PITTURA dal 1180 al 1260
La p. risentì tra il sec. 12° e il 13° delle profonde mutazioni culturali e sociali dell'Occidente europeo. Con l'emergere delle monarchie nazionali in Francia, in Spagna e in Inghilterra e dei Comuni nell'Italia centrosettentrionale, la fondazione dell'impero latino d'Oriente e la crescita di industrie e commerci, sullo sfondo delle lotte fra il papato e la restaurazione imperiale di Federico II (1220-1250), e in parallelo alla nascita delle università e degli Ordini mendicanti, si modificò il contesto professionale degli artisti e cominciarono a profilarsi nuove forme di committenza. L'ascesa del potere regale favorì una produzione di lusso, vincolata direttamente alle corti - dai manoscritti alle decorazioni murali di palazzi e castelli - oppure caricata di connotazioni ideologiche, come in molte vetrate francesi, a cominciare da quelle chartriane. Ma qualcosa di simile, in termini ovviamente differenti, accadde pure là dove si era sviluppata una borghesia cittadina forte e sensibile al valore sociale delle immagini. Nella commissione, nell'acquisto e nel godimento di opere d'arte divenne dunque più pesante il ruolo del laicato.La grande p. murale o su vetro restava naturalmente appannaggio della Chiesa: però tendeva a uscire dai monasteri e a penetrare nelle città, trasformandosi in un mezzo di comunicazione ancor più incisivo e coinvolgendo forze aristocratiche e borghesi - secondo le circostanze - che si proponevano spesso come autrici e destinatarie principali dei messaggi pittorici. Gli Ordini mendicanti, e soprattutto i Francescani, dopo un iniziale momento pauperista, espressero proprio attraverso la p. la carica emotiva di una nuova forma di devozione, nell'immediatezza di un diverso rapporto fra il fedele e un Cristo sofferente e umanizzato.Attraverso l'esperienza domenicana e francescana, la funzione formativa e didascalica solitamente attribuita alle immagini religiose dalla cultura medievale si arricchì di ulteriori e inedite sfumature. L'associazionismo laicale, cresciuto nel corso del sec. 13° e amplificato dal movimento dei flagellanti dopo il 1260, costituì poi un bacino di pubblico, e quindi un circuito di committenze, orientato verso una trattazione più coinvolgente e meno aulica dei soggetti additati come modelli di spiritualità cristiana. Il quadro sociale era propizio a un lento emergere della personalità dell'artista, che in taluni casi - per es. Villard de Honnecourt (v.) e Matthew Paris (v.) - esibiva con orgoglio la propria individuale autonomia, anche se i pittori sembrano leggermente in ritardo rispetto a scultori, orafi e architetti. Nomi e firme, del resto, si infittiscono a Duecento inoltrato in quelle regioni, come la Toscana, dove la cultura comunale aveva caldeggiato un sistema di botteghe svincolate dai grandi patronati ecclesiastici e regali, nel quale i singoli pittori dovevano imporsi grazie alle risorse delle loro specifiche competenze.Non solo in Italia, comunque, il pittore era sempre meno un religioso e sempre più un laico, pronto a dipingere quelle svariate categorie di oggetti che costituivano la routine quotidiana del suo mestiere: dalle statue lignee agli scudi, dalle bandiere ai cofanetti. Artigiano versatile e poliedrico, doveva fronteggiare una domanda sempre più articolata di prodotti decorati e rifiniti, se non necessariamente preziosi. L'organizzazione del lavoro per le imprese di maggiore complessità (vetrate, affreschi, mosaici) richiedeva naturalmente la collaborazione di più maestri all'interno di uno stesso atelier. Le botteghe assumevano in questo caso un carattere quasi stanziale e finirono per sovrapporsi al cantiere architettonico-scultoreo - come nelle officine vetrarie attive per le cattedrali francesi -, ma ciò non escludeva la presenza di équipes itineranti assai attive nella diffusione internazionale di forme e modelli, pronte a spostarsi lungo i sentieri, spesso imperscrutabili, della committenza.Il maestro che realizzò le p. della sala capitolare del monastero aragonese di Sigena (Sixena) era presumibilmente un inglese (Pächt, 1961) e i frescanti del battistero di Parma ricomparvero nell'abbazia di Sant'Antonio di Ranverso presso Buttigliera Alta (prov. Torino) e ad Aime, in Savoia. Altrove, l'oscillazione geografica delle maestranze poté essere indotta dalle congiunture politiche - basti pensare ai regni crociati di Terrasanta - o alla forza centripeta di alcune aree particolarmente propulsive, come il domaine royal, o comunque dispensatrici di prestigiose occasioni lavorative, come Roma. Nel sec. 13° si ha notizia anche delle prime corporazioni di pittori, almeno in Italia; i più antichi statuti sono quelli veneziani del 1271 (Guidotti, 1986), ma alcune norme deontologiche sono contenute pure nel parigino Livre des métiers del prevosto di Parigi Etienne Boileau (ca. 1200-1269), compilato per volontà del re Luigi IX (1226-1270), ed è comunque ammissibile che la costituzione di società di mestiere precedesse almeno di alcuni anni la comparsa delle prime disposizioni scritte pervenute.Alla fine del sec. 12°, con il progressivo affermarsi dell'architettura gotica nel Nord della Francia, venne radicalmente mutando il tradizionale rapporto che legava il supporto edilizio alla grande decorazione ad affresco. Le superfici disponibili per la p. murale diventarono infatti sempre più strette e rade; il muro, concepito come semplice paratia fra i sostegni, era frequentemente aperto da vetrate alte e ampie e non consentiva quindi lo sviluppo di estesi cicli narrativi. In Francia - e poco più tardi in Inghilterra e nei paesi tedeschi - i vetri istoriati tendevano a sostituirsi all'affresco sul duplice piano iconografico e stilistico. In campo architettonico, nelle stesse cattedrali gotiche (Chartres, Notre-Dame; Amiens, Notre-Dame) la superficie muraria veniva spesso e volentieri ricoperta di decorazioni dipinte che simulavano la trama dei conci e conferivano nuovi accenti ritmici alla gabbia strutturale.Nelle regioni più refrattarie all'adozione di schemi integralmente gotici - Italia, Spagna e in parte anche Austria e Germania - la p. murale conobbe invece una fioritura costante, favorita da un'architettura che continuava a lanciare sfide importanti e prestigiose ai pittori e talvolta ai mosaicisti, come in Sicilia, a Roma, a Venezia.Nell'Europa centrale, dove l'assuefazione ai modelli francesi fu lenta e centellinata, le piane coperture lignee delle chiese rimasero ottimi banchi di prova per i decoratori specializzati, abili a rivestire i soffitti di figure dall'esecuzione sovente compendiaria e rapida - ma pienamente apprezzabili, com'è ovvio, nella visione a distanza, dal basso - che possono articolarsi in una griglia a riquadri, come in St. Martin a Zillis, nei Grigioni, oppure svolgersi secondo un respiro continuo arioso e monumentale, come nell'albero di Iesse nella navata centrale del St. Michael a Hildesheim. Il legno dipinto ritornò protagonista anche su uno scenario architettonico affatto diverso, come nel più tardivo soffitto mudéjar della cattedrale di Teruel, in Aragona.La stessa architettura gotica italiana, a cominciare dalla basilica di S. Francesco di Assisi, cercò in fondo di introdurre il nuovo spunto compositivo della vetrata senza intaccare il primato dell'affresco, che trovò una valvola di sfogo, nel Trecento, sulle immense e nude pareti delle chiese mendicanti.
Il declino della p. murale in Francia corrispose all'ascesa della p. su vetro. La vetrata realizzò nei riguardi dell'architettura al tempo stesso un'emancipazione e una nuova forma di dipendenza dal supporto. Se infatti il pittore organizzava la distribuzione delle scene e dei personaggi secondo criteri legati alla logica interna della finestra, la tipologia di quest'ultima era strettamente condizionata dall'articolazione della parete. I nuovi limiti posti a questa forma di espressione pittorica divennero così punti di partenza per l'elaborazione di scelte compositive - come la suddivisione dello spazio in campi circolari o quadrilobati - che, lungi dal rimanere esclusive dell'arte vetraria, giunsero a influenzare, nel corso del sec. 13°, la miniatura e la stessa p. su muro e su tavola, dove pure la tradizione si mostra in genere più vischiosa.In ogni caso si è di fronte a un'arte che, indipendentemente dal supporto usato (vetro, parete, legno, pergamena), continuò a rispettarlo e non a sfondarlo (Focillon, 1938). Nella p. europea del primo Duecento le ricerche plastico-volumetriche riguardavano semmai il modo di realizzare le singole figure e di metterle in reciproca relazione, non tanto la loro ambientazione in uno spazio autonomo. L'organizzazione dello spazio nei momenti narrativi era invece spesso caratterizzata da soluzioni tipiche delle vetrate: lo confermano per es. i contorni clipeati degli episodi, tagliati come parti di rosone e spesso riempiti da fondi a mosaico, che possono allinearsi in verticale come lungo una finestra.Del Duecento rimangono anche alcune straordinarie raccolte di modelli, come il libro di Wolfenbüttel (Herzog August Bibl., Guelf. 61.2. Aug. 4°) o il taccuino di Villard de Honnecourt (Parigi, BN, fr. 19093), che testimoniano non solo del culto per l'Antico e per Bisanzio e della circolazione di idee grafiche e pittoriche nella vivace Europa di quegli anni, ma anche delle reciproche interferenze fra p., scultura, architettura e arti suntuarie.Le p. mobili erano in genere vincolate alla formula romanica del paliotto o dell'antependium (v.) - che nella penisola iberica incontrò particolare e costante fortuna - oppure, nelle regioni maggiormente esposte all'influenza culturale di Bisanzio, dell'icona. Nel corso del Duecento le tavole dipinte salirono con sempre maggiore intensità sulla mensa dell'altare, dando luogo al retrotabulum o retablo: un dossale, talora cuspidato, che amplifica anche in altezza le formule iconografiche dell'antependium, spesso enfatizzandone la figura centrale. In Scandinavia, la prevalenza del legno nell'arredo interno delle chiese indusse la p. a espandersi su tabernacoli e cibori e a restare padrona del campo nella decorazione degli antependia. Soltanto nell'ultimo quarto del secolo si sviluppò nella penisola italiana la tipologia del polittico a scomparti, risultato dello smembramento delle varie porzioni della tavola unica, oppure, secondo altri (Boskovits, 1992), della combinazione di antependium, iconostasi - da cui potrebbe derivare il motivo dei santi in sequenza - e retrotabulum. Peculiare dell'Italia centrale fu invece la croce dipinta su tavola, destinata a essere appesa o issata su un tramezzo o un'iconostasi (Sandberg Vavalà, 1929). Durante il sec. 13° gli episodi narrativi che tradizionalmente affiancavano il Crocifisso tendevano a ridursi e a scomparire, mentre si impose una rappresentazione del Cristo morto caricata di pathos drammatico, contrapposta all'iconografia tradizionale del Cristo vivente e triumphans. Dal punto di vista tematico, la p. su tavola continuò ad applicarsi alle figure monumentali di Gesù, della Vergine e dei santi con le relative storie, in genere sgranate in riquadri di formato ridotto accanto all'immagine principale. In campo murale permasero i consueti cicli narrativi - oppure, parlando di mosaici, le grandi composizioni simboliche - là dove la situazione architettonica era loro favorevole, come in Italia.La p. profana, d'altronde, conobbe in questo periodo una fioritura legata al ruolo protagonistico di alcune corti e alla precoce vitalità dei Comuni italiani, ma quanto sopravvive è largamente minoritario rispetto alla preponderanza della p. sacra. Temi storici, romanzeschi, mitologici e allegorici illustravano le pareti di residenze reali e palazzi pubblici, ma anche di dimore signorili più modeste, come rivelano tra l'altro i fregi con animali e scene di combattimento provenienti da Castell d'Urgellet (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya; Sureda, 1981, pp. 378-383). Le testimonianze superstiti, in gran parte frammenti di cicli di soggetto militare o comunque giustificati dalla manifestazione del potere regale o cittadino, bastano tuttavia a dare l'idea di una notevole e vivace produzione: ora più veloce e vibrante, ora alternativa nei riguardi della p. religiosa, ora più direttamente agganciata alla divulgazione di stilemi 'gotici'.Dagli affreschi della cappella dei Templari a Cressac (dip. Charente) alla decorazione della torre di S. Zeno a Verona e dei broletti di Milano e Novara, dagli episodi bellici del conte-re di Catalogna-Aragona e di Maiorca Giacomo I il Conquistatore (1213-1276), dal Palau Reial Mayor in Barcellona, successivi al 1229, alla perduta Painted Chamber del palazzo di Westminster, iniziata dopo il 1263 (Binski, 1986), l'arte civile testimonia di un mondo che aveva raggiunto ormai una forte autocoscienza e che intendeva rappresentarla servendosi di linguaggi disinvolti e autonomi. Meno condizionata dal rispetto di una tradizione, l'arte secolare dovette aver spesso recepito e divulgato le tendenze goticheggianti e il gusto elitario internazionale con maggiore tempestività e originalità di quanto non facesse la parallela arte sacra.Fra il 1180 e il 1200 ca. la p. sembra meno spregiudicata e sperimentale della scultura francese o dell'oreficeria mosana, ma anch'essa partecipò, recando un suo contributo originale, a quel grande movimento cui si è voluto attribuire la denominazione convenzionale di 'stile 1200'. Non si tratta propriamente di un indirizzo formale unitario, ma di una categoria storiografica che raggruppa opere, scuole, fermenti e personalità diversi, accomunati tuttavia dal gusto per un classicismo anticheggiante e un solenne naturalismo, individuati come elementi forti di questa fase 'non più romanica' e 'non ancora gotica' della cultura figurativa occidentale.Sul terreno pittorico va aggiunta a queste almeno un'altra componente e cioè il rinnovato rapporto con il mondo mediterraneo e soprattutto con Bisanzio, ulteriormente avallato dalla dispersione di opere dopo la presa crociata della città nel 1204: rapporto inteso non nel senso di un'assimilazione diretta di modi greci, ma di una ricezione filtrata, che tratteneva gli spunti formali e compositivi più pertinenti a delineare un nobile e raffinato linguaggio 'all'antica', laddove l'Antico era richiamato per analogia, in modo da far risaltare il vigore e la positività di una cultura moderna che non rinnegava la tradizione. Già nell'ultimo quarto del sec. 12° la p. più avanzata dell'Occidente si qualificava per una rappresentazione più naturalistica tanto della figura umana quanto del mondo animale e vegetale: l'astrazione stilizzata del Romanico venne gradualmente respinta, mentre si affermarono un disegno più bilanciato e proporzionato, un più accentuato senso della bellezza corporea, una fervida attenzione al particolare e al quotidiano. Non per questo si deve parlare di letterale 'realismo', perché la raffigurazione della realtà continuò a porsi in termini convenzionali: ma le convenzioni erano allora vagliate da moduli percettivi 'classici'.È un fatto indiscutibile, comunque, che a partire dalla fine del sec. 12° il mondo fisico godeva di un'attenzione pittorica che, se certo non poteva vantare connotati scientifici, va segnalata per il significativo dialogo con la contemporaneità. Usi e costumi, vesti e armamenti penetrarono dalla vita reale nella p. con maggiore continuità e puntualità di quanto non fosse accaduto sino ad allora. E la p. acquistò un valore ancor più grande e schietto di testimonianza dei gusti e delle mode, tanto delle città quanto delle corti.La flora dei fregi ornamentali guadagnò in grazia e morbidezza e i racemi d'acanto puntarono a un più fresco senso plastico. Gli intrecci e i grovigli che costruivano la trama delle lettere ornate nei manoscritti cominciarono a sciogliersi e a semplificarsi. Se intorno al 1200 in Occidente era ancora protagonista, anche in certi affreschi, il fantasioso octopus acanthus di origine insulare, i coloratissimi fogliami virtuali e tentacolari non ebbero vita lunga. Nel corso del sec. 13° si rimpicciolirono e si assottigliarono, ordinandosi lungo i bordi e cedendo spazio alla figura umana. Ma, soprattutto, abbandonarono l'antica stilizzazione e si avvicinarono al dato di natura. In questa trasformazione deve aver giocato indubbiamente anche quel diverso rapporto con la pagina - muraria, vetraria, pergamenacea - che è possibile verificare anche per quanto riguarda il trattamento delle figure. Se i personaggi apparivano meno deformati e 'surreali', lo si doveva tanto alle istanze classicistiche, e quindi a nuovi moduli disegnativi e coloristici, quanto al venir meno della necessità di adattamento alla configurazione del supporto, quindi a nuove formule tipologiche e compositive, per cui le figure si incurvarono e si allungarono sempre meno per assecondare la curvatura di una nicchia o di un'iniziale istoriata.Il segno specifico del naturalismo dello 'stile 1200' era il Muldenfaltenstil o stile a pieghe incavate, una costante capace di unificare, al di là delle divergenze individuali, opere come le oreficerie di Nicola di Verdun (v.), il Salterio della regina Ingeborga, degli inizi del sec. 13° (Chantilly, Mus. Condé, 9, già 1695) e le vetrate della cattedrale di Notre-Dame a Laon, in Piccardia. Il Muldenfaltenstil era una formula stilistica di prestigio internazionale, che risolveva il panneggio in termini non soltanto grafici ma anche plastici, attribuendo spessore e profondità a solchi e valloni che i drappi formavano con enfasi aderendo ai corpi. L'effetto è quasi neofidiaco: quello di una veste bagnata che sottolinea la piena corporeità della figura accentuandone la dignità monumentale e la vitale bellezza.Molte di queste caratteristiche possono convenire innanzitutto a opere inglesi databili verso il 1200, che innestano moduli bizantineggianti su premesse ancora romaniche, evidenti soprattutto nel repertorio ornamentale fitomorfo, con forza non priva di delicatezza: per es. gli affreschi di Sigena o il primo strato murale nella cappella del Santo Sepolcro nella cattedrale di Winchester. A sua volta questa sequenza mostra di aver contratto un cospicuo debito nei riguardi della cultura 'mediterranea' dei mosaici del duomo di Monreale e sembra addirittura qualificarsi, specie a Sigena, come una risposta occidentale all'arte bizantina. Intanto, nelle p. murali del priorato di Saint-Julien a Petit-Quevilly, presso Rouen, nella Normandia plantageneta, l'esuberanza decorativa sembra guardare piuttosto alla miniatura e all'oreficeria.Parallelo fu il cammino seguito in quegli anni dalla p. inglese - più fedele di quella francese nel rispetto del linguaggio all'antica -, che sviluppò un formalismo gotico, decorato e manierato, che dal secondo strato della cappella del Santo Sepolcro nella cattedrale di Winchester, attraverso i manoscritti di lusso e i disegni di Matthew Paris, approdò verso il 1270 al dossale di Westminster. Proprio la grande abbazia reale divenne un cantiere egemone e lo snodo del mecenatismo di Enrico III (1216-1272), che investì ingenti risorse nella decorazione murale delle sue residenze; ma quasi nulla ne resta. In forza dell'ascendente politico-culturale esercitato dall'Inghilterra sui regni scandinavi, furono soprattutto inglesi i modelli seguiti dai pittori norvegesi e svedesi, che li interpretarono adattandoli non soltanto ai supporti specifici delle loro chiese, ma anche all'acceso cromatismo e alla robusta frontalità della tradizione locale.A S della Loira, la resistenza dell'affresco fu più energica, e anche lo 'stile 1200' penetrò sotto forma di semplici suggerimenti formali. Così, se le p. nella cappella dei Morti in Notre-Dame a Le Puy (dip. Haute-Loire), del primo terzo del sec. 13°, sono segnate da un bizantinismo pronunciato e da effetti decorativistici propri dell'oreficeria, i mossi e ariosi affreschi di Notre-Dame a Montmorillon, presso Saint-Savin-sur-Gartempe (dip. Vienne), del 1200 ca., registrano un'interpretazione più tradizionalista dei fermenti classicistici di punta.Nella penisola iberica, intorno al 1200, opere come gli antependia di Baltarga (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya) e nella parrocchiale di Orellà, nel Conflent, costituiscono fenomeni di assimilazione parallela di umori bizantini. In generale la p. romanica spagnola conobbe un proprio sviluppo interno, non di rado aperto a vivaci inflessioni di sapore popolare, che copre l'intero sec. 13°, dimostrando scarsa permeabilità sia allo 'stile 1200' sia al Gotico francese. Si direbbe a prima vista che le novità giungessero in ritardo e fossero spesso soggette a fraintendimenti. Lo stile del Maestro di Lluçà, come per es. nell'antependium e nei laterali d'altare (Vic, Mus. Arqueologic-Artistic Episcopal), si risolse attraverso un'astrazione lineare prettamente autoctona, che rappresenta una versione del tutto speciale del classicismo mediterraneo proprio dello 'stile 1200'.La contiguità con la cultura islamica e il peso del passato non impedirono comunque un rapporto intrigante con il Nord. Influenze della miniatura inglese erano sensibili già a partire dal 1170 ca., e al principio del sec. 13° l'antependium di Avià (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya) e quello della chiesa di Sant Sadurní a Rotgers (Vic, Mus. Arqueologic-Artistic Episcopal) mediavano fra Inghilterra e Bisanzio in termini originali e romanicheggianti. Le p. nel monastero di Sigena erano forse meno isolate di quanto non sembri, perché gli affreschi navarresi di San Martín ad Artaíz e di San Saturnino ad Artajona (Pamplona, Mus. de Navarra), eseguiti nel pieno Duecento, risentono di quella lezione. E ciò che rimane della sala capitolare del monastero di San Pedro de Arlanza, in Castiglia - straordinari frammenti animalistici sono a New York (Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters), a Barcellona (Mus. d'Art de Catalunya) e a Cambridge (MA; Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.) -, denuncia uno stile 'espressionistico' e teso, complementare a Sigena, ma non meno allineato con le novità del momento. Altrove invece l'argine venne rotto solo sporadicamente e tardivamente, come dimostra il frontale d'altare da Soriguerola (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya), che dopo la metà del secolo ostenta una tensione disegnativa a un tempo goticizzante e vernacolare (Sureda, 1981; Yarza Luaces, 1995).Una diversa e più elastica forma di resistenza venne messa in atto nell'impero. La p. tedesca aveva fornito ai movimenti classicistici europei un precoce incunabolo negli affreschi della cappella doppia di St. Klemens a Schwarzrheindorf (od. Beuel-Schwarzrheindorf), presso Bonn, e della sala capitolare dell'ex abbazia benedettina di Brauweiler, presso Colonia, già nel terzo quarto del 12° secolo. Sul valico del 1200, alcune fra le esperienze più interessanti si compirono in Alto Adige (Tubre, S. Giovanni; Termeno, S. Giacomo; Grissiano, S. Giacomo; Appiano, cappella del castello; Bressanone, cappelle di S. Giovanni e di Nostra Signora nel chiostro della cattedrale), dove un'animosa stilizzazione tardoromanica si combina con un luminoso naturalismo ricco di accenti freschi e originali. Ma nel Duecento le regioni germaniche temperarono l'aulica severità bizantina con la linea ridondante e segmentata, e tipicamente tedesca, dello Zackenstil, che dal canto suo offriva più di un pretesto per divagazioni manieristiche. Lo Zackenstil è la versione assunta nei paesi tedeschi dal classicheggiante Muldenfaltenstil, divenuta ben presto abbastanza radicata e normativa da rappresentare una sorta di risposta nazionale al Gotico parigino che solo alla fine del sec. 13° avrebbe preso il sopravvento.Questa via alternativa - sia alla Francia sia, d'altronde, a Bisanzio - ebbe il suo momento neogreco negli affreschi del monastero femminile di Neuwerk a Goslar, del secondo quarto del sec. 13°, e raggiunse intorno alla metà del secolo un equilibrio di notevole ricchezza e compiutezza, sia pure con diversi accenti, nelle vaste e grandiose p. murali del duomo di Brunswick, del secondo quarto del sec. 13°, nelle vetrate della Elisabethkirche a Marburgo e del duomo di Naumburg, nel soffitto di St. Michael a Hildesheim e negli affreschi del St. Patroklus a Soest, in Vestfalia. Così in Austria, negli stessi anni e poco dopo, le p. di St. Nikolaus a Matrei, nel Tirolo, esprimono la vitalità della tradizione bizantineggiante, ma un linguaggio più moderno di squisita grazia manierata - che si direbbe aver ben assimilato la lezione disegnativa sassone - si affermava nel duomo di Gurk (1260-1270) e successivamente si riproponeva, in forme più o meno semplificate, nella Dominikanerkirche a Krems, nella parrocchiale di Michelstetten, nelle abbazie di Göss e di Seckau, entrambe in Stiria (Demus, 1968; Lanc, 1983). Germania e Austria non erano regioni di retroguardia, ma territori indipendenti che difesero fino al 1280-1290 quello stile a zig-zag che costituisce una via al Gotico, diversa da quella seguita dal classicismo franco-mosano.La penisola italiana si direbbe a prima vista estranea alla circolazione interregionale di idee 'stile 1200' e gotiche. Prima della rivoluzione formale e spaziale attuata fra Roma, Assisi e Firenze allo scadere del sec. 13°, l'atteggiamento dell'Italia sembra quello di un bastione conservatore, ostile alle novità transalpine. In realtà oreficerie e codici nordeuropei affluivano tramite i canali diplomatici e commerciali che si aprivano nei grandi porti internazionali (Genova, Venezia), nei domini normanni e svevi del Mezzogiorno, alla corte papale o in quelle regioni di frontiera (Piemonte, valle dell'Adige) che svolgevano importanti funzioni di catalizzatori culturali. Grafismi anglofrancesi raggiunsero le città padane e si manifestarono spesso sul terreno civile (Gavazzoli Tomea, 1990).La grande decorazione murale, anche per ragioni meramente tipologiche e tecniche, rimase più che altrove ancorata all'Oriente greco. Ciò vale tanto per i mosaici marciani quanto per gli affreschi nella cripta del duomo di Aquileia, del 1180 ca., per parecchi lavori del Duecento lombardo - come i restauri al mosaico absidale della basilica di S. Ambrogio (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica; Brescia, Pinacoteca Civ. Tosio-Martinengo; Milano, coll. privata), l'Annunciazione da S. Giovanni in Conca a Milano (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica), la decorazione nell'od. Rotonda o Duomo Vecchio di Brescia - e pure, per certi aspetti, per gli affreschi di Grixopolus Parmensis (v.) nel palazzo della Ragione a Mantova e per le p. rupestri di Puglia e di Basilicata.La ragguardevole vitalità del tradizionalismo romanico conosce varianti regionali dal robusto profilo qualitativo, come in Umbria - con epicentro a Spoleto - e nella stessa Roma, dove il passato venne continuamente rinnovandosi senza mettersi in discussione - basti considerare la decorazione absidale della basilica di S. Pietro in Vaticano, promossa da papa Innocenzo III (1198-1216), e gli affreschi di S. Silvestro a Tivoli e della cripta del duomo di Anagni - ma dove, per converso, cicli come quello della cappella di S. Silvestro presso la chiesa dei Ss. Quattro Coronati a Roma, risalente al 1246, rappresentano la più drastica forma di giustapposizione - figurativa e ideologica - al contemporaneo Gotico parigino e imperiale.Il contributo originale dell'Italia alla p. europea di quegli anni va riconosciuto utilizzando altri parametri. Un diverso senso del racconto e dell'umanità e una più penetrante evocazione del dramma, calati nel vivo di una civiltà urbana e comunale, sono per es. manifestati dalle tavole toscane, che attraverso l'arte dei Berlinghieri, di Giunta Pisano, di Coppo di Marcovaldo piegarono i modi bizantini alle esigenze culturali del proprio tempo e mossero alla riscoperta dell'uomo e del mondo con la stessa acribia del Gotico, ma in alternativa a esso. Ciò proprio in forza della complessità del paesaggio pittorico italiano, che quindi partecipò con originalità di apporti - ma non necessariamente di segno gotico, anzi spesso provocatoriamente rétro - alla rivoluzione formale in corso nell'Europa duecentesca.Il panorama occidentale nella prima metà del sec. 13° è dunque assai stratificato. Solo a prezzo di forti semplificazioni è possibile enuclearvi una o più linee di continuità. Lo sperimentalismo classicheggiante degli anni 1180-1220, in bilico fra l'Antico e Bisanzio, sancì il tramonto delle deformazioni e delle aritmie proprie del Romanico, ma si affievolì in genere con il prevalere di un nuovo linearismo, promosso dalle botteghe franco-settentrionali, che si codificò fra il 1230 e il 1250 e segnò la nascita di una p. dai più marcati e integrali accenti gotici. L'Inghilterra assecondò queste metamorfosi, ma nei termini specifici della sua cultura regionale, e le irradiò verso la Scandinavia dopo aver iniettato una pionieristica vena greco-classica nella penisola iberica; la Germania elaborò una replica capace di mediare con l'eredità romanica e bizantina; Spagna e Italia si mostrarono invece maggiormente refrattarie alla goticizzazione della propria p. e svilupparono linguaggi autonomi. Il che non esclude, tuttavia, un'intensità di scambi e di comunicazioni internazionali che in qualche modo unificavano l'Occidente nel segno di una spiccata propensione al naturalismo e alle ricerche plastiche. Questi processi furono tuttavia lenti, discontinui e irregolari: alcune innovazioni non si svilupparono, altre incontrarono forti resistenze. Pur nella persistenza di innumerevoli elementi di continuità con il passato, gli anni 1220-1260 videro comunque il dissolvimento del Romanico e l'ultima grande esplosione europea dell'arte bizantina: due fenomeni coincidenti con quelle trasformazioni formali che consentirono di collegare all'architettura e alla scultura gotiche una civiltà pittorica di segno affine.
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