ORIZIA, Pittore di
Ceramografo attico, la cui attività si può fissare entro il terzo e quarto decennio del V sec. a. C.
Dipinge grandi vasi, tra cui due singolari anfore appuntite, quasi gemelle, con rappresentazioni di Borea e Orizia - donde il nome - che sono da considerare una delle prime affermazioni di quel discorso ampio e grandioso che viene in favore intorno e poco prima della metà del secolo. Si direbbe tuttavia che per il Pittore di O. tale dichiarata intenzione di far grande rappresenti piuttosto un fatto episodico che un carattere primario. In realtà il pittore sembra trovarsi più a suo agio in figurazioni di modulo più modesto, mentre il suo stesso temperamento, il segno acuto e incisivo con cui definisce, male si accordano con quel gonfiamento retorico che per tanta parte affligge e appesantisce quel che si chiamava il periodo dello "stile nobile". Il cratere a campana di Palermo con storie di Triptolemos e Zeus in trono è un esempio assai più soddisfacente di questa sua maniera tersa e cristallina che raggiunge un suo peculiare clima di fresca grazia attraverso forme minute, profili aguzzi, drappeggi filiformi. La chiarezza costruttiva, l'evidenza drammatica che troviamo in questa e altre opere minori, quali l'anfora nolana E 176 del British Museum, lo stàmnos di Filadelfia e altre, risultano come perdute per effetto del violento trasporto di tono nelle due grandi anfore con storie di Orizia. In queste il gusto per il segno incisivo si può vedere nella chioma di Borea resa a fiammelle rigide e appuntite, che A. Furtwängler riportava alla maschera teatrale dello stesso dio nel dramma di Eschilo. Lo stesso studioso riconosceva un elemento tipico di Makron nel barocco tumultuoso vortice dei panneggi.
Bibl.: J. D. Beazley, Vasenm. Rotfig., p. 292; id., Vas. in Pol., p. 19; id., Red-fig., p. 24.