pitagorismo
Dal gr. πυϑαγορισμός, der. di Πυϑαγόρας «Pitagora». La dottrina e il sistema pitagorico.
Il sodalizio, fondato da Pitagora a Crotone, si affermò politicamente anche in altre città della Magna Grecia. Un moto di opposizione (che sembra si sia svolto in una o in due fasi, all’inizio e verso la fine del 5° sec.) mise però fine al p. crotoniate, i cui rappresentanti furono arsi vivi dagli avversari, a eccezione dei soli Archippo e Liside. Liside, trasferitosi a Tebe, v’inaugurò la tradizione del p. tebano, a cui appartennero Filolao e i suoi scolari Simmia e Cebete, noti attraverso il Fedone platonico; Archippo, tornato nella patria Taranto, fu a sua volta l’iniziatore del p. tarantino, poi illustrato specialmente da Archita, l’amico di Platone. Altri principali rappresentanti dell’antica tradizione pitagorica, la quale si estinse nella seconda metà del sec. 4° a.C. per risorgere più tardi nel neopitagorismo (➔), furono Eurito, Ocello Lucano, Timeo di Locri, Echecrate, Arione, mentre ne subirono in vario modo l’influsso il medico Alcmeone, l’eracliteo Ippaso, l’astronomo Iceta, al quale Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, VIII, 85) fa risalire le prime dottrine circa il moto della Terra, e che sembra riconducesse il movimento giornaliero delle stelle fisse alla rotazione della Terra intorno al proprio asse. Questa posizione fu poi ripresa dall’atomista e anassagoreo Ecfanto e da Eraclide Pontico; ancora Copernico ricorderà l’ascendenza pitagorica della sua dottrina eliocentrica.
Il verbo pitagorico è anzitutto etico-religioso. I membri della comunità distinti in ‘essoterici’ o novizi e in ‘esoterici’ o iniziati, e poi anche in ‘acusmatici’ e ‘matematici’ devono sottostare a precise regole: rispettare il silenzio e ubbidire all’autorità dogmatica che risale a Pitagora (è la norma deil’ipse dixit o αὐτὸς ἔφα). Inoltre sono tenuti a seguire una serie di comportamenti e regole pratiche la cui finalità appare analoga a quella a cui mira l’orfismo (➔). Anche il p., infatti, è fortemente orientato verso l’aldilà: è propria del p., ancor prima che orfica, la concezione della metempsicosi (➔). Accanto a questi elementi di carattere etico-religioso, sono già presenti nel più antico p. spiccati interessi scientifici, innanzi tutto nel campo matematico e musicale: la scuola pitagorica, infatti, trasferisce le acquisizioni matematiche anche nei cieli, rintracciando anche in essi l’armonia dei suoni. I pianeti distano, per i pitagorici, dello stesso intervallo proporzionale che la scuola aveva dimostrato sperimentalmente esistere tra le note musicali. Le sfere celesti perciò risuonano di una perfetta armonia. La disciplina musicale diviene così il paradigma di riferimento per il riconoscimento di un disegno d’ordine immanente al cosmo, di cui l’armonia delle sfere sarebbe la manifestazione più alta. L’invenzione della teoria nota come ‘armonia delle sfere’ viene comunemente ascritta alla scuola pitagorica o a Pitagora stesso, che secondo la testimonianza di Giamblico (La vita pitagorica, 65-67) era in grado di udire la musica cosmica, e variamente giustificata come un portato degli studi matematici, geometrici, musicali e astronomici (che nella concezione pitagorica mantengono una stretta interdipendenza, e non a caso confluiranno poi nel quadrivio medievale). La scoperta delle leggi matematiche determinanti i fenomeni musicali e, nello stesso tempo, l’approfondimento della matematica stessa, della quale i pitagorici possono essere considerati i fondatori nel mondo ellenico, li conducono a una visione del mondo che alla ricerca ionica dell’unica sostanza di tutte le cose risponde designando come tale lo stesso sistema dei rapporti matematici che in esse si rivela imperante. Tale dottrina ci è giunta in formulazioni alquanto diverse (i numeri sono gli «elementi» delle cose; i numeri sono l’«essenza» delle cose; i numeri sono i «modelli» delle cose, ecc.), che, per l’incertezza e la scarsezza della documentazione, è difficile interpretare come reali oscillazioni di pensiero o come fasi diverse di elaborazione; certo è che vi è implicita una separazione, un dualismo, tra «numeri» e «cose». È qui l’origine della dottrina che, attraverso un lungo processo evolutivo, influisce sul tardo Platone (in partic. nel Timeo), il quale aveva del resto già subito l’influsso dell’idea pitagorica della metempsicosi. Ed è qui anche la ragione del particolare significato di alcuni numeri e, fra tutti, della mistica «decade», celebrata da Filolao, sulla quale i pitagorici giuravano: essa infatti risulta dalla somma del «parimpari» (cioè dell’unità, in quanto generatrice sia della serie dei numeri pari, sia della serie dei numeri dispari), del primo pari, il due, del primo dispari, il tre, e del primo quadrato, il quattro. Un altro dei temi principali dell’antica filosofia pitagorica sembra sia stato quello della determinazione degli opposti, fondata sulla coppia «pari-dispari», da cui erano fatte derivare le altre («limite-illimitato», «luce-tenebre», «maschio-femmina», «bene-male», ecc.), che segnavano i criteri delle riflessioni cosmologiche, etiche, ecc. Per ragioni di simmetria, i pitagorici considerarono dieci il numero dei corpi celesti che ruotano intorno a un fuoco centrale (ἑστία; Filolao, fr. 7), di cui il Sole sarebbe un riflesso.