PITTURA - Pigmenti pittorici
In p. per pigmento si intende la sostanza colorante presente, in sospensione in opportuno legante, nel colore o più precisamente nella pellicola pittorica. Legante, come il termine sta a indicare, è la sostanza fluida con cui vengono impastate le materie coloranti per tenerle assieme tra loro; nella p. medievale si usarono la calce spenta, colle animali, gomme vegetali, bianco e/o rosso d'uovo, olio. Il legante, o i leganti, sono inscindibilmente connessi alla tecnica pittorica scelta (affresco, tempera, olio).
Quanto alla composizione chimica, si dicono pigmenti le sostanze coloranti inorganiche (di origine inorganica o anche organica, come nel caso delle lacche) polverulente, insolubili nei più comuni solventi neutri (per es. acqua). Si definiscono invece coloranti le sostanze organiche, di granulometria minore di quella dei pigmenti, solubili nei più comuni solventi, usate più spesso per la tintura delle stoffe; nella p. medievale si è fatto uso di esse essenzialmente previa trasformazione in lacche. Si dicono lacche, infine, i pigmenti ottenuti dalla combinazione chimica tra un colorante e un composto inorganico (per lo più un derivato di alluminio, come l'allumina o le crete) capace di formare un prodotto colorato insolubile; si considerano pertanto lacche tutti i pigmenti antichi e medievali ottenuti da succhi vegetali coloranti (come gli estratti di robbia o di verzino) fatti reagire con l'allume.Mentre i pigmenti inorganici sono generalmente opachi, ossia coprenti, le lacche mantengono parte della trasparenza dell'allumina con cui sono state trattate. Cennino Cennini (v.) li chiama, rispettivamente, colori "corpulenti" e "senza corpo" (Libro dell'arte, CLXI) e annovera le lacche tra i "colori gentili" (XXXV; L), ossia di grana molto fine. I pigmenti furono distinti, dalle fonti (v.) antiche e medievali, in naturali e artificiali. Ancora Cennini definisce i primi "di miniera" e i secondi "artificiati per archimia" (Libro dell'arte, XLVI).Per la descrizione, storia e preparazione dei pigmenti nel Medioevo si rimanda alla trattazione tuttora utile di Thompson (1936), da aggiornare con La fabbrica dei colori (1986). Si elencano i principali pigmenti usati nella p. medievale, ricavati dal confronto tra i dati contenuti nei trattati medievali per la preparazione dei colori e quelli delle analisi scientifiche delle opere, rimandando alla tabella alle pp. 556-557 per i nomi medievali, odierni e antichi, e avvertendo che la confusione terminologica tra Antichità e Medioevo non è ancora del tutto chiarita.I neri più importanti furono il nerofumo e la grafite, usati anche per i disegni preparatori. 'Atramento' indicava nel Medioevo anzitutto un inchiostro, il nero più importante essendo l'inchiostro (e sotto la pellicola pittorica si trovano molto spesso disegni con questa tecnica), che era essenzialmente di due tipi: uno era una soluzione di nerofumo e gomma sciolti in acqua, l'altro era un gallato o tannato di ferro.I bianchi principali furono il bianco di calce, che a contatto dell'aria si trasforma in carbonato di calcio - che svolgeva un fondamentale e doppio ruolo nella p. murale, funzionando sia da pigmento sia da legante (v. Affresco; Zanardi, Arcangeli, Apollonia, 1984; Zanardi, 1994) -, e il bianco di piombo o biacca. Pigmenti tra i più importanti di tutti, il primo lo fu in assoluto nella p. murale, mentre il secondo fu il bianco più usato nella p. su tavola e nella miniatura. Quest'ultimo, straordinario pigmento godette di enorme fortuna, nonostante la sua tossicità, grazie alle sue grandi qualità. Denso, lucente e molto coprente, è particolarmente versatile: consente dalla pennellata più fine e minuscola a quella più ampia e vigorosa. La sua scarsa stabilità, sia nell'affresco sia nelle miscele con pigmenti importanti come verderame e orpimento, portò all'introduzione nel Medioevo di una serie di bianchi inerti (per es. bianco di gusci d'ostriche).Per quanto riguarda i rossi, furono fondamentali le ocre rosse, come la sinopia, nonché l'ematite e, sembra, il diaspro rosso. Ma neanche la sinopia di più alta qualità soddisfaceva del tutto l'occhio medievale, che preferì una tavolozza basata su toni freddi e puri. I più pregiati furono quindi gli artificiali minio e cinabro (circa la confusione terminologica tra Antichità e Medioevo, basti notare che in antico il cinabro era detto minium). Il cinabro, in particolare, dava il rosso più schietto, e si trovava anche in natura, ma più bello era l'artificiale, che si otteneva facendo reagire i parentes di tutti i metalli, mercurio e zolfo. La reazione era nota nell'Antichità - Teofrasto, Vitruvio, Plinio il Vecchio (Baroni, 1996) - e compare nei ricettari e trattati tardoantichi e altomedievali, di tradizione ellenistica e legati all'alchimia, quali il Codex Matritensis (Madrid, Bibl. Nac., A 19), le Compositiones ad tingenda musiva (Lucca, Bibl. Capitolare, 490) e la Mappae clavicula (Sélestat, Bibl. Humaniste, 17): già ritenute di età carolingia, queste fonti sono invece da riportare all'età tardoantica. Tornando al rosso cinabro, l'uso oculato che se ne fece nella p. libraria altomedievale indurrebbe tuttavia a credere che la sua diffusione in Occidente, prima dell'età carolingia, fosse abbastanza modesta. Molto usate invece furono le lacche rosse: caduta in disuso l'antica e preziosa porpora (fu utilizzato solo il colorante, agli inizi del Medioevo, per tingere le pergamene dei più pregiati codici altomedievali), le più importanti furono le lacche di kermes, di brasile o verzino, di robbia, la gomma lacca, la lacca di cimatura di drappo e il sangue di dragone, una resina importata dall'Oriente usata per colorare le vernici.Quanto alle ocre, ai bruni e agli aranciati, usatissime dall'Antichità, in specie nella p. murale, le magnifiche terra d'ombra e terre di Siena, naturale e bruciata, subirono una lieve flessione via via che la tipica tavolozza fredda medievale si diffuse anche nella p. murale, dopo il Mille, per influsso delle c.d. arti minori. Per il colore arancio - oltre alla terra di Siena naturale, che poteva presentarsi in sfumature aranciate, e alla terra di Siena bruciata, che può dare un rossastro molto bello - si trovano gli artificiali, o semiartificiali, realgar, litargirio e massicotite. Il realgar, un rosso aranciato, fu poco usato a causa della sua tossicità, mentre il litargirio fu impiegato specialmente per ricavarne, per ossidazione, il minio. Il colore arancio ebbe comunque maggiore diffusione solo nel Tardo Medioevo.Tra i gialli, fu usatissima dall'Antichità l'ocra gialla, colore solidissimo e adatto a essere mischiato a tutti gli altri. Segue l'orpimento, di un bel colore giallo chiaro brillante, nonostante la tossicità e l'incompatibilità con elementi fondamentali, come piombo e rame, per la composizione di pigmenti molto importanti; il che ne sconsigliava decisamente l'accostamento, per es., alla biacca e all'azzurrite. Si trova anche il giallo di Napoli (che da alcune fonti è descritto come un giallo di stagno e piombo). Si usarono anche lacche gialle (arzica, curcuma, zafferano).Uno dei più significativi pigmenti medievali fu l'oro (Gilissen, 1990); in particolare oro, argento e stagno furono usati non solo come pigmenti, sotto forma di polveri metalliche mischiate a un legante, ma più spesso, in specie dal Basso Medioevo, sotto forma di 'foglie' sottilissime, che venivano fatte aderire perfettamente alla superficie pittorica, pressandole su una base di mordente colorato, il più famoso dei quali fu il bolo armeno, una terra di colore rosso aranciato. Il più comune surrogato dell'oro fu l'oro musivo o porporino, denominazione derivata forse dall'attributo di 'fulgente, splendente', dato al colore porpora.Per quanto riguarda i verdi, oltre ai pigmenti naturali, come la bellissima terra verde, tra gli artificiali si trova anzitutto il verderame, colore magnifico, anche se tossico e corrosivo (Banik, 1990), al quale i pittori non rinunciarono. Si trova usata anche la malachite. Tra le lacche, le fonti riportano un discreto numero di succhi estratti da bacche e piante varie, come il verde iris e lo spincervino (dai cui frutti neri si ricavava un verde giallastro).Tra gli azzurri, il più pregiato fu l'oltremare. Il lapislazzuli, sebbene noto dall'Antichità e citato da Teofilo come lazur (De diversis artibus, I), fino al Duecento fu poco usato, perché non si sapeva valorizzarlo (tendeva al grigio). L'ottenimento del magnifico blu di lapislazzuli, che si ammira nei più preziosi dipinti tardomedievali, si deve all'alchimia araba, anche tramite l'ambiente federiciano, dalla quale si apprese come separare il colore dalle impurità del materiale. Seguiva, come pregio, il blu di azzurrite, anche questa sottoposta a procedimenti di purificazione. Mentre l'oltremare ha un sottotono rossastro, l'azzurrite lo ha verdastro. Un effetto indesiderato dell'azzurrite era la trasformazione in malachite; inoltre, non la si doveva macinare troppo sottile, per evitare che il colore perdesse di intensità. Tra i pigmenti di origine organica il più pregiato era l'indaco, che giungeva in Europa via Baghdad; per distinguerlo dalle imitazioni - dal guado a bacche varie - lo si qualificava come bagadello. Più come viola che come azzurro era apprezzato il tornasole: questa lacca azzurra, che non deve essere confusa con i licheni usati come indicatori di reazione nelle analisi chimiche, si trasforma infatti, nel tempo, in violaceo.La distinzione tra pigmenti naturali e artificiali spesso corrisponde alla specifica destinazione degli stessi nelle diverse tecniche pittoriche. I colori più usati nell'affresco, perché i più compatibili con la calce, fondamentale in questa tecnica pittorica, sono i pigmenti naturali ("Il muro non vuole altro che il naturale, che nasce dalla terra, che sono terre di più sorte di colore"; Armenini, De' veri precetti della pittura, II, 7) e specialmente le terre colorate (rossi, bruni, aranciati e gialli più o meno puri, verde, bianco e nero). Essi inoltre si trovano, sempre nella p. murale, come campiture di base per i pigmenti di colore più vivido e squillante, che venivano sovrapposti successivamente, a intonaco asciugato - 'a secco' -, a tempera. Sono appunto questi ultimi, i pigmenti artificiali o semiartificiali (biacca, cinabro, minio, orpimento, verderame, azzurrite e lapislazzuli), che fornivano i colori più vividi e dai toni freddi, a ricorrere preferibilmente nella p. su tavola, non condizionata dalla presenza della calce.Le lacche, infine, si possono trovare nella p. libraria (dove l'esposizione moderata all'aria e alla luce richiede minori stabilità e durevolezza dei colori) e, nella p. su tavola, specialmente nelle finiture: una pellicola superficiale di lacca rossa stesa su una campitura di base di cinabro o di minio, per es., poteva conferire più vibrazioni o varietà al tono di base, con la semitrasparenza della lacca.Generalmente nell'Alto Medioevo si trovano più spesso le terre rosse (nella p. murale) e il minio (nella p. su tavola), mentre nella p. libraria è presente anche il cinabro, ma solo nei codici più importanti. Prima del Mille compaiono quasi più spesso il verde e il giallo, o situazioni di perfetto equilibrio, tanto nei codici miniati quanto nei precetti della trattatistica. Per es. nel trattato De coloribus et artibus Romanorum di Eraclio - i primi due libri, del sec. 11°, sono una summa delle tecniche pittoriche altomedievali - su dodici precetti per colori cinque riguardano verdi (tre di rame e due lacche), quattro sono sul giallo (compresi tre sull'oro) e i tre restanti sono un rosso (un colorante), un bianco e un nero. È il rispecchiamento di una situazione difficile, cui fa riscontro fino all'età ottoniana un uso moderato del cinabro: pregiato e raro il naturale, misterioso a molti l'artificiale.La situazione cambiò in età romanica, allorché il tipico rosso medievale del tono più puro e vivo conobbe una fortuna irresistibile con il rifiorire degli scambi e probabilmente in seguito alla più vasta diffusione della ricetta del cinabro artificiale (se ne può vedere una conferma nei molti precetti dedicati al rosso nel De diversis artibus di Teofilo, assai più numerosi che nelle fonti precedenti). Intanto, ebbe inizio la nuova fortuna della p. murale, con la conseguente diffusione anche in questa della tipica tavolozza 'fredda' medievale; si assiste poi alla crescente fortuna del blu, che si compì - persino a scapito del rosso - nel Trecento (Pastoureau, 1996), e a quella del bianco, legata alle sperimentazioni di Cimabue sulla biacca, alla rinascita del naturalismo in pittura, alla messa a punto giottesca della tecnica del 'buon fresco'.Al tramonto del Medioevo si trova una grande quantità di ricette dedicate alle lacche, in concomitanza con la sempre crescente importanza in p. delle velature semitrasparenti, che conobbero una fortunata stagione nel Quattrocento (v. Alcherio). Bibl.: Fonti. - J. Burnam, Recipes from Codex Matritensis A 16 (ahora 19) (University of Cincinnati Studies, s. II, VIII, 1), Cincinnati [1912]; Compositiones ad tingenda musiva (Lucca, Biblioteca Capitulare MS 490), a cura di H. Hedfors, Uppsala 1932; Mappae clavicula, a cura di T. Phillipps, Archaeologia 32, 1847, pp. 183-244; Eraclio, De coloribus et artibus Romanorum a cura di A. Ilg, Wien 1873 (18882); Teofilo, De diversis artibus, a cura di C.R. Dodwell, London e altrove 1961 (rist. anast. Oxford 1986); De arte illuminandi, a cura di F. Brunello, Vicenza 1975 (con bibl.); Cennino Cennini, Il Libro dell'arte, a cura di F. Brunello, L. Magagnato, Vicenza 1971 (con bibl.); M.G. Armenini, De' veri precetti della pittura, Ravenna 1587 (ed. a cura di M. Gorrieri, Torino 1988, p. 127). Letteratura critica. - D.V. Thompson, Artificial Vermilion in the Middle Ages, Technical Studies 2, 1933, 2, pp. 62-70; L. Crema, s.v. Policromia, in EI, XXVII, 1935, pp. 633-639; D.V. Thompson, The Materials and Techniques of Medieval Painting, London 1936; J.M. Millas Vallicrosa, Sobre el ms. 19 de la Bibl. Nacional, Revista de archivos, bibliotecas y museos, s. IV, 67, 1959, pp. 119-126; O. Demus, Il colore nella pittura bizantina su libri, Tavolozza 26, 1967, pp. 3-11; H. Roosen-Runge, Farbgebung und Technik frühmittelalterlicher Buchmalerei, München 1967; A. Raft, About Theophilus ''blue color'' Lazur, Studies in Conservation 13, 1968, pp. 1-6; H. Kuhn, Lead tin Yellow, ivi, pp. 7-33; B. Berlin, B. Kay, Basic Color Terms, Berkeley 1969; H. Kuhn, Verdigris and Copper Resinate, Studies in Conservation 15, 1970, pp. 12-36; G.C. Conklin, Color Categorization, The American Anthropologist 75, 1973, pp. 931- 942; A. Petrucci, Il codice n. 490 della Biblioteca Capitolare di Lucca: un problema di storia della cultura medievale ancora da risolvere, Actum Luce 2, 1973, pp. 159-173; R.J. Gettens, E.W. Fitzhugh, Malachite and Green Verditer, Studies in Conservation 19, 1974, pp. 2-23; B. Zanardi, L. Arcangeli, L. Apollonia, Della natura del bianco sangiovanni, Ricerche di storia dell'arte 24, 1984, pp. 62-74; La fabbrica dei colori, Roma 1986; E. Martin, A.R. Duval, Le jaune de plomb et d'étain et ses deux variétés. Utilisation en Italie aux XIVe et XVe siècles, "2a Conferenza internazionale sulle prove non distruttive, Perugia 1988", a cura di M. Marabelli, P. Santopadre, Roma 1988, I, pp. 1-14; M. Pastoureau, Une histoire des couleurs est-elle possible?, Ethnologie française 20, 1990, pp. 368-377; id., La couleur et l'historien, in Pigments et colorants de l'Antiquité et du Moyen Age, a cura di B. Guineau, Paris 1990, pp. 21-40; G. Banik, Green Copper Pigments and their Alteration in mss. or Works of Graphic Art, ivi, pp. 89-101; L. Gilissen, L'or et l'enluminure, ivi, pp. 199-205; La couleur. Regards croisés du Moyen Age au XXe siècle, a cura di P. Junod, M. Pastoureau, Paris 1994; B. Zanardi, Sulle finiture a calce nella pittura medievale a fresco, Bollettino del Museo Bodoniano di Parma 8, 1994, pp. 231-265; I. Villela-Petit, La peinture médiévale vers 1400 autour d'un ms. de Jean Lebègue. Edition des Libri Colorum (tesi), Univ. Paris 1995; La couleur et ses pigments, Techne 4, 1996; F. Tolaini, Proposte per una metodologia di analisi di un ricettario di colori medievale, in Il colore nel Medioevo. Arte, simbolo, tecnica, "Atti delle Giornate di studi, Lucca 1995", Lucca 1996, pp. 91-116; S. Baroni, I ricettari medievali per la preparazione dei colori e la loro trasmissione, ivi, pp. 117-144; M. Pastoureau, La promotion de la couleur bleue aux XIIe et XIIIe siècles: de la chimie à la symbolique et retour, ivi, pp. 7-16 (con bibl.); id., Et puis vint le bleu. Un nouvel ordre des couleurs à l'époque féodale (in corso di stampa).