PIZZIGONI, Giuseppe, detto Pino
PIZZIGONI, Giuseppe, detto Pino. – Nacque a Bergamo il 9 giugno 1901 da Attilio, avvocato, e da Maria Patirani, che morì quando il figlio aveva appena tre anni.
Fin dal tempo in cui frequentava con profitto il liceo classico statale Paolo Sarpi si distinse per le sue doti artistiche, coltivate presso lo studio del pittore Giacomo Bosis (1863-1947), continuatore della lezione di Cesare Tallone. Si indirizzò, tuttavia, allo studio dell’architettura, che svolse presso il Politecnico di Milano. Qui fu allievo di Gaetano Moretti (1860-1938), erede originale dell’insegnamento di Camillo Boito, insieme a Giuseppe Terragni, Guido Frette, Sebastiano Larco, Carlo Enrico Rava, Piero Bottoni, Luigi Figini, Gino Pollini. Ma, a differenza dei suoi compagni di studi, attratti immediatamente, come puntualizzò lui stesso, «dalla cultura internazionalista e dalle idee funzionaliste di Weimar», egli propese per le opere di architetti meno giovani come Giovanni Muzio, Gio Ponti, Giuseppe De Finetti, Giovanni Greppi, «i quali, non per la parte tecnica o distributiva, ma per la forma, restavano attaccati agli schemi classici» (A. Pizzigoni, 1971, p. 6).
Conseguì la laurea nel 1924 con un saggio di progettazione sul mausoleo di Giulio II, e subito dopo si dedicò alla realizzazione della casa per il padre (1925-27), sul viale Vittorio Emanuele a Bergamo, esempio originale e compiuto di moderna classicità, arricchito di valori figurativi da un intelligente utilizzo dell’accentuata pendenza del luogo con la realizzazione di uno scalone di ingresso ad anfiteatro in pietra e dal sapiente uso di una pluralità di materiali e tecniche, edilizie e artistiche, nell’architettura degli interni. In questi anni Pizzigoni ebbe intensi contatti con la corrente culturale e artistica milanese denominata ‘Novecento’, in particolare con l’architetto Giovanni Muzio e i pittori Mario Sironi e Achille Funi, con i quali ebbe modo di collaborare in quattro importanti occasioni: gli interni della Banca bergamasca (1926), nel centro di Bergamo bassa, realizzata da Marcello Piacentini; i padiglioni italiani per l’Esposizione di Colonia del 1928 e per quella di Barcellona del 1929; il palazzo dell’Arte a Milano, sede della Triennale, terminato nel 1933.
Dagli anni Trenta la sua esplicita posizione di non adesione al regime fascista lo costrinse a concentrarsi su un’attività professionale privata, che condusse esclusivamente nella sua città natale e nel territorio bergamasco, con grande rigore, spirito di ricerca e al di fuori delle contrapposte correnti che si contendevano gli incarichi pubblici.
In collaborazione con l’ingegnere Michele Invernizzi realizzò la casa Traversi (1929-30), in via Borgo Palazzo, che si segnala per il fronte stradale di un classicismo semplificato e per un interno marcatamente funzionale. La villa-studio per il pittore Romualdo Locatelli (1931, poi profondamente trasformata), in corso Monte Orsola sui colli di Bergamo, rappresentò l’occasione per una sintesi personale di forma e funzione. Nella villa Rinaldi-Ardiani (1932, demolita di recente), in corso Monte Rosa a Selvino, nella quale chiamò a eseguire affreschi il giovane Giacomo Manzù, approfondì la ricerca di semplicità e razionalità compositiva. L’esito maggiore di questa ricerca si ebbe nella casa cubo (1933-37) in via Monte Ortigara, di apparente impronta lecorbusieriana, ma ricca di particolari compositivi di tradizione italiana e di una ricerca personale matura.
Pizzigoni svolse anche una trentennale attività di insegnamento del disegno e della prospettiva presso l’Accademia Carrara, che contribuì a mantenere viva la tradizione e a sviluppare il radicamento nel contemporaneo di questa scuola di belle arti plurisecolare, locale ma ricca di spunti e figure originali.
Dopo la Liberazione, la sua posizione di professionista stimato, che era riuscito a mantenere una sostanziale indipendenza, e il ruolo di magistero ricoperto con grande dignità e intelligenza gli valsero un unanime riconoscimento.
Fu presidente del comitato promotore del VII CIAM (Congresso Internazionale di Architettura Moderna), che si svolse a Bergamo nel 1949 e che vide tra i partecipanti Le Corbusier, Denys Lasdun, Sigfried Giedion, Cornelis van Eesteren, Josep Lluis Sert, Helena Syrkus.
Partecipò alla ricostruzione con una serie di studi per case economiche, come quello per una casa collettiva di cento appartamenti nel 1946. Del suo impegno diede prova con il prototipo di casa minima unifamiliare (1946), presso il lazzaretto di Bergamo, e con le case Fanfani INA-Casa (1949), in via Fara, a ridosso delle mura di Bergamo, raro esempio di architettura contemporanea nel centro storico.
Indirizzò decisamente la sua produzione postbellica verso una sintesi sperimentale e pragmatica di forma e struttura, dapprima con materiali tradizionali, lapidei nella fattispecie della cappella Baj (1946) e della cappella Ardiani (1947) nel cimitero Monumentale; in seguito, con l’innovativa tecnologia delle volte sottili, applicata per la prima volta nella cappella Billi (1956) e nello stabilimento Comana (1957), a Seriate, dopo primi rudimentali tentativi compiuti nelle stalle di sua proprietà a Zandobbio a partire dal 1956. Seguirono il caseificio e porcilaia (1960-64) a Torre Pallavicina, gli asili CEP (1959-65) nel quartiere di Monterosso e, infine, la chiesa di S. Maria Immacolata (1960-63) a Longuelo.
In relazione a quest’ultima, definita da Walter Barbero un «oggetto sfida», lo stesso autore lasciò aperto il quesito se andasse considerata come opera di scienza, «macchina da costruzione», oppure d’arte e d’architettura, vale a dire composizione spaziale di valori artistici e spirituali (P. Pizzigoni, 1966, p. 30). Sul piano formale Pizzigoni riversò in quest’ultima sperimentazione tutto il suo apprezzamento per l’architettura di Bruno Taut, testimoniato anche da realizzazioni come la casa Colombo (1957-59), in via Masone, e la casa per lo scultore Nani (1964), a Parre; mentre sul piano strutturale l’obiettivo pionieristico fu quello di applicare questa tecnologia, di sicuro rilievo economico per il risparmio indotto nel costo delle costruzioni industriali e infrastrutturali, a un’architettura di rilievo simbolico e civile: una ricca tensostruttura a vele, risultato della composizione di quattro parti simmetriche e staticamente autonome. L’interpretazione strutturale dell’opera (Deregibus - Pugnale, 2010) ha chiamato in causa il principio del ‘nastro di Moebius’, che trae il nome dal matematico tedesco August Ferdinand Möbius (1790-1868) e al quale l’artista olandese Maurits Cornelis Escher (1898-1972) dedicò due xilografie nel 1961 e nel 1963.
In questa ricerca di sintesi spaziale di struttura e forma Pizzigoni si pose sulla stessa lunghezza d’onda di altri grandi studiosi e sperimentatori, come Victor Novozhilov (1892-1970), Eduardo Torroja (1899-1961), Felix Candela (1919-1997) e Ulrich Müther (1934-2007), uniti nella fede in una nuova civiltà costruttiva, che vide nelle volte sottili il simbolo di una nuova era edilizia e umanistica. Non a caso il paraboloide iperbolico assurse a simbolo nella grande composizione di maioliche policrome Der Mensch, das Maß aller Dinge (L’uomo misura di tutte le cose, 1968) dell’artista Walter Womacka (1925-2010), originariamente situata all’ingresso del ministero dell’Edilizia dell’ex Repubblica democratica tedesca.
Il piano della ricerca formale fu evocato direttamente dall’autore: «le forme nel nostro caso sono dettate […] più dalla volontà che da una esigenza funzionale» (P. Pizzigoni, 1966, p. 30), in sintonia con la coeva rivalutazione dell’espressionismo, celebrato dalla grande rassegna di palazzo Strozzi del 1964 a cura di Marisa Volpi e Giovanni Klaus Koenig, con Leonardo Ricci per l’allestimento. L’aspetto tautiano dell’opera sarebbe risultato molto più evidente se l’interno fosse stato dipinto con i colori neutri e primari indicati dall’autore negli schizzi di progetto.
Un ulteriore campo di attività di Pizzigoni fu costituito dall’edilizia scolastica: l’istituto tecnico industriale statale Pietro Paleocapa a Bergamo (1953-58) e la scuola elementare a Rota d’Imagna (1956-60).
Tra le sue ultime opere merita di essere ricordato l’ampliamento del teatro Donizetti a Bergamo (1954-64), che seppe istituire un dialogo colto e convincente con la preesistenza ottocentesca.
Pizzigoni si spense improvvisamente a Bergamo all’età di sessantacinque anni, il 29 marzo 1967.
Dei suoi tre figli, Maria, Antonia e Attilio, nati dal matrimonio con Giuseppina Gallina (1905-1983), gli ultimi due continuarono la professione paterna. Ad Attilio si deve il suo primo profilo critico.
La sua figura ha rappresentato per molto tempo per la storiografia e la critica architettonica «un caso» (Contessi, 1982), e soltanto di recente la sua opera è stata rivalutata come coerente per quanto multiforme ricerca di sintesi tra arte e tecnica, in un orizzonte di impegno rigoroso, civile, semplice e aperto.
Fonti e Bibl.: G. Pizzigoni, Idee sulla prospettiva, Bergamo 1932; Id., Prospettiva illustrata per pittori, architetti, scenografi e cineasti, Bergamo 1951; Id., La prospettiva: metodo pratico per pittori, architetti, scenografi, cineasti, Milano 1966; Id., Relazione tecnica, in Della Chiesa di Maria Santissima Immacolata a Longuelo, a cura di G.R. Crippa, Bergamo 1966.
Necrologi. G.R. Crippa, P. P.: architetto e pittore geniale, Bergamo-Roma 1967; G. Muzio, Omaggio a P. P., in La Rivista di Bergamo, 1967, n. 7 (luglio), pp. 9-12.
Biografia critica. A. Pizzigoni, P. P. (1901-1967): il ’900 milanese e i rapporti col movimento moderno (dal 1920 al 1940), in Bergamo arte, II (1971), 6, pp. 19-30; A. Pizzigoni, P. P. (1901-1967): un contributo all’architettura italiana del dopoguerra (dal 1945 al 1967), ibid., II (1971), 7, pp. 25-37.
Rassegne. Pizzigoni. Invito allo spazio, progetti e architetture. 1923-1967 (catal., Bergamo), a cura di A. Pizzigoni, Milano 1982 (in particolare G. Contessi, Un caso italiano. Introduzione all’architettura di P. P., pp. 10-22; W. Barbero, La chiesa di Maria Santissima Immacolata a Longuelo, pp. 142 s.); P. Belloni, Pizzigoni a Bergamo, in Domus, 1998, n. 801 (itinerario/itinerary 142), pp. 105-112; Id., P. P., in La Rivista di Bergamo, n.s. (2001), n. 27, pp. 40-51; W. van den Bergh - L. Motta, G. (P.) P., 1901-1967. Bergamo, collana «Local Heroes», http://www. winhov.nl/en/local-heroes, 2011, n. 7 (25 agosto 2015).
Saggi. F. Pagnoncelli, L’architetto P. P. nel ventennio fascista, in Studi e ricerche di storia contemporanea, 2001, n. 51, pp. 43-63; S. Scarrocchia, La chiesa di Longuelo di P. P. nelle foto di Carlo Leidi: contributo all’estetica della ricezione, Bergamo 2002; C. Deregibus - A. Pugnale, The church of Longuelo by P. P.: design and construction of an experimental structure, in Construction history. Journal of the Construction History Society, XXV (2010), pp. 115-140; S. Scarrocchia, Una composizione spaziale di valori artistici e spirituali, in Ark - L’Eco di Bergamo, 2011, n. 5, monografico: Architettura sacra, pp. 14 s.
Sul fondo Pino Pizzigoni della Biblioteca Angelo Mai di Bergamo: Archivio P. P. Inventario con note introduttive e indici dei committenti, dei luoghi, delle voci delle diverse tipologie architettoniche e grafiche, a cura di P. Belloni - R. Cattaneo - R. Mangili, Bergamo 1992.