BORDONI, Placido
Nato a Venezia il 31 genn. 1736 da Pietro e Antonia Colussi, nel 1749 entrò nel collegio patriarcale di S. Cipriano e più tardi, completata la sua preparazione nella lingua greca e in teologia, abbracciò lo stato ecclesiastico. Si fece ben presto conoscere negli ambienti letterari veneziani, scrivendo versi e partecipando alle polemiche letterarie: difese, infatti, il Chiari contro Gaspare Gozzi con l'epistola Nuovosegretoper farsi immortale un poeta sulle Gazzette (Venezia 1760).
L'ottima conoscenza delle lingue straniere, in particolare del francese, gli aprì la possibilità di viaggiare come istitutore privato presso famiglie nobili, a Roma, a Napoli, in Spagna e Francia. Qui entrò in contatto con alcune delle più significative figure della cultura illuminista: conobbe Buffon, e non mancò alla visita d'obbligo per ogni giovane studioso, a Ferney, residenza di Voltaire, con cui ebbe lunghi colloqui; ma l'istintiva diffidenza, provocata dalla sua educazione clericale, verso le novità francesi, e fors'anche un'innata modestia di interessi culturali lo resero impermeabile alla carica rinnovatrice del pensiero d'Oltralpe.
Ritornato a Venezia, parecchi anni dopo curò, in un italiano francesizzante, la traduzione di alcune orazioni ciceroniane (Orazioni scelte di M. Tullio Cicerone..., Venezia 1795) e di brani dalla storia naturale di Plinio (Tre libri di agricoltura tratti dalla storia naturale di Cajo Plinio Secondo..., Venezia 1800), sforzandosi invano di imitarne la "meravigliosa brevità e concisione". Il B. si sentì attratto anche dal teatro, prima traducendo per la "Biblioteca de' più scelti componimenti" di Fortunato Stella (1793) e per il "Teatro applaudito" del Rosa una decina di commedie e tragedie di autori francesi, poi componendo una sua tragedia Ormesinda,ossia i cavalieri della mercede (Brescia 1807), molto simile alla Zaïre di Voltaire, ma priva di originalità e fiacca nello stile.
Nel 1809 fu eletto ispettore delle scuole normali e professore di istituzioni filosofiche nell'Imperial Regio Liceo di Venezia; ricoprì successivamente, dal 14 ott. 1815, la cattedra di belle lettere e storia e dal 1817 quella di letteratura classica latina e di filologia greca. Ma la sua fama di studioso è legata soprattutto alle opere storiche cui aveva atteso durante i tranquilli anni dell'insegnamento. Quasi estraneo al più vivace moto culturale dell'Italia settecentesca, era rimasto assente anche dalle tumultuose vicende dell'Italia napoleonica e della Restaurazione. Continuava in lui il tipo ideale dell'homme de lettres che vive il suo otium di ricerche e di studi, estraneo, anzi quasi infastidito, all'ansioso agitarsi di una società in rapida evoluzione.
Per l'editore Tasso di Venezia il B. curò la continuazione della Storia del cristianesimo di A. C. Berault-Bercastel, dall'anno 1721 al 1800(Venezia 1801-1805: del B. sono i volumi XXIX-XXXIV).
L'opera del gesuita francese, tradotta in più lingue, godeva allora di ampia notorietà e all'abate veneziano toccava proseguirla nel periodo più stimolante ed agitato della storia culturale, sociale e politica del Settecento: gli anni del più deciso attacco dei philosophes al pensiero e alle strutture dell'ancien régime, delle più vigorose iniziative del dispotismo illuminato, della Rivoluzione francese, dei primi scossoni al vecchio assetto europeo ad opera del Bonaparte. In questa prospettiva l'opera delude le attese: una difesa spesso acritica e preconcetta delle posizioni del papa in tutte le controversie religiose del secolo costituisce la linea di interpretazione più evidente, nell'ambito di una totale incomprensione per i valori che la cultura éclairée proponeva. Il B. giustifica la persecuzione religiosa, si compiace del rinnovato vigore dell'inquisizione spagnola, dopo i tentativi del ministro Aranda di ridurne lo strapotere, attacca con violenza i principî illuministici e i loro fautori. Saluta con favore i cospicui progressi delle scienze naturali, ma nell'indiscriminata condanna degli autori francesi non risparmia neppure Buffon per cui aveva avuto parole di elogio nella prefazione alla traduzione di Plinio; D'Alembert, La Mettrie, Montesquieu e gli altri philosophes non sono che i capi "di una congiura formata contro la religione di Cristo". Dell'Enciclopedia riconosce l'utilità scientifica ed elogia singoli collaboratori, ma ne condanna lo spirito eversivo dei valori cristiani, fino a ridurla ad un "immenso deposito degli errori, dei sofismi e delle calunnie inventate dall'empietà contro la religione". Aspra e tagliente è la condanna della Rivoluzione francese in cui non vede che una "prevaricazione mostruosa", un seguito infame di persecuzioni e massacri ad opera di gente irresponsabile e le cui cause indaga con superficialità e scarsa conoscenza della reale situazione interna della Francia. Dopo il 1792 la narrazione procede lacunosa e snezzata e si restringe quasi unicamente alla biografia di Pio VI. Il B. non ambiva fare dell'opera storica uno strumento di lotta politica, né aveva il dono di uno stile limpido e colorito; l'esposizione è monotona, fastidioso l'abuso dell'inserzione di brani o testi integrali di discorsi, lettere di papi e imperatori, passi di libri; egli si chiude per lo più in una pretesa di imparzialità, affidata alla pura esposizione dei fatti, soddisfatto di lasciare ai lettori la scelta della verità.
Un tono diverso nell'altra opera, la continuazione degli Annali d'Italia di L. A.Muratori;pubblicata a Venezia nel 1805-1806, prosegue l'opera del vignolese dal 1750 al 1805.
La campagna d'Italia di Napoleone, la sconvolgente esperienza di Campoformio, gli anni agitati da Marengo ad Austerlitz non potevano non lasciar una traccia anche in uno studioso dalle esperienze raccolte e schive qual era il Bordoni. Il violento demolitore del secolo dei lumi, l'aspro accusatore della Rivoluzione francese rettifica, sia pure solo parzialmente, il suo metro di giudizio: pur in una visuale strettamente italiana, ha parole di ammirazione per Napoleone, che definisce "sommo genio"; c'è un tono di minore astio ed anzi di velata simpatia per qualcuna delle novità in atto in Europa, anche se nella sostanza gli sfugge la reale portata delle lotte in corso e delle forze economiche e sociali che sono dietro la facciata dei clamorosi avvenimenti politico-militari; così anche l'attenzione per la nuova creazione napoleonica della Repubblica cisalpina non va al di là degli aspetti esteriori, strutturali. Del resto, nel grigiore di una prosa incolore e di un'ostentata obiettività, che è piuttosto accostamento di elementi contrastanti non unificati da una lucida intuizione storica, qua e là l'animus dell'anti-illuminista ricompare: definisce "deliri malinconici" il pensiero di Rousseau, "stravaganze" i tentativi di insediare municipalità democratiche nel Veneto, anche se contemporaneamente sente il dovere di denunciare gli arbitri della repressione sanfedista contro gli intellettuali della Repubblica partenopea e riesce a cogliere lo spirito nuovo che regna tra i soldati francesi cui Napoleone parla come a membri di una "nazione" e non come a mercenari indifferenti alle sorti della guerra che stanno combattendo.
Il B. morì a Venezia il 5 marzo 1821.
Fonti e Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1707; G. L. Bollomo, Elogio di P. B., Venezia 1821 (con bibliografia delle opere edite e inedite del B.); E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, V, Venezia 1837, pp. 356-359; E. A. Cicogna, Saggio di bibl. veneziana, Venezia 1847, p. 12. 388, 546; G. Soranzo, Bibl. veneziana, Venezia 1885, p. 332; G. Dandolo, La caduta della Repubblicadi Venezia ed i suoi ultimi cinquant'anni, Venezia 1885, pp. 221 ss.; E. Bertana, Il teatro tragicoitaliano del sec. XVIII prima dell'Alfieri, in Giorn. stor. della lett. ital., XXXIX (1901), 4, suppl., p. 156; B. Brunelli, Corrispondenti venez.del Metastasio, in Atti dell'Ist. veneto, LXI(1952-53), p. 174; G. Natali, Il Settecento, Milano 1960, pp. 453, 488, 523.