandi cambiamenti intervennero però nel 1716 quando Eugenio di Savoia (nominato governatore delle Fiandre) fu sostituito dal principe Massimiliano Carlo Alberto di Löwenstein che giunse a Milano il 22 dicembre. Visconti (che visse il distacco dal principe Eugenio come un vero e proprio lutto, Vienna, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, f. 208, 8 luglio 1716) a partire già dal 4 luglio guidò una Giunta interinale che si riunì tre volte alla settimana nel palazzo Regio-Ducale e continuò a operare nello stesso modo in cui si erano mosse le due precedenti giunte presiedute da Visconti. La decisione della Giunta di conferire a settembre due nuove piazze decurionali, la prima a Giovan Battista Trotti e l’altra al giureconsulto Tommaso Nava (Arese Lucini, 1957, p. 83), fu però sconfessata dal Supremo Consejo de España operante a Vienna (Vienna, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, f. 208, 16 settembre 1716): era il segno che l’autonomia di cui le élites locali avevano da sempre goduto sarebbe stata ridimensionata. E d’altra parte anche il nuovo governatore – disinteressato a tutte le questioni cerimoniali e certamente appartenente alla fazione filomonarchica o filospagnola contraria a quella guidata dal principe Eugenio (Cremonini, 2012, pp. 75-86) – tese a limitare il potere del gran cancelliere e a rafforzare la Segreteria di guerra a danno della Cancelleria segreta guidata dal Visconti (Vienna, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, f. 207 b, lettera di Visconti a Rialp 22 luglio 1716; anche Lombardei Collectanea, f. 19, Serie istorica delle massime di chi prevaleva nel passato governo). Il 29 luglio 1716 Visconti ottenne il titolo di grande di Spagna trasmissibile ai nipoti: fu probabilmente l’ultimo degli onori e delle gioie che la vita gli riservò. Tra il 1716 e il 1718 gli morirono due figlie: Teresa, sposata con don Diego Ordoño de Rosales, e Fulvia, sposata con Fulvio Dati della Somaglia.
Il 7 settembre 1718 ebbero inizio le attività della Giunta per il censimento dei beni e la misurazione e valutazione delle terre componenti lo Stato di Milano: le sue operazioni portarono alla luce molte irregolarità nell’amministrazione dei tributi diretti, per cui sembra che anche Visconti sia stato tra coloro che si presentarono alla Giunta per chiarire la loro posizione in merito (Capra, 1984, p. 208).
Il 26 dicembre 1718 improvvisamente morì anche il principe di Löwenstein: Visconti fu chiamato insieme a molti altri a far parte del Consiglio segreto per reggere l’interim in attesa dell’arrivo del nuovo governatore, conte Girolamo Colloredo, che entrò a Milano il 4 marzo 1719. Inizialmente fiducioso di trovare in lui una nuova sponda (Vienna, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, f. 207b, Visconti all’arcivescovo di Valenza, 1° aprile 1719), egli avvertì molto presto il peso di una progressiva marginalizzazione dalla politica che risultò evidente negli anni del governatorato di Colloredo, anche se Visconti non smise di inviare a corte considerazioni e memoriali per riottenere il ruolo centrale di cui aveva goduto in passato. Non ultimo tra i problemi intervenne nel 1718 quello del soldo che non gli fu più corrisposto a causa delle strettezze finanziarie in cui versava lo Stato e a nulla valsero le sue numerose lettere e i memoriali inviati a Vienna (f. 207b, 8 marzo 1721): dalla corrispondenza con gli ambienti di corte e soprattutto con il principe Eugenio emerge la sua amarezza per l’isolamento di cui soffriva da parte dei reggenti Bolaños e Carlo Pertusati (f. 207b), o la scarsa considerazione da parte del marchese di Rialp o dell’arcivescovo di Valenza, tanto da avvertire fin dal 1719 l’intenzione di metterlo nelle condizioni di dimettersi. Ciononostante, pur senza mansioni e senza stipendio, continuò fino alla fine dei suoi giorni a ricoprire il ruolo di gran cancelliere.
Morì il 7 giugno 1725.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio della Parrocchia di S. Fedele, Registro della Parrocchia di S. Giovanni alle quattro Facce, Registro dei Battesimi, Matrimoni, Morti 1597-1757 circa; Vienna, Haus-Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, ff. 205, 207b, 208-210; Lombardei Collectanea, f. 17°, c. 19; Madrid, Archivo histórico nacional, Estado, legg. 1940, 1738; Archivio di Stato di Torino, Lettere Ministri, Milano, mz. 43; Archivio di Stato di Milano, Uffici Regi, p.a., cart. 66, 148; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., O.29 inf.: Ragguaglio de 20 luglio 1702 toccante la venuta del nostro Cattolico Monarca Filippo Quinto ed il corrente stato di guerra in Italia diretto da un humilissimo, riverentissimo e lealissimo suddito alla Serenissima Altezza del glorioso, invitto e generoso Ferdinando Carlo duca di Mantova e Monferrato; ibid.: Ragguaglio de 20 luglio 1702 per la venuta di Filippo V ed il corrente stato di Guerra in Italia diretto al duca di Mantova e Monferrato Ferdinando Carlo; ibid., G.111-124: Diario Storico-Politico di alcuni avvenimenti nel secolo XVIII Dell’Abate D.re Diego Ant. Minola Milanese Tomo I. dal 1701. al 1729 inclusivo, I, p. 95, in data 24 settembre 1706; Fondo Cusani, Q.41 inf.: C. Celidonio, Diario storico del 1716, 1717, 1718 Del governo di Sua Altezza il Signor Principe di Lewenstein di don Carlo Celidonio ceremoniere di corte, ora in C. Cremonini, Alla corte del governatore. Feste, riti e cerimonie a Milano tra XVI e XVIII secolo, Roma 2012, pp. 101-161 (in partic. pp. 105, 107 s., 133).
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