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PLASTICITÀ

di Osvaldo De Donato - Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)
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PLASTICITÀ (App. II, 11, p. 560; III, 11, p. 433)

Osvaldo De Donato

Oggetto della teoria della p. è lo studio del comportamento dei corpi costituiti di materiale duttile sollecitati oltre i limiti elastici. L'evento che caratterizza il comportamento di tali corpi è costituito dalla comparsa, accanto a deformazioni elastiche reversibili, anche di deformazioni permanenti (dette "plastiche") che inducono uno stato di tensione particolare (di tipo autoequilibrato) non più eliminabile anche operando la rimozione dei carichi che lo hanno provocato. Tale stato di sollecitazione ha un'importante influenza sul comportamento del corpo nei successivi processi di carico perché risulteranno applicati non già su un corpo "scarico", ossia con sollecitazioni nulle ovunque, ma su un corpo già dotato in partenza di una distribuzione di sollecitazioni. Da qui discende la tipica dipendenza dello stato di sforzo e di deformazione nei corpi in esame non solo dal valore finale attinto dai carichi, ma anche dalla legge con la quale essi si sono susseguiti nel tempo fino a pervenire ai valori finali (dipendenza del comportamento dalla "storia" delle precedenti deformazioni plastiche). In tale dipendenza fondamentalmente si differenzia la teoria della p. dalla teoria dell'elasticità: quest'ultima infatti studia il comportamento dei corpi sollecitati entro i sopra citati limiti elastici; le deformazioni che si presentano sono perciò reversibili e gli stati di sforzo e deformazione dipendenti dai soli valori finali delle azioni esterne.

Un ruolo di rilievo nella teoria della p. è svolto dal "legame costitutivo" del materiale, ossia dal legame che ne descrive il comportamento a partire da un assegnato stato di sollecitazione. Ciò richiede anzitutto la definizione di una "funzione di snervamento" (detta anche "condizione di p:") in grado di segnalare se lo stato di sollecitazione di partenza sia elastico oppure suscettibile di deformazioni plastiche. Occorre quindi precisare quale schematizzazione di comportamento del materiale viene adottato, se lo schema della p. perfetta (o ideale) oppure con incrudimento. Il primo schema è caratterizzato dall'impossibilità per il materiale di pervenire a stati di tensione al di là di certi limiti fissi (limiti di snervamento), ossia il materiale può presentare incrementi di deformazione plastica a partire da uno stato di sollecitazione limite senza che sia necessario incrementare i corrispondenti stati di tensione; la condizione di p. sarà quindi indipendente dalla storia delle sollecitazioni e deformazioni precedenti. Nel secondo schema, caratterizzato dalla necessità d'incrementare lo stato di sollecitazione perché appaiano deformazioni plastiche, la condizione di p. sarà dipendente dalla storia e dovrà essere precisata la dipendenza definendo o adottando un modello d'incrudimento. Infine occorre formulare il legame tensioni-deformazioni (incrementali, data l'irreversibilità delle deformazioni plastiche) che governa il comportamento del materiale a partire da un assegnato stato di sollecitazione.

Aggiungendo al legame costitutivo incrementale le equazioni di equilibrio e di congruenza (incrementali), si formula il problema di "analisi incrementale elastoplastica" della teoria della p.: la sua risoluzione permette di conoscere gl'incrementi delle tensioni e deformazioni da attribuire allo stato tensionale e deformativo di un corpo sotto l'azione di dati carichi esterni quando a tali carichi vengano imposti assegnati incrementi. Mediante la risoluzione di successivi problemi di analisi incrementale per carichi via via crescenti diventa allora possibile risolvere anche il problema di "analisi finita elastoplastica" che ha come scopo la determinazione delle tensioni e deformazioni finite corrispondenti ad assegnati valori finali dei carichi raggiunti secondo un assegnato programma di carico.

Un altro tipico problema oggetto della teoria della p. è quello denominato di "analisi limite" o anche del calcolo a rottura. Esso riguarda una particolare situazione in cui possono trovarsi corpi di materiale perfettamente plastico. Poiché gli sforzi in ogni punto materiale del corpo non possono superare determinati valori limite, consegue che i carichi esterni non potranno essere cresciuti indefinitamente. Applicato a essi un fattore amplificatore comune, quest'ultimo potrà crescere fino a un valore limite (detto "moltiplicatore di collasso" o anche coefficiente di sicurezza) cui corrisponderà l'incapacità per il corpo di sopportare ogni ulteriore incremento dei carichi. Tale situazione, detta di collasso plastico, è caratterizzata da deformazioni crescenti indefinitamente sotto il carico limite costante. Il campo di velocità di deformazioni che si manifesta all'atto dell'incipiente collasso costituisce il cosiddetto "meccanismo di collasso". Alla base dei procedimenti per la determinazione del coefficiente di sicurezza sono il teorema statico e il teorema cinematico del calcolo a rottura. Di questi il primo afferma che la condizione di carico corrispondente a un'assegnata amplificazione dei carichi base può essere "sopportata in sicurezza" dal corpo se è possibile individuare una qualunque distribuzione di sforzi equilibrata in sede indefinita, in equilibrio con i carichi esterni e tale da non violare dovunque la condizione di plasticità. In altri termini, denominato tale amplificatore dei carichi come staticamente ammissibile, il coefficiente di sicurezza viene qualificato come il massimo di tutti i moltiplicatori staticamente ammissibili. Il secondo teorema afferma che il coefficiente di sicurezza è il minore dei moltiplicatori cinematicamente ammissibili, definiti come i moltiplicatori di collasso corrispondenti a ipotizzati meccanismi di collasso.

Dall'applicazione di tali teoremi discendono procedimenti per il calcolo del coefficiente di sicurezza rispettivamente denominati statici e cinematici. Essi sono riconducibili, sotto opportune ipotesi, a problemi di programmazione matematica (in particolare, programmazione lineare) con la possibilità di avvalersi vantaggiosamente delle tecniche numeriche e degli algoritmi di calcolo che le sono proprie.

Un altro tipico problema oggetto della teoria della p. è quello denominato di "analisi limite per carichi variabili" o anche dell'"adattamento plastico" o shake-down. È facile infatti constatare che in caso di carichi applicati variabili nel tempo, ciascuno entro assegnati limiti, ma indipendentemente gli uni dagli altri, non è sufficiente, per prevenire il collasso, constatare che entro i limiti assegnati non esistano combinazioni dei carichi tali da costituire un carico limite nel senso più sopra esposto. Può infatti avvenire che tra gl'infiniti modi di variare dei carichi nel tempo esistano uno o più cicli di carico ai quali corrispondono cicli di deformazione che si ripetono identicamente a ogni nuovo ciclo di carico. In tal caso a ogni ciclo le deformazioni plastiche continueranno ad accumularsi con conseguente cedimento progressivo del corpo fino alla completa sua inutilizzabilità per eccesso di deformazione (si parla allora di "collasso plastico incrementale"). In particolare può avvenire che in una parte del corpo si presentino, nel singolo ciclo di carico, deformazioni plastiche alternate con risultante nulla al termine di ciascun ciclo. Non ha luogo allora l'accumulo di deformazioni plastiche, ma può presentarsi una rottura locale per fatica anche dopo pochi cicli di carico (si parla allora di "collasso per p. alternata"). Per evitare le situazioni descritte occorre che si sviluppino stati di coazione (dovuti alle deformazioni plastiche comparse nelle prime fasi del programma di carico) tali che sovrapponendo a essi la risposta elastica del corpo per una qualunque combinazione dei carichi entro i limiti prescritti, non abbia luogo in alcun punto la violazione della condizione di plasticità. Si dice in tal caso che le deformazioni plastiche si stabilizzano e lo stato di sollecitazione del corpo rientra definitivamente in regime elastico. Il più grande moltiplicatore dei limiti entro i quali i carichi possono variare, per il quale può aversi la stabilizzazione delle deformazioni plastiche, è detto "moltiplicatore limite di adattamento" o "coefficiente di sicurezza per carichi variabili". Similmente al caso statico, la sua determinazione si fonda su due teoremi dell'adattamento plastico, l'uno statico e l'altro cinematico, che dànno origine a omonimi procedimenti di calcolo anch'essi riconducibili, sotto opportune ipotesi, a problemi di programmazione matematica.

Da ultimo va segnalato il problema del "progetto limite ottimale", ossia della determinazione di un insieme di variabili di progetto, corrispondenti, sotto i carichi assegnati, a una soluzione limite, e tali da minimizzare o massimizzare una scelta funzione di merito (per es., minimizzare il peso del corpo) eventualmente anche in presenza di vincoli tecnologici. Ancora la formulazione può essere ricondotta a un problema di programmazione matematica (in generale non lineare).

Bibl.: D. C. Drucker, Plasticity, in Structural Mechanics, Stanford 1958; W. T. Koiter, General theorems for elastic-plastic solids, in Progress in solid mechanics, vol. I, Amsterdam 1960; W. Olszak, Z. Mròz, P. Perzyna, Recent trends in the development of the theory of plasticity, Londra e Varsavia 1963; J. Mandel, Mécanique des milieux continus, Parigi 1966; A. Mendelson, Plasticity: theory and applications, New York 1968. Notevoli progressi nella risoluzione numerica effettiva di problemi anche complessi in regime elastoplastico si sono avuti nel decennio 1965-75 grazie al sistematico impiego del metodo degli elementi finiti. Per gli aspetti di maggior rilievo della problematica coinvolta: J. H. Argyris, Continua and discontinua, in Proceedings of the Conferences matrix methods in structural mechanics, Dayton, Ohio 1965; O. C. Zienkiewicz, S. Valliapan, I. P. King, Elastoplastic solutions of engineering problems, initial stress, finite element approach, in International journal for numerical methods in engineering, 1969; O. C. Zienkiewicz, The finite element method in engineering science, Londra 1971; L. Kachanov, Foundation of the theory of plasticity, Amsterdam 1971; Proceedings of the Conferences on matrix methods in structural mechanics, Ohio 1965, 1967, 1971, 1974; J. B. Martin, Plasticity-foundamentals and general results, Cambridge, Mass., 1975.

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