PLASTICITÀ
. Si chiama plastica una deformazione, quando essa permane anche se si annullano le forze che l'hanno determinata. Ciò è quanto dire che il lavoro meccanico speso per produrla non verrà più ricuperato all'annullarsi della sollecitazione. Per intendere in che modo una siffatta deformazione possa prodursi, sovrapponendosi alla deformazione elastica, allorquando il materiale abbia raggiunto in qualche punto del corpo il suo limite di elasticità, è assolutamente necessario distinguere il caso dell'elemento di volume preso isolatamente, dal caso del corpo preso nel suo insieme, cioè considerato come l'aggregato degli infiniti elementi che lo compongono.
Perché, fin che ci si limiti a considerare l'elemento isolato, il fatto che il lavoro meccanico speso per produrre una deformazione plastica non possa più venir ricuperato, si esprime naturalmente e nel modo più semplice, ammettendo che quel lavoro se ne vada tutto disperso attraverso trasformazioni irreversibili, restando esclusa ogni qualsiasi produzione di energia potenziale. Si esprime d'altronde lo stesso concetto affermando che la deformazione plastica, una volta prodotta, non ha bisogno, per mantenersi, di azioni esterne che costringano l'elemento nel suo stato deformato, epperò (a differenza della deformazione elastica) non implica l'intervento di un corrispondente stato di tensione.
In questo senso diciamo che, quando in un determinato elemento di volume si è raggiunto il limite di elasticità, il materiale passa ivi dal regime della perfetta elasticità al regime della perfetta plasticità; e le deformazioni plastiche si sovrappongono puramente e semplicemente alle deformazioni elastiche senza in alcun modo alterare lo stato di tensione, né l'energia potenziale che quest'ultime avevano determinato.
Però quel che si dice dell'elemento, non si può affatto ripetere per il corpo preso nel suo insieme; nel quale, il superamento del limite di elasticità del materiale può avvenire in certi punti e non in altri, per modo che le deformazioni plastiche vi costituiscono, in generale, un sistema non congruente: tale cioè che non possa realizzarsi da solo, ma che a tal fine esiga la concomitanza di un sistema di deformazioni elastiche complementari, vale a dire tali che sia congruente il sistema delle deformazioni risultanti. Accade così che la deformazione plastica di un dato elemento determini uno stato di deformazione elastica - ed un corrispondente stato di tensione - negli elementi attigui che non abbiano ancor raggiunto il loro limite di elasticità; stato che noi designeremo col nome di stato di coazione, per distinguerlo dagli ordinarî stati di deformazione e di tensione dovuti all'azione delle sollecitazioni esterne. E l'energia potenziale elastica che questo stato naturalmente implica, la chiameremo energia vincolata per ricordare che essa dipende, come lo stato a cui si riferisce, dalla presenza della deformazione plastica e che quindi permane con essa, anche quando si annulli la sollecitazione esterna che l'ha determinata.
Nei confronti dunque del corpo considerato nel suo insieme, il lavoro meccanico assorbito in occasione di una deformazione plastica è, generalmente parlando, da considerarsi come composto di due frazioni ben distinte: l'una spesa per produrre la deformazione plastica propriamente detta, e che viene dispersa attraverso trasformazioni irreversibili; mentre l'altra, spesa per creare lo stato di coazione che la deformazione plastica implica, viene trasformata in energia vincolata.
Resta sempre vero, naturalmente, che nessuna delle due frazioni verrà restituita al cessare della sollecitazione esterna. Tuttavia mentre la prima è veramente e definitivamente dispersa, la seconda resta nel corpo allo stato potenziale; e sommandosi coll'energia potenziale dovuta ad eventuali sollecitazioni ulteriori potrà anche rivelare la sua presenza per il diverso modo con cui il corpo si comporterà per rapporto ad esse; e potrà persino ritrasformarsi in lavoro meccanico se, con opportune operazioni o trattamenti (naturalmente esorbitanti dal campo delle semplici deformazioni) noi riusciremo in qualche modo ad annullare la deformazione plastica, od anche soltanto ad eliminare la sua influenza sul resto del corpo, distruggendo i vincoli fra gli elementi deformati plasticamente e quelli in cui il limite di elasticità non è stato ancora raggiunto. È pertanto di fondamentale importanza tenere distinte queste due frazioni del lavoro speso per produrre le deformazioni plastiche, computando a parte quella che dà luogo ad una effettiva dispersione di energia, ed assimilando l'altra al lavoro speso per produrre le deformazioni puramente elastiche in una valutazione globale dell'energia potenziale.
A questo risultato si giunge nel modo più semplice ritornando alla considerazione dei singoli elementi di volume, presi isolatamente, e distinguendo, nel fenomeno della deformazione di ciascuno di essi, due tempi successivi: l'uno a regime elastico e l'altro a regime plastico. Nel primo tempo - che non ha termine se non quando nell'elemento si è raggiunto il limite di elasticità del materiale - le tensioni interne crescono dal valore zero al valore finale sotto l'azione della sollecitazione esterna e delle eventuali deformazioni plastiche di altri elementi, determinando una energia potenziale elastica unitaria
Nel secondo tempo - che ha naturalmente luogo soltanto per quegli elementi in cui il limite di elasticità è stato raggiunto - le tensioni interne si mantengono costanti (malgrado l'eventuale ulteriore incremento della sollecitazione esterna) mentre, in dipendenza delle deformazioni elastiche degli elementi che non hanno ancor raggiunto il limite di elasticità, si determinano nell'elemento che si considera le deformazioni plastiche, con un dispendio unitario di lavoro evidentemente misurato da
Ne segue che il lavoro di deformazione totale per l'intero corpo si potrà sempre esprimere sotto la forma caratteristica
in cui l'accennata distinzione è messa esplicitamente in evidenza.
Consideriamo il corpo dato in un suo stato generico di equilibrio sotto l'azione di un sistema dato di forze. Dette al solito
le sei componenti speciali di tensione nell'elemento generico di volume, ed
le sei componenti della deformazione plastica - nella ipotesi che in quell'elemento il limite di elasticità del materiale sia stato effettivamente raggiunto - immaginiamo di attribuire allo stato di tensione una variazione piccolissima e compatibile con le forze esterne date. Immaginiamo cioè che, ferme restando le deformazioni plastiche, le componenti speciali di tensione subiscano degli incrementi piccolissimi
costituenti un sistema di tensioni in equilibrio per forze esterne tutte nulle. Il lavoro di deformazione L subirà una variazione prima
la quale si può scrivere più semplicemente così:
e rappresenta il lavoro che il sistema delle tensioni
compirebbero se al corpo venisse attribuita la variazione virtuale di configurazione di componenti
Ora il sistema di tensioni
è per ipotesi in equilibrio per forze esterne tutte nulle.
D'altra parte la variazione virtuale di configurazione che ha per componenti
è certamente congruente e compatibile coi vincoli: essa è infatti proprio quella che il corpo ha effettivamente dovuto subire per passare dallo stato naturale non deformato allo stato di equilibrio da noi considerato.
In virtù del principio dei lavori virtuali dovrà dunque essere
Se si tien conto che la variazione seconda si riduce a
epperò è essenzialmente positiva, si può senz'altro enunciare il seguente teorema di Colonnetti: "Le tensioni interne che caratterizzano lo stato di equilibrio considerato sono quelle che rendono minima l'espressione del lavoro di deformazione totale - somma dell'energia potenziale elastica e del lavoro disperso per deformazioni plastiche - per rapporto a tutti i valori che l'espressione stessa può assumere compatibilmente colla deformazione plastica e colle forze esterne date".
A proposito di questo teorema - che costituisce il fondamento di tutta la teoria dell'equilibrio elasto-plastico, ed il punto di partenza di tutte le sue applicazioni tecniche - bisogna ben tenere presente che la variazione di componenti
che noi abbiamo immaginata impressa allo stato di tensione che caratterizza l'equilibrio, non corrisponde ad alcuna variazione di configurazione effettivamente realizzabile.
Ne segue che, mentre L ha un significato fisico ben definito (lavoro di deformazione totale), le sue variazioni qui considerate non sono suscettibili di un'analoga interpretazione.
Il minimo da noi stabilito non è pertanto un minimo di una grandezza fisica, ma soltanto il minimo di una funzione analitica, la quale, in corrispondenza del sistema di valori delle variabili che caratterizza lo stato di equilibrio, e solo allora, assume il significato fisico che ci ha permesso di darle un nome. A rigore, il teorema dimostrato dovrebbe dunque più propriamente enunciarsi così: "Le tensioni interne che caratterizzano lo stato di equilibrio considerato sono quelle che rendono minima l'espressione
per rapporto a tutti i valori che l'espressione stessa può assumere compatibilmente colla deformazione plastica e colle forze esterne date".
Ora siamo in grado di renderci conto delle possibilità di applicazione del teorema alla risoluzione di problemi concreti. A tal fine supponiamo:
1) che si possano riferire i singoli stati di tensione in equilibrio colle forze esterne date, ai singoli sistemi di valori di k parametri indipendenti (incognite iperstatiche)
biunivocamente e linearmente, cioè in modo tale che le componenti speciali di tensione si possano tutte esprimere come funzioni lineari di quei k parametri;
2) che si possa caratterizzare la deformazione plastica per mezzo di un certo numero h di altri parametri indipendenti (caratteristiche della coazione)
biunivocamente e linearmente, cioè in modo tale che le componenti della deformazione plastica si possano tutte esprimere come funzioni lineari di quegli h parametri.
In questa duplice ipotesi le k equazioni in cui ovviamente si scinde l'imposta condizione di minimo
stabiliscono altrettante relazioni lineari e non omogenee tra i k parametri dello stato di tensione e gli h parametri della deformazione plastica. Esse potranno quindi, generalmente parlando, venire utilizzate per determinare k qualsiasi tra quei k + h parametri in funzione dei rimanenti; o addirittura per determinarli tutti quanti, se avviene che tra essi si possano ulteriormente stabilire h altre relazioni lineari.
In pratica vi sono tre categorie di problemi la cui soluzione viene così ad essere determinata; e sono:1) quelli in cui le deformazioni plastiche sono, o si suppongono, note (problema fondamentale della teoria delle coazioni); le k equazioni possono allora senz'altro venire impiegate per la determinazione delle k incognite iperstatiche; 2) quelli in cui le deformazioni plastiche sono incognite, ma in compenso vengono ad esser noti i valori di h delle incognite iperstatiche; le k equazioni servono allora a determinare, oltre alle k-h incognite iperstatiche rimanenti, gli h parametri della deformazione plastica; 3) quelli in cui le deformazioni plastiche sono incognite, ma son note h relazioni (lineari, o riducibili a tali in via di prima approssimazione) che le legano alle incognite iperstatiche; le k equazioni unitamente a queste h relazioni, potranno allora venire utilizzate per determinare le k + h incognite del problema.
Bibl.: G. Colonnetti, Su l'equilibrio elastico dei sistemi in cui si verificano anche deformazioni non elastiche, in Rend. R. Accad. Lincei, serie 6, XXV, 1937; id., Scienza delle Costruzioni, Torino 1948.