Pitagora e l'aritmo-geometria
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo sviluppo delle matematiche in senso teoretico porta il nome di Pitagora, come pure la convinzione che il numero sia l’essenza di tutta la realtà. In realtà, è difficile stabilire cosa sia da attribuirsi al suo insegnamento e cosa invece agli sviluppi successivi. Di sicuro appartiene al nucleo più antico della scuola l’interesse per il numero e le sue proprietà. In questa fase, aritmetica e geometria appaiono strettamente intrecciate tra di loro: solo la scoperta dell’irrazionale mette in crisi la loro unità e porta a distinguere lo studio del discreto numerico da quello del continuo spaziale.
Nella ricostruzione di Eudemo, Talete muove i primi passi in direzione della matematica pura, ma è Pitagora a trasformare le indagini geometriche in una disciplina liberale, investigando i principi dall’alto e studiando i teoremi in modo astratto e intellettuale. A lui si deve in particolare la scoperta degli irrazionali e delle figure cosmiche, cioè i cinque solidi regolari.
In realtà, è dubbio che Pitagora abbia davvero svolto il ruolo qui delineato, e questo non solo perché le scoperte menzionate sono a lui posteriori. Il fatto è che la sua stessa figura presenta più di un aspetto controverso: uomo politico e legislatore, taumaturgo e fondatore di una setta religiosa iniziatica, filosofo e matematico. Anche la sua scuola appare nelle fonti come un’associazione insieme politica, religiosa, scientifica. In particolare è attestata la distinzione fra “acusmatici”, e “matematici”: gli uni legati agli insegnamenti religiosi e iniziatici espressi in massime che risalgono al fondatore (akousmata); gli altri dediti allo studio delle discipline matematiche. Il carattere iniziatico della scuola e, insieme, la tendenza a ricondurre tutte le dottrine al fondatore, rendono difficile già per gli antichi distinguere ciò che propriamente risale a Pitagora da ciò che appartiene agli sviluppi successivi. Inoltre, la maggior parte delle notizie in nostro possesso risale a fonti tarde e questo ne compromette l’attendibilità.
Di particolare rilievo è invece quanto Aristotele scrive nella Metafisica a proposito dei “cosiddetti pitagorici ” (Metafisica, I, 5). Si tratta di una formula nient’affatto chiara, su cui molto si è discusso. Probabilmente con essa Aristotele intende riferirsi a quanti appartengono alla scuola, indipendentemente dal fatto che le loro dottrine siano state effettivamente sostenute dal maestro.
Chiunque siano i “cosiddetti pitagorici”, essi sono stati i primi, secondo Aristotele, a occuparsi di matematica, facendola progredire. Proprio in virtù dei loro studi, essi trovano nelle matematiche la chiave per comprendere la realtà intera: dal momento che in queste discipline i numeri sono i primi principi, i numeri sono anche i principi delle cose. Così una certa proprietà dei numeri è la giustizia, un’altra l’anima e l’intelletto, un’altra ancora il momento opportuno. Un secondo tipo di somiglianze riguarda i rapporti musicali, che sono riducibili a rapporti numerici. Infine, anche le parti del cielo e dell’universo intero mostrano concordanze con le proprietà dei numeri. Fra questi diversi gruppi di somiglianze menzionate da Aristotele è particolarmente significativo il primo.
Autori più tardi spiegano che la giustizia, che ha per caratteristica il contraccambio e l’uguaglianza, è il primo numero quadrato, in cui ciascuno dei fattori tratta l’altro nello stesso modo: secondo alcuni pitagorici si tratta del numero 4, primo quadrato del pari; secondo altri, del numero 3, primo quadrato del dispari. Il numero 7 è il momento giusto, poiché i fenomeni naturali seguono cicli settenari. L’anima e l’intelletto sono il numero 1, che è il numero dominante, il pari-impari che genera la serie dei numeri rendendo dispari il pari e pari il dispari. Il numero 2 rappresenta invece l’opinione, che è mutabile come l’una e l’altra unità della diade. Il numero 5 indica il matrimonio, come unione del primo numero pari con il primo dispari. Un valore tutto particolare riveste il numero 10, la mistica decade su cui i pitagorici giurano: è la tetrattide, la somma dei primi quattro numeri, rappresentata da un triangolo equilatero.
Dunque, la costituzione delle matematiche come forma di sapere puro si presenta in prima battuta come una sorta di mistica dei numeri. Si è parlato a questo proposito di “speculazioni selvagge”, speculazioni da respingere come pseudo-scienza rispetto alla scienza di Euclide. Tuttavia agli occhi degli antichi l’aritmologia non è semplice espressione di irrazionalità e di misticismo religioso, ma ha una sua dignità al pari dell’aritmetica: entrambe sono espressione del profondo legame che corre fra numero e realtà.
C’è un altro punto della testimonianza di Aristotele, che va ricordato. I numeri sono costituiti da elementi, che sono dunque anche principi della realtà: il pari e il dispari, identificati rispettivamente con l’illimitato e il limite. Alcuni pitagorici pongono come principi addirittura dieci coppie di contrari, organizzate secondo uno schema di cui è evidente il valore assiologico: limite/illimitato, dispari/pari, uno/molti, destro/sinistro, maschio/femmina, fermo/mosso, diritto/curvo, luce/tenebre, buono/cattivo, quadrato/oblungo.
La connessione del numero pari con l’illimitato e del dispari con il limitato, risulta difficile da capire già agli interpreti antichi. Probabilmente deve essere intesa in relazione al modo di rappresentare i numeri come un insieme di punti dotati di dimensione e circondati da uno spazio vuoto. Aristotele parla del punto pitagorico in termini di unità dotata di posizione, unità considerata nello spazio; il nostro termine “calcolo”, derivato dal latino calculum, “sassolino”, conserva ancora oggi memoria di tale rappresentazione. Da questo punto di vista, si può dire che i dispari sono limitati perché contengono un’unità che pone termine alla divisione per due, mentre non è così per i pari.
Ma si può pensare anche al modo di raffigurare i numeri attraverso lo gnomone, disponendo cioè le unità secondo un angolo retto. Se si applica all’unità uno gnomone formato da un numero dispari di punti, si ottiene un numero quadrato, se invece si applica uno gnomone formato da un numero pari, si ottiene un numero rettangolare.
I numeri quadrati sono simili e dunque vi è un limite nelle forme, mentre i numeri rettangolari hanno la caratteristica del diverso e sono illimitati nella forma.
Nel modo pitagorico di rappresentare i numeri, aritmetica e geometria vengono dunque a coincidere, tanto che si parla solitamente di “aritmo-geometria”. Lo studio dell’una o dell’altra si presenta come la stessa cosa: attraverso il numero dei punti è possibile conoscere le principali caratteristiche delle figure e, viceversa, dalla forma delle figure è possibile ricavare le proprietà dei numeri. In questa prospettiva si definiscono i numeri lineari, piani e solidi a seconda che siano costituiti da una serie di punti allineati, di figure piane, di figure solide: a loro volta, i numeri piani si distinguono in quadrati, rettangolari (o eteromechi, ossia oblunghi per la diversa lunghezza dei lati), triangolari, pentagonali…; i numeri solidi in cubici, piramidali...
Visualizzare i numeri attraverso le figure costituisce uno strumento di grande efficacia per studiare le proprietà dei numeri e comprenderne i rapporti, le proporzioni che legano gli uni agli altri. Ed è l’ambito in cui matura un fatto decisivo: la scoperta degli irrazionali.
Dal punto di vista dell’aritmo-geometria, tutte le linee, proprio in quanto collezioni di punti-unità, devono essere commensurabili tra loro. Questo non vale però per il rapporto tra la diagonale e il lato di un quadrato o di un pentagono: fra di essi non vi è alcun sottomultiplo comune che sia contenuto esattamente sia nella diagonale che nel lato. Le linee incommensurabili sono pertanto senza rapporto esprimibile, sono “irrazionali” e “inesprimibili”, secondo un calco dal greco alogon e arreton.
Non è affatto chiaro quando siano stati scoperti gli irrazionali. La tradizione li lega al nome di Pitagora, ma c’è chi ritiene più plausibile ricondurli agli studi di Ippaso di Metaponto o di altri pitagorici ancora più tardi. Non sono nemmeno chiare le circostanze che hanno condotto alla scoperta. Solitamente viene messa in relazione con l’applicazione del teorema di Pitagora al triangolo rettangolo isoscele. Si è ipotizzato anche che dipenda dallo studio del pentagono regolare, la figura piana da cui è composto il dodecaedro. Si tratta di una figura importantissima, cui è connessa senza dubbio la scoperta di quella che per i Greci costituisce “la sezione” per antonomasia e che Johann Kepler chiamerà, per la sua importanza, “sezione aurea”. Consideriamo un pentagono ABCDE: se tracciamo le cinque diagonali, esse si intersecano nei punti A’B’C’D’E’ formando un altro pentagono regolare; ciascun punto di intersezione divide una diagonale in due segmenti disuguali, in modo che il rapporto fra l’intera diagonale e il segmento maggiore è uguale al rapporto fra questo segmento e quello minore. Le diagonali del pentagono più piccolo formano a loro volta un terzo pentagono più piccolo e così via indefinitamente. Questo significa appunto che il rapporto tra la diagonale e il lato non è razionale.
Alcuni passi di Platone e di Aristotele, che costituiscono le testimonianze più antiche sugli irrazionali, presentano come caso esemplare il rapporto tra il lato e la diagonale non del pentagono, ma del quadrato. In particolare Aristotele fa riferimento a una prova per assurdo, nella quale, assumendo l’ipotesi della razionalità, si arriva alla conclusione paradossale che gli stessi numeri sono contemporaneamente pari e dispari (An. pr., I, 23). Difficile però che sia stata questa la via effettivamente seguita, dal momento che la reductio ad absurdum è una forma di ragionamento che richiede che l’enunciato della proposizione da provare sia già noto. È più probabile pensare al procedimento con cui, nel Menone, Socrate conduce un giovane schiavo a impostare correttamente il problema di costruire un quadrato doppio di un altro quadrato dato (Menone, 82b-85b). D’altra parte, anche in un passo del Teeteto Platone presenta la scoperta degli irrazionali in relazione allo studio delle figure quadrate: Teodoro di Cirene mostra al giovane Teeteto che il lato del quadrato di area 3 e quello del quadrato di area 5 non sono commensurabili col lato del quadrato di area 1 (Teeteto, 147d).
Una prospettiva del tutto diversa è quella che riconduce la scoperta dell’irrazionale agli argomenti sviluppati contro il molteplice e il moto da Zenone di Elea, il discepolo di Parmenide. Se si suppone che le grandezze geometriche siano costituite da più unità indivisibili, ne segue che il molteplice sarebbe un tempo infinitamente grande e piccolo fino a non avere grandezza; se si suppone l’esistenza del molteplice, ne segue che occorrerebbe un tempo infinito per percorrere una distanza finita (argomento della “dicotomia” e di “Achille e la tartaruga”), che il corpo in movimento sarebbe fermo (argomento della “freccia”), che velocità doppia e velocità dimezzata sarebbero uguali (argomento dello “stadio”). Ora, questi paradossi mettono sicuramente in piena evidenza limiti e contraddizioni della concezione pitagorica dei punti-unità, come pure si pone il problema del rapporto tra il continuo geometrico e il discreto aritmetico. E certamente la dialettica eleatica ha portato, più in generale, un contributo essenziale all’idea stessa di dimostrazione.
Rimane, però, che nessuna delle fonti antiche attribuisce agli eleati un interesse specifico per le discipline matematiche e per il loro sviluppo.
Qualunque sia la sua origine, la scoperta dell’irrazionale costituisce un punto cruciale nella storia delle matematiche.