PITAGORA e PITAGORISMO
. La tradizione che riguarda Pitagora è in tal modo collegata con quella concernente il pitagorismo più antico che assai difficile è isolare, in essa, i dati che si possono considerare come costituenti autentici della fisionomia del pensatore ionico. Questa difficoltà è soprattutto sensibile quando si tratta del contenuto dottrinale del pitagorismo, che nei primi tempi fu possesso esclusivo della comunità pitagorica, astretta al sacro silenzio, e che quindi si venne arricchendo per l'opera collettiva delle prime generazioni di studiosi, finché uno di questi (secondo la tradizione, Filolao, nel sec. V a. C.) non interruppe la tradizione, dando pubblicità, con una sua opera, alle dottrine pitagoriche. Circa la personalità di Pitagora è tuttavia possibile ricavare alcune indicazioni sicure da qualche menzione di scrittore antico o contemporaneo o di poco posteriore a lui stesso. Così Senofane, nel framm. 7 Diels, allude scherzosamente a Pitagora come autore, o sostenitore, della teoria della metempsicosi; Eraclito, nel framm. 40 Diels, biasima la πολυμαϑίη, cioè l'erudizione molteplice e superficiale di lui, come di alcune altre figure della cultura ellenica; Erodoto (IV, 95) parla invece con molto riguardo del "sapiente Pitagora". Tutto ciò esclude, intanto, il sospetto che la sua figura possa dissolversi in quella d'un eroe eponimo della comunità pitagorica, nello stesso modo in cui la figura di Orfeo può, secondo alcuni, essere soltanto la proiezione mitica della religiosità orfica (nella sfera dell'escatologia, stretto, come si vedrà, è il nesso che lega il pitagorismo all'orfismo), e rende possibile di considerare la tradizione concernente la vita di Pitagora come presupponente un effettivo nucleo storico, per quanto, s'intende, non immediatamente accettabile nella sua totalità; infatti questa tradizione biografica ha tratti spiccatamente leggendarî, che risultano particolarmente evidenti nelle tarde Vite di Pitagora, ancora superstiti, dei neoplatonici Porfirio e Giamblico, più aperti agl'influssi del neopitagorismo, ma che sono già presenti nella dossografia più antica, e quindi anche in Diogene Laerzio.
Secondo questa tradizione Pitagora, figlio di Mnesarco, nacque a Samo nella prima metà del sec. VI a. C. (stando ad Apollodoro, che colloca la sua acme nel 532-1, egli sarebbe nato nel 572-1: ma questa datazione è soltanto congetturale). Scolaro di Ferecide e di Anassimandro, egli si recò in Egitto per apprendervi la sapienza di quei sacerdoti (ma il fatto che Erodoto ascriva a queste esperienze egiziane di Pitagora la sua teoria della metempicosi, la quale è invece ignota in Egitto, rende sospetto tale viaggio, data anche la generale tendenza dei Greci di età posteriore a far dipendere le origini della loro cultura dai rapporti con l'Oriente). Tornato a Samo, e trovata la sua patria sotto il governo del tiranno Policrate, si trasferì, sempre secondo la tradizione, nella colonia di Crotone nella Magna Grecia, e vi fondò la sua comunità, diretta ad assicurare ai suoi membri il raggiungimento di scopi essenzialmente etici e religiosi. L'esistenza di tale comunità è comunque un fatto storico; ed egualmente indiscusso è che essa si affermò anche al di fuori di Crotone, in altre città della Magna Grecia, acquistandovi il sopravvento nel campo politico e orientando quindi il governo di tali città in quel senso conservativo e aristocratico che corrispondeva al suo ideale di un dominio teocratico della verità. Questo predominio fu peraltro interrotto da un moto di opposizione, che sembra si sia svolto in due fasi: la prima, che ebbe luogo quando Pitagora era ancora in vita, costrinse questo a trasferirsi da Crotone a Metaponto, dove poco dopo morì (sul principio del sec. V); la seconda, più violenta, e assai posteriore (forse di quasi un secolo) alla prima, determinò la fine del pitagorismo crotoniate, i cui rappresentanti furono arsi vivi dagli avversarî, a eccezione dei soli Archippo e Liside (un'altra tradizione unifica invece i due eventi, riportando anche il secondo all'età del primo). Liside, trasferitosi a Tebe, v'inaugurò la tradizione del pitagorismo tebano, a cui appartennero Filolao e i suoi scolari Simmia e Cebete, noti attraverso il Fedone platonico; Archippo, tornato nella patria Taranto, fu a sua volta l'iniziatore del pitagorismo tarentino, poi illustrato specialmente da Archita, l'amico di Platone. Altri principali rappresentanti dell'antica tradizione pitagorica, la quale si estinse nella seconda metà del sec. IV a. C. per risorgere più tardi nel neopitagorismo (v.), furono Eurito, Ocello Lucano, Timeo di Locri, Echecrate, Arione; mentre ne subirono in vario modo l'influsso il medico Alcmeone, l'eracliteo Ippaso, l'atomista e anassagoreo Ecfanto, l'astronomo Iceta. A molti di questi antichi pitagorici la letteratura del neopitagorismo attribuì opere, ancora oggi superstiti, in cui essa pensava di ricostruire l'antico insegnamento della scuola, ma che naturalmente attestano piuttosto il pensiero neopitagorico che quello pitagorico. Di veramente antico non restano, in sostanza, che pochi frammenti di Alcmeone, di Filolao e di Archita; e dal primo, che è anzitutto un medico, non troppo si ricava, mentre i frammenti del secondo, che è comunque già posteriore di circa un secolo a Pitagora, sono da alcuni considerati anch'essi come appartenenti solo a una falsificazione posteriore del suo scritto Sulla natura. Tra le testimonianze, le più importanti sono naturalmente quelle di Platone e di Aristotele: ma l'intento del primo non è mai quello puramente storico, e il secondo, quando parla dei "cosiddetti Pitagorici" (οἱ καλούμενοι Πυϑαγόρειοι), mostra già con questa formula quanto egli ritenga incerta e generica tale designazione.
Limitandosi a quegli aspetti del più antico insegnamento pitagorico, che nella loro generalità si possono considerare sottratti alle controversie che investono le determinazioni ulteriori, è anzitutto evidente che il verbo pitagorico è anzitutto etico-religioso. I membri della comunità sono soggetti a norme rigorose: devono osservare il sacro silenzio e riconoscere l'autorità dogmatica della tradizione risalente a Pitagora (l'ipse dixit, αὐτὸς ἔϕα, è anzitutto una formula pitagorica); inoltre devono obbedire a regole pratiche, la cui finalità appare analoga a quella a cui mira l'orfismo. Anche il pitagorismo, infatti, è decisamente orientato verso l'aldilà: propriamente pitagorica, più ancora che orfica, appare, come s'è detto, la concezione della metempsicosi, secondo cui le anime vivono varie esistenze corporee, trasferendosi in organismi umani o animali, più o meno alti nella scala degli esseri a seconda del maggiore o minore affrancamento dalle passioni corporee manifestato nell'esistenza precedente. Con tale idea è evidentemente connesso il divieto del cibo carneo, per quanto a questo proposito la tradizione offra notizie molto divergenti: tale astinenza si presenta infatti in alcune testimonianze ristretta alla carne di qualche animale, mentre d'altro lato non ogni alimento vegetale appare lecito, come, p. es., risulta dal famoso divieto del mangiare fave (per quanto altri elementi della tradizione invertano invece questo divieto in una prescrizione, riflettendo forse le divergenze sussistenti tra distinti gruppi di pitagorici). Ma non c'è dubbio che, oltre a questi motivi etico-religiosi, siano impliciti già nel più antico pitagorismo interessi scientifici, in primo luogo per le ricerche matematiche e musicali. La scoperta delle leggi matematiche determinanti i fenomeni musicali, e nello stesso tempo l'approfondimento della matematica stessa, della quale i pitagorici possono essere considerati i fondatori nel mondo ellenico (v. sotto), li conducono a una visione del mondo che alla ricerca ionica dell'unica sostanza di tutte le cose risponde designando come tale lo stesso sistema di rapporti matematici che in esse si rivela imperante. È qui l'origine della dottrina che, attraverso un lungo processo evolutivo, influisce sul tardo Platone, il quale aveva del resto già subito l'influsso dell'idea pitagorica della metempsicosi. Un altro dei temi principali dell'antica filosofia pitagorica sembra sia stato quello della determinazione degli opposti, per quanto non sia verosimile che nella fase originaria si sia parlato più che delle opposizioni dell'infinito e del finito, del pari e del dispari, e incerto resti, anche in questo caso, il processo che condusse alla formazione dell'intera tavola pitagorica degli opposti. Per i testi concernenti Pitagora e gli antichi pitagorici, v. in generale H. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker (4ª ed., Berlino 1922).
Bibl.: Principali trattazioni d'insieme del problema: E. Zeller, Philosophie d. Griechen, I, i, 7ª ed., Lipsia 1923, pp. 361-617; A. E. Chaignet, P. et la philosophie pythagoricienne, voll. 2, Parigi 1873 (con i framm. di Filolao e di Archita); A. Delatte, Études sur la littérature pythagoricienne, ivi 1917; id., Essai sur la politique pythagoricienne, Liegi-Parigi 1922; G. Méautis, Recherches sur la pythagorisme, Neuchâtel 1922; E. Franck, Plato und die sogenannten Pythagoreer, Halle 1923; A. Rostagni, Il verbo di Pitagora, Torino 1924 (mentre il Frank è critico severissimo dell'antica tradizione pitagorica, il Rostagni tende a dimostrarne largamente l'attendibilità); W. Rathmann, Quaestiones Pythagorae Orphicae Empedocleae, diss., Halle 1933 (specialmente sulle più antiche testimonianze circa P.; e cfr. W. Kranz, Vorsokratisches, II, in Hermes, LXIX, 1934, pp. 223-26). Per gl'influssi che il variare dell'ideale filosofico della vita nell'età platonico-aristotelica esercitò sulla raffigurazione storica dei pensatori presocratici, e quindi anche sulla dossografia concernente P. (in cui Dicearco di Messina vide assai probabilmente impersonato il suo ideale del βιος πρακτικός), v. W. Jaeger, Über Ursprung und Kreislauf des philosophischen Lebensideals, in Sitzungsber. d. preuss. Akad. d. Wissensch., phil.-hist. Kl., 1928, pp. 390-421 (traduzione italiana in appendice alla versione dell'Aristotele, Firenze 1935). Per la bibliografia particolare, v. Ueberweg-Praechter, Grundriss der Geschichte der Philosohpie, I, 12ª edizione, Berlino 1926, pp. 43-46 dell'appendice bibliografica.
Pitagorismo e matematica.
P. fu condotto a vedere nei numeri l'essenza delle cose; nelle leggi della corda vibrante, e nei rapporti semplici che vi si scoprivano, la mente greca ebbe il senso d'avere toccato il fondo della realtà; e a tale concezione aritmetico-filosofica la scienza ellenica posteriore si è conservata fedele.
Però il senso originario del detto "le cose sono numeri" va probabilmente inteso in un modo piuttosto concreto. Quando i pitagorici della prima generazione cercavano il significato naturale dei numeri, si presentava loro l'idea che tutti i corpi fossero formati di punti materiali o monadi, disposti in un dato ordine geometrico. Sappiamo perfino che Eurito pitagorico chiamava "numero" dell'uomo o del cavallo il numero di punti necessarî a disegnarne schematicamente la figura. Ma in senso più geometrico, la configurazione dei punti, col suo ordine, formava un numero. Così si parlava di numeri figurati: un gruppo di 9 punti disposti in tre file lineari formava un numero quadrato. E analogamente si avevano numeri triangolari, ecc., e anche numeri solidi: cubici, tetraedrali, ecc.
La concezione pitagorica non è stata senza influenza sulle origini della geometria analitica. Ma occorre rilevare che la considerazione originaria non era puramente geometrica, bensì anche fisica. Il punto, elemento unitario delle cose, se da una parte conduceva alla loro rappresentazione geometrica, ed era considerato come il "pari-impari" generatore di ogni grandezza, dall'altra era concepito come unità materiale o monade.
La formula "le cose sono numeri" significa che ogni materia è composta di punti materiali, di piccola ma non nulla grandezza: e che dalla figurazione - numero e ordine - di codesti punti, tra loro identici o qualitativamente indifferenti, dipendono tutte le proprietà e differenze apparenti dei corpi. Si è scoperta così una corrispondenza fra un certo ordine di fenomeni qualitativi e un processo quantitativo: è l'inizio della fisica matematica.
Secondo Aristosseno, P. avrebbe per primo elevato l'aritmetica al disopra dei bisogni del commercio, facendone oggetto di pura scienza. Le distinzioni dei numeri pari e dispari, dei numeri amici, dei numeri perfetti, ecc., risalgono alla sua scuola. Connesso alla rappresentazione geometrica dei numeri è l'uso dell'abaco, e da codesta rappresentazione deriva la regola per formare i quadrati come somma dei successivi numeri dispari, da cui l'importanza dello gnomone o squadra (indicato dal punteggiato nella fig. 1), come "generatore" dei quadrati. I quali portano con sé l'idea del perfetto, mentre i rettangoli sono per contrasto l'imperfetto. E a questo si associa anche l'idea del dispari come perfetto: un frammento di un commentatore aggiunge "perché ha un centro" di simmetria, e un altro dice che la triade è perfetta perché "ha principio, mezzo e fine": mentre il numero pari, che si scinde in metà uguali, è imperfetto, quasi non avesse sufficiente consistenza.
Da una parte della tavola degli opposti stanno il bene, la luce, il limite, il dispari; dall'altra il male, le tenebre, l'illimitato, il pari. L'analogia si estende in ogni senso e anche il mondo dovrà essere limitato nello spazio e nel tempo: di qui l'idea del grande anno in cui tutto si ripete.
Erich Frank ha giustamente insistito sulla distinzione fra P. con i suoi seguaci immediati, di cui si sa ben poco, e i "cosiddetti pitagorici" (come prudentemente li chiama Aristotele), cioè la scuola matematica italiana del sec. IV, di cui fu massimo esponente Archita. Fra gl'iniziatori di questa scuola va posto Filolao, il quale studiò l'ottava, da lui detta armonia, mostrando i mirabili rapporti che essa ha col cubo; e illustrò le virtù della decade, numero perfetto, che "compie e realizza ogni cosa: principio e guida della vita, divina e celeste e umana insieme... senza di essa tutto è indeterminato, misterioso, oscuro". In essa è racchiuso eguale numero di pari e di dispari; vi è l'unità col primo pari, il primo dispari col primo quadrato. È il fondamento dei numeri tutti: risulta dalla somma del 3 col 7, che è il simbolo della saggezza, che è Pallade, in quanto è nella decade il solo numero che non sia generato da alcuno di quelli che essa comprende, e non sia generato da alcuno. La decade sta pure a base del famoso simbolo iniziatico della Tetraktys, che non è altro che la serie dei primi quattro numeri, simboleggianti i 4 elementi, la cui somma fa 10. Anche i corpi celesti mobili dovranno essere dieci, e quindi Filolao aggiunge a quelli conosciuti (compresa la Terra) un'ipotetica Antiterra, che gira, opposta alla Terra, attorno al Fuoco centrale.
I "cosiddetti pitagorici" sono i fondatori della geometria razionale. Il cosiddetto "teorema di P." (v. sotto) esisteva già, ma da essi la geometria venne ordinata in quelle catene di deduzioni che sono il primo modello del genere, e che movendo da osservazioni semplici ed evidenti, conducono a grado a grado alla scoperta di proprietà più riposte e significative: e lo scopo doveva essere appunto, come opina lo Zeuthen, di dare la dimostrazione dell'anzidetto teorema.
Alla scuola, secondo i riferimenti di Proclo, si dovrebbero attribuire:
1. il teorema che la somma degli angoli d'un triangolo è eguale a due retti, e le divisioni del piano in poligoni regolari di 6, 4 0 3 lati che vi si collegano; inoltre la relazione fra i quadrati dei lati del triangolo rettangolo;
2. l'applicazione delle aree, cioè la costruzione d'un rettangolo di base data che differisca di una data area da un quadrato dato, col che si ha la soluzione geometrica delle equazioni di 20 grado;
3. la scoperta degl'incommensurabili (v. appresso);
4. la costruzione delle figure cosmiche, cioè dei poliedri regolari, o almeno del cubo, del tetraedro e del dodecaedro.
Questo corpo di dottrine comprende la teoria delle figure simili (non si dice la trattazione rigorosa delle proporzioni, che costituisce il V libro dell'Euclide) e abbraccia quasi per intero la materia della planimetria euclidea.
Mancano indicazioni per la teoria degli angoli nel cerchio, che forma oggetto del libro III degli Elementi (solo viene menzionata la scoperta di Talete o di P., che l'angolo iscritto nel semicerchio è retto); ma un frammento sulle lunule d'Ippocrate di Chio, che si ritiene scritto intorno al 450 o poco dopo, mostra la conoscenza di queste proprietà e conferma d'altra parte il giudizio generale sul grado raggiunto dallo sviluppo della geometria.
I primi Elementi pare che si dovessero proprio a Ippocrate. Come fosse costruito questo più antico edificio non ci è dato sapere con esattezza. Ma certo vi entravano quelle proprietà di composizione e decomposizione delle superficie, che costituiscono una specie di algebra geometrica (II libro dell'Euclide); e insieme v'interveniva il concetto dei numeri figurati. Il sistema dovette poi appoggiarsi sopra una generale teoria dei rapporti e della similitudine; alla quale serviva naturalmente da base la teoria delle monadi.
Perché la monade, cioè il punto materiale esteso, era il sostegno non solo dei corpi, ma anche delle linee geometriche: linee, superficie e solidi erano pensati come riunioni di punti. Così il paragone teorico di due linee si faceva immediatamente, definendo il loro reciproco rapporto o misura: se una linea contiene m punti e l'altra n, il loro rapporto sarà m/n. Soltanto la scoperta delle grandezze incommensurabili doveva rivelare l'errore di questo ragionamento. E per verità la scoperta si fece nella scuola stessa, mercé la considerazione del triangolo rettangolo isoscele.
Per il fatto ch'essa rovinava il fondamento stesso della misura, è verosimile che la scoperta degl'incommensurabili apparisse agli stessi suoi scopritori una verità scandalosa e imbarazzante. La leggenda narra di un geloso segreto con cui si volle circondarla; e proprio per avere violato questo segreto, Ippaso di Metaponto sarebbe stato punito dagli dei, perendo in un naufragio.
Comunque, l'esistenza degl'incommensurabili doveva portare ad una revisione dei principî, su cui si fonda la scienza pitagorica. In accordo con la veduta astratta che oggi ci formiamo delle matematiche, parrebbe che la crisi avesse ad involgere soltanto le basi della geometria: il concetto idealizzato del punto, e la definizione del rapporto di due grandezze. Ma la geometria pitagorica era connessa con una teoria della materia o della "natura" delle cose; l'elemento dello spazio era la stessa unità pensata come elemento dei corpi. Si comprende perciò che pensatori usciti dai medesimi circoli pitagorici, vogliamo dire i filosofi della scuola di Elea, vengano a rimettere in discussione tutto il sistema delle monadi: la critica loro, riprendendo e spingendo alle estreme conseguenze il monismo ionico, riuscirà da una parte a segnalare le difficoltà di codesto postulato per la costruzione della fisica, dall'altra a liberare una geometria veramente razionale, i cui enti sono concepiti per la prima volta come idee, oltrepassanti l'empirico.
Il teorema di Pitagora.
È così denominato il seguente enunciato: "In un triangolo rettangolo la somma dei quadrati costruiti sui cateti è uguale al quadrato costruito sull'ipotenusa". La scoperta di questo asserto è attribuita a Pitagora da Plutarco (Epic., c. 11), da Diogene Laerzio (VIII, 12) e da Ateneo (X, 13); e Proclo (Commento all'Euclide) accoglie anche la tradizione "secondo quanto riferiscono le antiche storie" del sacrifizio di un bove offerto agli dei in onore di tale scoperta. Modernamente però si è andata consolidando l'opinione che l'anzidetta proprietà del triangolo rettangolo fosse già nota ai popoli orientali e agli Egiziani, molto prima dell'epoca in cui visse Pitagora. Questa opinione si fonda principalmente su alcune scoperte archeologiche, fatte nei territorî che furono sede delle antiche civiltà assiro-babilonese ed egiziana, e sul risultato degli studî filologici di antichi testi indiani e cinesi.
Assiro-Babilonesi. - Un'esposizione cronologica (in senso lato) dei documenti, che a ciò si riferiscono, ci porta a citare, anzitutto, due testi in scrittura cuneiforme, custoditi, uno nel Museo di Berlino e l'altro nel British Museum, che risalgono alla II dinastia di Babilonia (quella di Hammurabi, 2000 a. C.). Il primo di essi contiene il calcolo della diagonale c di un rettangolo di dimensioni a e b, nel sistema sessagesimale allora in uso, corrispondente alla formula:
Se si considera questa formula quale valore approssimato d'una radice quadrata, come si fa per altre formule di radice quadrata dell'antichità classica, ad es.:
si osserva facilmente che la formula esatta corrispondente è:
la quale esprime precisamente il teorema di Pitagora. Il secondo documento porta il calcolo della corda d'un arco di cerchio, ed è illustrato da due figure (fig. 2), nelle quali il cuneo verticale indica la corda, e gli altri segni i numeri 2 e 12, che si riferiscono all'altezza dell'arco (a = 2), e alla lunghezza della corda (s = 12); essendo nota anche la misura del diametro (d = 20), si può dedurre che la lunghezza della corda sia stata calcolata mediante la formula:
la quale è vera in conseguenza del teorema di Talete sulla rettangolarità dei triangoli iscritti nel semicerchio, e del teorema di Pitagora, come facilmente si verifica osservando la fig. 3.
Egiziani. - Passando a considerare i documenti comprovanti che la relazione pitagorica sia stata a conoscenza degli antichi Egiziani, si può ritenere che il più remoto di essi sia costituito dalla cosiddetta "Camera dei re", all'interno della piramide di Cheope, che risale alla IV dinastia faraonica. Le proporzioni di questa camera rivelano infatti, fra l'altro, i rapporti 3 : 4 : 5, che rappresentano i lati di un triangolo rettangolo. A questo triangolo rettangolo si ricollega anche, secondo Plutarco, una leggenda magica: i numeri 3, 4, 5 rappresenterebbero le divinità egiziane, Oro, Osiride e Iside, e la relazione fra essi simboleggerebbe la leggenda della reviviscenza dei faraoni. Ma di più concreto significato è un frammento di papiro, scoperto a Kahun, che risale alla XII dinastia (1996-1784 a. C.). In esso sono riportate le seguenti uguaglianze:
ciascuna delle quali rappresenta la relazione fra i lati di un triangolo rettangolo.
Indiani. - La traduzione dei Śulvasūtra, fatta da A. Bürk nel 1901 (Zeitschrift der deutschen morgenländischen Gesellschaft, LVI, 1901), palesò al mondo occidentale la conoscenza, da parte degl'Indiani dell'antichità bramanica, dell'enunciato generale del teorema di Pitagora, e di varie proprietà geometriche a esso inerenti. Questo fatto è molto importante per la storia del teorema di Pitagora, se si pensa che i Śulvasūtra risalgono verosimilmente al sec. V a. C., e che sono la raccolta delle più notevoli cognizioni geometriche fino allora conosciute. La parte più strettamente connessa al teorema di Pitagora è costituita, ordinatamente, dalle seguenti proposizioni: nel cap. I, le proposizioni 2ª e 3ª dànno la costruzione di angoli retti mediante corde di lunghezza: 3, 4, 5; 1536, 39. La 4ª proposizione contiene l'enunciato generale del teorema di Pitagora, nella seguente forma: "Il quadrato costruito sulla diagonale di un rettangolo è uguale alla somma dei quadrati costruiti sul più lungo e sul più corto dei lati". La 5ª applica il teorema precedente al caso del quadrato, e dice: "Il quadrato costruito sulla diagonale di un quadrato è doppio di esso". Nel cap. II, la 1ª proposizione dà la costruzione di un quadrato di lato dato, e fanno seguito le regole per la costruzione di un quadrato uguale alla somma e alla differenza di due quadrati dati. Infine, nel cap. V, è resa manifesta la conoscenza di altri triangoli rettangoli a lati interni, attraverso le norme per la costruzione di un altare della forma di un trapezio isoscele. Precisamente sono menzionati, per la costruzione degli angoli retti, i seguenti triangoli rettangoli: 15-36-39; 12-16-20; 15-20-25; 12-5-13; 15-8-17.
Cinesi. - Appartiene all'antica letteratura cinese il testo intitolato Chou-pi suanshuh, che contiene, insieme con alcune considerazioni sulla distanza e sulla grandezza del Sole, una dimostrazione intuitiva del teorema di Pitagora. A questo documento si attribuiva, fino a poco tempo fa, un'antichità molto rilevante (almeno 1500 anni a. C.); ma moderni studi sull'antica civiltà e scienza cinese ne hanno alquanto svalutata l'importanza. Pare infatti che esso non sia altro che una trascrizione relativamente recente (forse dei primi secoli dell'era volgare) d' idee cosmologiche e geometriche greche. Ciò porterebbe quindi a escludere ogni influenza cinese sulla dimostrazione del teorema di Pitagora.
Queste brevi notizie, se nel loro complesso valgono a stabilire la conoscenza della relazione tra i lati di un triangolo rettangolo nelle remote epoche che precedettero la civiltà ellenica, ne mettono altresì bene in evidenza il carattere frammentario, spesso frutto di pratiche esperienze, o di elementari intuizioni; e perciò privo di effettivo carattere scientifico. La ragione di ciò ha relazione con il fatto che, soltanto più tardi, per opera dei primi filosofi greci, lo studio si sollevò dall'interesse pratico al puro scopo scientifico.
Greci. - La più antica dimostrazione che conosciamo del teorema di Pitagora è quella data dalla 47ª proposizione del libro I degli Elementi di Euclide. Essa procede nel seguente modo:
"Sia ABC un triangolo rettangolo avente l'angolo retto BAC (fig. 4). Dico che il quadrato costruito su BC è uguale alla somma dei quadrati costruiti su BA, AC. Si descriva, infatti, su BC il quadrato BDEC; su BA, AC si descrivano i quadrati GB, HC; per A si conduca la parallela AL a ognuna delle BD, CE, e si congiunga A con D e F con C. Poiché ognuno degli angoli BAC, BAG è retto su una retta BA, e in un suo punto A, le rette AC, AG, non giacenti dalla stessa parte, fanno angoli adiacenti uguali a due retti; per la stessa ragione BA è per diritto alla AH. E poiché l'angolo DBC è uguale a FBA, perché ognuno è retto, si aggiunga ABC, comune. Così, tutto DBA è uguale a tutto FBC. E poiché DB è uguale a BC, e FB a BA, i due segmenti DB, BA sono rispettivamente uguali a BC, FB, e l'angolo DBA è uguale all'angolo FBC. Dunque la base AD è uguale alla base FC, e il triangolo ABD è uguale al triangolo FBC. Ma il parallelogrammo BL è doppio del triangolo ABD: infatti essi hanno la stessa base, e sono tra le stesse parallele BD, AL. Inoltre, il quadrato GB è doppio del triangolo FBC: infatti, essi hanno la stessa base FB e sono tra le stesse parallele FB, GC. Dunque il parallelogrammo BL è uguale al quadrato GB. Similmente condotte le AE, BK, si dimostrerà anche che il parallelogrammo CL è uguale al quadrato HC. Dunque tutto il quadrato BDEC è uguale alla somma dei quadrati GB, HC. Ma il quadrato BDEC è descritto su BC, e GB, HC su AB, AC. Dunque il quadrato del lato BC è uguale alla somma dei quadrati che sono costruiti sui lati BA, AC. Dunque, nei triangoli rettangoli, ecc.".
Altri riferimenti e applicazioni del teorema di Pitagora si trovano nei seguenti antichi testi greci: il Menone di Platone; le Lunule d'Ippocrate di Chio (un frammento tramandatoci da Simplicio nel suo Commento alla Fisica di Aristotele); le Collezioni di Pappo. In nessuno di essi però è fatta menzione della dimostrazione originale di Pitagora, cui la tradizione concorde, riferita dai commentatori greci e latini, attribuisce, come abbiamo detto, la paternità del teorema. Ma questa tradizione, che spiega anche il nome dato al teorema nei secoli, deve avere un fondamento di verità; e noi diremo, seguendo le opinioni più diffuse, come tale verità possa essere accettata. La teoria monadica della materia, che fu concepita dai primi pitagorici nel senso che ogni materia fosse formata da corpuscoli unitarî, o monadi, e che le sue proprietà derivassero, oltre che dal numero, dall'ordine geometrico di detti corpuscoli, può avere portato i pitagorici a stabilire una teoria delle figure simili, e, sulla base di questa teoria, si può pensare che Pitagora abbia dato la dimostrazione generale del teorema sul quadrato dell'ipotenusa: infatti esso risulta dimostrato appena si riconosca che l'altezza del triangolo rettangolo, relativa all'ipotenusa, divide il triangolo in due altri simili all'intero (fig. 5). Questa dimostrazione, nonostante peccasse delle stesse limitazioni, con cui venivano trattate le proporzioni prima della scoperta degl'incommensurabili, ha un valore notevolissimo, perché per la prima volta si sarebbe raggiunto un importante risultato, mediante considerazioni del tutto astratte, e per alcuni casi (i triangoli rettangoli a lati disuguali), senza alcun aiuto dell'intuizione. Ciò ha fatto dire ad alcuni dotti che il teorema di Pitagora può considerarsi come "l'origine della geometria scientifica".
Un teorema così caratteristico, e così importante per le sue svariate applicazioni, dovette logicamente richiamare l'attenzione dei geometri di ogni epoca e regione. Non fa quindi meraviglia se del teorema di Pitagora si conoscono numerose dimostrazioni, alcune delle quali raggiunte mediante artifizî geometrici veramente geniali. Non potendo, per brevità, accennare a queste dimostrazioni, ci limitiamo a indicare nella bibliografia alcune pubblicazioni che ne contengono maggior numero.
Bibl.: H. G. Zeuthen, Théorème de Pytagore, origine de la géométrie scientifique, II Congr. int. di filosofia, Ginevra 1904; T. L. Heath, The thirteen books of Euclid's elements, 2ª ediz., Cambridge 1926; F. Enriques, Gli elementi di Euclide e la critica antica e moderna, I, Roma 1925; A. Lidonnici, Il teorema di Pitagora nelle civiltà preelleniche ed in Grecia, in Period. di matem., 1933, nn. 2, 3, 4; W. Lietzmann, Der Pytagoreische Lehrsatz, Lipsia 1930; J. Wipper, Sechsundvierzig Beweise des Pytagoreischen Lehrsatzes, Berlino 1911; I. Ghersi, Matematica dilettevole e curiosa, Milano 1921.