Placebo
Il termine placebo (derivato dalla prima persona del futuro del verbo latino placere, "piacere") indica una preparazione farmaceutica a base di sostanza farmacologicamente inerte la quale viene somministrata per gli effetti psicologici che può avere sul paziente, oppure per eseguire confronti con medicamenti efficaci in una serie di esperimenti clinici.
L'impiego più consolidato del placebo è quello a scopo psicoterapeutico suggestivo, essendosi riscontrato che una sostanza concreta, consigliata o somministrata dal medico, determina sovente nel paziente una reazione psicologica positiva e quindi una pronta ripresa di funzioni, come per es. quella gastrointestinale, sotto importante controllo neurovegetativo, fornendo altresì elementi di aspettativa di guarigione (soggettiva) o di reale miglioramento (oggettivo). Il fattore psichico si avvale perciò della concretezza dell'inerte, ritenuto sostanza attiva, per influire attraverso neuromediatori sulle funzioni biologiche. Si possono infatti registrare modificazioni della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca, della diuresi o dell'alvo e, in base a queste variazioni, anche potenziali effetti terapeutici. La direzionalità di queste variazioni è piuttosto nel senso operato dal sistema parasimpatico o simpatico, interagente come componente fisica dell'attivazione psichica, che nel senso di un'interazione molecolare a livello cellulare, come invece avviene quando si somministra un principio attivo. Recentemente, essendo divenuto necessario il disegno sperimentale per la dimostrazione scientifica di una qualunque attività di sostanze assunte a scopo terapeutico, e dovendosi applicare per dimostrazioni di questo genere l'analisi statistica, il placebo è entrato intenzionalmente in uso come contrappeso inerte sul secondo piatto di una bilancia valutativa degli effetti di un principio attivo: per la loro definizione il criterio aureo diviene la valutazione differenziale secondo la tipologia dell'esperimento in cieco singolo o doppio (v. oltre).
Il valore del placebo quale strumento innocuo e mediatore di rapporto carismatico medico-paziente non deve essere sottovalutato. La medicina antica ha fatto largo ricorso all'erboristeria e alla somministrazione di galenici, talvolta mutuati dalla magia, e certamente il riconoscimento della validità medicinale di moltissimi ritrovati è stato lungo e complesso nel corso dei secoli; ulteriore elemento di complicazione è stata inoltre la necessità di separare gli effetti potenzialmente dannosi di alcune antiche preparazioni farmaceutiche da quelli sostanzialmente vantaggiosi, tramite il rapporto carismatico che si è menzionato, pur in presenza di una sostanza somministrata del tutto inerte come l'acqua distillata. Pertanto, elemento necessario che valga all'inerte il nome di placebo è la sua sostanziale innocuità, ma essa non è sufficiente in quanto è indispensabile anche che il paziente ritenga la sostanza principio attivo, proprio perché come tale gli viene proposta dal medico in cui egli ripone un'intera e incondizionata fiducia. A sostegno di questa fiducia, o forse piuttosto perché essa non venga incrinata dal dubbio, è inoltre necessario che il placebo sia indistinguibile dal farmaco e non presenti caratteristiche organolettiche peculiari. Colore, sapore, odore, dimensioni, peso, consistenza e in senso lato fisicità del placebo devono per definizione essere l'esatta replica del farmaco, senza peraltro avere contenuto di principi attivi. Così per es. un comune farmaco sedativo, somministrabile in gocce che diluite in acqua forniscano un colorito rosato al contenuto di un bicchiere con il quale il paziente usualmente assume il prodotto, dovrà e potrà essere sostituito con un placebo a condizione di impiegare un inerte che, prelevato da una confezione identica a quella in cui è normalmente contenuto il farmaco, fornisca sia lo stesso tipo di colorazione quando diluito sia il medesimo sapore. Ove dovessero essere rispettate queste regole gli effetti sedativi dell'assunzione del placebo possono essere identici a quelli ottenibili con il principio attivo in oltre il 30% dei casi: veicolo dell'effetto terapeutico è la suggestione sotto l'influenza del rapporto carismatico, e non già l'interazione molecolare o di massa tra il principio attivo contenuto nel farmaco vero e proprio e le sinapsi neuronali del paziente.
Ben diversa è la condizione nella quale il placebo è impiegato per distinguere l'effetto vero di un principio attivo che venga somministrato in parallelo e per rafforzare la certezza circa le differenze esistenti con il principio attivo, ricorrendo anche alla tecnica dell'incrocio (cross-over), che consiste nel somministrare, in una fase successiva, placebo a chi abbia assunto principio attivo e viceversa, eventualmente intercalando le fasi sperimentali propriamente dette con l'assunzione di placebo (wash-out) chiaramente definito. In questo modello sperimentale le variabili da misurare, e successivamente da valutare statisticamente con adeguate tecniche, vengono registrate in fasi temporalmente parallele su pazienti che assumono il principio attivo e su pazienti simili (randomizzati, cioè scelti in base a criteri di inclusione e a una selezione operata con un calcolo che fa riferimento a numeri casuali) che ingeriscono un placebo (fisicamente indistinguibile), mentre è ignoto sia al paziente sia al medico (doppio cieco) chi assuma cosa, perché le confezioni dei prodotti sono identiche e differenziabili unicamente in base a una lettera (o a serie più complesse di tipo alfanumerico) la cui corrispondenza è nota solo a una parte esterna all'esperimento (codice segreto), che non è autorizzata a divulgarlo se non alla fine dell'esperimento stesso o in rari casi previsti dal protocollo dello studio; ciò comporta peraltro la non considerazione di alcun dato di quel paziente per l'analisi dei risultati finali dello studio. In alcuni casi, dopo un breve periodo nel quale tutti i pazienti assumono placebo chiaramente evidenziato, si opera l'incrocio, e chi assumeva placebo assume allora principio attivo e viceversa. Questa procedura permette di ridurre al minimo l'interferenza della variabilità sia spontanea sia indotta artificialmente, per es. dal convincimento di assumere un principio efficace, nella valutazione delle misure biologiche più disparate, ed è considerata adeguata a fornire la prova scientifica di un effetto misurabile. L'efficacia di un farmaco anti-ipertensivo, per es., viene definita, in questo contesto, in base alla valutazione degli effetti differenziali tra fase con principio attivo e fase con placebo in pazienti simili, determinando la probabilità con la quale si possa sbagliare nell'affermare che gli effetti di riduzione della pressione siano maggiori con il principio attivo che con il placebo, quando in effetti non lo siano. Il placebo è un insostituibile mezzo per l'acquisizione della conoscenza scientifica, il cui grado di certezza possa essere valutato nell'ambito della probabilità statistica delle differenze che, partendo dallo stilema dell'ipotesi d'identità, pervenga alla valutazione del grado di probabilità con cui possa essere confutata l'ipotesi nulla iniziale.
G. Pannarale et al., Twenty-four hour antihypertensive efficacy of felodipine 10 mg extended release: the Italian interuniversity study, "Journal of Cardiovascular Pharmacology", 1996, 27, pp. 255-61.