PLATEN Hallermünde, August conte von
Poeta tedesco, nato in Ansbach, nella Franconia, il 24 ottobre 1796. A dieci anni fu messo nella scuola dei cadetti di Monaco di Baviera, e quattro anni dopo, insofferente della disciplina militare, passò all'Istituto dei paggi, dove alacremente studiò, oltre al latino e al greco, il francese, l'inglese e l'italiano. Nel '14 fu nominato sottotenente e, con questo grado, partecipò, nel 1815, pur senza prendere parte ad alcun fatto d'arme, alla campagna di guerra in Francia. Ottenuto poi un lungo permesso, soggiornò in Svizzera e nelle Alpi bavaresi, iniziando contemporaneamente lo studio dello spagnolo, dell'arabo e del persiano; frequentò per un anno, nel 1818, l'università di Würzburg e, negli anni successivi, quella di Erlangen, carezzando già il sogno d'un viaggio in Italia, che egli compì, la prima volta, nel 1824, fino a Venezia. Durante questi anni il P viaggiò molto anche in Germania, ed ebbe occasione di conoscere, oltre allo Schelling, professore a Erlangen, A.W. Schlegel, Uhland, Arndt, Rückert, Jean Paul e lo stesso Goethe.
Nel 1826 tornò in Italia, soggiornando in varie città e, più a lungo, a Firenze, Roma e Napoli; e in Italia, tranne una parentesi di pochi mesi che passò in patria, dopo la morte del padre, trascorse il resto della sua vita, sempre in affannosa ricerca di quiete, spesso angustiato da strettezze economiche, quasi dimenticato dai suoi connazionali, amareggiatissimo da mille contrarietà e soprattutto dagli attacchi dell'Immermann e dalla volgare accusa scagliatagli dal Heine. Nell'auturmo del 1835 è di nuovo in Sicilia; a Siracusa, dove infierisce il colera, cade gravemente malato e crede di essere egli stesso attaccato dal morbo. Qui morì il 5 dicembre dello stesso anno e fu sepolto, poco lontano dalla città, in un fondo del marchese Landolina che l'aveva amorevolmente accolto e assistito.
Multiforme è l'attività letteraria e artistica del P., iniziata con grande fervore negli anni degli studî universitarî. Già allora, cercando una strada sua, egli s'entusiasmò per l'antico e per il moderno: e Omero, Orazio e Properzio, Guarini, Calderón e Pope furono di volta in volta i suoi poeti prediletti, come per gli studî storici prese a modello ora Tacito e Sallustio, ora Schiller. Copiosi, in quegli anni, furono anche i suoi tentativi drammatici, molti dei quali rimasero allo stato di progetto o di frammento. A vent'anni schizzò due tragedie: Konradin von Schwaben e Die Tochter des Kadmus, e un dramma: Hochzeitsgast, la cui materia aveva già trattato in un romanzo intitolato: Hinterlassene Papiere einer Nonne. Nello stesso periodo si provò nell'epopea storica col poema: Gustav Wasa e scrisse Die Harfe Mahomets, una novella epica che, anche nella forma metrica, ricorda l'Oberon del Wieland.
Questo primo periodo dell'attività poetica del P. fu essenzialmente romantico; lo dimostrano, oltre che le raccolte di liriche, anche i componimenti drammatici, in cui spesso si sente l'influsso della poesia popolare del Medioevo spagnolo o francese, come nelle commedie fiabesche: Der gläserne Pantoffel, Berengar, Treue um Treue, Der Turm mit sieben Pforten, sebbene anche qui la ricercatezza della forma nettamente si allontani dallo stile romantico e preannunci già orientamenti nuovi. Poco dopo, infatti, ancor prima di dedicarsi tutto allo studio del mondo orientale, il P., preso d'alta ammirazione per la poesia classica, non nascose una profonda avversione per i romantici, specie nelle due commedie di imitazione aristofanesca: Die verhängnisvolle Gabel (1826), e Der romantische Oedipus (1828), ove l'azione comica è quasi interamente assorbita dalla satira contro le stravaganze romantiche e contro alcuni scrittori più in voga, tra cui Immermann e Heine. Il loro pregio maggiore consiste nella perfezione della forma e in una certa verve che anima molte scene, specialmente di Die verhängnisvolle Gabel, e che serve a rendere più taglienti le evidenti allusioni satiriche. Ai due drammi non arrise la fortuna, né migliore successo ebbero altri due drammi (e anche l'ultimo: Die Liga von Cambrai, 1833), i quali possono anche oggi essere di piacevole lettura, ma si reggerebbero male sulla scena.
In sostanza al P. mancò l'ingegno drammatico; egli riuscì grande solo nella lirica. E nel culto scrupoloso della forma linguistica, nel proposito d'introdurre nella poesia tedesca nuovi atteggiamenti metrici e nella ispirazione dei suggestivi fantasmi del mondo orientale, continuando l'esempio offerto dal Goethe nel Divano, si trovò d'accordo con un altro poeta: il Rückert. Ancora giovanissimo, il P. pubblicò una prima raccolta di liriche: Ghaselen (1821), una forma metrica che può essere composta d'un numero indefinito di versi, in cui è sempre ripetuta la rima dei primi due, ad eccezione dei versi impari che restano senza rima. Nello stesso anno apparvero i Lyrische Blätter e, subito dopo, lo Spiegel des Hafis, le Vermischte Schriften e le Neue Ghaselen, ehe suscitarono molta curiosità intorno al P. Anche al Goethe piacquero la purezza e l'eleganza della forma.
Più tardi, il lungo soggiorno in Italia dové non poco influire sul suo spirito innamorato del bello e che alla bellezza assoluta aveva sempre creduto, sforzandosi senza posa di raggiungerla. I famosi Sonette aus Venedig, frutto del primo viaggio in Italia, sono fra le cose sue più belle. Sulla laguna veneta, il P. aveva rivisto l'antico splendore della repubblica e ne aveva tratta ispirazione per questi canti pieni di colore e di vita, pur soffusi d'una tinta di malinconia nel rimpianto d'un glorioso passato. Ma a Roma, a Napoli, in Sicilia egli era venuto poi a raccogliere altre impressioni e altre immagini in numerosi canti. L'ode Acqua Paolina rispecchia l'entusiastica ammirazione d'uno spirito colto e sensibile per la città eterna; alcune ballate come Il pellegrino di S. Giusto e La tomba nel Busento sono divenute popolari; pieni di grazia le egloghe e gl'idillî, fra i quali una gemma: Il pescatore di Capri; passionali e spesso mordenti i suoi epigrammi.
Il P., riaffermando l'autonomia del fenomeno artistico, considera l'arte la più alta espressione dell'attività creativa dell'uomo, e la vita un godimento della bellezza, pur riconoscendo la necessità di lottare per raggiungerlo. In ciò è insita l'affermazione della più ampia libertà, e da essa muovono l'esaltazione della rivoluzione polacca (Polenlieder) e dei moti italiani, e l'odio contro Napoleone. Soggiogato dalla brama di ricercare sempre nuove forme di bellezza, il P. non sfugge a profondi scoramenti, quando deve riconoscere che la bellezza è la negazione della realtà; tuttavia nell'accettare il godimento che la vita può dare, senza volerne uno più alto, negato agli umani, egli sa ritrovare un'interiore armonia che è anche equilibrio morale. Un'idea morale è dunque per lui la bellezza, e il poeta, nello sforzo costante di chiarire agli uomini la verità, un sacerdote.
Ediz.: Sämmtliche Werke, a cura di E. Petzet e M. Koch, voll. 12, Lipsia 1910; Briefwechsel, a cura di P. Bornstein, voll. 3, Monaco 1921; Tagebücher, a cura di G. v. Laubmann e L. v. Scheffer, voll. 2, Stoccarda 1896 e 1900.
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