PIVIALE
Sopravveste liturgica di forma semicircolare, lunga quasi sino ai piedi, aperta nella parte anteriore e corredata all'altezza del petto da un fermaglio (pectorale), spesso preziosamente lavorato, atto a riunirne i due lembi anteriori. Originariamente completo di cappuccio (cucullus) e spesso rifinito, lungo il lato rettilineo, da un bordo sovente lavorato con ricami (aurifrisium), il p. divenne, a partire dal sec. 12°-13°, l'abito liturgico destinato alle celebrazioni solenni.L'etimologia del termine p., in rapporto con l'aggettivo lat. pluvialis, connessa con l'idea di un indumento atto a riparare dalla pioggia, si spiega alla luce della presenza nel p. del cappuccio, che peraltro ben presto perse la sua ragione funzionale originaria, connessa probabilmente con l'uso - nel corso delle processioni svolte al di fuori della chiesa da parte dei cantores - della cappa monacale, dalla quale con ogni probabilità l'indumento deriva. La pesantezza delle stoffe, spesso riccamente ricamate e rifinite, comportò la riduzione del cappuccio, che nel sec. 13° giunse a trasformarsi in un lembo di stoffa triangolare con funzione esclusivamente decorativa, come per es. nel p. conservato nel tesoro del monastero di Sankt Paul im Lavanttal, in Carinzia, e nel trecentesco p. di Pio II (Pienza, Mus. della Cattedrale). È proprio in virtù della presenza del cappuccio che il p. è stato talora considerato derivato dall'antica poenula, probabile prototipo peraltro anche della pianeta, munita anch'essa di copricapo per la pioggia e in un secondo momento aperta nella parte anteriore. Tuttavia Wilpert (1903, p. 84) riconnette l'origine del p. all'antica lacerna o birrus, mentre Braun (1907) ritiene che da principio il p. fosse appunto una cappa munita di cappuccio, riservata nelle celebrazioni solenni ai principali membri della comunità monastica e ai primi cantori.Agli inizi del sec. 9° le fonti attestano l'estraneità della cappa rispetto al corredo liturgico tradizionale, di cui parte essenziale appare ancora la pianeta. A partire dalla fine del secolo successivo i cantori dismisero la pianeta, il cui uso rimase riservato alle celebrazioni della messa, indossando di norma la cappa festiva in occasione di funzioni al di fuori della messa stessa, specialmente nell'incensazione, nelle lodi e nei vespri, da cui i termini tedeschi di Rauchmantel ('manto dell'incensazione') e Vespermantel ('manto del vespro'), utilizzati a indicare il piviale. Divenuto ormai abito liturgico, il p. fu indossato poi dai sacerdoti nell'incensazione dell'altare durante l'uffizio e nelle benedizioni solenni, nel corso delle processioni, così come dagli stessi cantores, in occasione delle traslazioni delle reliquie, e fu utilizzato dai vescovi nel corso delle riunioni conciliari e delle consacrazioni di edifici sacri (Braun, 1907, trad. it. p. 111). La destinazione del p. alle celebrazioni solenni - che trova numerose attestazioni soprattutto a partire dal sec. 13°, come dimostra, tra le altre, la testimonianza fornita dal cerimoniale di Giacomo Caetani, nel quale è descritto il p. de opere anglicano indossato da Clemente V nel corso del rito di canonizzazione di s. Pietro Celestino (Labande, 1893, p. 65) - ne assimila la funzione a quella dei manti imperiali, di foggia molto simile. Non mancano esempi di indumenti medievali nati per uso laico, poi riutilizzati a scopi liturgici, anche in epoca moderna, come il duecentesco p. di Carlo Magno, conservato a Metz (tesoro del duomo).La notevole somiglianza nella foggia tra il p. e la casula - antica denominazione della pianeta, nella versione c.d. a campana - nonché la trasformazione, in alcuni casi, di casule in p., avvenuta posteriormente alla confezione degli abiti stessi, hanno generato talora confusione in sede critica quanto alla esatta definizione di una categoria alla quale in maniera inequivocabile potessero essere ascritti tutti i piviali. È accaduto, infatti, che quello che è comunemente conosciuto come il p. di s. Alboino di Bressanone (Mus. Diocesano) sia stato definito da Serra (1937) casula e che la casula di s. Massimo, della chiesa di Saint-Etienne a Chinon, sia stata indicata come p. da alcuni studiosi (Santangelo, 1958, p. 9; Müller-Christensen, 1960, p. 88), senza precisare che si tratta con buone probabilità di un indumento che, concepito inizialmente come casula, fu convertito successivamente in p., come nel caso di un altro paramento realizzato in lampasso lucchese, databile alla seconda metà del Duecento (Roma, Mus. del Palazzo di Venezia).Gli inventari del tesoro pontificio nei secc. 13° e 14° menzionano un numero piuttosto cospicuo di p., alcuni dei quali confezionati per espressa commissione papale, come quello in opus anglicanum descritto nell'inventario del 1361, ordinato da Niccolò III, con figure di santi su di uno sfondo lavorato in oro (Müntz, Frothingham, 1883, p. 19), altri frutto di doni da parte di qualche sovrano agli stessi pontefici, come quello regalato da Edoardo I a Niccolò IV (Langlois, 1905, p. 1039, nr. 7593), anch'esso di lavorazione inglese e oggi perduto come il precedente.Scomparsi in massima parte i p. elencati negli inventari medievali, esistono tuttavia alcuni esemplari per i quali è possibile trovare riscontro nei documenti dell'epoca. È il caso del p. con le Storie della Vergine e di santi, lavoro in opus anglicanum della fine del sec. 13°, citato nell'inventario di Bonifacio VIII tra i doni elargiti dal pontefice alla cattedrale di Anagni, dove è conservato (Tesoro del Duomo), benché - come accade di frequente a causa di distrazioni dei compilatori - sia definito planeta; ed è il caso anche del p. di Bonifacio VIII, abito liturgico in sciamito rosso con ricami in oro con rotae che inglobano aquile bicipiti, pappagalli affrontati e grifoni, in opus cyprense, di probabile provenienza siciliana e riconducibile alla seconda metà del Duecento, anch'esso ad Anagni (Tesoro del Duomo), la cui descrizione fornisce peraltro preziose notizie sull'originaria decorazione con perle e pietre preziose, attualmente perduta (Mortari, 1963, pp. 19-21).Anche il p. in opus anglicanum di Ascoli Piceno (Pinacoteca Civ.), databile intorno alla fine degli anni sessanta del Duecento, fu un dono da parte di Niccolò IV alla città nella quale tuttora si conserva (Langlois, 1905, p. 959, nr. 7101); spartito da medaglioni circolari con raffigurazioni di pontefici che si affiancano a immagini di Cristo e della Madonna, il paramento è affine stilisticamente a un altro p. di Anagni (Tesoro del Duomo), anch'esso inglese, con raffigurazioni del martirio di santi entro cornici polilobate che fiancheggiano la Crocifissione e l'immagine della Madonna in trono con il Bambino (v. Anagni).Il p., per la peculiare foggia semicircolare, offre spazio a rappresentazioni piuttosto complesse, sia pertinenti a soggetti sacri sia riproducenti raffigurazioni zoomorfe o fitomorfe, spesso stilizzate. Negli esemplari più antichi il progetto decorativo non tiene conto di particolari canoni e libera appare la distribuzione dei soggetti raffigurati senza che vi sia una preliminare, regolare spartitura degli spazi, spesso con l'inserimento di figure macroscopiche campeggianti sulla superficie degli stessi p., dislocate comunque, sovente, secondo un criterio di specularità. È il caso del citato p. di s. Alboino di Bressanone, databile al sec. 11°, superbo esemplare di tessitura bizantina, sulla cui superficie in seta rossa dominano diverse figure di aquile, intessute in nero. Da Bisanzio è probabile provenga anche il p. di Bamberga (Diözesanmus.) - la cui storia pare debba collegarsi al papa Clemente II (1046-1047) -, tessuto in seta rossa e decorato con motivi orbicolari che inglobano coppie di leoni, grifoni e pappagalli. Lo stesso schema venne in seguito riproposto in altri esemplari più tardi, in versioni anche a ricamo, quale il citato p. duecentesco di Bonifacio VIII.Da manifatture siciliane dovrebbe provenire anche il p. un tempo nella chiesa di Santa Corona a Vicenza, ora conservato presso la sagrestia del duomo della stessa città, in sciamito rosso con ricami in oro, che trae dallo schema orientale le immagini dei volatili affrontati, distribuiti a coppie con scansione regolare sul tessuto di fondo. Tra i più antichi esemplari di p. medievali va citato quello, di probabile fattura fiorentina, conservato nella sagrestia della chiesa di Santa Trinita a Firenze, proveniente dalla tomba del beato Bernardo degli Uberti, databile entro il primo trentennio del sec. 12°, operato con un minuto disegno in rosso e verde scuro.L'organizzazione delle decorazioni si perfezionò con il trascorrere dei secoli sia nei p. nei quali il disegno, frutto del lavoro sul telaio, risulta da precisi rapporti intercorrenti tra i fili, spesso serici, sia soprattutto in quelli ricamati, dove il lavoro ad ago, in concomitanza con il perfezionarsi delle tecniche di ricamo stesse, consente di ottenere risultati del tutto assimilabili a quelli raggiunti nella miniatura coeva. Dai p. medievali superstiti - gran parte dei quali, soprattutto databili tra il sec. 13° e il 14°, rifiniti con lavoro di ricamo - si evince la consuetudine, invalsa a partire dal sec. 13°, di realizzare in via preferenziale p. in cui il progetto decorativo, preliminarmente tracciato sulla stoffa di base a inchiostro, fosse realizzato, appunto, mediante il lavoro ad ago. La distribuzione delle parti figurate trovò modo di perfezionarsi soprattutto a partire dalla seconda metà del sec. 13°, quando, proprio negli esemplari in opus anglicanum, le scene di argomento cristologico o mariano e di carattere agiografico trovarono una razionale collocazione all'interno di cornici circolari, polilobate, poligonali o mistilinee, e al di sotto di architetture in stile gotico, tendenti a divenire sempre più complesse nel sec. 14°, attenendosi nell'orchestrazione delle scene a un preciso criterio gerarchico, che destina le parti centrali a ospitare gli episodi salienti della Vita di Cristo e della Madonna.Prescindendo, per il momento, dagli esemplari in opus anglicanum, che costituiscono il nucleo più consistente dei p. medievali, sia tra quelli tutt'oggi esistenti sia tra quelli esclusivamente attestati nelle documentazioni inventariali, si devono ricordare anche esemplari tessili provenienti da manifatture nordiche, per lo più databili a partire dal 13° secolo. È il caso del p. di Göss, in Stiria, parte di un paramento costituito da un antependium, da una casula e da una dalmatica, conservato a Vienna (Öst. Mus. für angewandte Kunst), confezionato con ogni probabilità nel monastero delle Benedettine di Göss nella seconda metà del 13° secolo. Piuttosto guasto e vistosamente segnato dall'inserimento, a fini evidentemente consolidativi, di brani di stoffa estranei al p. stesso e pertinenti probabilmente al parato di cui costituisce parte, anch'esso realizzato in lino con ricami in seta policroma, il p. si segnala per l'originalità del progetto decorativo, che prevede - su di una base suddivisa a piccoli riquadri racchiudenti figure di animali, tra le quali compaiono grifoni, aquile, leoni - l'inserimento in posizione centrale dell'immagine della Virgo lactans clipeata, attorniata dai simboli degli evangelisti, anch'essi raffigurati entro medaglioni circolari. Sempre in Austria, nel tesoro del monastero di Sankt Paul im Lavanttal è conservato il citato p., ricamato, ascrivibile al sec. 13°, la cui intera superficie è scandita da medaglioni che racchiudono storie della Vita dei ss. Biagio e Vincenzo.Un analogo schema con cornici circolari che inglobano raffigurazioni sacre è presente anche in un esemplare di probabile origine francese: il p. ricamato di Uppsala (tesoro della cattedrale), databile intorno al 1274, che ospita, in uno dei medaglioni del registro centrale verticale, la raffigurazione dell'Incoronazione della Vergine. Lo stesso tema si trova riproposto in numerosi esemplari in opus anglicanum sia duecenteschi sia trecenteschi e la sua presenza su manufatti tessili deve avere certamente giovato alla diffusione, nei paesi europei, del tema iconografico.Nell'ideazione d'insieme, il tessuto di Uppsala è accostabile al p. di s. Luigi, in lino intessuto in oro con ricami in seta policroma, conservato nella basilica della SainteMadeleine a Saint-Maximin-la-Sainte-Baume (dip. Var). Realizzato alla fine del sec. 13°, con buone probabilità confezionato anch'esso in Francia, l'indumento attesta il non esclusivo appannaggio nella realizzazione di esemplari in opus anglicanum da parte dei laboratori anglosassoni. Il p. - che ripropone lo schema decorativo con scene della Vita della Vergine e della Passione di Cristo, racchiuse entro clipei - presenta non poche similarità sia stilistiche sia iconografiche con il citato p. di Anagni con le Storie della Vergine e di santi, forse uno dei più antichi lavori in opus anglicanum conservati in Italia. Il pezzo è stato sicuramente interessato da qualche manomissione, come si evince dal profilo mutilo di alcuni medaglioni dislocati lungo i bordi perimetrali. Da manifatture francesi è probabile provenga anche il p. di Montiéramey, conservato a Troyes (Trésor de la Cathédrale), databile alla fine del sec. 13°, realizzato in sciamito rosso con scene ricamate entro quadrilobi.Un analogo schema decorativo, che spartisce con regolarità tutta l'area dei p. mediante moduli geometrici, si trova ancora in un altro p. in opus anglicanum, conservato a Roma (BAV, Mus. Sacro), riconducibile all'ultimo ventennio del secolo, realizzato in sciamito rosso con ricami in oro, la cui superficie è divisa da moduli stellari, negli interstizi dei quali si affacciano figure di serafini. La fascia centrale verticale ospita, partendo dall'alto, l'Incoronazione della Vergine, la Crocifissione e la Madonna in trono, così come accade nel p. Syon (Londra, Vict. and Alb. Mus.), databile al primo ventennio del sec. 14°, anch'esso dovuto a ricamatori inglesi, nel quale le raffigurazioni, che presentano nelle zone laterali numerose scene pertinenti alla Vita di santi, sono comprese all'interno di cornici polilobate. Inconsueto per il repertorio figurativo appare poi un altro p. conservato a Londra (Vict. and Alb. Mus.), piuttosto lacunoso, realizzato in sciamito rosso, databile tra la fine del sec. 13° e il primo quindicennio del successivo, con motivi vegetali disposti in maniera da fungere da cornice alle figure di profeti che sono rappresentati all'interno della più ampia composizione allusiva all'albero di Iesse. Lo stesso tema iconografico è presente in un altro p. (Berna, Abegg-Stiftung), proveniente dalla cattedrale di Salisburgo, contemporaneo all'esemplare precedente e rapportabile iconograficamente a un altro pezzo in opus anglicanum, il p. di Daroca (Madrid, Mus. Arqueológico Nac.).Quanto alla produzione di p. in epoca trecentesca, si conferma nuovamente la diffusione di esemplari in opus anglicanum con spartimenti costituiti da moduli architettonici goticheggianti, la cui struttura divenne sempre più articolata. Secondo King (1963), uno dei primi esempi di tale nuovo tipo di decorazione è costituito dal p. della Vergine conservato nel tesoro della cattedrale di Saint-Bertrand-de-Comminges (dip. Haute-Garonne), in seta rossa con ricami in oro e fili di seta policroma, spartito da due ordini di arcate, databile - a parere dello studioso - al primo ventennio del sec. 14° e legato, secondo la tradizione, al papa Clemente V, come un altro p. in seta bianca, con storie della Passione, conservato nella stessa chiesa. Tra questi esemplari va annoverato il p. conservato a Bologna (Mus. Civ. Medievale), databile allo scorcio del secolo, la cui superficie è spartita da due ordini concentrici di arcatelle gotiche, che ospitano scene relative alla Vita di Cristo. Lo schema si fa sempre più articolato, come è visibile nel citato p. di Pienza, databile intorno agli anni trenta del Trecento. Vi compaiono tre registri a ripartire la superficie del tessuto, costituiti da arcate ogivali, disposte in maniera da creare interstizi cuoriformi ospitanti figure di profeti, secondo un piano decorativo assai simile a quello registrabile in un altro p., probabilmente appartenuto a papa Giovanni XXII (1316-1334), di cui non resta oggi che un'esclusiva testimonianza grafica, costituita da un acquarello conservato a Liverpool (Walker Art Gall.), legato stilisticamente a un altro tessuto inglese, custodito a Toledo (Mus. Catedralicio), il p. del cardinale Gil de Albornoz. L'articolazione della decorazione in tre fasce concentriche di arcate è riproposta anche nel p. Butler-Bowdon con Storie della Vergine (Londra, Vict. and Alb. Mus.), più tardo rispetto ai precedenti (1330-1350), la cui raffigurazione culminante è costituita dalla scena dell'Incoronazione della Vergine, presente ancora nel p. di s. Silvestro, conservato nel tesoro della basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma, tradizionalmente creduto l'indumento che Bonifacio VIII indossò in occasione del giubileo del 1300. La tarda cronologia proposta da King (1963) per il pezzo, da fissarsi a suo avviso intorno alla metà del sec. 14°, osta vistosamente con la valutazione dei dati stilistici, che ne consigliano piuttosto una datazione che non oltrepassi la fine del Duecento (Andaloro, 1990, p. 277). Il disegno delle arcate, entro le quali compaiono episodi della Passione di Cristo e della Vita della Madonna, ricorda da vicino quello proposto in un p. conservato a Vic (Mus. Arqueologic-Artistic Episcopal), databile intorno agli anni trenta del Trecento. L'assetto attuale di quest'ultimo pezzo, frammentario, ma correlato iconograficamente al p. Butler-Bowdon, è frutto di una ricostruzione avvenuta in tempi moderni, seguita a precedenti manomissioni, evidentemente finalizzate a confezionare con gli stessi brani del p. qualche altro indumento.Il patrimonio dei p. medievali superstiti contempla qualche altro esemplare, come quello già menzionato del Mus. del Palazzo di Venezia, proveniente da manifatture lucchesi, la cui fiorente attività è attestata in epoca due-trecentesca da numerosi esemplari tessili, quale il p. dell'arcivescovo Nicola Alloni, conservato a Uppsala (tesoro della cattedrale); si tratta di un lampasso con fondo bianco sul quale compaiono teorie di draghi alati, alternate a teorie di coppie di struzzi, databile alla fine del sec. 13°, e di altri due più tardi p. conservati nel tesoro della chiesa di S. Maria a Danzica, riconducibili al secolo successivo (Mannowsky, 1932, pp. 14-15, nn. 4-5), la cui decorazione è concepita secondo gli schemi canonici dei tessuti diasperati.
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