PISCICOLTURA
. È l'arte di allevare il pesce, sia in peschiere artificiali, sia seminandolo in bacini naturali per introdurvi nuove specie o aumentare la produzione di quelle esistenti.
Nei bacini di piccola capacità occorre anche provvedere all'alimentazione artificiale del pesce allevato.
È arte antichissima (v. sotto), ma tecnicamente si è sviluppata nel sec. XVIII con le pratiche della fecondazione artificiale, che pare sia stata eseguita per la prima volta dallo Jacobi, ufficiale dell'esercito prussiano (1763), benché taluno la faccia risalire al Medioevo, a dom Pinchon, monaco dell'abbazia di Réome.
Due sono i gruppi di pesci sui quali principalmente si esercita la piscicoltura, i Salmonidi (salmonicoltura) e i Ciprinidi (ciprinicoltura). Nei Salmonidi è conveniente la pratica della fecondazione e dell'incubazione artificiale, laddove di solito per i Ciprinidi si ricorre, con migliore esito a fregolatoi naturali, i bacini di frega, per la riproduzione degli adulti e lo sviluppo delle giovani larve.
La piscicoltura dei Salmonidi si effettua mediante la fecondazione artificiale durante il periodo invernale, in cui maturano le cellule germinali, ponendo poi le uova fecondate a sviluppare in speciali apparecchi (cassette californiche), alimentati da acqua corrente (v. trota). In essi si lascia sviluppare l'avannotto fino a riassorbimento completo del sacco vitellino, dopo di che esso è atto a essere seminato nelle acque pubbliche per incrementare la pesca.
Anche il trasporto degli avannotti si esegue con particolari cautele mediante speciali bidoni con ghiaccio, in modo d'avere sempre l'acqua a bassa temperatura e aereata. A ciò provvedono le scosse che il recipiente riceve durante il trasporto, mentre nelle soste vi è maggiore pericolo e occorre seguire altri accorgimenti (ricambio dell'acqua, ecc.).
Le trote che vengono assoggettate a tali operazioni sono la trota di lago, la trota di fiume e la trota arcobaleno, d'origine esotica.
Si devono ancora annoverare il carpione, simile alla trota di lago, ma a duplice periodo riproduttivo (invernale ed estivo), il salmerino dei laghi alpini e il temolo, che si riproduce nelle acque dei fiumi a bassa temperatura.
Oltre che il gruppo delle trote, ai Salmonidi si devono riferire i coregoni, d'origine svizzera, con le loro specie bianca e azzurra. Questi, a differenza delle trote, hanno uova piccole e agglutinanti, per cui invece che nelle cassette californiche si allevano in speciali recipienti, nei quali è predisposta una rapida circolazione dell'acqua, che tiene le uova in movimento, impedendone l'agglutinazione.
Si chiamano stabilimenti ittiogenici gli speciali locali in cui si provvede alla fecondazione e allo sviluppo delle uova dei pesci e alla loro incubazione. Sotto questo nome sono state designate in Italia le antiche RR. Stazioni di Piscicoltura di Roma (istituita con r. decreto 4 agosto 1895) e di Brescia (istituita con r. decr. 7 agosto 1887), che provvedevano alla distribuzione del novellame di pesci per il ripopolamento delle acque interne (laghi, fiumi, torrenti). Con la trasformazione delle RR. Stazioni di Piscicoltura in RR. Stabilimenti ittiogenici (legge 24 marzo 1921, n. 312), scopo di tali enti non è più solo l'acquisto di materiale ittico da distribuire, ma la diretta produzione del medesimo, mediante operazioni di fecondazione artificiale o la raccolta del novellame (cieche di anguille, cefaletti, carpeite di un'estate, ecc.), che si fa di solito alla foce dei fiumi, nelle acque litoranee e nelle risaie, per arricchire poi le acque interne. Oltre che della produzione e della semina del materiale, gli stabilimenti ittiogenici si occupano della migliore utilizzazione delle acque in genere, della disciplina della pesca, delle norme tecniche da osservarsi negl'inquinamenti industriali, delle concessioni a scopo di piscicoltura, della consulenza, ecc.
Il R. Stabilimento ittiogenico di Roma è situato lungo la via della stazione di Roma-Tiburtina, su area demaniale della superficie di circa mq. 5000 (dei quali circa mq. 710 occupati dagli uffici e dal padiglione dell'incubatorio). Per una portata perenne di 40 litri al minuto secondo, l'acqua viene sollevata dal sottosuolo e dalla profondità di m. 51; acqua potabile, bene adatta per la stabulazione delle anguille e dei muggini e per l'alimentazione dei bacini esterni; a questa si aggiungono 8 once di Acqua Pia, specialmente occorrente per l'incubazione e l'allevamento dei Salmonidi. Gli apparati d'incubazione esistenti consentono l'allevamento, durante i primi stadî di sviluppo, di 1.500.000 uova di trota di fiume; 1.000.000 di uova di trota; 2.000.000 di uova di coregono; 2.000.000 di uova di barbo; 2.000.000 di uova di carpe; 2.000.000 di uova di tinche e 2.000.000 di uova di cheppie. Sono in funzione 202 apparati di tipo californico, per incubazione di uova di Salmonidi, 50 Weiss e 20 tipo von Chase modificato, per uova di coregono e di Ciprinidi, n. 40 truogoli per selezione di novellame vario (circa altrettanto materiale si trova nelle succursali). Esistono 8 vasche in cemento della lunghezza media di m. 6,30, per m. da 2 a 4 di larghezza, con una profondità media di un metro e mezzo, e altre quattro della lunghezza di circa m. 20, per una larghezza di m. 2,40 e una profondità di m. 1,20. Nell'area scoperta vi è anche un laghetto a fondo artificiale, di forma irregolare, avente il massimo diametro di m. 25 e il minore di m. 14. Un bacino di svernamento di forma triangolare, della superficie di 25 mq. circa, riceve l'acqua di scarico del laghetto. A valle di questo vi sono due stagni a perimetro rettangolare della lunghezza di m. 48 circa ciascuno, per una larghezza di circa m. 2, adoperati per la riproduzione naturale di Ciprinidi. Esistono anche due piccoli bacini per allevamento di dafnie. Lo stabilimento è dotato inoltre d'un essiccatoio per fabbricazione di farina di pesci d'acqua dolce.
Il R. Stabilimento ittiogenico di Brescia è a Porta Venezia nella fossa dei vecchi bastioni di San Marco, nei pressi della stazione tramvie di Mantova, e occupa un'area di circa mq. 12.000. L'incubatorio contiene 20 truogoli Zenk in cemento, appaiati; 4 vasche di stabulazione per anguilline, che all'occorrenza possono essere trasformate in banchi da incubazione. Nella stessa sala possono essere ancora collocati altri truogoli Zenk, cosicché la potenzialità dell'incubatorio può essere anche di 1.250.000 di uova di trote, usufruendo anche d'un altro lungo canale d'incubazione e d'allevamento che è esterno, accanto all'incubatorio stesso, e protetto da una speciale tettoia. Fra l'incubatorio e questo canale di allevamento si trovano 4 grandi vasche in cemento che servono per la stabulazione delle trote riproduttrici o anche di altro materiale ittico. I bacini di allevamento per Salmonidi e Ciprinidi sono in numero di 7 di diversa ampiezza e forma, e aventi una superficie acquea di circa mq. 2300. L'acqua per il servizio dello stabilimento proviene dalla sorgente di Rebuffone, la quale può dare anche 15 litri al secondo. Siccome questa sorgente dipende in forte misura dalle vicissitudini delle precipitazioni, si è integrata e aumentata la sua portata sollevando l'acqua dal sottosuolo mediante due elettropompe, della portata ciascuna di 10 litri al secondo.
Il funzionamento dell'istituto è integrato dalla succursale di Peschiera, sia per la raccolta di riproduttori, sia per l'incubazione di uova di Salmonidi e Ciprinidi. La potenzialità della succursale di Peschiera permette la contemporanea incubazione di 3 milioni di uova di trota e 8 milioni di uova di coregoni. Durante l'estate possono essere incubati milioni di uova di barbo, di cavedano, di pigo, ecc.
I Ciprinidi, che, a differenza dei Salmoni, si riproducono nelle acque meno fredde o stagnanti (pesci a frega estiva), si coltivano in speciali stagni, alcuni dei quali servono come fregolatoi (stagni di frega), altri per lo sviluppo, l'estivazione e l'ibernazione (stagni di svernamento), e si lasciano pascolare negli stagni (stagnicoltura) o nelle risaie (v. carpa), dando luogo alla cosiddetta piscicoltura agricola.
Anche la coltura delle trote, dopo lo sviluppo dell'avannotto, si fa con vasche speciali (v. trota), in cui le trote si dividono per età, al fine di evitare che si mangino tra di loro, e per fornire ai pesci ambienti più adatti al loro accrescimento, che richiede sempre maggiori quantità di acqua ossigenata.
La piscicoltura di altre specie particolari, come il pesce persico, che non conviene fecondare artificialmente, si fa con il trasporto dei nastri ovarici, delle uova fecondate, come in Italia si pratica presso i RR. Stabilimenti ittiogenici.
Tra le pratiche della piscicoltura si deve ricordare la semina di anguilline e cefaletti provenienti dal mare, che si pescano negli estuarî, nelle acque limitrofe tra le dolci e salate (stagni e acquitrini). Quando la semina di anguilline, cefaletti, oradelle, piccole spigole avviene negli stagni salmastri, si ha quella forma di piscicoltura che si dice più propriamente "vallicoltura" (v.).
Classica è la pesca delle anguilline (cieche) nel litorale di Pisa e di Viareggio. Quando essa è rivolta alla piscicoltura, allora le anguilline si portano in vasche di smistamento prima di spedirle. La spedizione delle anguilline, che grazie alla mucosità del loro corpo possono sopravvivere per molte ore, si fa in ceste con erbe umide, avendo però accortezza di non farle sostare né in luoghi troppo freddi, né in luoghi troppo caldi e soleggiati, in modo da conservare il necessario grado di umidità.
Anche per il trasporto dei cefaletti si richiedono particolari accorgimenti, che ne garantiscono, nei recipienti (mastelle) pieni d'acqua, un'adatta ossigenazione. Si ricorre talvolta anche all'ausilio di bombole d'ossigeno, specie per i trasporti a lunghe distanze.
L'industria del pesce novello è molto importante per gli stagni salmastri, perché in essi né i cefaletti, né le spigole, né le orate si riproducono e neppure le anguille che calano al mare al tempo della riproduzione. Quindi la necessità di accrescere il reddito delle peschiere, aggiungendo alla montata naturale dei pesciolini risalemi dal mare le semine artificiali.
Finalmente uno speciale ramo di piscicoltura è quello che tratta dei pesci ornamentali (es., pesci rossi della Cina, diverse specie di pesci tropicali di piccole dimensioni, ma di vivaci colori). Essa richiede particolari regole sia per la nutrizione dei pesciolini che facilmente si ammalano, sia per la regolazione termica degli acquarî, i pesci tropicali non sopportando sbalzi di temperatura e il raffreddamento delle acque (v. carassio).
Piscicoltura antimalarica è poi quella che provvede alla disseminazione dei pesci antimalarici (es.: Gambusie), divoratori delle larve di anofele: essa si può considerare come un'integrazione della piscicoltura agricola.
La piscicoltura nell'antichità. - I Romani facevano molto uso dei pesci nei loro pasti e desideravano averne di grandi e di belli da far figurare nei banchetti, non badandosi, da parte dei ricchi, a spese pur di avere magnifici campioni. Tra i pesci tenuti in grande pregio va citata la murena (muraena), specie d'anguilla di mare, le cui qualità più squisite si pescavano nei mari di Sicilia. Uno dei pesci più desiderati era la triglia (mullus), ed era anche uno dei più cari, aumentando il prezzo con l'aumentare del peso. Sappiamo che un mullus di 4 libbre si pagava mille sesterzî, uno di sei libbre 6000 sesterzî e così via in misura sempre crescente. Squisito erano ritenuti il rombo (rhombus), la cui migliore qualità si pescava nell'alto Adriatico, la orata (aurata) e la spigola (lupus). Pesci più scadenti e venduti a buon prezzo, accessibili quindi alla borsa dei meno abbienti, erano la lucerta di mare (lacertus), le piccole triglie (mulli), e in genere il pesce minuto, compreso quello in conserva o salato, proveniente dalle coste del Ponto, della Sardegna e della Spagna, che formava un importante ramo di commercio. Svariati erano poi i composti e le salse fatte con pesci e con uova di pesci (garum, muria, alec, ecc.) di cui era ricca la cucina romana. Tra i crostacei erano molto ricercati il murice (murex), il riccio di mare (echinus), e soprattutto le ostriche (ostrea), che Plinio il Vecchio mette primo fra tutti i piatti della mensa dei ricchi.
Per non restare mai sprovvisti di pesci e di crostacei, data anche la difficoltà d'un rapido trasporto, e per curarne l'ingrasso e renderli più appariscenti e squisiti, si preparavano, in genere presso le ville sul mare e nelle aziende rurali, dei bacini (piscinae, vivaria piscium, ἰχϑυτροϕεῖα), che si riempivano di acqua marina o dolce, a seconda del genere di pesci che vi si dovevano conservare (piscinae salsae, o dulces), alimentati a mezzo di canali in comunicazione o con il mare o con qualche acquedotto. Le imboccature, specie quelle di scarico, venivano chiuse con inferriate per impedire ai pesci di uscire dal chiuso. Questi vivai furono oggetto per i Romani delle maggiori cure, sia nelle loro ville, sia nelle case. Oltre che per nutrirvi i pesci questi vivai servivano anche a procurare il piacere della pesca.
Numerosissimi erano gli stagni per l'allevamento dei pesci in Egitto, sulle rive del Nilo, e anche in Grecia, in Beozia, in Tracia sul lago Copaide, in Sicilia, e lungo le coste d'Italia, nel Tirreno e nell'Adriatico e anche nella Gallia Narbonese e sulle coste dell'Africa. Nel Lazio, uno dei più grandi allevatori di pesci fu Licinio Murena, il cui cognomen fu appunto preso dal suo pesce preferito. Così Sergio Orata, cui si attribuiva la costruzione dei primi vivai di ostriche, gran buongustaio, avrebbe avuto il suo cognome dalla sua passione per l'orata. Lucullo, per poter sempre alimentare di nuova e fresca acqua le sue immense piscine di Baia, fece, con ingente lavoro e spesa, traforare un'altura presso il mare e per quel canale affluì gran copia d'acqua marina. A Bauli, presso Baia, si trovavano le piscine dell'oratore Ortensio. Secondo Plinio il Vecchio, Vedio Pollione, amico di Augusto, avrebbe perfino gettato nella piscina delle lamprede gli schiavi colpevoli, condannati a morte, per darli in pasto a quei pesci e ingrassarli e Antonia, moglie di Druso, giunse ad appendere anelli d'oro alle branchie delle murene favorite.
Da tutto ciò si desume quanto f0sse a cuore ai Romani l'allevamento e l'addomesticamento dei pesci, che formavano uno dei passatempi più costosi dell'alta società. Della cura con cui si eseguiva la costruzione dei vivai artificiali, nei quali si mantenevano e nutrivano pesci d'acqua salata, possiamo formarci un'idea adeguata esaminando i resti di piscinae in litore constructae, che affiorano sulle acque in varî punti del litorale tirreno. Una di queste costruzioni, fra le più note, è dato vedere nella spiaggia fra Anzio e Nettuno, presso il Castello del Sangallo. Da quei resti si desume che la piscina era di forma quadrata, spartita da due muri in croce formanti quattro vasche quadrate, con nel mezzo di ciascuna un pilastro isolato. Una quinta vasca circolare s'inseriva nel lato del recinto rettangolare verso il mare. Ciascun lato aveva delle aperture per favorire il continuo rinnovarsi delle acque del mare nei vasconi; queste aperture erano protette da grate metalliche. Varrone paragona le suddivisioni delle peschiere alle cassette loculate che formavano la tavolozza dei pittori; ciascuno scomparto conteneva una qualità di pesci come le divisioni della tavolozza contenevano colori diversi. Tutte le parti della piscina erano all'interno rivestite di cocciopesto (opus signinum) per renderle impermeabili. Il fondo dei vari scomparti differiva a seconda della qualità dei pesci, se cioè posati sul fondo sabbioso (cubantes) o sassoso (saxatiles). I pilastri centrali dei varî reparti dovevano sostenere statuette e formare fontanine di acqua dolce, atte a stemperare l'eccesso della salsedine dell'acqua marina. I muri perimetrali delle piscine di maggior mole formavano delle deambulazioni, protette da plutei marmorei variamente decorati.
Non mancano esempî anche di vivai artificiali d'acqua dolce annessi alle ville rustiche. Ne fu scoperto uno in Roma, nell'anno 1924, durante la costruzione dell'Ospedale della Vittoria a Monteverde. Consisteva in un piccolo stagno rettangolare, con ricettacoli o cavità formate da dieci dolî fittili coricati, ove i pesci posavano e deponevano le uova. Alcuni canali vi conducevano l'acqua da uno speco vicino, altri la scaricavano, muniti di gratelle per non dare il passo ai pesci. Nel mezzo si ergeva una piccola costruzione circolare per apprestare ai pesci un banco artificiale di rocce, coperte di alghe e piante acquatiche. Questi vivai artificiali entro terra facevano parte di vaste aziende rurali esercitate da speculatori, per i quali costituivano una non indifferente fonte di lucro.
Bibl.: R. Del Rosso, Pesche e peschiere antiche e moderne nell'Etruria marittima, Firenze 1905; Loisel, Histoire des ménageries, I, Parigi 1912, p. 9 segg.; G. Mancini, in Notizie degli scavi, Roma 1924, p. 55 segg.; L. Jacono, Note di archeologia marittima, in Neapolis, I, fasc. 3° e 4°, p. 363; Notizie degli scavi, Roma 1924, p. 333 segg.; Stöckel, Fischereigewerbe, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. 4ª, col. 456 segg.