PITTURA bizantina
La p. bizantina fece la sua comparsa solo due secoli dopo la fondazione di Costantinopoli nel 324 e ben dopo la suddivisione dell'Impero romano nella parte occidentale e orientale, giacché essa si annuncia nel sec. 5° e la sua estetica appare definitivamente elaborata solo nel 6°-7° secolo. Generalmente si ritiene che essa sia durata fino alla caduta della capitale nelle mani dei Turchi, nel 1453, anche se questa data non deve essere presa alla lettera; in ogni caso, a partire dal sec. 16° si parla di p. post-bizantina, definendo così un altro ambito di studi.Più difficile risulta definire i limiti territoriali dell'area di influenza bizantina, giacché essi variano a seconda dell'epoca considerata: il punto focale fu Costantinopoli, con la penisola balcanica e, a partire dal sec. 11°, la Russia; alcuni siti in Italia ne costituirono la periferia occidentale, anche se maestri costantinopolitani vi crearono opere di altissima qualità, mentre la periferia orientale era costituita dalla Georgia, dall'Armenia, dalla Cappadocia, dalla regione siro-palestinese, dall'Egitto copto e, in misura minore, dalla Nubia e dall'Etiopia.Epoca preiconoclastica (secc. 5°-8°). - Posta nel punto di intersezione delle strade che collegavano l'Asia all'Europa e il Mediterraneo al mar Nero, la capitale bizantina era popolata principalmente da greci e orientali. Costantinopoli aveva accumulato favolose ricchezze e conservato l'eredità culturale dell'Antichità greco-romana, cosicché i suoi spazi pubblici ornati di statue, le sue chiese e i suoi palazzi furono oggetto di ammirazione sia in Occidente sia nel Vicino Oriente.La questione un tempo ritenuta centrale nel dibattito critico a proposito della formazione dello stile bizantino - quella che verteva sulla contrapposizione fra tradizione romana e tradizione orientale - appare oggi superata, giacché risulta chiaro che esso trovò le sue radici tanto nell'arte classica greco-romana del Tardo Impero e nell'arte popolare romana dei secc. 2°-4°, quanto nelle diverse tradizioni dell'Oriente, ellenizzato ma permeabile alle influenze provenienti dalla Persia e dalla pianura mesopotamica.Per l'elaborazione dell'iconografia e del linguaggio plastico bizantino si rivelano preponderanti due altri fattori: la struttura autoritaria dello Stato e la fede cristiana. Lo Stato centralizzato era governato da un imperatore dai poteri illimitati. Eletto da Dio, legislatore supremo, difensore della Chiesa, egli era oggetto di un culto politico-religioso: tutto ciò che si riferiva alla sua persona era considerato come sacro. D'altro canto, le cerimonie auliche e i riti della liturgia - così presenti nella decorazione delle chiese - si influenzarono vicendevolmente.Quanto al cristianesimo, a Costantinopoli sotto Costantino il Grande (324-337), esso segnò con la sua impronta tutte le attività artistiche e intellettuali. Per quanto riguarda la p., la sua funzione consisteva, tra le altre, nell'istruire gli illetterati permettendo loro di conoscere la storia della salvezza, i dogmi della fede e i misteri della liturgia. Facendo ciò, essa glorificava Dio nella persona di Cristo e offriva al fedele la visione di un mondo trascendente. L'immagine religiosa costituiva così una forma di gnosi: come le Scritture e la liturgia, ma in maniera più immediata, essa doveva condurre il fedele verso il suo compimento spirituale.Per realizzare questi obiettivi, gli artisti partirono dalla tradizione antica, ma essa venne in seguito trasformata in maniera da corrispondere a uno spirito totalmente diverso da quello dell'Antichità. Tra i secc. 5° e 7°, la figura umana venne reinventata: essa, progressivamente privata del volume, si presenta in posizione frontale, impassibile e sottomessa a una rigida simmetria; gli occhi sono ingranditi, le pupille nere e fisse come se contemplassero essenze che agli uomini non è dato di vedere. I tratti sono raffinati all'estremo: nasi lunghi e affilati, menti appuntiti, piccole bocche dalle labbra sottili, fronti alte. Il corpo, nella maggior parte dei casi invisibile sotto gli abiti, si allunga, la dimensione delle teste, dei piedi e delle mani è ridotta. La linea ritmica e il contorno vigoroso sostituiscono in gran parte il modellato. I personaggi sono circondati da pochissimi elementi naturali o architettonici e da rarissimi oggetti: essi si stagliano su un fondo d'oro scintillante e vuoto, vera cortina di luce che li isola dal mondo esterno, abolendo sia lo spazio sia il tempo.Questo ideale estetico venne realizzato soprattutto attraverso l'impiego della decorazione musiva che rivestiva gli interni delle chiese, mentre assai più raramente si fece ricorso alla p. murale propriamente detta. La parte bassa dei muri rivestita di marmi policromi, il témplon decorato da figure in materiali preziosi, i candelabri d'oro e d'argento, infine la vacillante luce dei ceri e il risuonare dei canti contribuivano per parte loro a suggerire al fedele l'impressione di entrare nell'anticamera dell'aldilà.La chiesa era d'altro canto considerata da diversi autori cristiani dei secc. 4°-5° come un microcosmo che riproduceva il regno celeste. La cupola simboleggiava il cielo, l'abside davanti al quale si svolgeva l'uffizio era il riflesso del mondo intelligibile e vi veniva rappresentato l'aspetto essenziale del dogma, mentre la navata rappresentava l'ambiente terreno. Questo modo di intendere la casa di Dio ne spiega anche il programma iconografico: la cupola, simbolo del cielo, è occupata dalla croce, segno della vittoria di Cristo, che annuncia così la sua Seconda Venuta (Mt. 24, 30).Nei battisteri, la decorazione della cupola è adattata alla funzione degli ambienti e i due battisteri di Ravenna - quello di Neone, noto anche come battistero degli Ortodossi (sec. 5°), e quello di Teodorico, noto come battistero degli Ariani - ne costituiscono tipici esempi. Ricevendo il sacramento del battesimo, i catecumeni dovevano accedere a una sorta di illuminazione: il Battesimo di Cristo che in questi ambienti occupa la parte centrale della calotta non vi figura tanto come episodio evangelico quanto come elemento per significare la rivelazione della natura divina di Gesù che il Prodromo aveva avuto nel corso del battesimo.Nella conca absidale, luogo della teofania, era collocato il Cristo imperatore in trono tra i dignitari della sua corte (angeli, apostoli o santi), come si può osservare nei mosaici di S. Vitale (sec. 6°) a Ravenna. A questa immagine si sostituisce in qualche caso quella di Dio (figurato da Cristo), così come lo avevano contemplato i profeti nelle loro visioni (chiesa del Cristo Latomos, od. Hosios David, a Salonicco, sec. 5°), o la composizione su due registri della Trasfigurazione, come nella chiesa ravennate di S. Apollinare in Classe e in quella del monastero di S. Caterina sul monte Sinai (entrambe del sec. 6°).A quest'epoca, tuttavia, il programma iconografico delle chiese non era ancora strettamente determinato e la conca absidale poteva essere occupata anche dall'immagine della Vergine con il Bambino, come nel caso della basilica eufrasiana di Parenzo, in Istria (metà sec. 6°), e di due chiese cipriote, la Panaghia Kanakaria a Lythrangomi (sec. 6°) e la Panaghia Angheloktistos a Kiti (prima metà sec. 7°). Quest'iconografia si sviluppò dopo il concilio di Efeso (431), quando si riconobbe a Maria il titolo di Theotókos. In qualche caso nell'abside si trovavano anche ritratti di donatori - normalmente i sovrani regnanti - in rapporto con il Cristo o con la Vergine, come per es. in S. Vitale a Ravenna e nella perduta chiesa delle Blacherne a Costantinopoli (seconda metà sec. 5°).Sulle parti alte del naós si disponevano il ciclo delle Grandi Feste, che illustra i maggiori avvenimenti della storia della salvezza, e quelli dei Miracoli di Cristo e della sua Passione. La parte bassa dei muri era rivestita da pannelli di marmo che esaltavano lo splendore dei mosaici; quando invece la decorazione delle chiese era realizzata con p. murali, in questi registri inferiori si disponevano serie di figure di santi in posizione stante che sembravano assistere all'ufficio liturgico. Il ciclo dell'Infanzia di Cristo, che si ispira a narrazioni apocrife, è assai più raro, ma si conserva nella c.d. chiesa Rossa (sec. 6°) di Peruštica, in Bulgaria.Procopio di Cesarea (De Aed., I, 10, 5) e ulteriori fonti scritte (Anthologia Palatina, I, 106; Costantino VII Porfirogenito, Vita Basilii, V, 87-89; pseudo-Codino, De officiis, IV) testimoniano che decorazioni monumentali a carattere profano, raffiguranti l'imperatore vittorioso e altri soggetti analoghi, decoravano i palazzi.A Roma l'influsso bizantino si manifestò nel sec. 5°, come testimoniano i mosaici sull'arco trionfale della basilica di S. Maria Maggiore (432-440). Tra la fine del sec. 6° e la fine dell'8° l'apporto bizantino in questo tipo di decorazioni si fece più sensibile e consistette soprattutto nella comparsa di tipi iconografici bizantini in immagini corrispondenti alla tradizione romana. Questo fenomeno si può cogliere, per es., nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano (sec. 6°), nell'oratorio di S. Venanzio presso il battistero lateranense (640-642), nella chiesa dei Ss. Nereo e Achilleo (795-816) e soprattutto a S. Maria Antiqua (secc. 7°-9°). Questa penetrazione bizantina nell'antica capitale fu dovuta in quest'epoca all'alto numero di papi greci e, in un secondo momento, all'afflusso di popolazioni greche e orientali che tentavano di sfuggire ai saraceni che avevano invaso una parte dell'Italia meridionale.Nella chiesa di S. Maria foris portas a Castelseprio non si può più parlare di influenze: in questo caso si tratta di affreschi bizantini di qualità eccezionale, assai vicini ai loro modelli antichi, la cui datazione oscilla tra il sec. 6° e il 10°, a seconda delle opinioni degli studiosi.Passando a esaminare le opere prodotte nella periferia orientale del mondo bizantino si notano uno stile più rude e la frequenza della rappresentazione della Teofania-Visione della fine dei tempi nelle decorazioni absidali. Gli elementi che costituiscono queste composizioni si rifanno alle visioni dei profeti dell'Antico Testamento, soprattutto a Ezechiele e a Isaia. Generalmente il Cristo in gloria è circondato dagli astri o dalle loro personificazioni (Sole, Luna, stelle), dai quattro simboli degli evangelisti o dalle gerarchie angeliche: cherubini, serafini, tetramorfi, ruote, arcangeli. In Egitto, nelle cappelle del monastero copto di apa Apollo a Bāwīṭ (secc. 5°-9°) e in quelle del convento di S. Geremia a Ṣaqqāra (secc. 6°-7°), il secondo registro dell'abside presenta la Vergine affiancata dagli apostoli. L'insieme della decorazione absidale appare allora come caricato di un contenuto complesso che allude al legame che unisce l'Ascensione (ascesa di Cristo al cielo e manifestazione della sua natura divina) e la Seconda Venuta (discesa trionfale sulla terra e vittoria definitiva sul male). In alcune cappelle queste rappresentazioni vennero sostituite dall'immagine della Vergine con il Bambino e compare per la prima volta la raffigurazione della Vergine che allatta, grazie all'influenza del culto di Iside, ancora celebrato nel 5° secolo. Sulle pareti erano frequentemente raffigurati santi locali.Anche la Cappadocia ha conservato alcune chiese rupestri che sembrano della prima epoca bizantina con la Visione teofanica rappresentata nell'abside, come nel caso della chiesa di S. Giovanni Battista di Çavuçsin (secc. 7°-9°). In Armenia, la Visione teofanica compare nell'abside delle chiese del sec. 7° di T῾alin, Lmbat e Goš, mentre in Georgia la decorazione absidale a mosaico (sec. 7°) della cattedrale di Cromi (Tbilisi, Gosudarstvennyj mus. iskusstv) mostra Cristo tra due angeli e, più in basso, la Vergine tra alcuni apostoli. In queste regioni, i santi cavalieri vennero rappresentati assai precocemente, già nel sec. 6°, mentre compaiono solo nel 12° nei Balcani, ma anche in quest'area piuttosto raramente.In Siria, le p. dei diversi edifici di culto appartengono all'epoca paleocristiana e in Palestina sono dovuti a maestri bizantini i mosaici della Cupola della Roccia di Gerusalemme (691). L'arte bizantina continuò a persistere in queste regioni anche dopo la conquista araba, ma ne sono pervenuti solo pochi esempi.L'icona, generalmente dipinta a encausto su pannelli lignei, trova i suoi antecedenti nella p. greco-romana. A Roma ritratti mobili a uso funerario erano assai diffusi e quelli del Fayyūm, in Egitto, sono ben conosciuti. Le fonti scritte attestano che icone esistevano a Bisanzio nel sec. 3°-4° e che divennero rapidamente oggetto di venerazione: considerate capaci di intercedere presso Dio, non si ammetteva alcun dubbio sulla loro virtù profilattica. Allo stesso modo esse erano sentite come protettrici della città, come testimonia la leggenda del mandilio di Edessa, del 6° secolo. Alcune immagini erano definite acheropite (v.) e si credeva che l'origine soprannaturale permettesse loro di operare miracoli; le prime icone erano considerate come 'autentiche', giacché si riteneva che quelle del Cristo riproducessero i suoi tratti sulla base dell'impronta lasciata dal suo volto sul tessuto inviato dal re Abgar e che s. Luca avesse dipinto dal vero il ritratto della Vergine. Si riteneva inoltre che i santi fossero apparsi nei sogni o nelle visioni di coloro i quali dovevano rappresentarli. Così si costituirono i tipi somatici che vennero riprodotti nel corso dei secoli con maggiore o minore fedeltà.I principi fondamentali dell'estetica bizantina erano espressi nelle immagini mobili con un rigore ancora maggiore che non nella p. murale. L'icona era oggetto delle preghiere dei fedeli e, a questo titolo, doveva esprimere l'essenza spirituale dei personaggi sacri, la loro perfezione morale e la loro appartenenza a un mondo trascendente. Ciò nonostante, l'immagine mobile ebbe bisogno di un certo tempo per precisare le sue caratteristiche. Le icone dei secc. 6° e 7°, come quelle del Cristo, della Vergine in trono fra s. Demetrio e s. Giorgio, o ancora quella di S. Pietro, tutte nel Mus. di S. Caterina sul monte Sinai, presentano, nonostante la loro ieraticità, numerosi tratti che appartengono alla p. ellenistica. Per contro, a Roma l'icona della Vergine, del sec. 7°, a S. Maria Nova, raggiunge un livello di astrazione che preannuncia esiti futuri.La crisi iconoclastica (726-843) e il classicismo bizantino (secc. 9°-11°). - La disputa sulle immagini raggiunse momenti di rara violenza e le dottrine che ne furono alla base condizionarono la p. per i secoli successivi. I fattori di ordine politico e religioso responsabili di questa crisi furono numerosi, ma è sufficiente menzionarne solo alcuni. L'adorazione delle immagini sacre si era sviluppata al di là di ogni misura ed esse comparivano tanto sulle insegne delle botteghe quanto sugli abiti di cerimonia, come mostra la figura dell'imperatrice Teodora nel mosaico del bema di S. Vitale a Ravenna. Una quantità di leggende trattavano della 'vita delle icone': secondo queste narrazioni le immagini sacre parlavano, si spostavano, piangevano, sanguinavano, combattevano il demonio, guarivano. Per qualcuno, l'infatuazione suscitata dalle immagini religiose si avvicinava all'idolatria.L'Asia Minore era un luogo di fermento religioso e le tendenze al monofisismo vi sopravvivevano malgrado le interdizioni. Il credere nella sola natura divina di Cristo favorì il rifiuto della sua immagine. Inoltre, le incursioni regolari degli Arabi posero le popolazioni dell'impero bizantino in contatto con l'Islam, di religione monoteista ma che nel culto e nell'arte non usava rappresentare la figura umana. Lo stesso imperatore Leone III (717-741), che scatenò la crisi, era stato per lunghi anni stratega di Anatolia e fu portato al potere dai contadini-soldati anatolici. Altre circostanze favorevoli a una condanna delle immagini religiose si aggiunsero alle precedenti e fecero esplodere la crisi. Vennero distrutte immagini, bruciati libri e icone; infine le persecuzioni, le punizioni corporali, che arrivavano fino alla pena di morte, e la chiusura di numerosi conventi provocarono un esodo dei monaci verso l'Italia. Dopo la dura lotta tra iconoclasti e iconoduli, l'imperatrice Teodora, allora reggente per suo figlio Michele III, assistita dal patriarca Metodio, restaurò il culto delle immagini nell'843, nel corso di una solenne celebrazione nella Santa Sofia di Costantinopoli; da allora, l'avvenimento venne commemorato con la festa dell'ortodossia, la prima domenica della Grande Quaresima.Nelle chiese rimangono alcuni rari esempi di decorazioni di epoca iconoclastica, come la croce d'oro nell'abside della Santa Irene a Costantinopoli, le diverse croci delle chiese di Sinasos (od. Mustafapaşaköy) e di Elevra, in Cappadocia, o ancora i motivi floreali e gli uccelli di origine sasanide che si vedono nella cappella di Haghia Kiriaki sull'isola di Nasso nelle Cicladi.Il grande interesse della questione delle immagini si trova nelle dottrine elaborate dai difensori delle icone, come Giovanni Damasceno, il patriarca Niceforo o Teodoro Studita. L'immagine veniva considerata come un supporto materiale, investito di una realtà trascendente. Così, Giovanni Damasceno (Contra imaginum calumniatores orationes tres, II, 14) e il patriarca Niceforo (Antirrheticus, I, 24) precisarono che la grazia o l'energia divina discendeva sull'icona e che quest'ultima ne conservava una piccola parte (Grabar, 1957, p. 245). Teodoro Studita (Antirrheticus, III, 12; Ep., I, 17), dal canto suo, affermava che l'immagine del divino è contenuta nel divino, allo stesso modo che l'ombra presuppone ciò che la proietta e l'impronta del sigillo presuppone il sigillo, ed è prima contenuta nel sigillo. Alla base di queste dottrine si trovava l'incarnazione, giacché era a causa della sua doppia natura, o più esattamente grazie alla sua natura umana, che il Cristo era rappresentabile.Ormai il programma iconografico delle chiese era divenuto un sistema di rappresentazione di grande coerenza interna, che obbediva a regole precise. Una stretta gerarchia, simile a quella della società bizantina, determinava la collocazione delle figure. Al centro della cupola, il Cristo Pantocratore, maestro dell'universo, veglia sul mondo: rappresentato in busto, in un medaglione e raramente in trono, significa al tempo stesso il Padre e il Figlio ed esprime il dogma della consustanzialità. Questa immagine del regno cosmico del Signore costituiva anche un archetipo dell'imperatore e della monarchia terrena; compariva per es. nel sec. 9° in una raffigurazione perduta nella Santa Sofia di Costantinopoli e nel sec. 11° nelle chiese dei monasteri greci di Dafni e di Hosios Lukas.Il Pantocratore è circondato da angeli che formano la sua guardia celeste ed è accompagnato dagli apostoli e dai profeti posti nel tamburo; i pennacchi e le trombe angolari sono riservati agli evangelisti, ritratti nell'atto di scrivere. Il Cristo può anche essere circondato da diverse potenze celesti, come nella chiesa della Trasfigurazione a Koropi, nei pressi di Atene, intorno al Mille. In alcune chiese dai programmi arcaizzanti, in particolare nella Santa Sofia di Salonicco (880-885), nel S. Marco di Venezia (sec. 12°), o in Russia, a Mirož (1156) e a Staraja Ladoga (1160 ca.), è l'Ascensione a essere raffigurata nella cupola.Nella conca absidale la Vergine con il Bambino, simbolo dell'incarnazione, divenne subito la regola. In genere essa è rappresentata in trono, affiancata da due angeli adoranti, o anche in piedi, nell'atto di tenere il Bambino dinanzi a sé. La Vergine è raffigurata anche in posizione di orante, ricordando così il suo ruolo di mediatrice che ne fa anche il simbolo della Chiesa. Nei registri inferiori dell'abside, Maria è accompagnata da apostoli e santi vescovi, generalmente Padri della Chiesa o grandi liturgisti.A partire dal sec. 11°, il secondo registro dell'abside era occupato dalla Comunione degli apostoli, come nella Santa Sofia di Kiev (1040 ca.): vi compariva Cristo in cielo, nel ruolo dell'officiante, assistito da angeli-diaconi, nell'atto di distribuire il pane e il vino agli apostoli che avanzavano in due file convergenti. Si tratta di una visione liturgica del contenuto espresso nell'Ultima Cena, allorché Gesù raccomanda la comunione agli apostoli e annuncia la sua passione. L'eucaristia è il rito centrale, il grande momento mistico della liturgia ortodossa: la sua importanza è sottolineata nel programma dell'abside a partire dalla fine dell'11° secolo. Nel registro inferiore dell'abside i santi vescovi conservano il loro posto, ma appaiono rappresentati di tre quarti e nell'atto di officiare, in particolare negli affrechi di Vodoča, nell'ex Rep. iugoslava di Macedonia. La protesi e il diaconico erano generalmente decorati da immagini veterotestamentarie (Sacrificio di Abramo, Ospitalità di Abramo), che prefigurano il sacrificio volontario di Cristo, e da cicli della vita dei santi o dell'Infanzia di Cristo e di Maria. Le lunette, le nicchie e i registri più alti dei muri erano occupati, come in precedenza, dai cicli delle Grandi Feste. Queste ultime non seguono necessariamente un ordine cronologico, ma corrispondono spesso alla loro evocazione nella liturgia. Ancora poco numerose nei secc. 9°-11°, aumentarono a partire dal 12°, quando ne venivano rappresentate generalmente dodici: l'Annunciazione, la Natività, la Presentazione di Gesù al Tempio, il Battesimo, la Trasfigurazione, la Risurrezione di Lazzaro, l'Entrata a Gerusalemme, le Pie donne al sepolcro, la Discesa al limbo (immagine della risurrezione), la Pentecoste, l'Ascensione e la Dormizione della Vergine. Più in basso, il ciclo dei Miracoli divenne raro, mentre quello della Passione si sviluppò rapidamente, giacché le sofferenze di Gesù ne ricordavano la natura umana che la dottrina degli iconoduli aveva fortemente accentuato. I quattro pilastri che sostengono la cupola simboleggiano i pilastri della Chiesa: di conseguenza sono ricoperti, come gran parte dei muri, dalle immagini di coloro che l'hanno edificata. Vi si trovano i patriarchi che l'hanno prefigurata, i profeti che l'hanno preannunciata, gli apostoli che l'hanno fondata e i martiri che l'hanno testimoniata (Germano di Costantinopoli, Historia ecclesiastica). Sul muro occidentale o nel nartece comparve, a partire dal sec. 11°, un'immensa rappresentazione del Giudizio universale da mettere in rapporto con gli uffici per i defunti celebrati nel nartece stesso, come negli affreschi (1028) della Panaghia ton Chalkeon a Salonicco. Per la medesima ragione il nartece ospita in qualche caso alcune tombe e/o l'immagine della preghiera di intercessione della Vergine e di s. Giovanni Battista (Déesis). In seguito vi si trovavano in misura sempre maggiore ritratti a carattere votivo.Dal punto di vista formale, gli affreschi della chiesa della Panaghia ton Chalkeon a Salonicco non potrebbero tuttavia rivaleggiare con i mosaici di eccezionale qualità del sec. 11° della Grecia (Hosios Lukas, Chio, Dafni): arcaici per la rappresentazione dell'Ascensione nella cupola ed estremamente avanzati per la presenza del primo Giudizio universale datato nel nartece, essi colpiscono per l'audacia del modellato dai tocchi di luce definiti e contrastati.In Macedonia, gli affreschi della Santa Sofia di Ochrida vennero eseguiti intorno al 1040-1050, dopo che la città, strappata ai Bulgari, era ridivenuta bizantina e sede di un arcivescovado autocefalo che dipendeva direttamente dall'imperatore. L'origine dei pittori non è nota, ma la personalità del donatore, l'arcivescovo greco Leone, ha lasciato il suo segno su questa decorazione, giacché nel coro sono rappresentati tredici patriarchi di Costantinopoli. Per la prima volta si trova nel bema un forte richiamo all'eucaristia, non solamente attraverso la Comunione degli apostoli nell'abside, già nota qualche tempo prima, ma soprattutto grazie a un certo numero di scene veterotestamentarie che prefigurano il sacramento e in virtù della rappresentazione - unica nota - della Liturgia di Basilio il Grande. Anche la piccola chiesa monastica della Vergine Eleusa a Veljousa (dopo il 1080) testimonia di un'accresciuta influenza della liturgia sulla pittura. Al centro del registro inferiore dell'abside, tra i santi vescovi officianti, compare l'Etimasia, immagine in cui il trono preparato per la Seconda Venuta porta il vangelo e la colomba. Nella cupola, il Cristo presente sulla calotta è circondato da angeli, da profeti, dalla Vergine e da s. Giovanni nel loro ruolo di intercessori.In quest'epoca il prestigio del mondo bizantino era immenso e i fasti di Costantinopoli erano oggetto d'ammirazione tanto da parte dei principi occidentali quanto da parte dei califfi arabi. Senza difficoltà e - si direbbe - grazie alla bellezza delle sue liturgie e alla forza persuasiva delle icone, Bisanzio riuscì nell'intento di evangelizzare gli Slavi, con la conversione dei Bulgari (852-889), dei Serbi (867-874) e della Russia di Kiev (988 o 999). In tale processo vennero trasmessi a questi popoli un alfabeto ispirato al greco, la traduzione delle Scritture, l'organizzazione politica e il suo cerimoniale di corte, nonché le diverse forme dell'arte bizantina. Tale crescita dell'influenza religiosa e culturale del mondo bizantino contribuì a provocare lo scisma nei confronti della sede romana (1054), la cui ragione ufficiale venne convenzionalmente individuata nella controversia del Filioque, inerente cioè alla processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio.In Russia, il principe Jaroslav I fondò la Santa Sofia di Kiev (1037). Solo l'abside venne decorata da mosaici dallo stile pesante, severo e maestoso, che ricorda al tempo stesso quello di Hosios Lukas e quello della Nea Moni di Chio. Le superfici dipinte ad affresco presentano un ciclo cristologico che comprende scene dall'Antico e dal Nuovo Testamento, con allusione all'eucaristia, un ritratto della famiglia del principe Jaroslav e un ciclo, unico nel suo genere in una chiesa bizantina, che mostra i giochi dell'ippodromo, scene di caccia, musici e danzatori, richiamando così l'arte profana della capitale bizantina. La chiesa della Dormizione nella laura delle Grotte a Kiev, costruita e decorata intorno al 1080 da maestri costantinopolitani, è purtroppo scomparsa a causa di un incendio.In Italia, intorno al 1066, l'abate Desiderio fece ricostruire il monastero di Montecassino e chiamò artisti costantinopolitani per decorarne la chiesa principale, distrutta in seguito a causa di un terremoto (1349). Le descrizioni medievali di questa decorazione citano, tra le altre, le raffigurazioni del Cristo circondato da santi nel catino absidale e scene dell'Antico e del Nuovo Testamento nel nartece (mosaici). Il ciclo della Vita di s. Benedetto, dipinto nella navata, era senza dubbio opera di artisti italiani. Quest'arte, composita al pari dei modelli bizantini di cui si serviva, ebbe un'influenza decisiva sulla p. dell'Italia meridionale. Tra le grandi chiese che ne recano testimonianza la più importante è quella di Sant'Angelo in Formis (1072). L'armonia del drappeggio, la linea ritmica sovrana, le teste di angeli, infine il Cristo in trono nell'abside, benedicente alla maniera greca, così come altri dettagli di queste p., richiamano il mondo bizantino. Alcuni pannelli del nartece - l'arcangelo Michele in costume imperiale, la Vergine imperatrice bizantina - eseguiti nella seconda metà del sec. 12° sono probabilmente opera di maestri costantinopolitani. L'influenza bizantina è presente anche negli affreschi dell'oratorio mariano (fine sec. 11°-inizi 12°) della chiesa romana di S. Pudenziana.Per quel che concerne l'Oriente bizantino, non si registra una marcata evoluzione tra le decorazioni monumentali del sec. 9° e quelle del 12° e ciò permette di raggrupparle in un'unica trattazione. Lo stesso accade per le icone, che sono poco numerose prima del 12° secolo.Se a proposito delle miniature e della produzione in avorio si può a ragione parlare di una rinascenza macedone (dal nome della dinastia regnante nel periodo tra l'867 e il 1056), occorre invece sottolineare che questo fenomeno non caratterizza la pittura.Tradizioni e innovazioni nel 12° secolo. - Il regno dei Comneni (seconda metà sec. 11°-12°) coincise con un'epoca di difficoltà per l'impero bizantino, che perse buona parte dell'Asia Minore, conquistata dai Turchi, e che si vide obbligato a ricorrere a mercenari stranieri per sopperire alla mancanza di soldati. Queste ingenti spese vennero sostenute con un insopportabile aumento delle imposte, che fece piombare intere classi sociali nella miseria e nella disperazione. La devozione popolare uscì in qualche misura rafforzata da queste contrarietà e divenne al tempo stesso intima e sentimentale.Questa nuova sensibilità religiosa, che fece la sua comparsa nella chiesa del monastero di S. Pantaleimone di Nerezi, nell'ex Rep. iugoslava di Macedonia, preannuncia una svolta decisiva nella p. bizantina. La chiesa venne fondata nel 1164 dal principe Alessio Angelo, cugino dell'imperatore regnante Manuele I. La sua decorazione pittorica si distingue per diversi aspetti innovativi. Valori affettivi si introducono ormai nel terreno del sacro e provocano cambiamenti nell'iconografia e nello stile. Una nuova immagine, apparsa per la prima volta intorno al 1156 nel monastero del Salvatore di Mirož a Pskov, nella Russia settentrionale, dove lavorarono fianco a fianco pittori costantinopolitani e russi, assunse tutta la sua importanza a Nerezi. In effetti, il Compianto sul Cristo morto, al pari della Crocifissione e della Deposizione dalla croce, sono in questa chiesa scene assai ricche di pathos. La Vergine, s. Giovanni, le Pie donne, un tempo impassibili, piangono ora sul corpo doloroso di Gesù. La nobiltà degli atteggiamenti e una squisita sensibilità animata dalla compassione per le sofferenze del Cristo costituiscono gli elementi caratteristici di quest'arte raffinata, senza dubbio dovuta a maestri costantinopolitani.Il nuovo sentimentalismo era ormai presente ovunque, come testimoniano anche decorazioni di qualità inferiore a quella di Nerezi, per es. nella chiesa di S. Nicola Kasnitzi a Kastoria o nella chiesa della Vergine Kyparissiotissa nel monastero di Hierotheos a Megara, in Grecia. Conseguenza dell'intrusione di valori affettivi nel territorio del sacro fu l'introduzione della rappresentazione di movimenti rapidi, dello svolazzare dei drappeggi e dei giochi di fisionomie, che si aveva una certa difficoltà a dominare. Si rese necessario inventare un nuovo linguaggio plastico, che impiegò però un cinquantennio a definirsi compiutamente. Nel frattempo, i pittori praticarono lo stile grafico c.d. comneno, dai contorni sempre più nervosi, sottolineati e onnipresenti, giacché la linea che circoscrive tutti i volumi spezzetta le forme. Strane pieghe circolari si dispongono lungo il dorso dei personaggi, mentre altre pieghe svolazzanti guarniscono la parte bassa delle tuniche, come già nella chiesa russa di Starij-Ladoga (1160 ca.), nel monastero atonita di Vatopedi (1197-1198) e nel S. Giorgio di Kurbinovo (1192), nell'ex Rep. iugoslava di Macedonia, i cui affreschi sono stati talvolta definiti in termini di 'barocco bizantino'. In questo scorcio di secolo fecero la loro comparsa soggetti nuovi - i più importanti dei quali collocati tra i santi vescovi officianti nell'abside - come l'Etimasia (Nerezi, Veljousa), la Santa Mensa, ovvero la raffigurazione dell'altare con i santi doni (Bojana, Ss. Nicola e Pantaleimone: primo strato ante 1186), fino a che in questa posizione si insediò definitivamente l'Agnello mistico.Nel sec. 12° si ebbe un importante riavvicinamento tra Costantinopoli e l'isola di Cipro, divenuta base preziosa per le azioni militari dei Bizantini nei confronti dei Turchi selgiuqidi di Anatolia. In quest'epoca venne fondato un certo numero di monasteri e di chiese decorati da p.: tra essi vanno ricordati Haghios Neophitos a Pafo (1183) e la Panaghia tu Araku (1192), nei pressi di Lagudera, le cui raffinate p. debbono molto a Costantinopoli. Ugualmente nella cattedrale di S. Demetrio di Vladimir in Russia (1194) lavorò un pittore costantinopolitano coadiuvato da artisti russi: tra gli altri affreschi egli eseguì un immenso Giudizio universale con angeli dall'aspetto rattristato e sognatore. Ad artefici russi si debbono anche gli affreschi del sec. 12° nelle chiese dell'isola di Gotland, in Svezia.L'icona costituisce l'espressione figurativa per eccellenza della spiritualità bizantina: essa partecipa alla liturgia, ma rappresenta anche il principale supporto della devozione privata che si sviluppò nel 12° secolo. Le icone pervenute anteriori a tale periodo sono assai poche, ma in seguito il loro numero risulta via via maggiore. Il nuovo sentimentalismo, così evidente a Nerezi, toccò anche le icone. La Vergine testimonia la sua tenerezza al Figlio appoggiando la propria guancia a quella del Bambino, come nella celebre icona della Vergine 'affettuosa', c.d. di Vladimir (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.), dipinta a Costantinopoli intorno al 1130, o nell'icona della Vergine Eleúsa di Atene (Byzantine Mus.). L'icona bilaterale di Kastoria (Atene, Byzantine Mus.) mostra il Cristo di Pietà segnato dal dolore e, sulla faccia opposta, Maria con il Bambino profondamente rattristata. Parallelamente a questa tendenza alla manifestazione dei sentimenti da parte dei personaggi sacri, si affermò un desiderio di decorare l'immagine con materiali preziosi o di imitarli con la pittura. Poche opere riflettono meglio l'eleganza e l'estrema raffinatezza della corte bizantina di un'icona dell'Annunciazione (S. Caterina sul monte Sinai, Mus.), eseguita a Costantinopoli alla fine del 12° secolo. Le architetture dorate, arricchite di piante anch'esse in oro, si distaccano su un fondo dello stesso colore, mentre la marcia danzante dell'arcangelo si accorda con le graziose posizioni dei volatili che popolano il paesaggio nilotico nella parte inferiore della scena. I rivestimenti d'oro e d'argento di una parte dei dipinti su legno divennero frequenti. Infine, alcune icone monumentali (altezza m 2 ca.), come la Vergine orante, l'Annunciazione di Ustjug, il S. Giorgio stante, tutte conservate a Mosca (Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.), fecero la loro apparizione nei principati russi, ma anche altrove.Dopo una lenta evoluzione che proseguì dal sec. 9° all'11°, l'antica recinzione corale venne modificata. Fino a quel momento, essa era consistita di alcune lastre di recinzione sormontate da colonnette che a loro volta sorreggevano un architrave o epistilio. Alla fine del sec. 11° quest'ultimo appare carico di icone raffiguranti le Dodici Feste o la Déesis, seguite da santi. Progressivamente, anche lo spazio tra le colonne venne riempito da icone del Cristo, della Vergine con il Bambino, del santo patrono della chiesa o da altri soggetti meno frequenti; l'insieme, che assunse il nome di iconostasi, era coronato da una croce dipinta. Le porte di questa recinzione erano generalmente occupate dall'arcangelo e dalla Vergine dell'Annunciazione. La funzione dell'iconostasi era duplice: separare il santuario dal naós e ricevere, solo nel caso delle icone, le preghiere dei fedeli.Nell'Oriente bizantino, le differenti tappe evolutive fin qui ricordate trovano scarso riscontro. In epoca mediobizantina, le differenze nei programmi iconografici in rapporto a quello costantinopolitano si fanno notare in alcune parti della chiesa. Così, l'abside è occupata soprattutto dalla Visione dei profeti e dalla Déesis o, più raramente, dalla Vergine con il Bambino. I due primi schemi si distinguono d'altro canto per la presenza di dettagli originali: la Déesis non si limita più al Cristo affiancato dai due intercessori principali, ma include tutti gli elementi che compongono la Visione teofanica, cosa che non accade a Costantinopoli.Per quanto riguarda invece i programmi, più rari, con la Vergine nella calotta absidale, essi si differenziano generalmente da quelli abituali a Costantinopoli per le rappresentazioni che trovano posto nei registri inferiori dell'abside, in cui la Comunione degli apostoli è sostituita nella maggior parte dei casi da altri soggetti. Le cupole, le volte e i soffitti recano la croce, l'Ascensione e la Glorificazione della croce portata da molti angeli o ancora la Déesis in luogo del Pantocratore (in Georgia). Per quanto riguarda le immagini evangeliche, rappresentate in forma di fregio continuo nei secc. 9°-10° in Cappadocia, esse seguono ovunque schemi paleocristiani o protobizantini e, in qualche caso, varianti più specificamente palestinesi, in particolare nella Crocifissione. I santi cavalieri, assenti nei programmi decorativi che seguono l'impianto costantinopolitano e rari a partire dalla fine del sec. 12°, sono invece frequenti in tutto l'Oriente nel corso del Medioevo. Infine, l'immagine della Visione di s. Eustachio, altrove eccezionale, è frequente nelle chiese cappadoce e georgiane. Nelle cappelle rupestri di Cappadocia, la Visione dei profeti è arricchita di elementi numerosi e variati. Al nucleo centrale della composizione, con il Cristo in gloria circondato dai quattro animali apocalittici, vennero aggiunti non solo i diversi ordini angelici - cherubini, serafini, tetramorfi, ruote, arcangeli - citati nei testi, ma anche gli astri, come nella Haçlı Kilise (sec. 10°), e i profeti. Le labbra di Isaia sono purificate da un angelo che tiene il carbone ardente (Is. 6, 6-7), mentre un altro angelo porge a Ezechiele il rotulo da mangiare (Ez. 2, 8-9; 3, 1-3), per es. nelle chiese 1 e 3 di Güllü Dere, nei pressi di Çavuşin. Nei Ss. Apostoli di Sinasos (sec. 10°), la Visione profetica è prolungata dall'immagine assai rara dello stagno di fuoco, interpretato anche come il mare di cristallo descritto nell'Apocalisse (15, 2). In Oriente, la Déesis riprende gli elementi della Visione teofanica, cui si aggiungono la Vergine e s. Giovanni Battista in preghiera, come si può vedere nel S. Giovanni di Güllü Dere (913-920). La Vergine con gli apostoli compare frequentemente nel secondo registro dell'abside, come nella Pürenli Seki Kilisesi o nella Yılanlı Kilise (secc. 10°-11°). I soffitti, le volte e le calotte sono occupati dalla croce, dall'Ascensione (chiesa 1 di Balkanderesi; El Nazar Kilisesi, sec. 10°) e dalla Pentecoste.Nonostante i contenuti di queste immagini, che testimoniano una vera erudizione teologica, il loro stile deriva dalla tradizione locale, di tipo popolare; vi sono tuttavia delle eccezioni, come gli affreschi delle chiese vecchia e nuova di Tokalı (sec. 10°) o quelli delle tre chiese di Göreme: Elmalı Kilise, Çarıklı Kilise (secc. 11°-13°) e Karanlık Kilise (sec. 11°). Nessuno di questi insiemi raggiunge tuttavia la qualità delle opere uscite dalle grandi botteghe dell'impero. Nelle chiese decorate tra il sec. 12° e il 14° si continuò a rappresentare il programma iconografico di cui si è già parlato. Così, nella Karşı Kilise (1212) la Déesis compariva nell'abside, mentre il Cristo in trono occupa la medesima posizione a S. Michele di Ihlara (Belisırma) o a Yeşilköy (secc. 13°-14°).Particolarmente sviluppata in Cappadocia e in Egitto fino al sec. 13°, la Visione dei profeti venne abbandonata in Georgia a partire dalla fine dell'11°: d'altro canto essa non comprendeva né i quattro animali, né i profeti, ma presentava numerosi dettagli originali. Nelle cappelle del monastero di Sabereebi (secc. 9°-10°) della tebaide di David-Garedja si trova il trono di Cristo coperto di occhi, così come le ali dei cherubini (Ez. 10, 12), o ancora un angelo che tiene una coppa che non può che essere quella dell'Eucaristia (cappella nr. 7). Nella chiesa del monastero di S. Dodo (sec. 11°), nella stessa regione, sono inclusi nell'immagine della Visione teofanica le personificazioni del Sole e della Luna e i tetramorfi coperti d'occhi che proferiscono il grido del Trisághion, così come le ruote fiammeggianti e due arcangeli ieratici che tengono il globo e il labaro. Altri schemi di Teofanie-Visioni si ritrovano nelle chiese della Svanezia, in particolare ad Ac e nella chiesa del Salvatore di Tchvabiani (secc. 10°-11°), o ancora a Tbeti (sec. 11°), oggi in Turchia; in quest'ultima chiesa, la Vergine e s. Giovanni in intercessione occupano il secondo registro e stabiliscono un legame diretto tra la Visione teofanica e la redenzione. A partire dalla fine del sec. 11°, la Déesis sostituì in Georgia la Visione profetica, come si può vedere nelle absidi di Zemo Krikhi e Mackhvariši. Essa assume caratteri di originalità a partire dal sec. 12°, allorché, in alcuni casi, vi compare una moltitudine di angeli, altrove ignoti (chiese di Nakipari, Cvrimi, Iprari).Alla sommità delle volte compare in Georgia un'immagine particolare: il Trionfo o l'Ascensione della croce. Quattro angeli in volo tengono la croce gemmata della Seconda Venuta, circondata da una gloria (nartece della cappella meridionale di Gelati, sec. 12°; chiesa della Vergine a Bertubani, 1212-1213). Al centro della cupola si trovava questa medesima composizione o solamente la croce gemmata, circondata dalla Déesis, cui si aggiungono alcuni profeti che portano cartigli con brani delle loro profezie, come a Manglisi (sec. 11°) e a Kincvisi (1207-1210), o da angeli, come a Ikorta (1172) e Timotesubani (1215 ca.). In queste chiese, la Vergine con il Bambino occupa la conca absidale. La si vede anche nella chiesa di Ateni (1080 ca.), il cui programma particolarmente ricco mostra un Giudizio universale, seguito da ritratti regali, e un ciclo sviluppato dell'Infanzia della Vergine. Il secondo registro di queste absidi con la Vergine con il Bambino non è occupato dalla Comunione degli apostoli, secondo la regola costantinopolitana (tranne nel caso di Ikorta), ma da santi in ordine sparso (Kincvisi), da apostoli che adorano la croce (Ateni), dalla Missione degli apostoli (Timotesubani). Queste stesse chiese si distinguono per uno stile assai elaborato, per le composizioni armoniose e per una relativa integrazione dei canoni della bellezza antica (Timotesubani).Oltre alla grande quantità di icone in metallo lavorato a sbalzo, incrostate di pietre preziose o di placche di smalto, in Georgia vennero eseguite anche, ma in numero minore, icone dipinte (Tbilisi, Gosudarstvennyj mus. iskusstv; Mestia, Mus. Statale di Storia ed Etnografia della Svanezia). Una delle più interessanti è quella dei Quaranta martiri (Mestia, Mus. Statale di Storia ed Etnografia della Svanezia), del sec. 13°, in cui le figure compiono movimenti più variati e più patetici rispetto ad ogni altro schema finora noto.In Armenia, la maggior parte delle testimonianze di p. monumentale è andata distrutta. In alcune province, come il Vaspurakan, il monofisismo, che negava la natura umana di Cristo, impedì lo sviluppo della decorazione monumentale. Ciò nonostante, gli affreschi conservati mostrano che anche in questa regione ci si conformava alle regole iconografiche correnti nella periferia orientale del mondo bizantino. Così, nella chiesa della Santa Croce di Ałt῾amar (915-921), la Déesis compare nel catino absidale. Sulle pareti si dispongono un ciclo della Genesi e un altro che riporta la storia evangelica, in cui alcune scene, per es. la Crocifissione, adottano antichi schemi palestinesi. Lo stile è segnato dall'influenza dell'arte araba. Le p. del monastero di Tat῾ev (intorno al 930) sono state attribuite a pittori franchi, elemento questo che deve tuttavia ancora essere provato, giacché il loro stile è assai vicino a quello di Ałt῾amar. La Déesis compare nuovamente nell'abside della Santa Croce di Hałbat (sec. 13°); essa è raffigurata inoltre con una moltitudine di angeli in un timpano del S. Gregorio di Kečaris, il cui stile testimonia di una forte influenza mongola. La decorazione della chiesa di K῾obayr - con la Vergine nell'abside e un Giudizio universale assai sviluppato nella parte occidentale dell'edificio - viene attribuita tanto a pittori armeni del sec. 12°, quanto ad artisti georgiani che avrebbero lavorato nel secolo successivo. Infine, la chiesa di S. Gregorio ad Ani, fatta edificare da Tigrane Honenc῾ nel 1215, venne decorata da maestri georgiani, ma secondo un programma iconografico armeno, giacché vi compare, nel braccio occidentale, il ciclo della vita del santo nazionale, Gregorio Illuminatore.In Siria, gli affreschi del Mār Ya῾qūb di Qara (sec. 12°) e quelli del Mār Elian di Ḥomṣ (secc. 12°-13°) con la Déesis nell'abside si riallacciano sia alla tradizione orientale sia a quella dell'Oriente bizantino, mentre la decorazione di Mār Mūsà al-Ḥabashī presso Nebek (1058-1192) si conforma ai programmi bizantini orientali. La Visione teofanica o la Déesis figurano nel catino absidale, la Vergine e i santi vescovi sono disposti nel secondo registro dell'abside e un Giudizio universale dalla insolita formulazione, con la Vergine che tiene le anime dei giusti, occupa il muro occidentale; dieci frammentarie figure di cavalieri costituiscono un elemento originale di questa decorazione. Nel Libano, alcune cappelle rupestri presentano la Déesis nell'abside, come nel caso della chiesa di S. Marina, presso Tripoli, o ancora nelle chiese di Bahdeidat (sec. 13°).Nel S. Geremia di Abū Gōsh (sec. 12°), la Déesis dell'abside orientale è messa in relazione con la Discesa al limbo e con un episodio del Giudizio universale raffigurati nelle absidi nord e sud.In Egitto, dopo la conquista araba (641), l'arte cristiana continuò a essere praticata dalla minoranza copta. Molti monasteri con p. dei secc. 12°-13° hanno conservato la decorazione absidale e alcune figure frammentarie di santi in posizione stante, di arcangeli e di santi cavalieri. Così, l'abside orientale del convento Bianco (1076) presso Sōhāg, dipinta da un armeno, è occupata da una strana Déesis in cui le minuscole figure della Vergine e di s. Giovanni Battista sono rappresentate nell'arco absidale, mentre Cristo in gloria e gli elementi della Visione teofanica che lo circondano riempiono il campo pittorico del catino. Un'altra Déesis nell'abside meridionale di questa chiesa presenta la croce al posto del Cristo. La Visione teofanica con il mare di cristallo e la Déesis decorano le absidi delle chiese del convento dei Martiri (Dagr al-Shuhadā), del sec. 13°, a Esna; la Déesis compare anche nell'abside del monastero di Sant'Antonio presso il mar Rosso (sec. 13°) e una Visione dei profeti, pressoché distrutta, occupava quella del convento di S. Simeone ad Assuan; alcune p. si sono conservate anche nel convento Rosso (1301). Presso i Copti lo stile bizantino venne integrato non solo con elementi siriaci, ma anche con altri di origine iranica e indiana.In Nubia, i richiami all'Antichità greco-romana lasciarono il posto alla geometrizzazione delle forme e alla negazione quasi completa del volume e del movimento delle figure. Ciò nonostante quest'arte, uscita dalla tradizione bizantina ma influenzata da opere più antiche di origini diverse, impressiona lo spettatore per la strana e maestosa bellezza. Vi si vedono soprattutto figure isolate (re, signori, prelati, angeli, santi anacoreti, santi cavalieri, croci trionfali della Seconda Venuta con gli angeli o i quattro animali all'intersezione dei bracci) e pochissime scene dell'Antico e del Nuovo Testamento. Gran parte delle p. parietali provenienti dalla cattedrale di Faras, pertinenti a epoche diverse, è stata staccata e conservata nel Muz. Narodowe di Varsavia (arcangelo Gabriele, sec. 8°; vescovo Pietro protetto dal santo patrono, 975 ca.) e nel Nat. Mus. di Khartoum (Tre giovani ebrei nella fornace, sec. 10°; Principi nubiani protetti dalla Vergine, sec. 12°).Per ciò che riguarda l'Occidente mediterraneo, va ricordata infine l'Italia. Particolare importanza per la penetrazione di influssi bizantini nella penisola ebbero gli affreschi della cattedrale di Aquileia (1019-1042) e quelli nella sua cripta, forse opera di un greco intorno al 1200: il senso del dramma e l'espressione di un dolore così violento che sfiora la disperazione caratterizzano in questo ambiente le immagini della Crocifissione, della Deposizione dalla croce e del Compianto sul Cristo morto.Influenze bizantine continuarono a manifestarsi altrove in Italia, dove appaiono più sottili e più sfumate che non nelle decorazioni fin qui citate. Tra le altre possono essere ricordate le p. dell'abbaziale di S. Pietro in Valle a Ferentillo (ultimo quarto sec. 12°) e di S. Giovanni a Porta Latina a Roma (1191-1198). Dall'Italia, le influenze bizantine penetrarono in Spagna, per es. nell'abbaziale di San Quirze a Pedret in Catalogna, e in Francia, come nella cattedrale di Le Puy in Alvernia.Un'arte del tutto diversa - versione popolare di modelli più compiuti - si trova nei piccoli santuari rupestri dei monaci basiliani in Italia meridionale, decorati in un arco di tempo che va dal 10° al 15° secolo. Il catino absidale è occupato dal Cristo in trono, dalla Visione dei profeti, dalla Déesis o dalla Vergine con il Bambino; le pareti laterali presentano alcune scene evangeliche e numerosi santi in posizione stante. In qualche caso, nel sistema di rappresentazione bizantino sono integrati tratti che si ispirano all'arte romanica, come nel S. Nicola a Mottola (prov. Taranto); in altri esempi si tratta di un'arte romanico-bizantina, come S. Vito a Gravina di Puglia (prov. Bari). Queste chiese rupestri sono numerose soprattutto in Campania, nella zona di Benevento, in Puglia, in Basilicata e in Calabria, ma influenze bizantine più discrete si colgono anche nelle p. di migliore qualità delle chiese erette nei dintorni di Bari, di Lecce e di Taranto.La rinascenza paleologa (1261-1453). - La conquista di Costantinopoli da parte dei crociati nel 1204 rappresentò un colpo assai duro per i Bizantini ma, attraverso un curioso percorso, diede nuovo slancio alla corrente umanista del 12° secolo. I Bizantini confrontandosi con gli invasori latini presero coscienza dei legami che li ricollegavano all'Antichità greca e il loro orgoglio ferito cercò una compensazione nel campo culturale, inducendoli a pensare che le opere antiche facessero parte del loro patrimonio. La barriera che la Chiesa aveva eretto tra la tradizione pagana e quella cristiana fu eliminata e ci si interessò appassionatamente all'arte antica, senza comprenderne veramente lo spirito. A Nicea, nuova capitale bizantina, la letteratura, la filosofia, la p. e la scultura ebbero un nuovo impulso, preparando una vera rinascita delle lettere e delle arti.Nonostante le importanti innovazioni al suo attivo, la rinascenza paleologa rimase profondamente bizantina nello spirito e nelle forme e non potrebbe essere confrontata con quella che si sarebbe annunciata nel sec. 14° in Italia. Prigioniera del suo passato, troppo glorioso e monolitico per poter essere rigettato, la p. bizantina partecipava alla liturgia e, dopo l'iconoclastia, era ritenuta capace di captare particelle dell'energia divina. Sacralizzata al massimo, essa non poteva godere di una libertà comparabile a quella che esisteva in Occidente alla stessa epoca. Generalmente la critica data questa rinascenza in base alla dinastia di cui porta il nome e fa coincidere i suoi inizi con la riconquista di Costantinopoli da parte di Michele VIII Paleologo nel 1261. Questa teoria, funzionale per gli storici e adottata pressoché unanimemente, si trova però in contrasto con la testimonianza resa dalle opere: già intorno al 1210 gli affreschi della chiesa della Vergine a Studenica, in Serbia, eseguiti da un maestro costantinopolitano, annunciavano lo stile monumentale del sec. 13° e inoltre sia quelli del monastero serbo di Mileševa (1236 ca.), probabilmente della medesima origine, sia quelli della chiesa serba dei Ss. Apostoli a Peć (cupola e abside, 1233), sia quelli di S. Giorgio a Oropos, in Beozia, sia infine quelli dell'Acheiropoietos di Salonicco (1230 ca.) presentano personaggi dai corpi voluminosi e dai volti carnosi, modellati per mezzo di ombre e di luci che indicano la grande svolta avvenuta nel trattamento delle forme.Il nuovo linguaggio plastico fu certamente elaborato, nel corso della prima metà del sec. 13°, a Nicea - dove gli affreschi della Santa Sofia sono però andati perduti -, e a Salonicco, seconda città dell'impero. Esso raggiunse la sua pienezza nel monastero serbo di Sopočani (1265), uno dei capolavori dell'arte duecentesca, e coincise con la potenza economica e l'alto livello culturale raggiunti dal giovane regno serbo sotto la dinastia dei Nemanja. Le ultime importanti p. dello stile monumentale nell'area balcanica sono quelle della chiesa di S. Clemente a Ochrida (1295), dove i personaggi piuttosto pesanti e i colori fortemente contrastati coincidono con la comparsa di una grande quantità di nuovi soggetti, tra cui il ciclo dettagliato della Dormizione della Vergine. Benché segnati da alcuni arcaismi, gli affreschi più recenti (1259) della chiesa dei Ss. Nicola e Pantaleimone a Bojana sono animati dalla corrente umanista e dalla sensibilità religiosa tipiche dell'epoca, cui si debbono le fisionomie ispirate dei santi e un mirabile ritratto della sebastocratorissa Desislava.Nell'area dell'impero si conservano decorazioni pittoriche di rara qualità, come gli affreschi della Santa Sofia di Trebisonda (post 1250), dal modellato di stupefacente policromia: la cupola presenta una moltitudine di angeli in volo, seguiti da apostoli, profeti ed evangelisti (nei pennacchi).Tra gli affreschi conservati nelle piccole chiese della Grecia, alcuni recano testimonianza di un'arte colta, come quelli della Vergine Olympiotissa di Elasson (1296 ca.), dell'Omorphi Ekklesia di Egina (1282), con l'Etimasia sull'arco absidale, o ancora quelli della chiesa della Vergine a Nasso, mentre altri (S. Giorgio a Kalyvia Kuvaras) permettono di osservare correnti tradizionaliste di ispirazione popolare.Con il nuovo umanesismo e con l'accresciuta importanza dell'individuo si ampliarono gli ambiti sociali da cui potevano provenire i donatori. Nelle chiese i ritratti si moltiplicarono e si diversificarono: assumendo un carattere votivo, accadeva che venisse rappresentata un'intera famiglia di donatori, sia in scene d'investitura (Cristo incorona il sovrano e la sua sposa), sia in scene trionfali (il sovrano riceve la lancia e la spada dagli angeli), sia in scene veterotestamentarie, in rapporto con Sal. 21 (20) che glorifica il principe. L'albero genealogico del sovrano, in particolare quello dei Nemanja in Serbia, è ricalcato sull'albero di Iesse e posto a fianco di quest'ultimo, raffigurato sul muro occidentale del naós (monastero di Dečani, 1350 ca.). Il ritratto di rappresentanza dei sovrani presenta la coppia regnante anche quando non è direttamente responsabile della donazione, come a Bojana (1259), mentre i ritratti funerari sono numerosi negli affreschi (1315-1320) della chiesa costantinopolitana del S. Salvatore di Chora (od. Kariye Cami). Questo affermarsi del ritratto avvenne parallelamente alla comparsa nei programmi decorativi delle chiese di scene storiche, come i concili locali raffigurati accanto ai sette concili ecumenici (per es. nel S. Achilleo ad Arilje, in Serbia, 1296), il ciclo della Vita di Simeone Stefano Nemanja, fondatore della dinastia e in seguito canonizzato (per es. nella chiesa della Vergine nel monastero serbo di Studenica, 1208-1209), l'immagine della Morte della regina Anna Dandolo (per es. nel monastero di Sopočani, 1265-1270), calcata su quella della Dormizione della Vergine, o quella di vescovi locali (per es. nel S. Achilleo ad Arilje). Ritratti di questi stessi vescovi sono in qualche caso inseriti nel corteo dei santi vescovi officianti nel registro inferiore dell'abside: in una chiesa come quella dedicata al Salvatore a Žiča (1219-1234), centro dell'arcivescovado indipendente serbo, il registro mediano dell'abside è costituito da trentaquattro ritratti di vescovi, igumeni e altri rappresentanti della Chiesa serba, raffigurati in busto e circondati da incorniciature. Si tratta di innovazioni assai audaci nel contesto bizantino, che si spiegano in Serbia con l'ambizione dei re sostenuti dalla Chiesa. Nel sec. 14° i vescovi nazionali compaiono anche nel nartece delle chiese della Serbia: così, nella chiesa della Vergine Ljeviška a Prizren, una parte di questo ambiente è occupata dai ritratti degli arcivescovi Arsenije, Saba II, Jacov, Jevstatije I, Janicie I e da quelli di un certo numero di vescovi.L'arricchimento iconografico, già notevole nel sec. 13°, si intensificò in quello successivo a causa di tre fattori principali: l'accresciuta influenza della liturgia sulla p. monumentale, le tendenze narrative, che andavano affermandosi grazie alla drammatizzazione della storia della salvezza e alla corrente umanista che si manifestava nell'arte, e lo sviluppo dei testi agiografici. Il programma decorativo dell'abside si definì agli inizi del sec. 13° e rimase in seguito immutato nei suoi elementi essenziali. Nel catino compare la figura della Vergine, sotto cui si dispongono la Comunione degli apostoli e la liturgia terrena, orientate verso l'immagine del Sacrificio eucaristico al centro. In qualche caso, tra questi registri principali si trovano figure di santi, in busti o in medaglioni.Nuovi cicli vennero creati per illustrare gli inni e le preghiere della liturgia. Nelle ventiquattro immagini dell'inno acatisto (S. Nicola Orphanos a Salonicco, 1320 ca.) veniva glorificata la Vergine, così come del resto avveniva nello Sticherario del Natale (S. Clemente a Ochrida). Alcune composizioni e alcuni tipi del Cristo, come l'Ecce Homo (monastero di Marko nei pressi di Skopje, 1346-1371) o il Cristo Anapesón, o Occhio vigilante (Peribleptos di Mistrà, seconda metà sec. 14°), sono caratterizzati da un simbolismo polivalente e significano al tempo stesso il sacrificio sulla croce e la risurrezione. Altre immagini simboliche, come quelle della Vergine-Fonte di vita che porta il Bambino in un recipiente dinanzi al petto (Mistrà, chiesa della Vergine Odighitria), il Cristo-Saggezza divina, giovane, alato, aureolato (Ochrida, S. Clemente, nartece, sec. 14°), il Cristo-Angelo del Gran Consiglio (Ochrida, S. Clemente; Boboševo in Bulgaria, S. Teodoro Tirone, sec. 14°), il Cristo-Gran sacerdote, con le insegne vescovili (Lesnovo, in Macedonia, monastero dei Ss. Arcangeli, 1349), testimoniano il desiderio degli ideatori della decorazione di farne un equivalente plastico della liturgia. Soggetti già noti in precedenza, come la Visione di s. Pietro di Alessandria, che illustra la lotta della Chiesa contro le eresie, divennero in quest'epoca pressoché obbligatori nella protesi. Le rappresentazioni dell'Antico Testamento che prefiguravano il Nuovo divennero frequenti nel coro e veicolavano soprattutto un simbolismo eucaristico. Lo stesso può dirsi per la composizione detta Divina liturgia, che occupa generalmente il tamburo della cupola (Lesnovo) e mostra Cristo sacerdote e gli angeli come diaconi, che recano il vasellame liturgico, la croce, l'epitáphios, come nel rito della Grande Entrata, che, nell'officio reale, è la processione delle offerte eucaristiche. L'immagine illustra il rito di questo momento della liturgia.L'Ascensione occupa la volta dinanzi all'abside, secondo uno schema che è frequente a partire dal sec. 12°, ma a cui si aggiunsero in qualche caso nuove scene: Cristo che appare agli apostoli prima dell'ascensione (Mistrà, chiesa dell'Evanghelistria, sec. 14°), o la Pentecoste. Dal canto suo, la tradizionale immagine di risurrezione rappresentata dalla Discesa al limbo non sembrava più essere sufficiente per offrire ai fedeli prove ulteriori dell'avvenimento e il ciclo delle Apparizioni di Cristo dopo la morte occupa in alcune chiese la parte alta del coro (Curtea de Argeş in Valacchia, S. Nicola, sec. 14°; monastero del Protaton a Karyai sul monte Athos, 1300 ca.; Kalenić in Serbia, monastero della Vergine, 1405 ca.). Le immagini della Trinità divennero più frequenti e più complesse rispetto al passato. Così nella Peribleptos di Mistrà la protesi presenta Dio Padre (rappresentato in principio nel mondo bizantino come l'Antico dei Giorni, vale a dire sotto le spoglie del Figlio), con i piedi che poggiano sulla colomba dello Spirito Santo, e il Cristo della Divina liturgia, dando così vita a un'immagine trinitaria.L'iconografia mariana si sviluppò in tre direzioni principali: il ciclo dell'Infanzia della Vergine apparve in questa fase composto da numerosi episodi, alcuni dei quali permeati da una particolare tenerezza (Mistrà, Peribleptos; Costantinopoli, S. Salvatore di Chora); la Dormizione della Vergine divenne un ciclo che comprendeva l'Addio di Maria, la Distribuzione delle sue vesti, la Morte, la Sepoltura e, in qualche caso, la sua Assunzione (Ochrida, S. Clemente; monastero di Gračanica in Serbia, 1321-1322 ca.; Mistrà, Vergine Odighitria, 1313-1322), mentre in altre chiese (Berendi in Bulgaria, sec. 14°), la Dormizione è affiancata dai santi melodi che la cantarono, Giovanni Damasceno e Cosma di Maiuma. Infine conobbero un crescente successo le prefigurazioni di Maria, come Mosè e il roveto ardente o l'Arca dell'alleanza (Costantinopoli, S. Salvatore di Chora).I cicli che narravano le vite dei santi, già presenti nel sec. 12°, si ampliarono e a essi si aggiunse il Menologio, che corrisponde a precisi periodi dell'anno liturgico (monastero di Dečani, trecentocinquanta immagini, una per ciascun giorno dell'anno). In qualche caso appaiono illustrati anche la Missione degli apostoli, i loro Atti (Matejič in Serbia, metà sec. 14°), o anche gli Atti dell'arcangelo Michele (Lesnovo).Al di là di questi temi nuovi, interi cicli si svilupparono da soggetti espressi precedentemente in una sola composizione. A partire dall'ultimo quarto del sec. 13° i cicli raddoppiarono o triplicarono il numero degli episodi e all'interno di ciascuna immagine si moltiplicarono personaggi, arredi, architetture e oggetti. Questa profusione non fu dovuta solamente alla drammatizzazione delle scene e all'umanizzazione dei personaggi sacri. Il pensiero teologico dei secc. 12°-14° fu dominato, come la p. che ne costituisce l'eco, da una tendenza che andava dal semplice al complesso e dall'astratto al concreto. La liturgia e soprattutto l'ufficio della protesi si erano sviluppati a partire dal 12° secolo. Nel sec. 14° il teologo Nicola Cabasila (Sacrae liturgiae interpretatio; De vita in Christo, VIII) espresse la volontà di far rivivere al cristiano nella sua carne l'opera della salvezza: le immagini che componevano l'insieme della decorazione erano concepite come un equivalente plastico della liturgia, che aiutava il cristiano a rivivere il dramma sacro fin nel più profondo del proprio essere.Nel sec. 14° la monumentalità, per qualche verso scultorea, delle figure del 13° scomparve in favore di personaggi più fragili, dai corpi slanciati, che talvolta compiono movimenti al tempo stesso vivaci e graziosi. Nuovi colori arricchirono la tavolozza, creando effetti cangianti e facendo nello stesso tempo tondeggiare le forme. Lo sfondo architettonico conferiva alle composizioni una certa profondità, senza peraltro dar loro un aspetto realistico. Mosaici di squisita raffinatezza, un po' manieristi e abbaglianti su fondo oro, si trovano nella chiesa costantinopolitana del S. Salvatore di Chora. A essi si affiancano gli affreschi del parekklésion meridionale, a destinazione funeraria, dei quali fa parte un magnifico Giudizio universale, eccezionalmente posto nella parte orientale della chiesa.Le botteghe di Salonicco sembrano aver giocato un ruolo importante non solo in Grecia, ma anche in Serbia e in Macedonia, ragion per cui appare appropriata la definizione di scuola macedone. Negli affreschi della cappella di S. Eutimio (1303) e in quelli delle chiese di S. Demetrio e S. Nicola Orphanos a Salonicco o nelle p. che decorano la chiesa macedone di Haghios Christos a Verria (od. Beroia) si afferma una tendenza al realismo che resta tuttavia assai controllata. Da Salonicco provenivano anche i pittori attivi sul monte Athos, dove si sono conservate solo alcune decorazioni del sec. 14°, in particolare nel Protaton di Karyai e nella chiesa del monastero serbo di Chiliandari. Le chiese dei conventi di Mistrà, i cui affreschi appaiono sapientemente ritmati e in qualche caso influenzati da miniature e icone, appartengono alla stessa famiglia e si collocano tra il 1292 (Metropoli) e il 1420 (Pantanassa). Kastoria continuò a essere un centro artistico importante, benché in qualche caso con connotati di provincialismo. P. di qualità decorano le chiese di S. Atanasio, dei Taxiarchi e della Panaghia Kubelidiki. Piccole chiese decorate da affreschi del sec. 14°, di ispirazione popolare, sono disperse nella parte meridionale del Peloponneso e sulle isole (Eubea, Nasso, Citera). A Creta esse sono ugualmente numerose nel sec. 14° (per es. Potamies, Xydas) e alcuni tratti iconografici che le caratterizzano (Cristo o la Déesis nell'abside) sono forse dovuti a un'influenza cappadoce legata all'immigrazione dall'Asia Minore verso l'Italia di monaci per i quali Creta rappresentava una sosta obbligata.Lo spirito di conquista e l'alto livello culturale dei re e dei prelati del regno serbo spiegano sia il fatto che essi chiamassero artisti da Costantinopoli e da Salonicco sia la qualità eccezionale delle p. eseguite in quest'epoca. Queste sono caratterizzate da un approfondimento teologico, da un'influenza della liturgia ancor più forte che altrove e da una quantità impressionante di ritratti di contemporanei, in qualche caso inseriti all'interno di scene a carattere religioso. La decorazione delle chiese serbe e macedoni di Ss. Anna e Gioacchino a Studenica, di Gračanica, di Staro Nagoričino presso Kumanovo, di S. Niceta di Čučer presso Skopje e della Vergine Ljeviška di Prizren, tutte databili agli inizi del secolo, è caratterizzata dai tratti appena citati. Due grandi pittori, Michele Astrapas ed Eutichio, probabilmente provenienti da Salonicco, lavorarono in alcune chiese della Macedonia e lasciarono le loro firme nel S. Giorgio di Staro Nagoričino (1316-1318) e altrove. Intorno alla metà del secolo, e poi nel cinquantennio successivo, si osserva in qualche caso un ritorno a forme più tradizionali e di uno stile più severo, come nel caso di Dečani. Alcuni studiosi (Bréhier, 1914; 1930; Vasić, 1930) vi colgono un'influenza della corrente esicastica che trionfava a Costantinopoli e che combatteva vigorosamente le idee umaniste insieme a tutto ciò che poteva avvicinare i Bizantini all'Occidente. Alla fine del sec. 14° e agli inizi del 15° la p. serba conobbe un'ultima fioritura nel piccolo regno del principe Lazzaro (1371-1389), in cui si sviluppò la scuola della Morava. Le sue migliori realizzazioni si trovano nelle chiese dei monasteri di Ravanica, Manasija e Kalenić. I personaggi sacri, sontuosamente vestiti, testimoniano uno stato d'animo malinconico che annunciava la scomparsa del regno e l'avanzata dei Turchi nei Balcani. Nel sec. 15° una scuola di ispirazione popolare per ciò che riguarda lo stile, ma colta per i contenuti teologici e simbolici rappresentati, fu attiva a Ochrida e nel territorio circostante.L'occupazione ottomana dei Balcani, che sopravvenne nel corso del sec. 15°, colpì in maniera durissima i monumenti della Bulgaria più vicini a Costantinopoli. Accanto alla decorazione leggermente arcaizzante del monastero di Zemen e ad altri esempi realizzati nel più puro stile paleologo (S. Giorgio a Sofia, Ss. Pietro e Paolo a Tărnovo), il paese conserva affreschi dalle innovazioni particolarmente audaci nella chiesa rupestre di Ivanovo (1331-1371), ove cariatidi nude compaiono nelle scene del ciclo della Passione.L'od. Albania era in parte inclusa nel regno serbo: le p. della chiesa del monastero di Apollonia, consacrato alla Dormizione della Vergine, testimoniano dell'esistenza di influenze costantinopolitane, elemento che non può stupire giacché il committente era lo stesso Michele VIII Paleologo (1259-1282). Si sono conservate anche diverse p. del sec. 14°, tra cui quelle delle chiese di Berat e di Mborje. Influenze costantinopolitane e serbe si manifestano anche a S. Nicola di Curtea de Argeş (1330) e nel monastero di Cozia, in Valacchia. Ciò nonostante la decorazione dell'abside di Curtea de Argeş, con la rappresentazione dell'Arca dell'alleanza, rimane, per così dire, unica.Nel sec. 13° a Novgorod, in Russia, si affermò una scuola originale che si sviluppò nei due secoli successivi. Tra i pittori greci che dal 1338 giunsero nel principato e in Moscovia, importandovi gli stilemi della p. paleologa, il più famoso, Teofane il Greco, che aveva lavorato a Costantinopoli, eseguì gli affreschi (1378) della chiesa della Trasfigurazione di Novgorod. La libertà di concezione della figura umana e di esecuzione, quasi impressionistica, si ritrova solamente negli affreschi perduti dell'Assunta di Volotovo (1352). A Mosca, Teofane decorò in collaborazione con Semen Čjornyj la cattedrale di S. Michele Arcangelo (1399) e insieme con Procoro di Gorodec e Andrej Rublev quella dell'Annunciazione, insieme con numerose icone. La sua influenza sull'arte russa fu determinante nei secc. 14° e 15°, così come accadde per Andrej Rublev.Nella periferia orientale del mondo bizantino, le decorazioni più significative del sec. 13°, già citate, non riflettono, tranne qualche rara eccezione, il rinnovamento che caratterizzava la contemporanea p. bizantina d'ispirazione costantinopolitana. Riguardo al sec. 14°, solo in Etiopia e in Georgia si sono conservati cicli monumentali, qualora non si considerino i pochi frammenti sopravvissuti in Egitto e in Cappadocia. I programmi delle grandi chiese della Georgia si richiamano allo spirito e alle regole in vigore presso i Greci e gli Slavi. Nel santuario della chiesa della Dormizione di Likhne (metà sec. 14°), dalle iscrizioni greche e georgiane, compaiono numerose scene veterotestamentarie, caricate di simbologia eucaristica, così come la Vergine con il Bambino, la Comunione degli apostoli e due patriarchi di Costantinopoli. Sotto un'altra forma questo simbolismo appare ulteriormente accentuato nella chiesa della Vergine a Kincvisi (fine sec. 13°-inizi 14°), nella scena con la Comunione degli apostoli, che comprende non due figure del Cristo, nell'atto di offrire rispettivamente il pane e il vino, ma tre, con il Cristo offerto in sacrificio. Nella chiesa della Trasfigurazione di Zarzma (metà sec. 14°) compare una grande quantità di ritratti e di immagini nuove, come il Cristo Anapesón: la cupola non presenta più la Déesis, ma l'Ascensione. Un'iscrizione attribuisce la decorazione della chiesa di Kalendjikha (1384-1396) a un maestro costantinopolitano, Manuele Eugenikos, aiutato da artisti georgiani. L'influenza costantinopolitana vi si avverte più forte che altrove e, nella cupola, il Pantocratore è circondato da angeli, profeti, evangelisti, mentre l'Agnello figura per la prima volta, in Georgia, nel registro inferiore dell'abside. In ogni caso, il programma d'insieme dell'abside non si conforma alle regole elaborate a Costantinopoli e lo stesso accade nelle chiese di Sapara e di Ubisi. Queste ultime chiese conservano la Déesis nel catino absidale e altre composizioni che seguono la tradizione locale. In tutti i complessi citati, lo stile della rinascenza paleologa è facilmente riconoscibile, nonostante la permanenza di alcuni specifici tratti locali. Ciò risulta ancora più vero per la decorazione degli inizi del sec. 15° a Nabahtevi.Le due chiese etiopi che hanno conservato p. di epoca bizantina sono quelle di Beta Maryam e di Gannata Maryam a Lalibela, datate al 13°-14° secolo. Vi si ritrovano la Visione dei profeti nell'abside, una tendenza per l'iconografia trionfale applicata alle immagini del Cristo e degli schemi paleocristiani impiegati per le scene evangeliche.Le icone bizantine conservate si moltiplicano a partire dal 13°-14° secolo. Al pari della p. monumentale, esse perdono austerità, traendo beneficio da un modellato delicato, con volti più piacevoli, segnati in qualche caso dalla tristezza, per es. la Madonna di Pietà nella chiesa della Trasfigurazione alle Meteore, la Vergine e S. Giovanni dell'icona bilaterale di Poganovo, eseguita a Costantinopoli (Sofia, Nat. arheologitcheski muz.), la Crocifissione a Ochrida (gall. delle icone), tutte del 14° secolo. Una dolcezza tinta di malinconia anima alcune fisionomie, come l'arcangelo e la Vergine dell'icona dell'Annunciazione a Ochrida (Naroden muz.). Tendenze narrative si manifestano anche nelle immagini mobili, come nell'icona della Natività (Venezia, Mus. dell'Ist. ellenico) o in quella della Crocifissione con numerosi personaggi (Patmo, monastero di S. Giovanni). Rispetto al passato, i colori sono più sottili e fanno la loro comparsa nuovi soggetti, tratti dagli inni in onore della Vergine.In Russia, nei secc. 14° e 15° si distinguono due principali scuole. Le icone prodotte a Novgorod sottolineano l'aspetto drammatico della passione e adottano una tavolozza dai colori squillanti, in cui dominano il rosso, l'ocra e il bianco. Le figure, particolarmente allungate e prive di volume, sono segnate da un contorno espressivo, per es. la Crocifissione e il Compianto a Mosca (Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.). Le icone della scuola di Mosca testimoniano un'ispirazione più mistica, come si può osservare nella famosa icona della Trinità dell'Antico Testamento (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakovskaja Gal.) di Andrej Rublev, al quale sono dovuti anche affreschi e iconostasi dipinte. Bibl.: Fonti. - Procopio di Cesarea, Buildings (De Aedificiis), a cura di H.B. Dewing, G. Downey (The Loeb Classical Library, 343), London-Cambridge (MA) 1940, p. 82; Germano di Costantinopoli, Historia ecclesiastica, in PG, XCVIII, coll. 384-385; Giovanni Damasceno, Contra imaginum calumniatores orationes tres, ivi, XCIV, col. 1264; Teodoro Studita, Antirrheticus III, ivi, XCIX, coll. 428-436; id., Epistolae, ivi, col. 961; Niceforo, Antirrheticus I, ivi, C, col. 261; Anthologia Palatina, a cura di P. 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