PLASTICITÀ (App. II, 11, p. 560)
In un corpo deformabile accanto a deformazioni elastiche reversibili sono in genere presenti, com'è noto, anche deformazioni anelastiche irreversibili, plastiche e viscose (v. anche reolocia, App. II, 11, p. 683).
Se la deformazione è contenuta (come accade nelle costruzioni e nelle macchine) il corpo non può fluire liberamente e le deformazioni plastiche sono indipendenti dalla durata del ciclo di carico e scarico. Se invece la deformazione non è contenuta (come accade nella laminazione, nella trafilatura, nello stampaggio dei metalli) il corpo può fluire e le deformazioni plastiche crescere col tempo.
La p. nei materiali più comuni diviene importante soltanto quando lo stato di sforzo supera una determinata soglia, talché abitualmente si può parlare di comportamento elastico dei materiali al di sotto di tale soglia (detta "limite elastico") e di comportamento elastoplastico al di sopra di questa.
Nell'ambito della perfetta elasticità la deformazione dipende linearmente ed omogeneamente dallo stato di sforzo (legge di Hooke) fin tanto che non viene superato il cosiddetto "limite di proporzionalità". Al di là di questo limite e di quello elastico (non necessariamente coincidente col primo) si verificano deformazioni plastiche prevalenti sulle elastiche. Nella teoria della perfetta elastoplasticità si ammette che la funzione dello stato di sforzo che contraddistingue il limite di proporzionalità mantenga in fase plastica il valore che ha raggiunto al limite elastico, pur continuando la deformazione a crescere. Se invece la deformazione decresce il comportamento ritorna a essere quello della perfetta elasticità. Così, se si considera un'asta tesa da una forza N (v. fig.), prima crescente fino a un valore massimo e poi decrescente fino al valor zero, la variazione ΔL della lunghezza L dell'asta è data dal diagramma segnato in figura a tratto intiero, mentre, se l'asta fosse perfettamente elastoplastica, il diagramma sarebbe quello caratterizzato dalla spezzata OGPO′.
La presenza di deformazioni plastiche in un corpo involge in esso una distribuzione di sforzi diversa da quella che si determina in regime puramente elastico. Valutare tale distribuzione è essenziale per determinare i carichi di collasso e quindi quelli massimi compatibili con l'integrità delle strutture. Infatti la p. può agire sia a favore sia a sfavore della stabilità. Il problema peraltro si presenta estremamente arduo dal punto di vista matematico, poiché vien meno non solo la linearità della corrispondenza tra sforzi e deformazioni ma anche la biunivocità di tale corrispondenza a causa dell'influenza essenziale della "storia" delle sollecitazioni (ereditarietà, isteresi, effetto Bauschinger) cui il corpo è stato precedentemente sottoposto.
Un primo semplice schema che si presta ad approssimare la p. reale è quello di cui si vale la teoria della "perfetta plasticità".
I fondamenti della teoria matematica della p. sono dovuti a A.-J.-C. Barré de Saint Venant che nel 1870 mosse dalle esperienze di H. E. Tresca. Risultati significativi furono ottenuti anche da Lévy e V.-J. Boussinesq. Questi studî furono sistematicamente ripresi soltanto dopo il 1920, benché alcune importanti ricerche fossero state compiute da T. von Kármán nel 1909 e da R. von Mises nel 1913. Scuole di plasticità sorsero in Germania, in Inghilterra, in Polonia, in Russia e negli S.U.A. per opera di J. F. Baker, A. M. Freudenthal, H. Hencky, R. Hill, A. A. Iliouchine, R. von Mises, A. Nádai, W. Olszak, W. Prager, L. Prandtl, E. Reuss, V. V. Sokolovsky. Notevoli contributi italiani muovono dalle prime indagini di G. Colonnetti e dall'opera di precursore del Danusso.
1. - Lo stato di sforzo nel generico punto P di un continuo è individuato da un tensore doppio simmetrico pik che dà, con le sue sei componenti distinte, gli sforzi normali e gli sforzi tangenziali su tre elementi di superficie uscenti dal punto considerato. Per individuare il suddetto stato di sforzo si possono anche dare gli elementi di superficie su cui non si esercitano sforzi tangenziali insieme agli sforzi normali su di essi, cioè ai cosiddetti "sforzi principali". Gli sforzi principali sono massimi o minimi (relativi) e tali sono pure gli sforzi tangenziali sugli elementi che bisecano i primi.
Il tensore degli sforzi può essere considerato come somma di un tensore isotropo paik, individuato dall'invariante lineare 3 p degli sforzi (aik = 0 per i ≠ k e aik = 1 per i = k è il tensore fondamentale), e dal deviatore qik a invariante lineare nullo:
2. - Lo stato di deformazione in un ambito infinitesimo è individuato da un tensore doppio simmetrico ξik che con le sue sei componenti distinte dà gli allungamenti e gli scorrimenti. Per deformazioni infinitesime il tensore di deformazione si può esprimere mediante le derivate del vettore spostamento s, di componenti si. nella forma
In particolare il coefficiente di dilatazione cubica è:
Il deviatore della deformazione è perciò:
3. - Un generico legame tra gli sforzi e le deformazioni è dato dalla relazione:
dove μikrs è un tensore quadruplo funzione dello stato di sforzo e di deformazione definito implicitamente da "condizioni di stato" del tipo
Se dalle [5] è possibile risalire a relazioni finite il legame si dice olonomo, altrimenti anolonomo. Rientrano nella [5] i legami sforzi - deformazioni delle teorie di Hencky, di Mises e di Prandtl-Reuss che sono ordinariamente adottate per i corpi isotropi. Nella teoria di Hencky il legame è olonomo e assume la forma finita:
dove λ è un parametro disponibile. Nelle teorie di Mises e di PrandtlReuss il legame è anolonomo. In quella di Mises è:
in quella di Prandtl-Reuss:
dove G è il modulo di elasticità tangenziale.
4. - Tra le condizioni di stato, date dalle [6], vi è la condizione di plasticità. Essa è la sola che deve essere considerata quando i legami sforzideformazioni contengono il solo parametro λ, come i legami [7], [8] e [9]. La condizione di plasticità riguarda solo gli sforzi e si dimostra che, essendo nullo l'invariante lineare del deviatore degli sforzi, la sua formulazione più generale è del tipo:
dove J2 e J3 sono rispettivamente l'invariante quadratico e cubico del deviatore degli sforzi. La condizione più comune è la seguente:
essendo h il modulo caratteristico della plasticità, costante nei corpi omogenei.
Un'altra espressiva condizione di plasticità è quella per cui risulta eguale alla costante h il massimo sforzo tangenziale. Essa si esprime nella forma:
Ulteriori condizioni di plasticità sono state proposte per tener conto di effetti che sfuggono alla teoria della perfetta plasticità o per rendere più agevoli in casi particolari i procedimenti matematici.
5. - Le equazioni indefinite della elastoplasticità (valide cioè in ogni punto interno al corpo) sono date:
a) dalle condizioni di annullamento del risultante e del momento di tutte le forze agenti sul generico elemento di volume:
b) dal legame sforzi-deformazioni [7], oppure [8], oppure [9];
c) dal legame fra la deformazione e lo spostamento [2];
d) dalla condizione di plasticità [11] o altra equivalente. Sottintendendo le condizioni di simmetria, le equazioni indefinite sono in definitiva: le tre equazioni differenziali del primo ordine a), le sei equazioni finite, o differenziali del primo ordine, b), le sei equazioni differenziali del primo ordine c) e l'equazione finita d). In totale sedici. Le incognite sono: le sei componenti del tensore degli sforzi, le sei componenti del tensore di deformazione, le tre componenti del vettore spostamento, il parametro λ. In totale ancora sedici.
Vi sono dei casi (sforzi piani, deformazioni piane) in cui le sole equazioni di equilibrio associate alla condizione di plasticità consentono la determinazione dello stato di sforzo indipendentemente dal legame sforzideformazioni: si tratta dei problemi cosiddetti "ristretti". Ciò però in sede indefinita, perché le condizioni al contorno esigono in generale la conoscenza di tale legame.
6. - Il contorno è genericamente costituito dalle superfici che separano il corpo dal mondo esterno e da quelle che segnano la frontiera tra la regione plastica che si considera e quella rimasta elastica. Sulle prime valgono le ordinarie condizioni di raccordo, in termini finiti, riguardanti le forze o gli spostamenti superficiali. Sulle seconde deve essere verificata, oltre alla condizione di raccordo per le forze superficiali, anche la condizione di plasticità per gli sforzi di frontiera. Queste ultime superfici, a differenza delle prime, non sono in genere fisse, ma evolvono al variare dei carichi.
Le superfici di frontiera possono inoltre essere sede di discontinuità. Come tali esse debbono essere superfici caratteristiche (o inviluppo di queste) delle equazioni indefinite. La realità o meno delle superfici caratteristiche, che si ha o no a seconda della condizione di plasticità adottata, influenza profondamente la natura fisica e la trattazione matematica del fenomeno.
Ad esempio, nel caso delle deformazioni piane le linee caratteristiche sono sempre reali se la condizione di plasticità è la [11], e la loro equazione esplicita y = y (x) è data dall'equazione differenziale:
dove τ è lo sforzo tangenziale e σx e σy gli sforzi normali.
7. - Quando si rende possibile il fluire plastico, le equazioni che reggono il movimento si ottengono da quelle di equilibrio aggiungendo, come al solito, alle forze esterne quelle di inerzia. Durante il fluire plastico si può di norma considerare costante la densità e quindi nulla la velocità di dilatazione cubica. La deformazione elastica è poi trascurabile di fronte a quella plastica, talché la [9] può essere sostituita dalla [8] di Mises. Il quadro delle equazioni indefinite è perciò il seguente:
dove vi è la velocità, ρ la densità costante e come forze d'inerzia si considerano soltanto le
nulle quando il moto è stazionario. L'incomprimibilità consegue dalla prima delle [14].
Naturalmente alle equazioni indefinite bisogna aggiungere le condizioni al contorno e quelle iniziali. Al di là del contorno di una regione che fluisce plasticamente il corpo può spesso considerarsi rigido: è questo lo schema "rigido-plastico".
8. - Fra i non numerosi problemi risolti rigorosamente sono i seguenti: travature e piastre tenso- o presso-inflesse, tubo di forte spessore soggetto a pressione interna o esterna, disco rotante, barre cilindriche o prismatiche soggette a torsione, piastra compressa tra due piatti rigidi, semispazio soggetto a punzonamento, estrusione, piastra tesa o compressa con fori o incavi.
9. - Particolarmente importanti per le applicazioni sono le travature elastoplastiche. Si tratta di travature reticolari iperstatiche formate da un numero finito di aste soggette a trazione o compressione, nelle quali le aste plasticizzate si considerano soggette ad azioni assiali costanti; oppure di sistemi di travi inflesse, iperstatiche o no, nelle quali si possono ravvisare delle regioni plasticizzate che ordinariamente vengono riguardate come un insieme di infinite fibre tese o compresse esercitanti ognuna azione assiale costante. Ad es., in una trave rettilinea, incastrata agli estremi, inflessa da un carico uniformemente ripartito progressivamente crescente, al di là di un certo valore del carico nascono regioni plastiche in prossimità agli incastri, che dapprima si estendono verso la mezzeria e poi regrediscono. Per carichi ancor più grandi anche in mezzeria si formano regioni plastiche. Quando queste ultime invadono tutta l'altezza della trave ha luogo il collasso.
Nelle travature elastoplastiche la p. può favorire o meno la stabilità. In genere nelle strutture iperstatiche essa eleva i carichi di collasso, mentre tende a ridurli quando si manifesta associata a fenomeni di instabilità dell'equilibrio. Lo studio delle travature elastoplastiche è subordinato alla conoscenza del modo con cui i carichi vengono successivamente applicati: carichi progressivamente crescenti, comunque variabili entro limiti prefissati, ecc.
10. - È interessante l'indagine allorché ha inizio il collasso della struttura. In questo caso essa può schematizzarsi come un meccanismo a un grado di libertà costituito da corpi rigidi collegati tra loro da snodi a frizione (le cosiddette "cerniere plastiche") esercitanti azioni note. Si tratta del "calcolo a rottura" nel quale si determinano intervalli che comprendono i carichi di collasso valendosi di procedimenti variazionali. Procedimenti cosiffatti sono qui particolarmente fecondi perché possono sostituire o le condizioni di equilibrio, o quelle di congruenza o quella di plasticità.
11. - L'influenza benefica della p. nelle strutture iperstatiche si ritrova spesso anche in dinamica, perché la sua comparsa altera la distribuzione delle forze inerziali attraverso le equazioni di moto e può quindi meglio distribuire il cimento tra le varie parti della struttura.
Bibl.: V. V. Sokolovsky, Theory of plasticity, Mosca 1946; A. M. Freudenthal, The inelastic behavior of engineering materials and structures, New York 1950; R. Hill, The mathematical theory of plasticity, Oxford-Toronto 1950; A. Nádai, Theory of flow and fracture of solids, 2ª ed., New York 1950; W. Prager e P. G. Hodge, Theory of perfectly plastic solids, New York 1951; A. A. Iliouchine, Plasticité, Parigi 1956; B. G. Neal, The plastic methods of structural analysis, Londra 1957.