placebo
Forma farmaceutica che non contiene sostanze biologicamente attive, presentata al paziente come rimedio efficace e quindi somministrata al fine di indurre suggestione psicoterapeutica oppure per eseguire confronti con farmaci nelle sperimentazioni cliniche.
È stato calcolato che la somministrazione del p. determina una risposta clinica misurabile in una percentuale di pazienti che varia tra il 5 e il 65%, a seconda della patologia considerata. L’effetto p. è molto evidente nelle terapie del dolore, dell’ansia, della depressione. Nel classico esperimento condotto dal medico e farmacologo americano Robert J. Levine e collaboratori (1978), un’elevata percentuale (39%) di pazienti da sottoporre a un’operazione chirurgica trattati con p. raggiungeva uno stato di analgesia che poteva essere abolito somministrando il naloxone, un antagonista della morfina; ciò dimostra che il p. aveva provocato la liberazione di oppioidi endogeni. Esperimenti più recenti, svolti con l’aiuto di diverse tecniche non invasive in grado di ‘fotografare’ l’attività del cervello (come la PET), hanno dimostrato che la somministrazione di p. attiva le aree del giro cingolato anteriore rostrale, la corteccia prefrontale e orbitofrontale, l’insula, il nucleus accumbens, l’amigdala, il talamo mediale, la sostanza grigia periacqueduttale. Queste aree sono coinvolte nel controllo fisiologico del dolore, nella risposta allo stress, nel determinare gli stati emozionali e in molte funzioni cognitive. È stato anche dimostrato che l’effetto p. è condizionato dal contesto in cui la somministrazione è effettuata, venendo accentuato da un ambiente positivo, e ridotto da un ambiente ostile. In quest’ultimo caso, si può osservare un effetto opposto, denominato effetto nocebo, in cui il paziente sperimenta uno stato di malessere che può mimare gli effetti indesiderati di un farmaco. In situazioni del genere, sono state misurate alterazioni dei neurotrasmettitori endogeni del tutto opposte a quelle osservate con l’effetto placebo. L’effetto p. sarebbe alla base dei risultati positivi di molte preparazioni diverse dai farmaci tradizionali, proposte dalle medicine alternative.
Considerati gli effetti del condizionamento psicologico, già nel 1955 si propose di misurare nelle prove cliniche quanto dell’effetto di un farmaco fosse imputabile all’effetto placebo. Oggi la sperimentazione che paragona gli effetti di un farmaco a quelli del p. è considerata molto importante. Tuttavia, partendo dal principio che occorre assicurare ai pazienti la più efficace cura possibile (dichiarazione di Helsinki della WMA, 1964), trattare alcuni di essi con sostanze inerti farmacologicamente pone problemi di carattere etico. Oggi l’uso del p. è ammesso eticamente in alcuni casi generali, per es. quando non esiste una cura di provata efficacia; in ogni caso, tale opportunità è valutata dai comitati etici. Per analogia a quanto accade negli esperimenti farmacologici con l’effetto p., anche in altre sperimentazioni mediche si valuta la risposta dei pazienti a trattamenti inerti (denominati sham).